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Il Circo

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view post Posted on 31/7/2012, 13:03     +1   -1
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T.P.E.
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Racconto non autografo - tratto dal Web - by Frusta gentile (blog)
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IL CIRCO


cage


Una sera Alice è attirata da un circo fuori mano, un piccolo tendone colorato in periferia. Lo spettacolo è scadente e gli spettatori scarsi, ma è intrigata dall’odore di stalla che permea tutto l’ambiente. I clown le mettono tristezza, ma l’esibizione degli animali, come ubbidiscono e come sono ben addestrati, la affascina. E si stupisce sempre più di quanto riesce ad immedesimarsi con loro. Soprattutto i cavalli. Vorrebbe essere lì, nuda, imbrigliata al loro posto ed esibire davanti a tutti la sua bravura e la sua ubbidienza. L’idea le fa socchiudere gli occhi e stringere le cosce, mentre uno strano e perverso languore si impadronisce di lei, e si scopre sempre più eccitata. Conosce quella sensazione, sa che le da alla testa e non si controlla più, la spaventa ma le piace e non riesce a fare a meno di crogiolarcisi dentro. Persa nei suoi pensieri non si accorge nemmeno che lo spettacolo è già finito e gli spettatori stanno andandosene. Ha le gambe molli, forse ha anche goduto, e si regge a fatica. Fa uno sforzo e si avvia all’uscita. Fuori è buio, è rimasta sola.
Sente voci lontane di gente che si saluta, sportelli che sbattono, auto che partono. Dall’altra parte rumori di gente che lavora, probabilmente i facchini che stanno sistemando le attrezzature servite per lo spettacolo. Poi, sovrastando tutti gli altri suoni, il nitrito di un cavallo. E’ indecisa se avviarsi alla macchina, ma qualcosa di sordido la ferma. Ecco ritornare la solita sensazione che le ottenebra il cervello. Senza rendersene conto si avvia verso quel richiamo animale, animale lei stessa. Aggira il tendone addentrandosi sempre più nel buio e rischiando di inciampare ad ogni passo, prima tra le corde tirate e poi tra gli sterpi e le radici che affiorano nel terreno incolto. Poi si abitua all’oscurità e si districa meglio, a parte la debolezza alle gambe. Mentre procede, l’eccitazione aumenta: sarà il buio, la solitudine, la bravata, ma il respiro le si fa sempre più corto e l’adrenalina è alle stelle. I nitriti sono sempre più vicini e sente lo scalpitare degli zoccoli. I cavalli l’ hanno fiutata e sentono la presenza estranea. Finalmente raggiunge la stalla, parte di un serraglio più vasto. Si affaccia a una finestrella, infila la testa dentro e la zaffata che riceve la fa quasi svenire. L’afrore degli animali accaldati, il puzzo di sterco, la paglia maleodorante, tutto la riporta in un mondo atavico di bestialità e schiavitù, un mondo che le piace e al quale ancora appartiene. Nel movimento delle bestie riesce a distinguere un accoppiamento e alla seppur fioca luce vede uno stallone montare in groppa a una giumenta e affondarle dentro il suo tremendo e mostruoso arnese. Come vorrebbe essere trattata così, come una bestia, senza che nessuno le chieda il permesso, e poi essere abbandonata lì a rotolarsi nella paglia ciancicata dagli zoccoli e intrisa di tutto. Senza rendersene conto si infila una mano sotto la gonna, scosta lo slip e comincia a darsi piacere. Si scopre fradicia e fa appena in tempo a sguazzare le dita nella fica gonfia che l’orgasmo la sorprende e la travolge. Si lascia scivolare a terra e lentamente riprende fiato. Quando riapre gli occhi scorge più in là una gabbia che le sembra vuota. Irresistibilmente ne è attratta, una gabbia tutta per sè.
La stalla coi cavalli e soprattutto il loro continuo movimento e la loro mole le fanno paura. Più che gli animali, è l’odore e la situazione che la eccita. Si rimette maldestramente in piedi e si avvia verso la gabbia. E’ vuota, come le era sembrato, ma abbandonata da poco, dall’odore e dagli escrementi che contiene. C’è una porta a sbarre, la prova e si apre. Entra, fa qualche passo, poi non resiste e si lascia scivolare a terra. Si spoglia completamente, poi si rotola nella paglia pungendosi, annusando, leccando. Strofina i seni e il ventre e l’eccitazione cresce. Non resiste, spalanca le gambe e si masturba di nuovo. Sta per godere, persa nei suoi piaceri, quando sente la porta sbattere e un chiavistello scattare.

