Legami di Seta - Forum Italiano BDSM & Fetish

MEMORIE DI UNA CAGNA

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view post Posted on 26/12/2012, 15:14     +1   -1
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Un altro racconto scritto da Frusta Gentile, trovato nel web sul suo blog.
Una storia hard, lunga, che metterò a puntate che però in questo caso sono episodi più che puntate di una trama e sono a se stanti.
Parla delle sensazioni psicologiche della schiava in un rapporto di dominazione sadomaso contrastato e il nocciolo della storia è la sua psicologia e la descrizione dei suoi stati d'animo.

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maledom



Memorie di una Cagna - 1

Nella stanza ogni cosa pareva avere assunto i riflessi caldi e dorati dell’alba. Mi guardai nello specchio ovale che avevo di fronte e vidi riflessa una giovane donna, dal corpo lungo e morbido, con fianchi stretti e seni tondi e appuntiti. Una lunga criniera di riccioli scuri mi ricadeva sulle spalle scompostamente. Nuda, in un letto disfatto, un polso ammanettato alla testiera e una sigaretta in bocca.
Esalai una lunga boccata di fumo dimenandomi nervosamente: Lui era entrato nella stanza.
Lo sbirciai con la coda dell’occhio mentre girava attorno al materasso e mi raggiungeva per porgermi un bicchiere di whisky scozzese. Indossava solo un paio di boxer neri sotto cui si intuiva facilmente il profilo irrequieto del suo sesso, e per un attimo fui tentata di gettarmi con un balzo felino verso quel sottile indumento e strapparlo con le unghie, appena fosse stato a tiro.
Ma non sarebbe stata una buona mossa, perché raramente mi permetteva di prendere qualunque genere d’iniziativa. Allungai invece la mano verso il bicchiere che mi tendeva, ma Lui abilmente si scostò.
“Vieni a berlo dal mio ciucciotto”, disse con una luce famelica che gli danzava in fondo agli occhi, poi senza il minimo imbarazzo intinse l’asta turgida e gonfia del sesso nel bicchiere di liquore e lo ritrasse un attimo dopo, stillante liquido ambrato che gli colò fin sulle cosce.
Salì sul materasso e, scavalcandomi con una gamba, mi si sistemò cavalcioni sullo stomaco, proprio di fronte al viso. Non feci neppure in tempo a muovermi verso di lui che già mi aveva afferrata per la nuca e mi spingeva tutto il cazzo in gola, fino a toccarmi le tonsille. Me lo sentii tra le labbra così all’improvviso da non avere quasi il tempo di respirare, ma era buono, aspro e odoroso e i suoi riccioli bruni avevano sentore di schiuma da bagno e di alcool. Lasciai che mi vibrasse il cazzo dentro e fuori, stringendo delicatamente i denti e poppando quasi fosse stato un grosso ciuccio di carne e io una cucciolona affamata e impaziente. Quando si accorse che in quella scomoda posizione non avrei resistito a lungo, mi lasciò ricadere la testa sul cuscino e, sorreggendosi sulle ginocchia e sui polsi, si fece avanti e mi riempì di nuovo.
Ecco! Ora potevo stare immobile e limitarmi a succhiare voracemente mentre lui andava e veniva tra le mie labbra come fossero state quelle della calda nicchia che mi fremeva tra le cosce. Accelerò il ritmo e il mio respiro si fece frettoloso mentre borbottava oscenità, del tipo che gli piaceva far l’amore con la mia bocca, che adorava scoparmi in gola. Lo lasciai fare, non potendo fare altro immobilizzata dal suo corpo com’ero, seppure il suo cazzo fosse ormai così grosso da farmi venire le lacrime agli occhi. E allora Lui,
inaspettatamente, ebbe pietà del mio tentativo di non rifiutarlo, nonostante mi stesse ormai soffocando, e si ritrasse. Mi fissò sogghignando con quello sguardo da predatore, che ha sempre in certi momenti particolari, poi mi spalancò le gambe con un sol gesto e mi sparse l’intero contenuto del bicchiere sulla fica.
Urlai di eccitazione e dolore poiché il liquido bruciava parecchio sulle mie tenere carni già arrossate e provate a lungo dalla notte precedente, e Lui sembrò gioirne di più. Con le lacrime agli occhi lo pregai di leccarmi e di
alleviare con la lingua quell’insopportabile bruciore, ma Lui pareva indeciso.
Sicuramente si stava godendo le mie suppliche e i miei mugolii di protesta, ma comunque non si fece ripetere l’invito. Si tuffò tra le mie cosce dove l’alcool era andato a mescolarsi con i miei umori e mi leccò golosamente finché non una sola goccia rimase ad imbrattarmi le pieghe dell’inguine e il vello bruno del ciuffetto poco più sopra. Poi con un movimento veloce e facendo perno con la bocca sulla mia fighetta vogliosa, ruotò su se stesso finché il suo cazzo ardente venne a trovarsi all’altezza delle mie labbra. Lo dardeggiai con la lingua appuntita, stuzzicandogli il glande umido e già lucente di sborra saporosa. E Lui intanto insinuava sempre più la testa nel mio grembo gocciolante, e sentendo che non avrei resistito oltre, mi scappellò per bene il clitoride e lo addentò sadicamente strappandomi un urlo inferocito. Non resistemmo a lungo. Strinsi le cosce convulsamente attorno alla sua testa, sussultando e rabbrividendo all’arrivo dell’orgasmo, temendo non me ne desse il permesso.
Ma mi disse “Godi!”, nel momento stesso in cui mi ritrovai ad ingoiare i fiotti del caldo sperma che m’inondò la bocca…..

continua..............................

Edited by BDSMLover - 4/5/2019, 12:53
 
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view post Posted on 27/12/2012, 00:51     +1   -1
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Memorie di una Cagna - 2

Era di nuovo pomeriggio e la primavera vibrava già nell’aria. Me ne stavo languidamente abbandonata sul letto, leggermente intontita dal caldo e dall’abbondante pranzo appena consumato.
Un secondo CD prese a suonare nel lettore mentre Lui entrava nella stanza con la consueta aria sorniona e un mezzo sorriso che non lasciava presagire niente di buono. Si fermò a pochi centimetri dal letto e in piedi, a gambe larghe, si lasciò osservare in tutta tranquillità, ostentando quell’aria spavalda e quella sicurezza che in nessun altro uomo ho mai riscontrato. Galleggiai qualche istante nei suoi profondi occhi verdi con l’allarmante sensazione di potervici annegare e poi feci scivolare lo sguardo sui suoi riccioli scuri e arruffati, sulle spalle massicce e sui bicipiti tesi che intuivo facilmente sotto la giacca dal taglio impeccabile. Chiusi gli occhi e inarcando la schiena, mi protesi a offrirgli le labbra o qualunque altra parte di me avesse desiderato prendersi. In risposta però ebbi solo una risatina beffarda che mi fece girare carponi e affondare la testa nel cuscino, per la vergogna di essermi dimostrata ancora una volta la solita femmina vogliosa e impaziente. Allora si distese sulla mia schiena e lentamente cominciò a baciarmi la nuca e il collo, ad infilarmi la lingua nell’orecchio, per poi afferrarmi i polsi bruscamente e stringermeli in manette contro le sbarre di ottone del letto. Cercai di divincolarmi, se non altro per una questione d’orgoglio, ma l’asta d’acciaio che aveva in mezzo alle gambe mi premeva con troppa forza nel solco delle natiche per farmi desistere da ciò che la ragione mi suggeriva di fare.
Borbottai qualcosa tra minacce e insulti ma in cambio ne ebbi solo una ulteriore stoccata alle tenere carni. La sottoveste che indossavo, del resto, era talmente leggera e inconsistente che quasi non poneva barriere ai nostri corpi serrati. Mi divincolai rabbiosamente, vergognandomi delle incontrollabili reazioni del mio corpo che mi stava tradendo spudoratamente. Non volevo cedergli, nonostante lo desiderassi con tutte le mie forze, non volevo assolutamente che Lui, per l’ennesima volta, riuscisse a piegarmi al suo volere. Allora mi volsi di scatto e gli addentai l’avambraccio con tutte le mie forze.
Lo sentii sussultare, rabbioso. “Piccola vipera!”, ringhiò, poi con un unico gesto mi fece girare supina e si gettò sulle mie labbra imbrattate del suo sangue. Tenni duro per qualche secondo, ma come prese a leccarmi la bocca e tutta la faccia, cedetti incondizionatamente. Le barriere di odio e rabbia che avevo eretto andarono a frantumarsi lasciandomi sbigottita e ancora una volta completamente indifesa. Sorrise vittorioso, estasiato all’idea di avermi domato una volta di più.
“Sbava, porca!”, andava ripetendo. “Voglio vederti sbavare come una cagna in calore!”. E io non chiedevo di meglio che ubbidire.
Gli umettai leccandolo tutto il volto, e poi spalancai le cosce sotto di Lui e lo spronai ad affondarmi meglio nella fica che sentivo ormai ribollente di densi umori. Tentai anche agitando i fianchi di sollevare la sottoveste che nella foga si strappò fino alla vita, implorando che Lui facesse altrettanto col mio corpo, che mi lacerasse, mi riducesse a brandelli, mi squartasse come un agnello su un altare, e mi trasformasse in vergine sacrificata al suo animalesco desiderio.
“Fottimi!”, urlavo al limite della sopportazione, “Ti prego, fammi tutto ciò che vuoi… ma prendimi…scopami!”. E Lui crudele insisteva fino all’esasperazione. Quando finalmente capì che a furia di urlare quasi non riuscivo più a respirare, sull’orlo di una crisi isterica, si sollevò bruscamente dal letto, intimandomi di non muovermi. E uscì dalla stanza.

Sorpresa e inebetita, non capivo il senso di quel gesto, mentre schiumante di rabbia mi piegavo in due dal dolore per i crampi di desiderio inappagato.
Cominciai ad agitarmi nel letto, chiedendomi cosa mai stesse combinando nella stanza accanto. Mi sarei messa ad urlare per l’impazienza! Con uno sforzo terribile tentai di calmarmi e, immobile sul materasso, cominciai ad attenderlo. Fissai un punto preciso del soffitto e caddi in una specie di torpore ipnotico. Per quanto tempo, non so. L’attesa andava riempiendo dolcemente tutto il mio essere, impedendomi di muovere anche un solo muscolo. C’era qualcosa di eccessivo, esagerato e quindi dannoso in tutto ciò, ma non me ne importava. Sapevo che gli stavo attribuendo doti e poteri che forse non aveva, ma mi era impossibile frenarmi. Lo sentii camminare nel corridoio e immediatamente smisi di pensare, ogni mia cellula in attesa di Lui.
Entrò senza sollevare lo sguardo su di me e senza dare spiegazioni, posando del filo elettrico sul tavolino. Lo guardai interrogativamente e Lui si chinò a baciarmi con la stessa foga di pochi minuti prima, o erano ore. Mi spogliò completamente strappandomi i pochi indumenti e si stese al mio fianco. Mi guardava come per scrutare le mie reazioni, mentre la sua mano andava e veniva, leggera e inarrestabile, su tutto il mio corpo. Non si fermava in alcun posto, ma toccava, stuzzicava, titillava, appiccando piccoli fuochi qua e là, che andavano poi trasformandosi in incendi devastanti tra le mie cosce.
“Ti prego…”, mormorai con un filo di voce.
Ma fu come se non mi avesse sentita.
Riprese a giocherellare con la mia bocca, coi miei seni, dando strizzatine cattive ai capezzoli eretti, e s’intrufolò tra le mie cosce frugando le tenere labbra, quasi fosse alla ricerca di un tesoro nascosto. Poi improvvisamente si rialzò e dopo avermi slegato, mi prese tra le braccia e mi mise in piedi contro l’armadio a muro. Afferrò i cavi elettrici e con pochi gesti precisi mi legò i polsi alle cerniere delle ante, ben alte sopra la mia testa. Non troppo stretta, ma la posizione era scomoda e l’impressione era di stare appesa. Poi cominciò a spogliarsi. Ora era vicinissimo a me, sentivo il profumo della sua pelle e mi esaltai di più. Gridai che mi rifiutavo di continuare in quel modo, che volevo essere slegata e scopata come si scopano tutte le femmine in questo mondo, ma servì a ben poco. Mi si strofinò contro, stuzzicandomi la fica col glande gonfio e duro, inumidendolo dei succhi che colavano tra le mie cosce, e poi subito ritraendosi.
“Dammelo subito”, urlai, “o impazzirò di voglia!”. E Lui, con gli occhi lucidi, “Come sei ingorda!”, sussurrò.
E stavo ancora urlando quando me lo ficcò nella fica all’improvviso, con una stoccata decisa e violenta che mi fece sbattere contro il duro legno dell’armadio. Ansimai in debito d’aria per quanto stavo godendo. Mai avevo desiderato tanto essere riempita da un cazzo palpitante così. Lo sentii gonfiarsi ulteriormente nel mio ventre boccheggiante, ed ero certa che come me fosse ormai prossimo all’orgasmo. Ma me lo strappò via di nuovo, lasciandomi con una tale sensazione di vuoto e di frustrazione da darmi la nausea.

“Non ancora!”, disse con voce rauca, ed ero certa che dovesse fare uno sforzo notevole per protrarre quell’erezione che ormai da ore mi tormentava. Si inginocchio e prese a lavorarmi con la lingua la nicchia bollente, ormai spalancata come una bocca affamata. Rabbrividii e nonostante la posizione scomoda, mi obbligai a spalancare le gambe in modo che avesse libero accesso alle mie carni più tenere e calde, compreso lo stretto pertugio nascosto più sotto. Accostò la bocca alle mie grandi labbra e me le baciò con la lingua dentro come fossero state quelle del mio viso. Godevo come non mai ed ero certa che il clitoride mi sarebbe scoppiato se non mi avesse penetrata immediatamente. Ma ovviamente Lui non era della stessa idea. Purtroppo non sapevo ancora quanto fosse vasto e oscuro quel lato della sua libido che lo spingeva alla ricerca del piacere più sfrenato. Riprese a stuzzicarmi con la punta del cazzo ma infine, forse eccitato ancor più dalle grosse lacrime che cominciavano a rigarmi il volto, si decise a schiaffarmelo dentro.
“Eccoti servita insaziabile puttanella!”, ringhiò tirandomi i capelli. Mi sollevò le gambe attorno alla sua vita e con un unico colpo deciso mi sprofondò nel culo, immergendolo fino all’elsa nella mia guaina più stretta. Gridai. Nonostante fossero ore che sbrodolavo senza ritegno, l’anello non era stato allenato e le dimensioni del suo membro mi costrinsero a sobbalzare dal dolore, facendomi immaginare completamente dilaniata e ridotta ad un’unica ferita sanguinante. Ma il dolore fu comunque poca cosa in confronto al piacere che provai.
“Si, spaccami, rompimi tutta, fammi a pezzi!”, urlai aizzandolo ancora di più ad accanirsi contro me stessa. “Troia, sei solo una troia infoiata”, urlava, mentre i colpi furiosi mi sbattevano violentemente contro il duro legno.
Nella concitazione mi resi conto che i fili metallici con cui ero legata stavano cedendo. Mi aggrappai con le braccia alle sue spalle e quando finalmente sentii che il momento tanto atteso era giunto, gli affondai le unghie nella carne e graffiai con tutta la forza e la rabbia accumulata in tutto quel tempo. Nello stesso istante mi sentii afferrare per i capelli e finimmo entrambi per terra, urlando, imprecando, mentre il suo sperma bollente mi fiottava dentro a ondate e io sbrodolavo come una cagna. Rotolammo sul pavimento, continuando ad artigliarci come animali, finché l’orgasmo non andò dissolvendosi.

