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Proserpina passeggia di notte per le strade nel groviglio di colori monotoni, tossico piombo metallico. Vuole l'arancione stimolante... Poi torna nella torre a sognare, solitudine da indossare, quadri dai colori urlanti accendono fantasie conturbanti.
Prosaico squillo turba il suo rito, si scrivono, è piacevole, però vorrebbe essere davanti a lui. "Scusami ma visto che parliamo potresti aprirmi il portone che sto congelando" Si precipita, sguardo vagante intorno, bocca anelante, abbraccia il vuoto graffiante, rarefazione privante di voci banali, ultime persone ancora fuori, lo cerca... Spire di nuvole blu ultramarino colano dal cielo sul pensiero di Proserpina, ghiacciandolo, quando guarda in alto per evitare il grigio della piazza. Quel pensiero è un giallo lampo arsenico, camminare cronico, secondi farnetici negli anfratti anestetici della città. Perché desidera quell'arancione elettrico... Che non c'è, non c'è. Riapre il portone Proserpina, spalle curvate in basso dalla sua grande idiozia "Come ho fatto a crederci?" Un piede è già dentro "Come lo desideravo" La punta del naso tocca il rassicurante tepore interno di quell'immobile realtà della torre "Che stupida" Sta entrando anche l'ultimo lembo del cappotto "Queste cose succedono solo nei film" L'arancione le afferra un gomito L'attira verso di sé, la circonda con uno sguardo, le sfiora le labbra, scosta la maglia per premere leggermente i capezzoli impazziti, una mano scende giù, sotto le mutandine, un dito entra nella rosellina... Le dipinge dentro la sua voce di caldo vapore. I loro corpi si liquefanno e restano solo i loro occhi in una densa materia pittorica. |