“Ehi ragazzi, venite a vedere. Ho catturato un bell’animale”, urlò una voce al di là della gabbia. “Veramente ci si è infilata da sola, ma già che c’è…”. Il rumore dei lavori che ti arrivava da lontano si interrompe di colpo, percepisci stupore e poi un accorrere generale. Tu ti senti come una bambina con le mani sporche di marmellata, come una ladra con le mani nel sacco, letteralmente presa in gabbia. Arrossisci, ma per fortuna al buio non si vede. Vorresti essere altrove ma sai che non hai scampo. Stramaledici quel lato di te, quella tua indole perversa che ti caccia sempre nei guai, anche se in fondo è quello che vuoi. Ti rendi conto di essere nuda e sporca e ti vergogni da morire. Visto che non puoi scappare cerchi almeno di limitare i danni e ti affanni attorno per cercare di recuperare i tuoi vestiti.. “Ferma dove sei, non ti muovere”, ti intima una voce dura e autoritaria mentre improvvisamente si accendono delle lampade che ti illuminano completamente e un forcone, col suo tridente, ti arriva a pochi centimetri dalla pelle. Impaurita e accecata ti immobilizzi.
Socchiudendo gli occhi percepisci una decina di persone tutte attorno alla gabbia. Evidentemente sono i facchini che si sono trattenuti per smontare.
Istintivamente fai un passo indietro ma ti senti punta. Sei circondata e di forconi ce ne sono tre o quattro tutti puntati contro di te, così da costringerti nel mezzo. “Ehi, ma che animale è?” , chiede qualcuno e tutti si sentono in dovere di azzardare. “Per me è una cagna”, “Ma non vedi che zampe lunghe, è una cavalla”, “Per me è una scrofa”, conclude l’ultimo. “Dai, facci vedere bene come sei fatta”, è stato poi il coro generale. E così, seguendo di volta in volta gli ordini che ti vengono dati, sempre sotto la minaccia dei forconi, sei costretta ad assumere tutte le pose che ti chiedono di prendere: carponi, a quattro zampe, a gambe aperte, girata e china, costretta a divaricare le natiche e le labbra della fica per farti esaminare per bene nei tuoi orifizi. “Sono ancora indeciso su che bestia sia, ma certamente è femmina”, è il parere che fa scoppiare la risata generale. “Ma che ne facciamo?”, chiede il più assennato. “Possiamo trattarla come tutti gli altri animali e organizzare degli spettacoli nostri personali. Così ci divertiamo e ci guadagniamo anche”, sentenzia il più crudele. “Ma cosa sa fare? Andrà addestrata”, dice il più pratico. “E noi l’addestreremo”, ribatte il crudele.
“Certo che così lurida fa schifo”, dice il realista. “E’ vero”, ammette il crudele, “forza ragazzi, diamole una lavata”.
Così dicendo estrae l’uccello e comincia a pisciarti addosso, subito imitato da tutti gli altri, con gran soddisfazione generale. Ti senti sommersa da una decina di getti che ti colpiscono dappertutto: sulle gambe, sul ventre, sulle natiche, sul petto, in faccia, sui capelli. Ti lasci cadere a terra e ti raggomitoli per cercare di limitare i danni, ma nello stesso tempo fremi in maniera inconsulta, qualcosa si scioglie dentro di te, ti senti liquida ma di dentro. Stringi forte una mano tra le cosce e ti senti fradicia, ma non è la loro urina. Ti senti scuotere da un orgasmo devastante che dura a lungo, e quando sta per terminare istintivamente ti rilassi rilasciando anche i muscoli della tua vescica e ti pisci addosso. Sei confusa, stranita, appannata. Tutto ti sembra ovattato.
Sembra non ci sia più nessuno e forse è proprio così perché solo più tardi, mentre albeggia, noti qualcuno posare davanti alla gabbia una forma di pane e una ciotola d’acqua.
Ti rendi conto di essere affamata e di avere la bocca riarsa per l’acidità del piscio che sei stata costretta tuo malgrado a bere. Ti avventi su quegli alimenti poveri ma indispensabili allungandoti attraverso le sbarre per afferrarli e scorgi, ritta in piedi, ad osservarti, una donna di mezza età in abiti da zingara. Afferri la forma di pane e la devi piegare per farla passare.