Non so quanto tempo fosse passato quando mi ripresi, Lui comunque non era più al mio fianco. Mi sollevai a fatica, con le ossa a pezzi e un dolore sordo alla nuca. Mi guardai allo specchio verificando se fossi ancora tutta intera e impallidii di fronte ai grossi lividi sulla schiena che cominciavano già ad assumere sfumature violacee. Sollevai una mano a sfiorarmi il collo e l’impronta dei suoi denti che vi era impressa, e solo allora notai le unghie spezzate e il sangue sulle mie dita. “Mio Dio!”, mormorai incredula. Era successo ancora una volta. Nel tentativo di raggiungere il piacere supremo ci eravamo picchiati, azzuffati, colpiti a sangue. Nell’ostinato tentativo di godere esclusivamente secondo l’istinto, eravamo sfociati nella violenza.
“Basta, basta!”, continuai a ripetermi prendendomi la testa tra le mani, “Questa è l’ultima volta, non succederà mai più, non glielo permetterò!”, mi dissi, cercando con tutte le forze di convincermi che era l’unica cosa giusta da fare. Presi una camicia dal suo armadio, la indossai e la fermai sui fianchi con una cintura di cuoio. Non era la prima volta che usavo le sue camice come abito, vista la sua mania di strapparmi i vestiti, invece che spogliarmi. Mi stavo sistemando i capelli quando rientrò nella stanza. Indossava solo un paio di pantaloni e attorno al collo aveva un asciugamano di spugna, con cui stava tamponandosi le ferite sul collo. Gli andai incontro timidamente e sollevai un angolo dell’asciugamano. Non era possibile che fossi stata proprio io a procurargli quei solchi tremendi che ancora sanguinavano. Su ogni spalla si potevano distinguere quattro lunghi graffi, come le zampate di una gatta crudele. Come avevo potuto arrivare ad un punto simile, io che impazzivo per Lui?
Mi sorrise. “Sei la mia gatta assassina!”, mi sussurrò all’orecchio. “Non potrei mai rinunciare a una porca affamata di sesso come te!”
Lo abbracciai e in quell’istante seppi che non avrei mai potuto rinunciare a Lui, qualunque cosa fosse successa.
“Dove la trovo un’altra cagna in calore come te, che vive solo per farsi sbattere dalla mattina alla notte e per allargare le gambe non appena le faccio un cenno?”, disse. “Una che è perennemente assetata di cazzo e di sperma, e che ulula senza ritegno, non appena glielo tolgo dalla bocca?”.
Lo guardai adorante mentre mi infilava una mano sotto la camicia, per poi sibilare subito dopo:
“Maledizione! Sai benissimo che non sopporto questa robaccia!”, e così dicendo mi strappò in un sol colpo le sottili mutandine di pizzo, lasciandomi sul fianco nudo un rosso graffio bruciante.

continua...................................
 
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view post Posted on 27/12/2012, 10:53     +1   -1
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Memorie di una Cagna – 3

“Stai morendo di voglia, non è vero?”, mi chiese rotolandomi sopra. Tentai di rispondere ma le sue labbra affamate di baci me lo impedirono. Così intrufolai la lingua tra i suoi denti e lasciai correre le mani su tutto il suo corpo accaldato. Completamente nudi ci rotolammo nell’enorme letto, godendoci la frescura delle lenzuola pulite e del grande ventilatore a pale appeso al soffitto. Mi sollevai sulle ginocchia a cavalcioni delle sue cosce e lentamente oscillai sul suo sesso eretto, solleticandomi la fessura con quella punta gonfia e vogliosa. Poi chiusi gli occhi e mi lasciai cullare lentamente. Avrei potuto stare per ore in quella posizione di languida e sensuale attesa del possesso, in quella velata tortura dei sensi.
“Stai sbrodolando come una troia!”, sogghignò Lui lasciando che il mio miele gli imbrattasse tutto l’inguine, fino alle cosce.
“Hai voglia?”, insisteva di nuovo, con voce roca e guardandomi profondamente negli occhi.
“Si…tanta da morirne…”, borbottai continuando a dondolarmi su di Lui. “Fottiti allora!”, fu il suo ordine perentorio. Non me lo feci ripetere due volte. Ridendo eccitata ed euforica mi sollevai sulle ginocchia e feci per infilarmi il suo cazzo ardente nell’imboccatura dilatata e gocciolante della fica. Ma Lui mi respinse con un gesto deciso. Sollevai gli occhi sul suo volto in cerca di una spiegazione, temendo all’improvviso di aver sbagliato qualcosa, ma non pareva inquieto.
“Niente da fare!”, sghignazzò scuotendo la testa. “Vietato!”, e così dicendo mi gettò lunga e distesa sul letto. “Io ho detto fottiti, non fottimi!”. Lo fissai con astio ben sapendo cosa intendeva dire, e non condividendo il suo desiderio in quel momento, ma Lui non si mosse. Mi si distese a fianco e, appoggiando le labbra al mio orecchio, cominciò ad incitarmi con paroline non troppo tenere e slinguazzate che in breve sciolsero ogni mia reticenza. Cosa potevo fare con un uomo che aveva così potere su di me, e argomenti tanto validi?
“Fottiti porca!”, insisteva con voce rauca. “Voglio vederti godere con le tue stesse mani e urlare e sbavare come una cagna in fregola!”.
Mi indirizzò le mani sui seni, invitandomi a pizzicarne i capezzoli duri e tesi, così come mi faceva Lui.
“Dai, non essere timida. So bene che ti piace da impazzire e non vedi l’ora di affondarti dentro tutte le dita!”. E così dicendo mi strizzò Lui i bottoncini scuri con tanta forza da farmi urlare dal dolore
“Mi fai male!”, gridai senza staccargli le dita.
“Bugiarda!”, sibilò. “Ti piace, altrimenti perché non mi impedisci di farlo?”.
Ma io sapevo bene quel che dovevo fare in quel momento, e ancor meglio quel che volevo fare!
Lasciai le sue mani dov’erano, pur inarcando la schiena per i brividi di dolore e piacere che provavo e poi, come desiderava, iniziai a palparmi le tette, i capezzoli, e presto scesi più in basso, verso la fica. Sapevo bene dove insistere, le lunghissime ore di masturbazione di quand’ero bambina mi avevano insegnato a conoscere perfettamente il mio corpo e i suoi messaggi.
Immersi due dita umide nella nicchia tra le cosce e le ritirai immediatamente, godendomi i fremiti della mia fessura boccheggiante e i brividi che dal clitoride teso mi si irradiavano in tutto il corpo.
“Non fermarti, continua a godere…”, sussurrava premendomi contro il fianco il cazzo pulsante…”Non vuoi
riempirti le mani di caldi succhi?”. Io rispondevo con frasi spezzettate e con monosillabi che sempre più spesso terminavano in un guaito da animale braccato, e ripetevo il suo nome monotonamente, tentando di convincerlo ad aiutarmi.
Avrei voluto aver la forza di continuare a spingermi dentro e fuori le dita, così come faceva Lui a volte per intere ore, e invece ero già stanca.
Nonostante l’arrapamento non ero più capace di portarmi al godimento.
Singhiozzai rabbiosamente, afferrandogli le mani e indirizzandole tra le mie cosce dischiuse…e allora Lui si decise ad aiutarmi. Mi fece girare e dopo avermi fatto affondare il viso nel cuscino, fece scivolare un dito lungo la mia schiena fino a tuffarlo nell’orifizio del culo stretto e chiuso. Sobbalzai e protestai debolmente, ma sapevamo bene entrambi che tutto ciò mi eccitava tantissimo. Continuai a stuzzicarmi il clitoride gonfio mentre lui mi allargava lo stretto buchetto con movimenti lenti ma decisi, finché impaziente e vogliosissima mi sollevai sulle ginocchia e gli offrii il culetto come su di un piatto d’argento.
“Succhiami la lingua!”, mi ordinò quando si accorse che stavo ormai per godere, e nel suo bacio vorace intuii tutta la forza del suo desiderio. Spinsi a fondo le dita nel mio corpo bollente e sussultai sentendo che Lui intanto affondava le proprie, contemporaneamente a me, nell’altro buio anfratto. Ora le nostre dita erano divise solo da una membrana sottile e si sfregavano facendomi sobbalzare per il piacere sfrenato che provavo. Pareva quasi che il mio ventre fosse diventato un tutt’uno, un’unica grande tana accogliente, morbida e bagnata, in cui insieme io e Lui potevamo sguazzare e dimenarci.
“Godi, cazzo!”, urlò sulla mia bocca. “Godi adesso…o ti sfondo!”. Non riuscii a resistere oltre. Sprofondai tre dita nella mia fica impaziente e mi lasciai riempire anche il culo, venendo tra urla e fremiti convulsi…..

continua ..................
 
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view post Posted on 28/12/2012, 12:12     +1   -1
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Memorie di una Cagna – 4

Avevo conosciuto Lui a una festa a casa di amici. La prima impressione che mi fece non fu certo delle migliori. Lo ritenevo solo un arrogante e presuntuoso play-boy, troppo sicuro di se stesso per i miei gusti. Inoltre capii subito che non era tipo di molte parole, piuttosto asociale. Per questo, quando a metà serata mi chiese di accompagnarlo in terrazza perché voleva parlarmi, ne rimasi molto stupita. Che cosa poteva avere da dirmi se ci eravamo conosciuti solo due ore prima? Lo seguii incuriosita e quando fummo l’uno di fronte all’altra, mi guardò negli occhi, sospirò con un’aria un po’ annoiata e poi disse:
“Senti, se hai voglia puoi anche dirlo, non ci sono problemi!”.
“Ma voglia di cosa, scusi?”, chiesi io stupita. Lui sospirò pazientemente, come avesse a che fare con una bambina un po’ stupida.
“Voglia di farti scopare”, rispose in tutta tranquillità, “Non certo di guardare le stelle insieme!”.
Non parlai subito, perché stavo tentando di stabilire se fosse solo un emerito sbruffone o piuttosto un mitomane, un maniaco. Ma poi decisi di buttarla sul ridere, come avesse detto una battuta di spirito e che non era il caso di offendersi per la stupida smargiassata di un ragazzotto cresciuto.
“Lei è molto gentile e premuroso, ma credo che la cosa non mi interessi”, dissi col mio sorriso più amabile. Ma visto che Lui non rideva affatto, tagliai corto e mi avviai verso la porta. Non avevo fatto che pochi passi, quando me lo trovai davanti.
“Che fai, scappi?”, domandò con un’aria sprezzante che mi mandò proprio su tutte le furie. Lo assalii con tutta una serie di invettive stile scaricatore di porto, lo insultai, lo ingiuriai, sottolineando il fatto che non ero una di quelle donnette ingenue e frustrate che si lasciano affascinare dal primo dongiovanni con l’aria mondana che le abborda senza tante cerimonie. Gli dissi anche che la mia vita sessuale era piena e soddisfacente e per fortuna non avevo bisogno delle sue prestazioni da mandrillo. Sorrise, proprio nel momento in cui mi aspettavo che si sarebbe ritirato con la coda tra le gambe.
“La signorina ha la lingua lunga!”, esclamò sarcasticamente. “Vediamo se sa usarla anche per fare un pompino!”.
E senza darmi neppure il tempo di rispondergli, mi scaraventò contro il muro. Lottammo corpo a corpo. Tentò anche di baciarmi. E chiaramente ne ebbe in cambio solo un morso e un violento calcio negli stinchi. Ma presto mi trovai imbrigliata dalle sue braccia e dalle sue gambe da non poter muovere più un solo muscolo.
“Lasciami o grido!”, sibilai col respiro corto ma proprio in quell’istante ebbi la sensazione di qualcosa di caldo e duro contro il ventre. Ne rimasi disorientata, confusa e la frazione di secondo in cui esitai fu sicuramente la mia rovina. Mi trovai col vestito completamente strappato sul davanti, e un cazzo fremente che mi stuzzicava le labbra della figa. Era tardi per gridare, come avrei potuto giustificarmi?
Sarebbe stata credibile la versione della violenza carnale? E poi, volevo veramente che accorresse gente a interromperlo, proprio quando mi aveva sollevato le gambe attorno ai propri fianchi e si apriva un varco tra le mie tenere carni? Mi aggrappai a Lui per non scivolare indietro e questo mi mise definitivamente in una posizione di svantaggio. Ora potevo solo permettergli di chiavarmi a suo piacere e di baciarmi, di mordermi le labbra, finché non le dischiusi e accolsi la sua lingua vorace.
“Perché non l’hai detto subito che lo volevi con la forza?”, ansimò contro la mia bocca. E io avrei voluto tanto mandarlo al diavolo, ma il fuoco che dal basso ventre mi saliva in tutto il corpo sembrava dovermi esplodere nel cervello. Godevo come non mai di quell’ariete violento e deciso che mi rimestava in profondità, tanto che all’improvviso mi augurai non arrivasse nessuno degli altri ospiti, perché non sarei stata capace di nascondermi e rinunciare a quell’orgasmo che mi stava montando dentro con furia.
“Dillo che non godi! Dillo adesso che non ti piace, che non vuoi!”, ansimò con voce roca.
“Fottimi!”, avrei voluto urlare. Ma una ennesima stoccata del suo cazzo mi stava già catapultando in paradiso. Mi avvinghiai a Lui e affondai i denti nella sua spalla, per non urlare come un’ossessa a tutto il mondo che godevo, che venivo. Lui mi inseguì a ruota soffocando un rantolo nella mia bocca e inondandomi di una colata rovente. Quando mi riappoggiò sul pavimento fu come tornare sulla terra dopo un viaggio in un mondo lontano e sconosciuto. Non avevo mai provato nulla di simile, niente di così totalmente sconvolgente, di così prepotente e irrazionale. Abbassai gli occhi sul vestito a brandelli e inzuppato dei miei succhi odorosi e feci per tornare nel salone, così confusa e frastornata da non rendermi conto dello scompiglio che avrei creato. Ma per fortuna mi bloccò in tempo. Mi mise la giacca dello smoking, me la fece infilare e me l’allacciò sul davanti, così che almeno si coprisse il triangolo tra le cosce.
“Andiamo!”, disse, tenendomi per un braccio. Lo seguii come in trance.
“Ma dove?”, domandai attraversando il salone affollato, senza rendermi conto delle occhiate curiose e stupite degli ospiti.
“A casa mia”, rispose tranquillamente.
Annuii. Solo quando eravamo già saliti sulla sua auto mi ricordai di chiedergli perché dovevo seguirlo proprio a casa sua.
“Ho deciso che staremo un po’ insieme!”, dichiarò. E in quel momento io lo trovai del tutto logico. Dormii nel suo letto quella notte, dopo che chiaramente mi ebbe scopata per non so quante volte di seguito, svegliandomi e usandomi ripetutamente. E la mattina dopo, all’ultimo risveglio, trovai il letto vuoto ma tutt’attorno un’infinità di abiti ed oggetti femminili. Quello che praticamente mi sarebbe servito per un lungo soggiorno a casa sua. Non ebbi nulla da ridire quella mattina, e Lui non mi permise più di farlo nemmeno nei giorni che seguirono.

continua....................
 