A fatica ci riesci e subito l’addenti, ma ti accorgi di quanto è dura , sarà di settimane fa. Cerchi di inumidirla con la saliva, ma non ne hai. Ti allunghi allora per afferrare la ciotola d’acqua, ma attraverso le sbarre non passa, se non piegandola. Rivolgi uno sguardo di supplica alla donna ma quello che ricevi in risposta ti gela. Il suo sguardo è glaciale e crudele. Se hai sperato di avere un’alleata devi subito ricrederti. Capisci che non muoverà un dito per aiutarti. Dopo un attimo di smarrimento ti ingegni. Appoggi la testa alle sbarre, rivolta verso l’alto, apri la bocca e inclinando la ciotola la fai passare lentamente cercando di recuperare il più possibile con la lingua l’acqua che inevitabilmente deborda. E’ calda e stagnante ma in quel momento è vitale. Quello che ti rimane quando la ciotola è passata sono poche gocce che bevi d’un fiato. Ti ributti sul pane, ma il rumore del chiavistello che si apre attira la tua attenzione e ti fa desistere. La donna è entrata e ti si para davanti. E’ imponente per te che ti senti piccola piccola, accovacciata nella tua umiliazione. Con un calcio ti fa schizzare la forma di pane dalle mani.
“E tu saresti quella troia che per un po’ sarà il nuovo giocattolo della mia gente?”, ti aggredisce in un italiano incerto. “Trascureranno me per te, fin quando non si saranno stancati. Augurati che succeda presto, perché te ne farò pentire. Per ora mi hanno ordinato di badare a te e di prepararti”.
E così dicendo comincia ad estrarre da una sacca diversi attrezzi. Ti afferra per i capelli, ti solleva bruscamente la testa e ti strige al collo un collare di cuoio con diversi anelli. Poi è la volta delle cavigliere legate assieme da catenelle e infine dei bracciali. Notando che la catenella di quest’ultimi ti viene fissata dietro la schiena azzardi:
“Perché non davanti? Come farò a mangiare e a bere?”.
“Come fanno tutte le bestie, che non hanno le mani”, è la pronta risposta. “E tu d’ora in poi sarai trattata né più né meno come una bestia. Striscerai per terra e affonderai i denti nel pane e la lingua nella ciotola”.
Afferrandoti di nuovo per i capelli, quasi strappandoteli, ti costringe ad alzarti. Lega una catena all’anello del collare che appende ad una sbarra in alto tirandola talmente tanto da farti quasi rimanere sospesa e devi stare in punta di piedi per alleggerire il peso.
“Adesso stai ferma o peggio per te”, ti intima. Non riesci ad abbassare la testa, tanto è tesa, per vedere cosa ti sta facendo, ma ti senti afferrare e stringere un capezzolo e subito dopo una fitta dolorosa ti trafigge il cervello. Ti ha trapassato il capezzolo con qualcosa di pungente e senti lo scatto di una molla. Urli ma lei ride. Poi è la volta dell’altro capezzolo. Urli di nuovo. Quando senti che si china tra
le tue gambe sei presa dal panico. Cerchi di scalciare ma un colpo in pieno stomaco ti stronca lasciandoti in debito d’ossigeno. Così sei costretta a lasciarla fare. E prima una e poi l’altra ti senti afferrare e trafiggere le sensibilissime piccole labbra, e più volte ciascuna. Sta facendo scempio del tuo corpo e non puoi far nulla per impedirlo. Non ti sei mai sentita così oggetto, una nullità. Ma il peggio deve ancora venire e te ne rendi conto quando ti cerca, ti stringe e ti scappuccia il grilletto. No, quello no, non lo puoi permettere. Ti terrorizza l’idea di essere deturpata per sempre, di perdere la tua capacità di godimento, del male che puoi provare. Ma ormai la fitta ti trafigge ed è fatta. Il dolore è stato insopportabile ma breve. Ti ritrovi esausta e rivoli di lacrime ti solcano il viso. Ma più che il dolore ti accorgi che è l’umiliazione che ti brucia. E anche essere in balia di una donna. Hai accettato tanti Padroni ed era per te così naturale ubbidire, ma una donna… La donna slega la catena in alto e tu ti afflosci come un sacco inanimato. Appena ti riprendi guardi il tuo corpo, quello che ne ha fatto e ti accorgi di essere cosparsa di anelli, ai capezzoli, alla fica, al clitoride. Ti senti una schiava marchiata per sempre. Ma forse per oggi il peggio è passato, o almeno credi: più di così.
“Ehi, la sai una cosa?”, ti senti chiedere. Istintivamente alzi la testa e ti accorgi che la donna si sta alzando il sottanone sotto cui non porta niente. “Mi ha eccitato trattarti così, e visto che adesso gli uomini mi trascureranno per colpa tua dovrai pensare tu a soddisfarmi”, e così dicendo la donna si accovaccia sulla tua faccia.
Già da lontano senti il puzzo di urina e di feci, questa donna non si deve essere mai lavata. Quando strofina tutto l’incavo tra le sue cosce sulla tua faccia sei costretta a leccare tutti i suoi sapori perché tirandoti l’anello al clitoride te lo sta quasi strappando e il dolore, anche per la recente ferita, è insopportabile. “Brava, fammi godere e intanto fammi anche un bel bidet rinfrescante che ne ho bisogno”, ti sprona. L’umiliazione, il dolore e lo schifo nonostante tutto ti eccitano. E’ la prima volta che lecchi una fica, ti eccitava pensarci ma mai avresti pensato di farlo in queste condizioni. La perversione è più forte di te e ti ritrovi con la lingua completamente fuori a leccare come un’ossessa. Ma hai la bocca asciutta e la donna se ne accorge anche perché l’attrito le fa male. “Ehi troietta, aspetta che te la bagno un po’”, e così dicendo la senti rilasciare la vescica e un fiume di piscio ti riempie la bocca.
Ti senti sommersa, annaspi. Vorresti piegare la faccia per lasciar debordare il piscio che ti riempie la bocca, ma le cosce della donna te lo impediscono.
Scalci, tenti di sottrarti a quella inondazione che ti impedisce di respirare, ma il peso della donna ti inibisce ogni movimento. Sembri una rana inchiodata a un tavolo da esperimenti. E intanto i getti si susseguono, per fortuna sempre meno intensi fino a terminare in qualche goccia residua. Inghiotti quello che non puoi sputare, respiri e cerchi di riprendere il controllo di te stessa. Ma non ci riesci, sei fuori da ogni logica e da ogni controllo. Questa esperienza ti ha colpito nell’intimo e sei soggiogata da una libidine pazzesca che si scatena in un orgasmo senza fine. E così ti ritrovi a stringere forte le cosce e a gemere senza pudore. La donna se ne accorge.
“Ehi, ma quanto sei troia. Non ci sei finita per caso qui dentro! Vuoi di più? E allora tieni”, e così dicendo la donna s’inarca, fa uno sforzo e vedi il suo ano dilatarsi e contrarsi, quindi dilatarsi nuovamente e lasciar affiorare uno stronzo che si allunga sempre di più. Lo segui terrorizzata e ipnotizzata ad occhi spalancati fino a quando si stacca cadendoti in faccia. L’odore e lo schifo ti fanno sentire una latrina, ma tu ci godi in questa situazione abbietta e degradante. La donna ti schiaccia di nuovo con le sue larghe natiche e muovendole ti cosparge tutto il viso di merda. Poi ti presenta il buco del culo sulla bocca.
“E adesso leccalo e puliscilo, voglio sentire la tua lingua fin dentro”, ti ordina. E tu esegui. Questo stato di depravazione ti toglie ogni volontà, ti senti una marionetta a cui qualcuno tira i fili. Ti impegni al massimo e quasi ti strozzi cercando di allungare il più possibile la lingua nel profondo di quella cavità ancora pregna, la sottrai sporca, deglutisci e ricominci.