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view post Posted on 30/12/2012, 21:40     +1   -1
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Memorie di una Cagna – 5

Lui era uscito presto quel giorno e io mi trovavo sola in casa senza null’altro a cui pensare, se non a trovare un modo per ingannare il tempo fino al suo ritorno. Mi guardai attorno con occhio critico, ma tutto era perfettamente in ordine. La giovane cameriera che aveva assunto aveva fatto in modo che non rimanesse proprio nulla da riordinare, e nemmeno uno spillo fuori posto.
“Cerca di renderti conto che non voglio una sguattera per amante!”, soleva ripetermi quando mi lamentavo che non avevo nulla da fare in sua assenza.
“Il tuo compito è quello di mantenerti sempre eccitata e disponibile, così che io possa usarti a mio piacere ogni volta che ho voglia di te. Devi imparare ad essere come una perfetta donna da bordello, unicamente dedita al piacere del cliente. In questo caso, al mio!”.
Avrei tanto voluto sapergli ridere in faccia, dirgli che non sarei mai stata la puttana di nessuno. Ma non ci riuscii mai. Forse non avevo abbastanza carattere per ribellarmi, forse la situazione tutto sommato mi era comoda, oppure la mia remissività dipendeva dal fatto che mentre mi faceva simili discorsi, era solito tenermi due dita saldamente affondate tra le cosce, in modo da mettere bene in chiaro chi fosse il Padrone!. Ma su questo non ho mai avuto dubbi. Il giorno stesso che mi trasferii da Lui decisi che il suo sesso sarebbe stato il mio unico Signore e Padrone! Presi un libro dallo scaffale, quando suonò il campanello dell’ingresso. Per un attimo fui tentata di non aprire. Ma poteva essere Lui che aveva scordato le chiavi. Invece sulla soglia trovai un perfetto sconosciuto.
“Desidera?”, domandai fissando la tuta da lavoro e la borsa degli attrezzi in una mano. Non rispose subito, ma rimase come in trance a fissare il mio corpo nudo. Il mio primo impulso fu di stringermi i lembi aperti della vestaglia attorno al corpo ed invitarlo ad andarsene. Ma la mia fervida e perversa fantasia mi lasciò un attimo indecisa, giusto il tempo in cui il destino prese una strana e nuova piega.
“Mi hanno telefonato di venire a controllare una perdita nel lavandino in cucina”, disse l’uomo con voce roca e leggermente imbarazzata. Lo guardai di sbieco, chi diavolo poteva averlo chiamato? Forse si trattava di uno scherzo, o di un errore, ma se il destino lo aveva messo sulla porta di casa ci doveva essere un motivo. “Venga! Controlli pure…”, sussurrai quindi facendogli strada, ben conscia del fatto che ad ogni passo il caftano mi si apriva completamente mostrandogli ora le gambe nude, ora le natiche, ora la fessura tra le cosce. L’uomo si chinò subito a controllare i tubi sotto il lavello, e io ne approfittai per osservarlo obiettivamente. Non era male. Dimostrava si e no una quarantina d’anni, non molto alto ma piuttosto muscoloso, e aveva splendidi capelli ricci.
Sospirai vogliosamente. Da quando mi ero trasferita non avevo più avuto altri uomini. Che voglia di riprovare l’ebbrezza di un cazzo nuovo e sconosciuto. Mi accostai silenziosamente all’uomo, così vicino che quando fece per rialzarsi in piedi si ritrovò praticamente col naso sprofondato nella mia nicchia calda. Mi gustai quell’insolita posizione di predominio che Lui mai mi avrebbe concesso.
“Che ne dice?”, chiesi spavaldamente, più che mai cosciente di essere una gran fica.
“Dico che mi piace!”, rispose l’uomo col volto paonazzo e col respiro affrettato. Con un sol gesto allora lasciai cadere completamente la vestaglia mostrando anche i miei seni gonfi, sodi e gli irti capezzoli. Chiusi gli occhi leccandomi le labbra sensualmente, offrendomi al suo sguardo e sentendomi come una grandissima troia. Poi mi appoggiai contro il piano di marmo della cucina e sorreggendomi con le mani sollevai lentamente le gambe e le appoggiai sulle spalle dell’uomo ancora inginocchiato. “Leccami!”, ordinai, con un tono che non ammetteva repliche. Non credo che desiderasse di meglio e senza pensarci un attimo si tuffò tra le mie grandi labbra, bagnate e gonfie come un frutto maturo. Prese a lapparmi con grande impegno, titillandomi il clitoride con la punta del naso, mentre la sua lingua vorace mi si infilava tutta dentro nella tana vogliosa, pronta ad asportarne i copiosi umori. Gli sollevai il viso, completamente lucido del mio miele e lo invitai a baciarmi sulla bocca. Era fantastico! Odorava di conchiglia marina e di dopobarba. A colpi di lingua lo ripulii completamente e ingoiai i miei stessi umori con una foia indecente. In quel momento avrei dato qualsiasi cosa per avere a portata di lingua una giovane fica bollente da succhiare come una pesca succulenta. Gli abbassai la testa sul seno perché mi succhiasse i capezzoli, e lui mi si incollò per poppare come un cucciolo affamato. Sentii qualcosa di gonfio e duro contro la coscia e all’improvviso ne ebbi una voglia sfrenata. Volevo quel sesso sconosciuto con una bramosia esasperante. Volevo essere scopata da un perfetto estraneo, senza preoccuparmi di chi fosse o cosa pensasse di me. Volevo solo godere e urlare e farmi riempire come una prostituta qualunque, per il gusto di avere un orgasmo nel preciso istante in cui lo desideravo.
“Mettimelo dentro. Forza!”, ordinai con voce roca.
L’uomo mi guardò con occhi scintillanti. Ne aveva certo voglia, quasi quanto me.
“E se arriva qualcuno?”, chiese guardandosi attorno e sapendo che non avevo chiuso a chiave la porta d’
ingresso.
“Non sono affari tuoi!”, gridai, quasi godendo per il solo fatto di poter ordinare ad un uomo quello che doveva farmi e non essere sempre costretta a subire, come accadeva con Lui.
“Pensa solo a fottere, e cerca di metterlo bene in fondo!”, aggiunsi cominciando a slacciargli i pantaloni. Lui chiuse gli occhi e per un istante credetti che stesse già venendo. Poi però il suo cazzo, piuttosto grosso e polposo, balzò fuori scuotendomi di brividi irrefrenabili già solo alla vista. Mi appoggiai con la schiena al muro piastrellato e allargai le gambe, indirizzandoglielo nella mia tana vogliosa, che ormai smaniava per quel bastone di carne rovente. Mi penetrò con un unico colpo deciso, affondandomelo dentro completamente e facendomi urlare di piacere. Poi lo ritrasse e lentamente cominciò il va e vieni. Stavo godendo da impazzire, ma soprattutto era la sua remissività a farmi bollire il sangue nelle vene. Mi parevano secoli che non facevo più l’amore con un uomo senza che questi mi torturasse con giochetti sadici ed ingiuste pretese! Finalmente potevo pensare innanzitutto a me stessa. E così, quando sentii che stavo per venire, gli detti un colpo di reni che lo fece barcollare.
“Adesso, fottimi!”, gridai con quanto fiato avevo in gola. E allora lui mi diede un paio di stoccate furiose che lo fecero letteralmente esplodere dentro di me e poi ricadere sul mio corpo sbavando e sussultando.
“Alzati!”, ordinai sprezzante, allontanandomelo di dosso con la punta del piede, ora quasi schifata. Mi guardò un attimo confuso.
Poi, sistemandosi velocemente il cazzo moscio nei pantaloni, si alzò e tentò di baciarmi sulla bocca.
“Ma cosa fai?”, gridai indignata. “Sei forse impazzito?”.
Rimase immobile dov’era, con gli occhi sbarrati, cercando di capire.
“Ma io pensavo…che magari potevamo…”, balbettò indeciso. “Faresti meglio a non pensare un bel niente e andartene subito via di qui!”, dissi precipitosamente allacciandomi la vestaglia e spingendolo verso la porta. “Ma signora, non potete!”, protestò. “Fuori subito di qui!”, gli urlai quasi senza rendermene conto. L’uomo parve spaventarsi un tantino e rinunciando ad ogni altro tentativo prese la borsa e il taccuino e se ne andò. Be’, se non altro poteva dire di non aver perso tempo nonostante non ci fosse nulla da riparare. Mi appoggiai allo stipite della porta, esausta ma appagata, sogghignando al pensiero della faccia che aveva fatto quel poveretto e orgogliosa di come avessi saputo essere dura e intransigente. Feci per chiudere la porta alle spalle, ma qualcosa la bloccò. Guardai verso il basso, dove tra la porta e lo stipite si era inserita una lunga gamba inguainata in un elegante paio di pantaloni di lino che, purtroppo, ben conoscevo.

continua......................
 
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view post Posted on 1/1/2013, 19:23     +1   -1
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Memorie di una Cagna – 6

“Chi diavolo era quel tipo?, sibilò Lui tra i denti entrando in casa e abbassando lo sguardo sulla vestaglia stropicciata che indossavo e sui miei capelli scarmigliati. Ma sapevo che non aveva bisogno della mia risposta.
“Piccola troia!”, ringhiò, dandomi un violento schiaffo che mi mandò a cadere sul tappeto della sala.
“E così ti fai sbattere dal primo che passa, in mia assenza!”, gridò picchiandomi nuovamente. Cercai di giustificarmi in qualche modo, ma i suoi occhi di ghiaccio mi zittirono all’istante.
“Vieni subito qui!”, sibilò sfilandosi la cintura dei pantaloni
“No, ti prego!”, singhiozzai con gli occhi puntati sulla cinghia di cuoio che brandiva minacciosamente.
“Vieni qui, ho detto!”, ripeté facendola schioccare a mezz’aria proprio a pochi centimetri dalla mia faccia. Mi avvicinai lentamente, quasi strisciando, mentre lui si slacciava i pantaloni e mi metteva sotto il naso il suo pene rilassato.
“Ti prego, sono stanca!”, cercai di spiegargli, rendendomi conto troppo tardi di aver detto una sciocchezza. “Stanca!”, esclamò spalancando gli occhi per la sorpresa di una risposta così stupida.“Stanca di farti sbattere dal primo cazzo arrapato che ti capita a tiro, vero?”
Indietreggiai spaventata a morte da quell’improvviso scoppio d’ira.
“Se vuoi fare la troia, eccoti servita. Succhia!”. A quel punto disubbidirgli sarebbe stato come autorizzarlo a prendermi a frustate quindi, nonostante fossi distrutta e impaurita, glielo presi in bocca e diligentemente cominciai a succhiarlo. Sospirò voluttuosamente e tranquillizzata staccai la faccia per guardarlo. “Non ti ho detto di smettere!, gridò rabbiosamente. E così dicendo mi strappò i lacci della vestaglia e brutalmente me la strappò di dosso lasciandomi completamente nuda.
“Chiedi perdono”, disse.
Io tentai di protestare nonostante avessi la bocca piena del suo cazzo ormai gonfio a dismisura, ma fu inutile. “Chiedi perdono!”, ripeté scoccando una frustata sulle tenere carni del mio culo. Urlai e poi, piangendo, a bocca piena, gli chiesi di perdonarmi. Avevo anche le guance e la lingua indolenzite a forza di succhiare, e la sferzata sul fondo schiena bruciava come il fuoco.
Lui si scostò e prendendomi per i capelli mi spinse verso il tavolo, su cui mi fece chinare prona. Non dissi niente, nonostante immaginassi le sue intenzioni e non fossi per niente bagnata, per paura e per la mancanza di voglia di essere nuovamente infilzata.
“Alzalo bene!”, disse, dandomi una sonora pacca sul sedere. Riluttante mi sollevai sulla punta dei piedi, a gambe leggermente divaricate, come desiderava. Mi voltai a guardarlo da dietro una spalla, supplicante, giusto in tempo per vederlo sputarsi sul palmo della mano e poi passarmelo tra le cosce asciutte.
“Fatti scopare, puttana!”, esclamò mentre con un sol colpo deciso mi affondava dentro completamente e ferinamente nel culo.
Urlai di dolore, ma non si fermò.
“Avanti, di’ che ti piace”, ripeteva ad ogni colpo, fino all’esasperazione. Avrei tanto voluto dirgli che mi faceva un male da impazzire, ma sapevo che non sarebbe servito a nulla.
“Mi piace..”, balbettai con le lacrime agli occhi. “..ho voglia di essere scopata così!”.
Lo sentii ingrossarsi maggiormente dentro di me e allargarsi la via nonostante la mia resistenza, mentre si teneva ben saldamente aggrappato ai miei fianchi.
Molto, molto lentamente allora, si fece largo nel mio corpo una specie di sottile piacere, nonostante il dolore atroce. Una sensazione assolutamente assurda e nuova. Sentivo il suo membro andare e venire nelle mie carni serrate, sfregando contro le pareti asciutte, che mio malgrado andavano inumidendosi, così come la mia fica. Si accorse di scivolare più facilmente nel mio corpo e allora sghignazzò cinicamente, stringendomi i fianchi fino a lasciarmi un’impronta bluastra.
“Che porca che sei!”, sibilò col respiro corto. “Strilli che ti fa male, ma non appena te lo sbatto dentro inizi a sbrodolare come una cagna in fregola. Sei solo una troia vogliosa di sesso, sempre affamata di questo!”,
e sottolineò la frase dandomi una stoccata di cazzo che mi fece vibrare tutta e letteralmente sbavare di goduria.
“Oh, si così…”, cominciai ad implorare senza più ritegno né orgoglio, “riempimi tutta, sfondami!”.
Mi sentivo il buco del culo in fiamme dal continuo sfregamento e i muscoli doloranti per i continui e ripetuti assalti, ma niente mi avrebbe fatto rinunciare a quel piacere sfrenato. Stavo per incitarlo nuovamente, ormai prossima all’orgasmo, quando si fermò e me lo strappò via dalla carne in fiamme.
“Noooooo!”, urlai scuotendo la testa istericamente mentre mi sollevava di peso.
“Per una come te ci vuole un trattamento speciale”, disse, “quello che si conviene ad una puttana che si fa sbattere dall’idraulico non appena esco di casa!”.
E così dicendo aprì la porta-finestra che dava sul cortile in comune con altre famiglie e mi fece chinare a forza sulla ringhiera in ferro del balconcino, tanto da sollevarmi i piedi da terra e farmi ondeggiare con metà busto nel vuoto. Eravamo al terzo piano e per poco non mi misi a urlare di paura. Ma non voleva certo gettarmi di sotto. Piuttosto riprese subito la posizione da dove aveva smesso qualche secondo prima, e tornò a montarmi con foga irriducibile.
“Ma sei impazzito!”, protestai, terrorizzata dall’idea che i vicini potessero vederci. “Ti prego, non così, non voglio.”, sussurrai per non attirare l’attenzione di estranei.
“Stai buona!”, disse affibbiandomi una sonora pacca sulle chiappe.
“Volevi fare la porca e quindi eccoti accontentata. Che tutti sappiano che grandissima troia sei!”.
Ma io non volevo assolutamente essere sorpresa in quella situazione umiliante, e allo stesso tempo non riuscivo a impedirmi di godere.
“Bastardo!”, sibilai tra i denti. “Ti odio con tutte le mie forze!”.
E Lui mi rispose intensificando le stoccate e facendomi finalmente urlare, da non potermi contenere per il piacere che provavo. Inutile dire che le mie grida attirarono gli inquilini del piano di sotto e quelli della casa di fronte, probabilmente dapprima preoccupati. Ma Lui non si fermò e del resto era riparato dalle tende ed io sola esposta ai loro sguardi stupiti che, quando finalmente si resero conto di ciò che stava realmente avvenendo, si fecero increduli e indignati. Chiusi gli occhi per la vergogna, mordendomi le labbra per non urlare di nuovo di goduria, ma ormai….
“E’ deplorevole! E’ una vergogna!”, protestarono schifati alcuni degli insoliti spettatori. “E’ inammissibile un simile comportamento!”.
Stranamente però nessuno di loro accennava a ritirarsi, e da una rapida occhiata di sottecchi potei notare i pantaloni rigonfi degli uomini e gli occhi lucidi e famelici delle loro consorti. Fortunatamente il tutto non durò molto.
Lui se la stava godendo per resistere ancora mentre io sentivo l’orgasmo montarmi dentro come una marea. Giuro che quando capii che stavo per venire, tentai con tutte le mie forze di tacere, annichilita dalla vergogna di ululare come l’ultima delle cagne mentre venivo inculata davanti al mondo. Ma quell’ariete che andava e veniva senza sosta nel più profondo di me, e che alla fine mi esplose dentro inondandomi di un caldo e denso torrente, me lo impedì. E mi fece prorompere in un lungo urlo di piacere, sotto gli occhi di tutti. Ma a me non importava già più niente dei loro sguardi. Godevo, ed era questa l’unica cosa veramente importante.