“Non smettere fin quando non mi hai ripulito per bene”, è l’incitamento che ti arriva. “Vi state divertendo, vedo”, è la voce del crudele apparso al di là delle sbarre e chissà da quanto a godersi lo spettacolo. “Adesso basta, non vedi che fa schifo, dalle una lavata”, prosegue rivolgendosi alla donna e porgendole una canna dell’acqua. La donna a malincuore si solleva e ti osserva. Fai veramente schifo col volto tutto imbrattato di merda e puzzi in maniera insopportabile, persino per lei che non brilla certo per pulizia. Afferra la canna che le viene porta e la rivolge verso di te. Improvvisamente ti senti colpita e sommersa da un getto fortissimo. Il tubo è grosso e la pressione è tanta. Ti senti schiaffeggiata, ammaccata quasi ti bastonassero. L’acqua in faccia ti toglie il respiro, poi scende frustandoti i seni e infine si sofferma tra le cosce che tenti inutilmente di stringere. Il getto sulla fica ancora dolorante per le recenti perforazioni è insistente, masturbante ed eccitante. E tuo malgrado allarghi le cosce e ti abbandoni ad un nuovo orgasmo che ti scuote tutta. “Lavala anche dentro”, è l’ordine dell’uomo. E la donna si avvicina, ti infila la canna nella fica e quella penetrazione forzata e improvvisa ti costringe a continuare il tuo orgasmo. Ma non dura molto perché la donna ha altre intenzioni. Infatti estrae il tubo, ti rivolta come un oggetto e lo fa penetrare nel culo. Sei abbastanza stretta e ti lacera nel farlo, ma non hai la forza nemmeno di piangere o gridare. Il tubo è grosso, è quello usato per lavare i cavalli, ma si fa strada dentro di te e intanto ti senti inondare, riempire fino a scoppiare. Non sai quanto te lo lasci dentro, hai perso la cognizione del tempo. Sai solo che non puoi più resistere. E per fortuna, improvvisamente, il getto d’acqua si spegne. Ma ti senti comunque ricolma all’inverosimile. Il tuo ventre ha voglia di esplodere e appena la canna ti viene tolta ti lasci andare spruzzando fuori tutto il suo contenuto. La donna e l’uomo si devono spostare per non esserne colpiti, e tu giaci così, col culo rivolto verso l’alto, ancora dilatato. Sarà per la tua posizione di offerta o per la vista di quel buco del culo invitante, ma l’uomo entra, si accovaccia dietro di te ed estrae un gran cazzo che subito ti infila fino ai coglioni dove sei già pronta. L’inculata è lunga e profonda e l’uomo esce e rientra a suo piacere mentre la donna, china dietro di lui, gli lecca a sua volta il culo. Alla fine l’uomo, più per la sollecitazione anale che gli procura la donna che per il tuo culo, ti inonda di nuovo, ma questa volta di sborra. Estratto il cazzo, è la donna stessa ad afferrarti per i capelli e costringerti a ripulirglielo con la lingua. Mentre l’uomo si alza e ripone il membro, intima alla donna “Dietro è ancora troppo stretta, vedi di allargarla!”.
La donna, obbediente, si appresta ad eseguire l’ordine di uno dei suoi Padroni e ti abbandona riversa nella paglia e nello sterco per andare a prendere il necessario per allargarti. Approfitti di quel momento di riposo per riprenderti da tutte le godute a cui le umiliazioni subite ti hanno tuo malgrado costretta.
Ma ripensarci ti fa sentire ancora più umiliata, usata, oggetto, e tutto questo ti fa rinascere il fuoco tra le cosce che si tramuta in un nuovo orgasmo che ti squassa definitivamente quando cerchi di infilarti entrambi le mani nella fica e nel culo. Ti abbandoni convulsamente nella paglia sfregandotici contro, ed è così che la donna tornando ti trova. “E brava la nostra troia che non ne ha mai abbastanza”, ti schernisce. “Ho giusto qualcosa che fa per te, vediamo se riesci a prenderlo tutto”, e così dicendo appoggia a terra un enorme bastone e una frusta di cuoio. Già il manico della frusta è grosso da far paura, si fa fatica ad impugnarlo con una sola mano, ma il bastone è impressionante. Lungo più di un metro ha un diametro alla punta di almeno 5 cm. mentre alla base si allarga oltre i 20 poggiando su una piattaforma quadrata. Lo guardi inorridita e anche se capisci che è destinato a te non afferri come puoi contenerlo, se non essendone dilaniata. Stai ancora sgranando gli occhi terrorizzata, quando la donna ti afferra e ti lega una cintura sotto le ascelle, la stringe, la collega a una catena che aggancia in alto e comincia a sollevarti. Ti solleva fino al limite della gabbia, alta poco più di 2 metri. Poi afferra il bastone, ne cosparge la punta e il tronco di grasso e lo fissa in piedi proprio sotto di te, in dirittura del tuo culo. Giocando con la catena ti fa scendere fino a che la punta di quel grosso cazzo non si appoggia al tuo ano. Adesso molla di colpo la catena, solo tenendola abbastanza tesa tanto da non farti cadere o perdere la traiettoria, e tu senti la punta arrotondata dilatarti il buco del culo e iniziare la sua marcia inarrestabile. Ti stupisci di quanto il peso del tuo stesso corpo man mano ti faccia scivolare sempre più giù lungo quell’affare mostruoso che sta per prendere possesso del tuo corpo. Ogni centimetro che penetra in lunghezza corrisponde a un centimetro di diametro in larghezza.
Quell’affare ti sta spappolando il culo. Quando te ne ritrovi dentro una decina di centimetri e ti sembra di essere dilatata al massimo, finalmente riesci a toccare terra con gli alluci e cerchi di puntarti per fermare la discesa che ritieni sicuramente mortale. E rimani così, sospesa, tutti i muscoli tirati puntando i piedi per evitare la disfatta. La donna ti guarda e sorride, poi si avvicina e rudemente ti ficca tre dita nella fica che trova già fradicia.
Nonostante il dolore ti sei eccitata e te ne vergogni, soprattutto trovi umiliante dover dimostrare alla donna che razza di troia sei. Lei insiste a ravanarti la fica e poi, improvvisamente, ti strizza il clitoride con tutte le sue forze. Frastornata e sorpresa ti lasci cogliere dall’orgasmo che accompagni con un lungo gemito da cagna in calore. Contemporaneamente, però, hai mollato la guardia, la tua resistenza ha ceduto, i piedi hanno vacillato e ti ritrovi altri due centimetri di legno nel culo. La donna ride, ha raggiunto lo scopo.
Ora ti sei assestata di nuovo puntando quasi interamente i piedi. Allora la donna afferra la frusta, prende la mira e inizia a colpire intensamente la fica e il clitoride. Tu vacilli sotto i colpi, sei completamente esposta e indifesa, le mani incatenate dietro la schiena, e ogni torsione che tenti di fare ti corrisponde a una fitta al culo. Ma nonostante tutto non puoi evitare di muoverti impalandoti di altri due centimetri. Ora hai tutta la pianta dei piedi ben salda a terra e la donna smette di frustarti e ti si avvicina. Rivolta la frusta, ti appoggia il manico alla fica e ti riempie senza riguardi. Poi si aggrappa con tutto il suo peso alle tue spalle e ti scopa brutalmente. Non puoi resistere a lungo, le gambe ti cedono e sbrodoli sul manico mentre almeno altri cinque centimetri di randello ti occupano il già martoriato culo. La donna sembra soddisfatta, guarda lo spettacolo osceno che rappresenti e chiama a gran voce gli uomini perché possano vedere come ha svolto bene il suo compito.
Arrivano alla spicciolata e tutti concordano che sei oscenamente eccitante, lì appesa, quasi impiccata a gambe piegate con quella mostruosità nel culo.
Qualche rivolo di sangue scorre sul bastone e questo rende il tutto ancora più eccitante. “Ehi ragazzi, perché adesso non la proviamo?”, propone il crudele, più eccitato degli altri. Così entrano. Qualcuno provvede a portare dentro la gabbia un grosso ceppo su cui normalmente viene tagliata la legna. Ti afferrano, ti sollevano sfilandoti dal tronco e slegano la catena. Poi ti appoggiano sul ceppo a pancia in giù facendo in modo che la tua fica sia vicina al bordo. Tenendoti ferma ti inchiodano al ceppo per gli anelli applicati alle labbra della fica in modo da tenerle spalancate e costringerti a stare avvinghiata a quest’altro legno con l’altra tua intimità. Ti lasciano ma non ti puoi muovere se non strappandoti le labbra. Ora si apprestano a prenderti. Il crudele è il primo e affonda dentro di te soddisfatto della tua completa mancanza di resistenza. Ogni tanto ti senti afferrare per i capelli e devi usare anche la bocca di cui si servono piacevolmente per godere, per farsi ripulire o per pisciare, donna compresa. Ma tutti, e più di una volta, fanno abbondante uso del tuo culo. Quando finalmente ti lasciano, sfatta, le natiche fradice di sangue e di sperma, qualcuno dichiara:
“Bel lavoro, bisogna mantenerla così”, ma qualcun altro aggiunge “Non basta, bisogna anche prepararla per lo spettacolo!”.

Edited by BDSMLover - 4/5/2019, 11:05
 
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