continua ........................
 
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view post Posted on 3/1/2013, 08:17     +1   -1
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Memorie di una Cagna – 7

Qualcosa mi tormentava da quando Lui era uscito di casa. Qualcosa di sottile e insinuante che non riuscivo a capire se era noia, stanchezza o nervosismo.
Fremevo impaziente di non so cosa, camminavo avanti e indietro nella stanza come una fiera in gabbia. Forse era solo colpa del caldo insopportabile! Accesi il ventilatore e mi sdraiai sul divano, con la vestaglia completamente slacciata e un cuscino sotto la testa. Rimasi così, con gli occhi chiusi, l’aria fresca che mi accarezzava languidamente tutto il corpo e il sudore che mi colava a gocce verso le tempie. Allungai una mano sul mio corpo nudo e mi sfiorai distrattamente un seno, poi scesi verso il ventre, scavalcai il sottile nastro del perizoma che indossavo e ripresi il dolce movimento sulle cosce, tracciando immaginari arabeschi con l’indice. Sospirai, sistemandomi più comodamente e poi aprii gli occhi, improvvisamente curiosa di sapere che aspetto avesse il mio corpo in quel momento. Tesi le punte dei piedi, lasciando irrigidire i muscoli delle cosce e dei polpacci, per poterne ammirare i contorni precisi e ben delineati. Poi sollevai la schiena protendendo i seni in un gesto assolutamente narcisistico ma quanto mai eccitante. Non ero forse bella, ma sensuale si, non avevo paura ad ammetterlo, così sensuale che i miei sensi assopiti cominciarono a risvegliarsi. Voltai la testa di lato tentando di distrarmi e vidi il grande specchio che ricopriva quasi tutta la parete. Sapevo bene che il caldo torpore e l’inedia di poco prima mi avevano ormai definitivamente abbandonata. Senza che potessi porvi resistenza la mia mano scivolò languida e sicura oltre l’ombelico, e poi sotto il triangolino di tessuto trasparente. Mi girai aprendo le gambe al riflesso sospirando voluttuosamente, sollevando il sedere perché anche i miei occhi potessero godere di quell’antico rituale di piacere, e tuffai le dita tra le labbra della mia fica, in quel momento ancora chiusa e asciutta. Ne stuzzicai il clitoride e poi mi fermai, per godermi fino in fondo le sensazioni che tutto ciò mi procurava. Ma la voglia cominciava a scatenarsi impetuosa e indomabile e così tornai ad allungare la mano tra le pieghe carnose. Mi guardai compiere quei gesti sul mio corpo come fosse quello di un’altra donna che mi compiacevo di saper far godere con tanta maestria. Pian piano un latteo ruscello cominciò a colarmi lungo le cosce frementi e allora capii, con sicurezza, cosa ero andata cercando tutta la mattina. Vibrai due dita dentro la mia sorcetta affamata, godendomi lo spettacolo, ma ritraendomi non appena sentivo sopraggiungere l’orgasmo, lasciandola così languire come un animaletto boccheggiante di voglia e desiderio. Niente e nessuno poteva farmi godere quanto le mie stesse mani, in quell’istante ne fui quasi certa. Scivolai sul tappeto, di fronte allo specchio, con un cuscino sistemato sotto le reni per avere il monte di venere del mio sesso esposto e offerto come su un altare. Mi piaceva tutto ciò, mi procurava strane sensazioni contrastanti. L’orgoglio di essere in grado di offrirmi da sola il massimo godimento, e la frustrante consapevolezza che non c’era nessuno a godere di tutto ciò, anche solo con lo sguardo. Tornai a strizzarmi impietosamente il clitoride gonfio ed eretto come un piccolo cazzo che, se fossi stata una contorsionista, non avrei esitato a succhiare gloriosamente, ansimando per il fuoco che mi divampava dentro. Dischiusi le cosce e mi allargai la passera. Ormai ero così eccita da volere qualcosa di ben più solido che non solo le mie dita nervose. Mi guardai attorno e adocchiai un oggetto qualsiasi, una spazzola per abiti dal lungo e grosso manico di legno, la cui sola vista mi fece fremere impaziente pregustando la lenta penetrazione.
Mi alzai e barcollando per il desiderio afferrai l’insolito dildo, poi tornai a sdraiarmi sul tappeto con le cosce spalancate. Mi strofinai le setole dure del fantastico oggetto di piacere sui capezzoli già eretti e gonfi, arrossandoli fino a farmeli bruciare. Poi scesi verso le labbra palpitanti della fica e le accarezzai con movimenti circolari e insistenti che mi procurarono brividi irrefrenabili, borbottando frasi destinate a un immaginario amante. Voltai l’oggetto e tentai prontamente di far scivolare il grosso manico nel mio ventre umido, ma trovai resistenza. Deliravo di piacere ma continuavo a protrarre quella deliziosa tortura con un impegno esasperante, ben conscia che più lunga e sottile sarebbe stata la preparazione e più tumultuoso e sconvolgente sarebbe esploso l’orgasmo. Avevo la bocca piena di saliva e una voglia incredibile di succhiare. Cosa non avrei fatto per avere un arrapante cazzo pieno di caldo nettare, da succhiare e leccare per ore intere, fino a strappargli anche l’ultima goccia di sborra, e di anima!
In mancanza di meglio quindi portai alle labbra quell’affare che, seppur inanimato e immobile, era già caldo e bagnato dei miei umori, e aveva il pregio di non afflosciarsi mai. Lo lambii con la lingua quasi fosse stato un cazzo reale, fino a ripulirlo di tutto il succo denso di cui era impregnato. Tentai anche di succhiarlo, ma era troppo grosso per la mia bocca, seppure ben allenata. Tornai quindi ad indirizzarlo verso la fica vogliosa, e trovandola ora più che ben disposta, non persi tempo e con entrambe le mani lo affondai con forza, completamente. Urlai di dolore e di piacere, tra ansimi e sospiri.
Mi sentivo sfondata ma non rinunciai a guardare sempre riflessa nello specchio, quella mia sorcetta vogliosa e oscenamente squarciata, che sarebbe stata disposta a ingollarsi qualunque cosa le avessi messo dentro! Strinsi le gambe e sentii il duro legno riempirmi e aderire perfettamente alle pareti della vagina. Quindi lo girai e rigirai, saggiando ogni possibile posizione e variante. Poi presi a vibrarlo più velocemente, man mano che la mia nicchia si allargava abituandosi all’intrusione mostruosa, lubrificandosi continuamente per facilitarne il passaggio. Lo accolsi interamente e quando lo vidi finalmente sparire, quasi inghiottito lasciando esposta la sola spazzola, non potei più resistere. Troppa fame aveva quella piccola gatta in calore che mi si dibatteva tra le cosce, implorando di godere o di essere uccisa. Con un’ultima stoccata me la riempii a viva forza andando a cozzare contro l’utero, e un urlo di godimento scaturito direttamente dall’anima accompagnò l’orgasmo che mi saliva dalle viscere per poi esplodermi nel cervello, in un turbinio di colori e luci deliranti, che mi lasciarono stordita ed esausta sul tappeto della sala da pranzo.

continua..................
 
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view post Posted on 5/1/2013, 10:31     +1   -1
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Memorie di una Cagna – 8

Mi guardo attorno accecata dalle luci e dai colori psichedelici, intontita dalla musica assordante e ossessiva. Da quel ritmo indiavolato che mi spinge a muovermi velocemente. A contorcermi in pose da autentica contorsionista, nuda per poter offrire ogni parte di me, ogni buio anfratto, ogni angolo nascosto al pubblico famelico. Quassù dalla pedana vedo le loro mani allungarsi bramose ogni volta che mi sporgo oltre il bordo, ballando a pochi centimetri dai loro occhi, vibrando i fianchi, offrendo il triangolo delle mie cosce alle loro lingue tentatrici. E’ logorante, estenuante, ma fantastico!
Presto l’atmosfera si fa calda e frenetica, carica di erotismo, satura della voglia di sesso di quegli uomini, che quasi si rende palpabile nell’aria. Ho voglia di cazzo…di un sesso turgido da succhiare, di un randello rovente di cui farsi colmare! E in risposta odo quasi i loro desideri che parlano di cosce spalancate, di nicchie umide e disponibili da impalare e riempire con forza e decisione!
“Prendimi…toccami….possiedimi…”, dice la canzone in sottofondo, e tutta quell’orda di maschi infoiati risponde allungando le dita per sfiorarmi le tette gonfie e i capezzoli tesi dalla frenesia.
Mi giro di spalle e a quattro zampe scodinzolo come una cagna, leggermente chinata in avanti perché possano affondare gli occhi anche nel buio solco palpitante del mio culo. No, non posso resistere! Cosa mi importa se il regolamento mi impedisce di scendere tra il pubblico, se non mi è concesso offrire di più che uno spettacolo erotico? In fondo do del mio, e ho tanto da dare. Sono una donna vera, anima e sangue, non una statua da ammirare a distanza. E sono calda come tutti quei maschi assatanati. Perché negarmi?
Perché negare a tutti loro il piacere di godere della mia carne, dentro la mia carne, e di vedermi gioire con loro, dei loro corpi di maschi straripanti di voglia? Scendo tra il pubblico, anzi praticamente mi tuffo tra le loro braccia protese. E quelli mi sollevano di peso e mi adagiano su di un lungo tavolo di caldo legno, sgombrato alla svelta.
No, non li temo, li cerco invece! Lascio che le loro mani mi sfiorino dappertutto, impazienti e frenetiche, che mi si insinuino tra le cosce e anche più sotto, in ogni piega conosciuta e sconosciuta del mio corpo, che mi frughino in profondità alla ricerca di un piacere che sanno per certo di poter trovare in me. E allo stesso tempo io raccolgo i loro frutti d’amore, i loro randelli impazienti, nelle mani, in bocca e ovunque vogliano posarsi, strusciarsi, insinuarsi, rompere, farsi largo, sfondare, slabbrare. Sono così tanti ma tutti ugualmente smaniosi di avere di me anche solo il dito di un piede, ma per poterlo succhiare finalmente, per poter godere di un qualsiasi pezzo di me da leccare, mordere, divorare di baci lascivi. Non perché sono bella, ma perché in questo momento sudo e sono fradicia e puzzo di femmina, emano un afrore da cagna in calore, e incarno tutti i loro sogni più perversi.
“Prendetemi e godete!”, imploro, satura di desiderio da non poter resistere un secondo di più, e soprattutto a una seconda ripassata. E siccome loro mi amano, loro mi adorano come Venere scesa in terra dall’Olimpo, mi esaudiscono all’istante e urlando il loro piacere infinito, mi inondano dei loro tanti getti di sperma denso e rovente, come colate di magma saporoso. Mi imbrattano dai capelli ai piedi dei loro succhi odorosi, mi innaffiano di fiotti così copiosi che avrebbero dissetato decine di ragazze frementi e golose. E io godo di tutto ciò, godo di tutto questo abbandonarmi, non risparmiarmi, non pensare, non decidere, di questo essere di tutti contemporaneamente che mi fa sentire cagna e troia, femmina e pubblica puttana totalmente posseduta.

Mi svegliai di soprassalto quando il sole stava ormai tramontando e la brezza della sera s’intrufolava dalle finestre socchiuse. Ci misi qualche secondo ad orizzontarmi dopo i bagordi selvaggi appena vissuti, ma mi accorsi che ero ancora distesa sul tappeto, con la spazzola stretta in una mano e il vestito abbandonato su di una poltrona. Lui mi apparve dinnanzi silenziosamente, con addosso solo un paio di boxer a ancora umido della doccia. Si sedette al mio fianco e rimase a guardarmi per qualche secondo.
“Non sai nemmeno resistere un intero pomeriggio senza godere, non è vero?”, domandò dolcemente, allungando una mano tra le mie cosce dischiuse.
Sospirai, stentando a capire se si trattasse ancora di un sogno oppure della realtà. Ma le sue dita che mi penetravano lentamente mi convinsero. Lo guardai e gli sorrisi, mai mi era parso così desiderabile, così eccitante. Un velo di barba gli ombreggiava il volto severo, demarcando i lineamenti decisi, come scolpiti nel granito. Lo abbracciai e lo attirai a me. Lui non protestò ma docilmente mi divaricò le gambe e mi si distese sopra, scivolando dentro il mio corpo come a ricoverarsi in un piccolo nido. Gli cinsi i fianchi con le gambe, perché affondasse del tutto nel mio ventre sempre affamato e ingordo, lasciandomi sfuggire un gemito. E poi, perfettamente allacciati, sprofondammo in un lento, silenzioso, lunghissimo e finalmente completamente appagante orgasmo.

continua ........................
 
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Memorie di una Cagna – 9

“Che ne diresti di scendere a mangiare qualcosa?”, proposi allungandomi nel letto. Era quasi ora di pranzo e un leggero languore mi stuzzicava lo stomaco.
Lui si girò pigramente e dopo avermi dolcemente deposto un bacio sulle labbra mi disse di non muovermi, che ci avrebbe pensato lui alla colazione. Ne approfittai per farmi una doccia veloce e poi tornai a gettarmi sul letto sfatto, godendomi fino in fondo quel particolare momento di tranquillità, più unico che raro dovendo vivere con un uomo così. Poco dopo tornò e senza tanti preamboli mi ordinò di togliermi l’accappatoio, e nuda di sedermi sul letto. Lo guardai stupita.
“Cos’è, un nuovo giochino?”, chiesi maliziosamente, cercando di abbracciarlo.
“Ti sembro uno che ha voglia di giocare?”, rispose con voce dura, sistemandomi alcuni cuscini dietro la schiena. Sinceramente non riuscivo a spiegarmi quell’improvviso cambiamento d’umore. Cosa gli era preso, tutto a un tratto?
“C’è qualcosa che non va?”, domandai timidamente, ben sapendo quanto fosse pericoloso contraddirlo quando aveva simili sbalzi d’umore.
“Sta’ zitta!”, rispose.
Si tolse dalla tasca dei pantaloni un paio di manette e senza esitare mi agganciò i polsi alla testata del letto. “Io non credo di aver voglia….”, protestai ormai stanca di quel suo insopportabile modo di agire. Ma naturalmente non mi lasciò nemmeno finire la frase.
“Non credo tu abbia molta scelta!”, tagliò corto, per poi tornare al piano di sotto senza neppure ascoltare le mie ragioni. Ero furente! Non riuscivo a credere di essere stata proprio io, di mia spontanea volontà, a scegliere di vivere con un uomo simile. Come potevo accettare simili trattamenti? Mi sentivo umiliata e frustrata. A Lui non interessava minimamente cosa desiderassi, teneva conto unicamente del proprio piacere e delle sue voglie.
“Maledetto despota, arrogante e presuntuoso fino alla nausea!”, mormorai stizzita.
“Giuro che non appena mi libera lo prendo a calci nelle palle e poi me ne vado per sempre!”. E in quel momento ero seriamente intenzionata a portare a termine il mio proponimento. Ero stanca di subire i suoi atteggiamenti da dominatore, le sue decisioni autoritarie, le sue angherie e la violenza incontrollata. A volte mi faceva paura, pareva essere capace di tutto, di qualunque gesto che potesse soddisfare la sua voglia di dominio. Mi abbandonai contro i cuscini, con gli occhi chiusi, convincendomi che non era più accettabile una simile situazione. Gli avrei parlato, gli avrei spiegato che il gioco non era più divertente, che si era spinto troppo oltre ormai, che non era nei patti che lui decidesse come e quando scoparmi, infischiandosene delle mie emozioni, trattandomi alla stregua di una puttana da strada. Non sarei mai stata la schiava di nessuno, nemmeno per gioco, di questo doveva convincersene. Sentii dei passi che si avvicinavano strusciando sulla moquette. Bene! Respirai profondamente e mi preparai al discorso e all’inevitabile scontro. Ma quando aprii gli occhi, inaspettatamente, mi trovai di fronte Ramona, la giovane cameriera, che mi guardava con aria indecisa, reggendo il vassoio della colazione. Arrossii fino alla radice dei capelli per l’umiliante situazione. Era stato certamente lui a mandarla da me, perché mi vedesse nuda, vulnerabile, incatenata al letto e costretta a subire lo sguardo incredulo, ma anche divertito, della domestica.
“Che succede? Non avevi fame, tesoro?”, mi domandò lui entrando nella stanza, tutto allegro. Lo guardai con occhi che mandavano lampi.
“Maledetto figlio di puttana”, sibilai tra i denti, “slegami immediatamente!”.
Per tutta risposta si mise a sghignazzare divertito, mentre Ramona restava in silenzio, ma visibilmente confusa. Le prese il vassoio dalle mani, lo sistemò sul letto e cominciò a tagliare la carne. Poi mi chiese di aprire la bocca per imboccarmi.
“Avanti, mangia!”, disse quando mi rifiutai di aprire la bocca.
“Lo sai dove te lo puoi ficcare quel coso?”, esclamai io di rimando, strattonando i polsi nel vano tentativo di liberarmi. Lui tornò ad accostarmi la forchetta alla bocca.
“Ubbidisci!”, sussurrò e il suo tono da despota non fece che accendere di più la rabbia e l’odio che avevo in petto.
“Va’ a farti fottere!”, borbottai sferrando un calcio che mandò all’aria vassoio e stoviglie. Mi guardai attorno stordita e sorpresa io stessa: tra l’urlo di Ramona, le pietanze che erano volate in aria per poi ricadermi addosso e insudiciarmi tutta, non mi ero neppure accorta del violento schiaffo con cui mi aveva colpita. Lo guardai sbigottita mentre mi intimava di non fare mai più una cosa simile.
“E ora mangia!”, urlò premendomi la testa di lato, sui cuscini, perché raccogliessi con la bocca ciò che restava del pranzo. Tentai di scrollarmelo di dosso, di liberarmi dalla morsa delle dita sulla nuca, ma fu inutile. Percepii che avrebbe anche potuto spezzarmi il collo, pur di vedermi cedere. Notai lo sguardo incredulo della ragazzetta, sicuramente resa precedentemente complice della situazione. E allora irrefrenabili lacrime cominciarono a scendermi lungo le guance, lacrime brucianti, dolorose. Me ne sarei andata non appena mi avesse tolto le manette, questo era indubbio. Lo odiavo con tutte le mie forze, come non avevo mai odiato nessuno in tutta la mia vita. Ma singhiozzando, schiacciata contro i cuscini, raccolsi coi denti un pezzo di carne. Non avevo alcuna voglia di mangiare. Avevo lo stomaco chiuso ed ero certa che non sarei mai riuscita ad ingoiare il boccone, ma un nuovo schiaffo mi convinse a ubbidirgli.
“Mangia, piccola stupida”, incalzò mentre io tentavo di ingoiare il cibo raccolto, ben conscia di avere gli occhi di lui puntati sulle mie labbra bagnate di lacrime. E gli occhi della cameriera fissi sul mio corpo nudo, lucidi di eccitazione, che per un attimo mi fecero trasalire, pensando che quella puttanella stava godendo per lo spettacolo che offrivo! Ora la stronzetta non pareva più intimidita dalla violenza della situazione, e sicuramente aveva la fica bagnata vedendomi incatenata come l’ultima delle serve, obbligata a mangiare come una bestia! E i suoi occhi erano diventati alteri, arroganti, almeno quanto quelli di lui. Lui che mi spinse la testa sulla crema di piselli sparsa sulle lenzuola che così mi imbrattò i capelli e tutto il viso, riducendomi uno schifo unico. Non avevo più neppure il coraggio di alzare gli occhi per guardarmi allo specchio di fronte: ero sicura che mi avrebbe procurato altra umiliazione. Questo però parve intuirlo anche lui, perché mi afferrò per i capelli sulla nuca e mi obbligò ad alzare la testa.
“Guardati! Guarda quanto sei bella!”, sussurrò poi con voce roca, stringendomi il collo fino a farmi urlare. Ubbidii e ricominciai a piangere istericamente.
Come avevo potuto permettere a un uomo di ridurmi in quello stato? Quando il gioco era diventato follia e si era trasformato in tutto quell’orrore? Guardai il livido sulla guancia e anche i miei polsi incatenati, sanguinanti dopo tanto strattonare, e mi venne voglia di urlare, proprio mentre Lui si chinava a baciarmi sussurrando che non ero mai stata così eccitante. Mi sembrava matto, allucinato, eppure non mentiva dicendo che mi voleva, perché sentivo bene il rigonfio duro del suo cazzo che, attraverso i pantaloni, mi premeva sulla coscia nuda. Prese a leccarmi le labbra, il viso, ripulendomi a colpi di lingua dalla crema di piselli e dalle lacrime. Chiusi gli occhi e li strinsi forte sforzandomi di non cedere a quel calore languido che mi procurava il suo respiro affrettato sul collo, sulla gola, sul seno. “Non farlo, non farlo, non cedere!”, ripetevo a me stessa come una litania, stringendo i pugni fino a farmi sbiancare le nocche, strattonando le manette perché il dolore del ferro che mi tagliava la pelle mi impedisse di cedere al piacere, a quella voglia assurda e irrazionale che mi stava lentamente assalendo. Eppure lo odiavo. Com’era possibile che il mio corpo rispondesse alle sue carezze? Come si può desiderare un uomo che ti fa solo soffrire?
Aprii gli occhi e mi guardai attorno. Dovevo tornare alla realtà, ricordare l’umiliazione, ma mi trovai di fronte Ramona che lentamente si spogliava mettendo in mostra le sue rigogliose tettone, i fianchi generosi e un cespuglio folto e intricato tra le cosce pallide. Mi guardò con l’aria famelica del predatore che si sta avventando sulla vittima. Era ovvio che si sentiva forte e sicura, e che voleva godersi fino in fondo quella rara posizione di predominio. Allungò una mano per sfiorarmi i capezzoli, e vedendomi trattenere il respiro fece un sorriso cinico, quasi grottesco sul quel viso da ragazza non più che venticinquenne.
“Lasciami!”, mormorai non volendo darle soddisfazione. “Va’ via, brutta puttana!”, gridai scalciandola.
Ma un dolore improvviso tra le gambe mi paralizzò, impedendomi di colpirla. Alzai la testa di scatto, e vidi Lui seduto tra le mie cosce, con la parte finale di un mostruoso cazzo finto tra le sue mani, e la punta completamente affondata nel mio buchetto più stretto e reticente.
“Perché non vuoi che anche Ramona si diverta?”, mi domandò con una voce così dolce, paziente e innaturale che mi diede i brividi, continuando ad afferrare saldamente l’arnese e spingendolo un po’ più dentro.
Ansimai terrorizzata pregandolo di fermarsi, perché altrimenti mi avrebbe di certo ferita. Aveva dimensioni mostruose tanto che più che mezzo di piacere pareva esserlo di tortura! Lui sorrise comprensivo e disse che tutto dipendeva da me: dovevo essere compiacente con loro, altrimenti… Mi guardò con occhi improvvisamente gelidi.
“Altrimenti c’è ben peggio di questo!, esclamò vibrandomi una stoccata che mi penetrò per ulteriori dieci centimetri. A questo punto improvvisamente, non sentivo più le gambe, né tanto meno riuscivo a muoverle. Era come se quel grosso godemichè fosse andato a graffiarmi i muscoli che permettevano di muovere i fianchi, il bacino e le cosce. Non potevo far altro che restare immobile, oppure il dolore mi avrebbe intorbidito completamente la metà inferiore del corpo, quasi anestetizzandomi.
“Lo vedi come è buona ora?”, sussurrò a Ramona, “Divertiti !”.
Ma lei si era già gettata sulle mie tette e succhiava come una sanguisuga, mugolando per il gran godimento. “Sei bellissima e così succosa!”, mormorava Ramona riprendendo fiato, per poi tornare a riempirsene la bocca con ingordigia. Poi quando si fu stancata e la sua fighetta divenne così impaziente che neppure la mano che si era ficcata dentro riusciva più a soddisfarla, mi si sistemò sopra la faccia, con le gambe larghe e abbassò la sua nicchia di carne piena di ciprigna sulla mia bocca.
“Lecca per bene, adesso! Ho tanta voglia di godere e farti bere il mio succo”, borbottò con una voce da bimba capricciosa.
Io guardai quella tana scura che mi si avvicinava, che mi copriva il viso fin quasi a soffocarmi e avrei voluto allungare subito la lingua, così come avevo sognato di fare tante volte. Avrei scoperto finalmente il piacere di slappare una donna, ma questo lei non doveva capirlo. Io la odiavo, così come odiavo lui, non avrei dato a nessuno di loro due la soddisfazione di vedermi infoiata come una cagna, dopo tante angherie. Così, invece di leccare, strinsi i denti e le morsicai il clitoride grosso e gonfio come una nocciola. Lei lanciò un urlo da animale braccato, poi istintivamente balzò indietro e mi guardò con occhi di fuoco. Balbettava dalla rabbia e dopo lo smarrimento mi si lanciò contro come una furia.
“Ora te la faccio passare io la voglia di essere tanto ribelle!”, esclamò, quindi tolse dalle mani di lui il rigido gingillo e se lo fissò alla vita. Con una spinta mi fece rotolare su me stessa e mi si mise con il culo all’aria, dopodiché tornò a puntarmi il cazzo finto contro il buchetto e con una stoccata che la fece gemere per lo sforzo, me lo sprofondò tutto dentro. Gridai di dolore ma non tentai neppure di disarcionarla. Qualunque lieve movimento mi faceva boccheggiare di dolore, come avessi un bastone rigido che mi perforava l’intestino. Così rimasi immobile e non potei far altro che prenderlo tutto dentro e lasciarmi fottere e trapanare da quella porca scatenata come una furia disumana. Rideva oltretutto! Rideva di me, del fatto che mi lasciavo inculare, di come mi lasciavo rovistare le viscere senza scalpitare o ribellarmi. Alzai gli occhi e mi trovai Lui di fronte, con i pantaloni slacciati e il cazzo che gli si ergeva rigido e duro ritto sul ventre. Mi guardava fremendo, tanto era eccitato! Eppure non si spostava di un millimetro e lasciava che il glande rosso e ardente come un tizzone, mi sfiorasse la fronte e il naso. D’improvviso ebbi una voglia pazzesca di prenderlo fino in gola, di succhiarlo, di leccarlo lungo tutta l’asta fino a renderlo sensibile e impaziente. Volevo avere la bocca piena almeno quanto il culo!
“Ti stai arrapando finalmente!”, sussurrò la troietta alle mie spalle smascherandomi subito. Trasalii vergognandomi come una ladra scoperta con le mani nel sacco, ma non la smentii. Del resto, come avrei potuto. La mano di lei si era tuffata a tastarmi la fica e mi aveva trovata calda e umida di desiderio. Il dolore nel culo infatti, andava mitigandosi e si trasformava in una nuova sensazione di piacere che non era solamente voglia di fottere, ma anche desiderio di essere sfondata, riempita a forza. E rendermi conto di essere eccitata dal dolore non faceva che arraparmi ancora di più. Spalancai la bocca verso il cazzo duro di lui e lo guardai con occhi imploranti.
“Cosa c’è adesso?”, domandò con tono ironico, “non dirmi che muori dalla voglia di succhiare il cazzo dell’uomo che ti ha legata, picchiata e inculata, e poi regalata come un bel giocattolino, alla propria domestica?!”.
Mi chiesi la stessa cosa, ma fu la mia fica a rispondere per me, allargandosi abbastanza da accogliere il secondo rigido gingillo che Ramona mi ficcò tra le cosce e che mi fece addirittura delirare di piacere, tanto che senza pensarci oltre spalancai la bocca e mi presi sino in gola il suo uccello. Quanta voglia ne avevo, nonostante tutto! Me lo lasciai scivolare fino alle tonsille, per succhiarlo interamente e poterlo stuzzicare a colpi di lingua anche più sotto, dove nascondeva un grappolo morbido e setoso. Lo sentii sospirare e muovere i fianchi incontro alle mie labbra e allora pensai di averlo in pugno, così come Lui teneva me quando morivo di voglia. Staccai la bocca e lo guardai negli occhi.
“E se ora mi rifiutassi di continuare?”, domandai con aria di sfida.
Lui stirò le labbra in una specie di cinico sorriso, poi si spostò alle mie spalle e andò a ficcarlo in bocca a Ramona, che non chiedeva di meglio. Se lo prese in bocca per bene, leccandosi via anche la mia saliva, e poi allungò una mano per accarezzargli il culo e il buchetto sottostante. Ma Lui la bloccò all’istante con un gesto che la lasciò sbigottita. Oltre la mia spalla lo vidi stringere con forza il polso della ragazza, finché non ebbe abbandonato la presa. E allora mi immaginai dietro di lui, dopo averlo legato, impaziente di riservargli quel trattamento che tanto sembrava temere! Ma i sogni purtroppo son sempre così lontani dalla realtà. Lo vidi toglierle il cazzo di bocca, nonostante le sue suppliche, e andarle alle spalle.
“Oh, Signore, ma cosa fa?”, protestò quando lui l’afferrò per i fianchi e le puntò l’uccello contro il culo. Non le rispose e si limitò a vibrare una violenta stoccata che lo fece sprofondare fino all’elsa in quelle carni vogliose, ma anche probabilmente strette e asciutte. Lei urlò e cadendo in avanti tornò a sprofondarmi il grosso affare nel culo e quello più piccolo nella fica, facendomi gridare di dolore e di piacere. Avevo in effetti una voglia pazzesca di godere, ma avrei voluto il mio uomo dentro di me e non un freddo giocattolo. La mia rabbia non faceva che aumentare mentre guardavo Ramona, sofferente ma almeno sfondata da un cazzo vero, caldo e palpitante. La odiai e odiai lui, che le dava la parte migliore di sé infischiandosene della mia voglia, del mio desiderio e anche della rabbia di vedermi tradire sotto gli occhi con una puttanella infoiata, e che ora sembrava prenderci un gran gusto a sfondarmi violentemente, mentre lei si godeva un cazzo vero. Tentai di dimenarmi, di liberarmi ora che il dolore si era attutito dopo tante stoccate, ma lei mi afferrò i fianchi, si ancorò a me, affondandomi le unghie nella carne e mi tenne incollata a sé, così che ogni stoccata di lui colpisse entrambe. Potei ben sentirlo quindi allorché accelerò i colpi e vibrò insaziabile e impaziente in lei, e lei in me. Ero completamente aperta ormai, del tutto ricolma, sia nella fica che nel culo, e i due rigidi oggetti che si tuffavano contemporaneamente nel mio ventre erano come una enorme mano che chiudendosi a pugno mi apriva, mi sondava in profondità e poi si ritirava, ma solo per tuffarsi ancora e ancora.
“Godete cagne!”, gridò lui con voce roca. “Ululate insieme, voglio sfondarvi entrambe con un sol colpo!”.
E infatti poi vibrò l’affondo decisivo, quello che lo spinse fin dentro lo stomaco della troietta che, a sua volta, sprofondò coi suoi preziosi orpelli nel fondo delle mie viscere. Venni, nonostante la rabbia di dover sentire gli spasmi di Ramona che riceveva intanto le dense colate di sperma di quello che era stato il mio uomo, e nonostante la frustrazione di essere stata solo un giocattolo utile al piacere sadico di entrambi. Mi girai a guardarli. Erano l’uno sull’altra, ansanti, abbandonati alla calma che segue la voglia soddisfatta. Completamente dimentichi di me che, seppur distrutta dal violento orgasmo, ebbi ancora la voglia di prendere una decisione definitiva: il mattino dopo me ne sarei andata per sempre!

continua................................
 
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view post Posted on 18/1/2013, 11:03     +1   -1
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T.P.E.
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Memorie di una cagna - 10

Erano già due ore che lo aspettavo, seduta sulla poltrona del salotto, quando Lui scese a cercarmi ancora mezzo nudo e con l’aria assonnata.
“Perché diavolo sei già in piedi?”, domandò col consueto tono da figlio di puttana.
“Sono solo le otto del mattino!”. Poi guardò il vestito che indossavo e la giacca posata da una parte.
“Vuoi uscire?”, continuò senza ancora capire.
Io mi alzai lentamente, uscii dalla penombra in cui ero rimasta avvolta e lo guardai. Parve sorpreso dai lividi scuri che avevo in faccia, quasi me li avesse procurati un estraneo. Poi mi indicò i polsi fasciati con aria interrogativa.
“Scommetto che non ti sei nemmeno accorto delle lenzuola sporche di sangue!”, dissi sospirando, troppo stanca anche per parlare, per spiegargli che difficilmente quei solchi impressi dalle manette il giorno prima sarebbero scomparsi senza lasciare profonde tracce su entrambi i polsi. “Me ne vado”, dissi a bassa voce, “ti ho aspettato per salutarti, per pregarti di non cercarmi più”. Lo vidi stringere gli occhi, respirare profondamente, forse nel tentativo di trattenere la collera e poi andare di sopra.
“Mi vesto e ti accompagno”, disse, senza attendere la mia risposta. Non mi andava di vederlo ancora, col rischio magari che tentasse di convincermi a restare, a tornare indietro. Era capace di tutto, anche di fare assurde scenate stile “addio alla stazione” pur di raggiungere i propri scopi, e cioè quello di trattenermi e di ricominciare con i suoi giochetti violenti. Non dovevo più lasciarmi ingannare. Mi avviai verso la porta quando Lui mi raggiunse, dopo essersi infilato un paio di jeans e un pullover. Sorrise aprendomi la porta e per un attimo fui tentata di credere che quanto era avvenuto il giorno prima con Ramona non fosse stato che un brutto sogno, un incubo da dimenticare al più presto, ma poi abbassai gli occhi e senza guardarlo dritto in viso tutto diventò più facile. Salimmo in auto e partimmo, ma già dopo pochi chilometri mi accorsi che non stavamo andando a casa mia.
“Dove stiamo andando?”, domandai improvvisamente sospettosa. Lui disse che voleva portarmi in montagna, dove aveva un cottage molto bello, che purtroppo non aveva mai il tempo di sfruttare appieno.
“Non voglio venire da nessuna parte con te, nemmeno a fare una passeggiata, o una gita in montagna”, dissi decisa.
Lui accostò l’auto al ciglio della strada, si voltò a guardarmi con un sorriso tenero e mi prese le mani tra le sue.
“Ti prego..”, sussurrò, “lasciami qualcosa di bello da ricordare”. Non lo capivo, non lo capivo proprio. Com’era possibile che mi chiedesse tanto? Con che coraggio lo faceva, dopo avermi picchiata, umiliata e derisa? Come poteva pretendere che gli concedessi ancora una possibilità, seppur breve, di stare solo con me, se l’ultima volta ne aveva approfittato per farmi subire le cose più ignobili?
“Ti prego..”, sussurrò di nuovo, e per un attimo pensai che ero io la matta, quella che aveva sognato tutto, perché era veramente pazzesco che una persona potesse cambiare tanto radicalmente in così poco tempo. Tentai di pensare alle cinghiate, alla violenza, ai polsi che ancora mi dolevano, alla sua arroganza, ma stranamente mi vennero in mente solo le risate, i momenti belli, il desiderio folle di lui, gli orgasmi interminabili, le ore trascorse a letto, le notti insonni, il suo cazzo insaziabile dentro di me, nella mia fica vogliosa, affamata di lui.
“Va bene!”, dissi, “Un’ultima volta”.
E così ci avviammo verso le montagne, verso quelle ultime ore insieme.

La casa era un tipico chalet di montagna, una costruzione in legno composta da una stanza che fungeva da soggiorno e cucina, un piccolo bagno e una camera da letto. Era calda e accogliente nonostante lui avesse detto che non ci andava da mesi.
“C’è una persona che se ne occupa in mia assenza”, mi spiegò togliendo delle lenzuola pulite dall’armadio e gettandole sul letto. Lo guardai incredula. “Non stai dando troppe cose per scontate?”, domandai. Lui sorrise amabilmente.
“L’ultima volta, te lo ricordi?”, sussurrò. Non ero dell’umore migliore per scopare, ero ancora troppo provata dalle violenti emozioni del giorno prima, e non mi fidavo di lui. Mi venne vicino, allungò una mano per accarezzarmi una guancia, ed io istintivamente feci un balzo all’indietro.
“Volevo solo sfiorarti”, disse, eppure io mi ero già vista quella mano che calava pesantemente sul mio volto e mi gettava a terra. Era troppo presto, come avrei potuto scordare la sua follia? E poi, perché scordare? Chi mi assicurava che fosse stato solo un momento, un attimo di voglia cieca e distruttiva che però mai più si sarebbe ripetuta? Mi prese le mani tra le sue e cominciò a slegarmi le fasciature intrise di sangue, mentre io lo guardavo come ipnotizzata, senza la forza di oppormici. Finalmente i polsi furono messi a nudo e i tagli apparvero: rossi, umidi di sangue, coi bordi gonfi, infiammati.
“Sembrano le labbra della tua fichetta”, disse, e poi mi prese il palmo di una mano e se lo portò alle labbra. Lo baciò dolcemente e quindi fece scivolare la bocca più in alto, verso il braccio, finché non trovò la ferita aperta. E baciò anche quella. Lo guardai sconvolta e inorridita, e nonostante il senso di repulsione che il suo gesto mi procurava, qualcosa mi proibiva di strappare la mano dalle sue, di impedirgli di continuare quel rituale perverso. Protese la lingua, sfiorò la pelle tumefatta, e poi la immerse nella carne viva, sospirando di un desiderio che sapevo prorompente e ormai inarrestabile. Io urlai, urlai di dolore, o almeno mi parve di gridare, ma forse fu solo un gemito strozzato quello che mi uscì dalle labbra e che mi fece brancolare nel vuoto in preda alle vertigini. Tentai di voltare la testa, di non guardare, ma mi fu impossibile. Dovevo vedere la sua lingua che si immergeva nel mio sangue facendomi urlare per il dolore e per l’irrefrenabile desiderio che compisse gli stessi gesti in un altro taglio boccheggiante, quello della mia fica, che languiva spasimando per una leccata uguale. Accostò anche l’altro polso a quello che teneva già tra le dita e compì gli stessi gesti, lenti e misurati, quasi esasperati dalla calma che pareva essersi impadronita di lui. Di nuovo lo vidi immergere la punta della lingua nella ferita umida e percorrerla interamente. Questa volta urlai veramente e, pur accecata dal dolore, lo implorai di farmi godere, di prendermi. Lui alzò la testa, mi guardò negli occhi, ma io non riuscii a staccarli dalla sua bocca sbavata di sangue.
“Che cosa mi hai fatto?”, sussurrai, e insieme abbassammo lo sguardo sui miei polsi da cui sgorgava un denso fiotto di sangue fresco. Mi aveva letteralmente riaperto le ferite! Caddi sul pavimento, intontita e confusa, e sommariamente mi accorsi che Lui aveva raccolto le bende e velocemente mi stava rifacendo la fasciatura, bloccando l’emorragia. Poi mi prese in braccio e mi distese sul letto.

“Vado a cercare Giorgio, perché ci dia qualcosa di forte da bere”, disse, “Non muoverti! Torno subito..”.
Poi uscì e io rimasi immobile sul letto, ad aspettarlo, sperando che questa persona non abitasse lontano qualche chilometro, e tentando con tutte le mie forze di non pensare, di non cercare di capire, di ignorare gli spasmi e i fremiti voraci nella mia fica. Sollevai i polsi e guardai le bende che andavano inzuppandosi lentamente, convincendomi che ciò avrebbe dovuto ricordarmi la sua follia, la sua violenza, e non la voglia devastante che sapeva scatenarmi dentro! Dopo un po’ udii un tramestio, uno scalpiccio e non feci in tempo ad alzarmi dal letto, che già sulla porta era apparso un uomo, e alle sue spalle Lui. Guardai lo sconosciuto e fui subito certa che si trattasse di Giorgio poiché aveva tutte le caratteristiche dell’uomo di montagna, abituato a stare all’aria aperta: fisico asciutto, volto abbronzato, bicipiti gonfi e una stazza da taglialegna, che mi fece subito immaginare forza e vigore e magari qualcosa di notevole dentro i pantaloni. Gli tesi una mano per salutarlo ma lui fu lesto a prendermela e a mettermi in piedi con uno strattone.
“Ma che diavole vuole questo?”, protestai voltandomi verso quello che era stato il mio Padrone, e uell’abbozzo di sorriso che gli vidi stampato in faccia mi fece presagire il peggio. Non potevo esserci cascata di nuovo, Era assurdo che fosse riuscito a riprendermi in trappola
“Non lasciarglielo fare, ti prego!”, implorai mentre lo sconosciuto mi trascinava contro la parete, mi alzava le braccia e mi legava i polsi alle grate di ferro della finestra. Ma fu inutile e soprattutto troppo tardi. Mi ritrovai così col viso contro il muro, i polsi che stritolati dalle corde mi facevano impazzire di dolore, e un energumeno alle spalle disposto a tutto in cambio di quello che ovviamente gli era stato promesso.
Quando lo sentii strapparmi la camicetta sulla schiena fui certa di aver fatto il peggior errore della mia vita, ma anche che avrei avuto tutto il tempo e le occasioni per pagarlo di persona.
Giorgio mi strappò la gonna e naturalmente gli slip, poi si voltò a guardare Lui con aria interrogativa. Lui annuì in silenzio e allora Giorgio si tolse la lunga frusta di cuoio dalla tasca del giubbotto e la fece vibrare nell’aria. La prima sferzata mi fece voltare la testa di scatto contro la parete e sobbalzare con un gemito. La seconda mi fece urlare e addossare al muro, nel vano tentativo di sfuggire alla furia disumana dello sconosciuto. La terza mi fece gridare, piangere e implorare pietà. Poi per parecchio tempo ci fu solo un dolore insopportabile, il gusto salato delle lacrime, il rumore delle mie urla che pareva giungere da molto lontano e confondersi col respiro affannoso ed eccitato dell’uomo che mi frustava, affaticato dallo sforzo con cui abbatteva il nastro di cuoio sulla mia schiena.
Quando lo stridere delle mie urla terminò, non avendo quasi più fiato nemmeno per respirare, mi accorsi che il dolore mi percorreva la schiena non più per le frustate di Giorgio, ma semplicemente a causa della lingua di Lui che, come aveva fatto prima sui miei polsi, ora mi percorreva i solchi scavati nella schiena, dal basso verso l’alto. Me li leccava con un tale gusto perverso da darmi i brividi. Avrei voluto dirgli di smetterla, perché mi faceva male, ma dubitavo che ciò gli interessasse, quindi lo lasciai godere del mio corpo martoriato. Lo lasciai eccitarsi con i miei sussulti e i miei gemiti di sofferenza. Non potevo certo oppormi, nelle mie condizioni, e comunque non avrei avuto la forza di farlo. Quando fu sazio mi slegò, mi adagiò sul letto prona, poi chiamò Giorgio. Questi, quando riapparve nel mio campo visivo, aveva gli occhi lucidi, il volto arrossato e un’aria strana, confusa. Abbassai gli occhi tra le sue gambe e capii cosa avesse: c’era qualcosa di grosso e fremente che gli tendeva la cerniera dei pantaloni, qualcosa che si era nutrito delle mie lacrime e delle mie urla per crescere e tendersi a dismisura. Mi domandai se fosse possibile desiderarlo nonostante tutto. Se fosse possibile desiderare anche quest’uomo, questo sconosciuto complice del mio carceriere. Razionalmente no, non doveva essere possibile, eppure appena lui seguendo un preciso ordine, cominciò a calarsi i pantaloni, ne dubitai. Qualcosa mi si agitò dentro, qualcosa che sapevo malsano e pericoloso, ma allettante come un canto di sirene.
Il cazzo di Giorgio balzò fuori dai calzoni come un grosso biscione, scuro e congestionato, lustro di densi umori. Provai l’istintivo impulso di allungare una mano per afferrarlo, ma ero ancora legata e comunque non sarebbe stata una buona mossa. Come potevo convincerli a rinunciare ai loro sadici giochi se poi cedevo di buon grado non appena mi strofinavano l’uccello sotto il naso?
Mi sentii sollevare per i fianchi e poi adagiare su di un cumulo di coperte, in una posizione innaturale e di chiara offerta.
“Non potete violentarmi e sperare di farla franca!”, sussurrai sollevando la testa per guardare in faccia Lui. “Dovrete pagare per tutto questo!”. Lui sorrise, allungò una mano per accarezzarmi i capelli, e col tono che probabilmente avrebbe usato con un bambino, mi spiegò che si trattava di un gioco, di un innocente gioco.
“Tu hai sempre detto di essere mia, di appartenermi…”, spiegò, “ed io sono generoso. Divido sempre ciò che è mio con gli amici!”. Poi mi afferrò per i capelli e me li tirò con violenza, per tenermi il viso rivolto verso di lui.
“Qualcosa da obiettare?”, domandò improvvisamente ansante.
Avrei voluto mandarlo al diavolo, mordergli la mano, picchiarlo, ma ero legata stretta e oltretutto Giorgio mi si era accovacciato contro le cosce, con propositi facilmente intuibili. Infatti dopo un attimo mi sentii letteralmente spalancare il culo e riempire da qualcosa che mi sembrò un enorme tizzone ardente e deciso. Ero stretta, spaventata e forse più eccitata a livello mentale che non fisico, ma ugualmente lui si fece largo nel mio sfintere e incurante delle mie urla vi si annidò il più profondamente possibile, dove neppure dimenandomi come un’anguilla sarei più riuscita a scalzarlo. Mi quietai nel tentativo di riprendere fiato, ma già un altro nerboruto arnese era pronto a far tacere le mie suppliche. Mi ritrovai una cappella gonfia in bocca così all’improvviso, da sentirmi mancare il respiro, ma di questo Lui non si curò minimamente, e con una mano continuò a tenermi la testa premuta sul proprio cazzo mentre con l’altra ripercorreva i tagli sulla mia schiena, insinuando un dito in ogni solco, così che il dolore tornasse a divorarmi la carne.
“Sarai libera solo dopo averci fatto godere”, sibilò Lui e poi, contemporaneamente, iniziarono a stantuffarmi, bocca e culo, andando e venendo con tanto vigore da indolenzirmi tutta. E se per caso tentavo di allontanarmi da Giorgio, spingendomi in avanti mi trovavo la gola completamente ostruita dal cazzo di Lui, mentre se cercavo di riprendere fiato e sfuggire al suo randello impaziente mi ritrovavo impalata fino alle viscere. Era come essere attraversata da parte a parte da un lungo manico duro e solleticata sulla schiena da lunghi artigli acuminati. Ormai era fin troppo chiaro che realmente avrei avuto un po’ di pace solo svuotandoli completamente, spompandoli a tal punto da lasciarli accasciati sul letto, esausti e dimentichi di me.
Convinta che fosse la mia unica possibilità di salvezza, cercai di dimenticare il dolore e di concentrarmi unicamente sul piacere che dovevo procurar loro. Allungai la lingua sulla cappella di Lui e con l’avidità golosa e assetata di una ninfomane, gliela lappai a lungo, abilmente, succhiando senza mai staccare la bocca, fino a strappargli disperati e animaleschi gemiti di godimento. Eppure sapevo che far godere uno solo dei due non sarebbe stato sufficiente, quindi allargai le cosce, rilassai i muscoli del ventre e immediatamente il cazzo di Giorgio mi scivolò più in fondo. Volutamente mi ammorbidii e con un movimento da vera cagna, presi a contrarre ritmicamente lo stretto anello dello sfintere, così che l’uomo avesse la sensazione di essere persino succhiato dal mio culo.
“Ecco, finalmente hai capito!”, sospirò Lui. “L’unico modo per uscire di qui sulle tue gambe è quello di comportarti come una brava puttana”.
Tentai di non dare importanza alle sue minacce e di pensare unicamente a farlo sborrare, succhiando e spompinando fino ad avere il collo indolenzito. Il suo cazzo era grossissimo, duro, e quando le prime gocce di sborra gli inumidirono la cappella, non potei fare a meno di gemere di piacere e di esaltazione.
Ce la stavo facendo. Stava per cedere!
Sicuramente ero la miglior pompinara che glielo avesse mai succhiato. E anche Giorgio sembrava essere al limite della resistenza. Sentivo il suo respiro veloce e i fremiti e i sussulti del suo ventre che vibrava avanti e indietro, stantuffando sempre più in fretta. Era fantastico avere la gola e il culo pieni, sentirsi così colma, essere stata capace di portarli ad un tale livello di eccitamento. Mi sentivo il clitoride teso, gonfio, e strofinarlo contro i cuscini mi diede un piacere tanto intenso da farmi quasi venire. Avrei voluto da impazzire che uno dei due allungasse due dita per strizzarmelo e farmi colare dalla fica tutto il denso succo di cui era gonfia. Improvvisamente mi accorsi di essere eccitata come una porca, di godere di quei due mostri depravati che solo fino a qualche minuto prima mi avevano torturata.

“E così sei già stanca!”, esclamò Lui adirato. Senza rendermene conto, pensando al mio piacere, avevo rallentato il ritmo e avevo lasciato che il suo cazzo si afflosciasse nella mia bocca. Sapevo che non me lo avrebbe perdonato. Lo vidi staccarsi da me come una furia, allontanare Giorgio e strapparmi i cuscini da sotto il ventre.
“No, ti prego, ricomincerò da capo. Te lo succhierò per ore. Non picchiarmi ancora!”, implorai mentre lui mi girava supina.
Tutta l’eccitazione era scivolata via dal mio corpo a al suo posto era rimasta solo una patina di sudore freddo, dettato senza dubbio dal panico in cui ero nuovamente piombata. Lo guardai mentre toglieva dalla tasca dei pantaloni abbassati alle caviglie un astuccio di cuoio lungo e stretto, ne svitava il tappo e poi ne estraeva dei lunghi spilloni di metallo. Spalancai gli occhi inorridita. Quello non era più un gioco, ma una follia. Tentai di allontanarmi verso il bordo del letto, ma Giorgio mi teneva stretta per i fianchi e ghignava come un demonio. Di fronte al mio terrore, il cazzo di entrambi era immediatamente tornato rigido, eppure Lui non si accontentò di questo e proseguì nel suo folle progetto. “Se è il dolore che ti eccita tanto…”, sussurrò. “hai trovato il genio della lampada, quello che avvererà ogni tuo desiderio!”, e così dicendo mi strinse un seno tra le mani e lentamente vi conficcò lo spillone.
Urlai, mentre quell’affare di metallo pareva trafiggermi il petto da parte a parte. Ma lui non si fermò e continuò a infilzarmi finché non ne ebbi tre attorno ad ogni capezzolo. Le prime gocce di sangue resero Giorgio completamente folle. Non attese neppure il permesso per spalancarmi le cosce e conficcarmi il cazzo nella fica.
“Maledetta troia, ti sfonderò a sangue!”, urlò, e io me lo sentii affondare sino allo stomaco e straziarmi almeno quanto gli aghi che avevo nelle tette. Abbassai gli occhi e incredula notai che i capezzoli mi erano diventati duri, tanto che Lui si chinò a leccarmeli e a succhiarli come fossero stati piccoli cazzi. “Si, bagnati come una cagna, annegami l’uccello nel tuo succo!”, mugolava Giorgio col cazzo completamente annegato nella mia ciprigna.
Ero arrapata come non mai, terrorizzata e vogliosa. Quando Lui mi sfiorò le labbra con la punta del cazzo, spalancai subito la bocca e lo accolsi senza più fingere. Lo succhiai interamente, fino a farmi venire gli occhi lucidi per lo sforzo di accoglierlo tutto, ma mai gli avrei permesso di togliermelo ancora dalla bocca. Spalancai le cosce e mentre Giorgio mi inondava con un torrente di seme bollente, io ingoiavo i fiotti di Lui, più che mai conscia della presenza dolorosa degli aghi conficcati accanto ai capezzoli. Proprio per questo ero tanto eccitata da godere finalmente insieme ai miei due carnefici.

continua...........................
 
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view post Posted on 19/1/2013, 12:08     +1   -1
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T.P.E.
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Memorie di una cagna - 11

Lui se n’era andato. Mi aveva usata a suo piacimento per ore e poi, quando si era ritenuto soddisfatto, mi aveva abbandonata nelle mani di quell’energumeno di Giorgio, senza neppure accertarsi delle mie condizioni. Lo odiavo, come non avevo veramente mai odiato nessuno in vita mia, nonostante avessi la fica ancora fremente degli innumerevoli orgasmi. Anzi, forse proprio per questo desideravo che tutto ciò finisse al più presto, per poter tornare a vivere e godere in una maniera più umana. Quel che lui era in grado di scatenare dentro di me era diabolico, era qualcosa di così prorompente e animalesco da spaventarmi veramente. Quanto avrei potuto resistere in simili condizioni?
Divisa dal desiderio e dall’odio, dall’amore e dal rimorso?
Avvicinai una mano al viso per ravvivarmi i capelli, ma un dolore improvviso e lancinante mi fece addirittura gridare. Voltai il capo e mi accorsi di essere stata nuovamente legata alla testata del letto, sebbene non ricordassi quando, con pesanti catene di metallo.
Lanciai una rapida occhiata ai miei polsi, coperti di abrasioni, tagli e grumi di sangue coagulato e poi voltai la testa disgustata. Sarebbero rimaste profonde cicatrici, ne ero certa, sarei stata costretta a portare tutta la vita il marchio della sua follia e della mia pazzia di avergli creduto. Mi mossi cautamente nel letto sfatto e macchiato del mio stesso sangue, preparandomi al dolore che mi avrebbe attraversata dappertutto alla prima mossa falsa, ma non sentii niente. Ero come intorpidita, anestetizzata, oppure dopo il dolore delle frustate, tutto il resto era più sopportabile?
“Perché sei tanto irrequieta, non ne hai avuto ancora abbastanza?”, domandò Giorgio. Sollevai gli occhi e mi accorsi che era proprio accanto al letto, seduto su una sedia, con una rivista tra le mani.
“Dov’è Lui?”, domandai a mia volta, innervosita dalla sua presenza.
“Questo non credo ti riguardi”, rispose , “tu sei qui per ubbidire e non per pretendere spiegazioni”.
Avrei voluto essere libera per gettarmi su di lui e coprirlo di pugni e calci, per scatenare tutta la mia violenza su quell’essere disgustoso, che si sentiva in diritto di trattarmi come una sgualdrina qualunque solo perché gli era stato permesso di usarmi una volta. Non gli veniva in mente che forse potevo io stessa aver scelto di essere una cagna, ma che sicuramente non lo sarei mai stata di un essere spregevole come lui? Non pensava che forse Lui lo aveva autorizzato a fare certi commenti solo in sua presenza, ma che in sua assenza il gioco non sarebbe più stato lo stesso?.
“Non credo che Lui sarà molto felice di sapere che stai trattando la sua donna come fosse la tua puttana!”, sibilai con un sorrisetto soddisfatto. Giorgio scoppiò a ridere, come se avessi raccontato una barzelletta. “Devi proprio essere matta se dopo tutto questo non hai ancora capito di essere solo un giocattolo!”, rispose senza neppure guardarmi.
Non dissi nulla, ma sicuramente quella sua frase mi fece più male di mille frustate. Sarei stata disposta a sopportare le cose peggiori, torture e sofferenze per amore, ma se anche questo mi veniva negato, se realmente era tutto un gioco superficiale, allora le frustate sarebbero state sì solo violenza e sadismo. Allora non c’era più nulla di erotico tra me e Lui, c’era solo il suo gusto perverso di veder soffrire un altro essere umano a causa sua. Sentii un sospiro, un rantolo soffocato e voltandomi mi accorsi che Giorgio aveva tirato fuori il cazzo dai pantaloni e se lo smaneggiava lentamente, senza staccare gli occhi dalle pagine del giornale. Allungai lo sguardo e solo allora mi accorsi che stringeva tra le mani una rivista pornografica. Si stava eccitando, il porco! Voleva che l’uccello gli tornasse duro per potermi tormentare di nuovo con le sue voglie perverse. Ma dov’era Lui? Perché mi aveva abbandonata in balia di quest’estraneo, che in fondo poteva essere anche un pazzo?! Poteva essere un maniaco sessuale o uno di quegli uomini che, una volta scatenatisi, nulla può far tornare in sé! E Lui non c’era a tenere la situazione sotto controllo.
Cominciai ad avere seriamente paura e a desiderare che Lui tornasse al più presto. Non mi importava se mi avrebbe fatto dell’altro male, purché tutto ciò avvenisse per sua volontà. Sentii il giornale che cadeva sul pavimento e Giorgio che ansimava come un cane infoiato in cerca di una femmina da coprire.
“Lui te la farà pagare per questo!”, esclamai vedendolo avvicinarsi al letto con una luce famelica in fondo agli occhi. “Non puoi fare i tuoi porci comodi con la sua donna!”.
Giorgio era in piedi proprio accanto a me, mi fissava e godeva un mondo del mio terrore e della mia rabbia. “Il tuo Padrone se n’è andato e non tornerà più”, disse senza esitare, “d’ora in poi sarò io il tuo nuovo Padrone. Ti ha regalata a me e io adoro i giocattoli preziosi, quelli che si possono rompere con un solo gesto”
E così dicendo mi prese un polso e me lo strinse tanto che mi parve di sentire le ossa scricchiolare. Spalancai la bocca per urlare, fissando terrorizzata i suoi bicipiti che si gonfiavano nello sforzo di stritolarmi l’articolazione, e in un attimo il mio urlo fu soffocato dal suo cazzo. Mi si era conficcato tutto in gola così velocemente che annaspai in cerca di ossigeno. Ce l’aveva enorme, tanto gonfio da riempirmi tutta la cavità orale, fino a solleticarmi le tonsille.
“Potrei ucciderti, se volessi, lo sai?”, ansimò fissando i miei occhi sbarrati, allucinati. “Nessuno lo scoprirebbe mai e io farei la più grande goduta della mia vita, quella che a pochissimi è concessa!”.
Lo guardai stringermi ancora di più il polso e poi alzare l’altra mano per colpirmi.
“E continuerei a scoparti anche da morta, lo sai? Continuerei a pomparti mentre tu ti raffredderesti, e la tua fica si stringerebbe attorno alla mia cappella gonfia succhiandomelo come fossi ancora viva e affamata di cazzo”.
Poi sentii che il suo sesso mi entrava completamente in gola e allora mi si annebbiò la vista come prima di uno svenimento. Annaspai in cerca d’aria, scuotendo la testa per liberarmi di quell’affare gigantesco che pareva trascinarmi sempre più giù, in un gorgo scuro. Ma ero completamente immobilizzata. Non potevo far altro che lasciarmi uccidere. Poi il dolore al polso cessò all’improvviso e così anche quello alle caviglie, anch’esse incatenate al letto, e mi sentii benissimo, come se non fosse mai successo niente di grave. Smisi di scuotere la testa, di dibattermi, di agitarmi. Stavo benissimo, o almeno lo credetti veramente per qualche secondo, almeno finché non sentii un dolore improvviso e totale, accompagnato da uno schiocco secco.
Mi accorsi che mi bruciava tutto il lato sinistro della faccia, e avrei voluto poter allungare la mano per proteggermela dallo schiaffo successivo. Poi contemporaneamente il calore si trasfuse nella mia gola. Era un calore liquido, rovente, denso. Mi inondò la gola e lo sentii gorgogliare direttamente giù nello stomaco.
“Oh sì, bevitela tutta, fono all’ultima goccia”, sentii esclamare. E allora fui conscia di nuovo delle mani legate, della bocca indolenzita e colma, dell’impronta del palmo della mano di Giorgio che mi bruciava su una guancia come fosse stata impressa a fuoco. Mi resi conto di avere un polso paralizzato dal dolore e del cazzo dell’uomo che mi si ammosciava lentamente sotto il mio palato. Scoppiai a piangere, singhiozzando disperatamente e, finalmente, respirai di nuovo!
Il mio Padrone non mi aveva abbandonata, io lo sapevo. Sarebbe ritornato a prendermi e mi avrebbe riportata a casa. Tutta la storia della schiava e del padrone era solo un gioco, un gioco eccitante che forse in parte avevamo voluto insieme. Ma ora ero stanca di giocare, volevo che tutto tornasse come prima tra noi. Ecco, dovevo solo dirgli che il gioco cominciava ad annoiarmi e lui sicuramente avrebbe sorriso, mi avrebbe abbracciata e ce ne saremmo andati da quella casa di montagna, e da Giorgio.
“Devi dirgli di venirmi a prendere”, dissi guardando Giorgio che trafficava con alcune stoviglie.
“Anche i giochi erotici alla lunga stancano. Lui capirà, ne sono certa. Tu non ci crederai ma siamo molto simili, sappiamo esattamente quello che ci fa piacere e quello che non possiamo sopportare l’uno dell’altro”.
Giorgio non sollevò neppure la testa e quindi io continuai a parlare, tentando di convincere forse più me stessa che l’uomo, che stava andando tutto bene.
“E’ già successo altre volte tutto questo, lo sai?”, domandai, “Non potevamo fare a meno di sbranarci a morsi, di graffiarci, di desiderare le urla e il gusto del sangue”, dico, e mentre lo racconto mi sembra una cosa del tutto normale, regolare, quasi. “Lui godeva quando gridavo e io non potevo fare a meno di adorarlo per la sua forza, la sua decisione, la sua intransigenza. Ma era un gioco, nient’altro, possiamo smettere in qualunque momento se uno dei due non si diverte, ed ora io ho deciso che è meglio che torniamo a casa insieme, che ci tranquillizziamo un po’. Lo capisci?”.
L’uomo si voltò, venne verso di me con un vassoio.
“Il tuo Padrone non tornerà. Ora sei mia!”, rispose.
A quel punto non riuscii più a trattenermi e gli gridai le cose peggiori che mi passavano per la testa.
Stava mentendo, doveva essere così, non potevo essere stata abbandonata e regalata ad un simile individuo. Che razza di essere poteva fare una mostruosità del genere? Per l’ennesima volta mi sentii divisa e combattuta tra due sentimenti completamente diversi e contrastanti. Da una parte c’era l’amore per il mio Padrone, la voglia di stringerlo di nuovo, di tornare ad essere la sua donna. Dall’altra l’odio più sviscerato per ciò che mi obbligava a subire, oltrepassando senza dubbio ogni limite accettabile.
“Ora mangia”, disse Giorgio appoggiando il vassoio sulla sedia accanto al letto. Lo guardai disgustata.
“Va’ al diavolo!”, sibilai. “Preferisco morire di fame piuttosto che avere ancora a che fare con te!”. Lui alzò le spalle, sorrise e disse che non gliene fregava proprio niente di me, che potevo anche lasciarmi morire se volevo, certo non si sarebbe lasciato impietosire.
“Comunque resta il fatto che è ora di pranzo, e io ho fame”, disse alzandosi.
Io non avevo la più pallida idea di che ora fosse, o di quanto tempo fosse trascorso dal mio arrivo in quel posto allucinante, non c’erano orologi e comunque le imposte alle finestre erano state serrate proprio perché non entrasse la luce del giorno. Vidi Giorgio chinarsi sopra di me, prendermi tra le braccia e rigirarmi sul materasso, col viso affondato nel cuscino e il culo offerto.
“Cos’hai intenzione di fare?”, domandai. Ma me ne accorsi presto anche senza che lui rispondesse. Mi sentii allargare le natiche con entrambe le mani e poi inumidire il buchetto grinzoso con una sostanza morbida e scivolosa.
Allungai una furtiva occhiata sul vassoio e non ebbi dubbi: il porco si stava servendo di un comunissimo pezzo di burro per lubrificarmi il fondoschiena e agevolare il passaggio. Possibile che non fosse mai sazio di stantuffarmi davanti e di dietro in ogni angolo o anfratto del mio corpo?
“Ecco, ora non ti muovere, bellezza”, disse.
E io, giusto per non cedere a qualunque sua richiesta, stavo già per dimenarmi nervosamente, quando sentii le sue lunghe unghie spigolose conficcarsi nelle mie chiappe.
“Se dico che devi star ferma, ti conviene ubbidire!”, ringhiò col respiro corto.
E allora sentii qualcosa di lungo e assottigliato che mi entrava dentro, che mi si insinuava nel fondo dell’intestino, come una bacchetta sottile, e mi stuzzicava. Rimasi immobile tentando di identificare l’oggetto che andava e veniva languidamente, non allargandomi ma piuttosto punzecchiandomi in profondità.
“Che cos’è?”, domandai, senza riuscire a nascondere un leggero affanno. Lui non disse nulla e io odiai me stessa e soprattutto il mio corpo per quei fremiti che non riuscivo a frenare. Quel movimento lento, leggero ma continuo mi stava logorando come una tortura, mi rendeva impaziente. Sollevai un poco il culo, scostai le ginocchia quasi senza volerlo veramente, come fosse stato un riflesso incondizionato del mio desiderio, e chiusi gli occhi. Oh sì, volevo che lui continuasse, così sensualmente, a solleticarmi l’interno del ventre. Allo stesso tempo mi immaginavo colma di qualcosa di grosso, di più consistente, che mi facesse sentire veramente aperta e riempita. Era pazzesco lo so, ma inevitabilmente mi stavo arrapando. Non gli fu difficile capirlo e contemporaneamente punirmi togliendomi anche quel piacevole strofinamento.
Sentii il bastoncino sottile che mi scivolava tutto fuori, in fretta, lasciandomi tesa, disponibile, completamente offerta.
Poi un rumore insolito mi fece voltare la testa di scatto. Lui sorrise: si stava tranquillamente sgranocchiando il grissino con cui mi aveva punzecchiato il culo. Lo fissai incredula ma anche eccitata dal suo sguardo ardente e voglioso. Aveva l’aria di godere veramente di tutto ciò. Probabilmente avrei dovuto fingermi disgustata, schifata, ma riesco così raramente a nascondere quel che mi passa per la testa o quel che mi fa fremere la passera. Lui capì fin troppo bene di avermi risvegliata e ne approfittò per continuare il gioco tornando ad intingere nel mio culo altri grissini, verdure e qualunque cosa avesse a portata di mano, impaziente di gustarsele imbrattate dei miei umori.
Ed io non ero certo indifferente a simili smaneggiamenti, anzi ad un certo punto mi ritrovai ad agevolarlo in tutto, a porgere le chiappe perché mi usasse per quel suo lubrico banchetto, arrapata almeno quanto lui.
“Oh sì!”, mugolavo con la testa voltata verso di lui, “Divorami, mangiami tutta!”. E l’idea che lui stesse veramente gustando le mie profondità nascoste mi sembrava fantastico e atroce.
“Sei certa di non aver fame anche tu?”, domandò lui ad un certo punto. Lo scrutai attraverso gli occhi socchiusi. Mi sfidava, lo sapevo. Voleva che cedessi alle sue stesse voglie, che mi arrendessi.
“Perché non vuoi ammettere di essere solo una grandissima cagna, impaziente di godere?!”, sibilò. “A te non importa nulla del tuo Padrone e di nessun altro: tu vuoi solo godere. Sei schiava del sesso, del desiderio. Non hai bisogno necessariamente di un cazzo, quanto di venire, di provare un orgasmo!”.
Lo maledissi, gridai che era un mostro, un essere spregevole. Ma poi allungai la lingua verso di lui e presi a
slappare e divorare una banana che mi aveva appena ripassata nel culo più volte. Sì, aveva colpito nel segno: aveva scoperto la mia paura di essere più schiava del piacere che non di un uomo. Ma questo non mi impedì di godere come una porca quando finalmente il buco del culo me lo riempì col suo cazzo duro e eccitato, fino a sfondarmi ulteriormente.

continua.......................
 
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dr.jena
view post Posted on 19/1/2013, 15:37     +1   -1




bello.... inizialmente un po'..... non so come dire ma poi migliora
mi piace
 
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view post Posted on 19/1/2013, 18:12     +1   -1
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T.P.E.
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Manca poco alla fine Jena, non perderti le ultime due puntate!
 
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view post Posted on 20/1/2013, 11:36     +1   -1
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T.P.E.
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Memorie di una cagna – 12

Giorgio mi permise di stare seduta sul letto, quindi mi slegò le caviglie dal fondo e si limitò a legarmele l’una contro l’altra. Non potevo andare a spasso per la stanza quindi, ma almeno non ero distesa. Gli domandai di cambiarmi le lenzuola ma lui rispose che non era importante. Mi guardai attorno. Le coperte erano un groviglio di tessuti sul pavimento, la federa del cuscino si era strappata, chissà quando, e il materasso era rorido di sangue, sborra, lacrime….
Vivevo nuda in quel letto da giorni ormai. Lui non si era più fatto vivo, o almeno non con me. Forse Giorgio aveva ragione: ero semplicemente stata regalata ad un altro uomo, ora avevo un nuovo padrone. C’erano giorni in cui stentavo a ricordare il colore dei Suoi occhi, giorni in cui dubitavo fosse mai esistito un personaggio a cui avevo permesso di trasformarmi in un animale. Mi ripetevo che se avessi dovuto rincontrarlo lo avrei ucciso sicuramente, ma sapevo di mentire a me stessa. Probabilmente gli sarei caduta ai piedi e lo avrei implorato di riprendermi con lui, a qualunque costo. Ma lui non tornava, non mi cercava e i giorni erano molto simili gli uni agli altri. Giorgio non mi frustava più ormai, dopo le prime volte si era stancato. Giorgio era un animale, mi usava per godere, per soddisfare le sue voglie improvvise, ma non mi incendiava il sangue come sapeva fare il mio Padrone. Non desiderava le mie urla, non sembrava goderne. Se mi picchiava, a volte io gridavo, e a volte singhiozzavo in silenzio. Subivo come subirebbe qualcuno che non può difendersi, senza sentirmi divisa dal dolore e dal piacere come all’inizio.
Credo che quello che avevo provato per Giorgio all’inizio non fosse altro che un prolungamento che il mio Padrone aveva scatenato in me, ma ora che non sarebbe più tornato, il dolore era dolore e il piacere qualcosa di estremamente fisico e molto poco cerebrale. Godevo quando Giorgio mi ficcava dentro il cazzo all’improvviso, stantuffandomi di gran lena e per lungo tempo, ma la maggior parte delle volte dovevo ricordare le Sue mani per venire veramente. Pensavo alla Sua forza, ai suoi sospiri, alle sue urla. Ricordavo la rabbia, la violenza con cui mi trascinava sul pavimento per fottermi come una cagna, e allora l’orgasmo giungeva prorompente e inaspettato, carico di rabbia e di rimorsi. Ma è possibile avere nostalgia del dolore? Di un dolore autentico e lancinante, un dolore che logora e distrugge? E’ possibile, mi domandavo, continuare ad appartenere ad un uomo anche dopo che ti ha ceduta e se ne è andato per sempre? Chiamai Giorgio che trafficava nell’altra stanza.
“Ho bisogno del bagno”, dissi. Lui annuì, poi mi slegò le braccia dalla testata del letto, mi chiuse i polsi in un paio di manette perché le catene pesavano troppo per trascinarmele in giro, e mi fece inginocchiare sul pavimento, col ventre appoggiato al materasso. Poi si sistemò dietro di me e prese a slapparmi il culo voracemente. Era la solita trafila, un rituale quasi, che si ripeteva ogni volta. Lo lasciai fare. Lasciai che mi slappasse il solco tra le chiappe, che mi insinuasse la punta della lingua insistentemente, finché non mi aprivo e mi rendevo del tutto disponibile. Intanto la sua mano scivolava tra le mie cosce, mi strizzava la fica, me la sgrillettava con le unghie finché non sentiva il clitoride tendersi e indurirsi. Poteva andare avanti per ore così, purché infine mi sentissi veramente arrapata, tesa e umida, dilatata nell’attesa di qualcosa di solido che mi colmasse il ventre bruciante.
“Lo vedi che ti piace? Che lo vuoi anche tu, alla fine?”, sussurrò, soddisfatto.
Non risposi. La verità era che non lo volevo, non lo desideravo. Era la mia fica a non ubbidirmi. “Ora sai cosa devi fare, non è vero?”, ansimò. Io non volevo farlo, non avevo alcuna voglia di soccombere sempre a quella sua ripugnante mania, a quell’insistente desiderio di umiliarmi. Sapeva benissimo che odiavo quello che mi stava facendo fare, che non lo trovavo affatto eccitante ma proprio per questo lui lo adorava. Godeva molto di più nell’umiliarmi ormai che non picchiandomi a sangue. Quindi, scuotendo la testa per l’impossibilità di accettare quel gesto, nonostante non fosse la prima volta che mi costringeva a compierlo, allungai le mani tra le cosce e passandomele sotto la fica andai ad allargarmi il buco del culo.
“Ti prego, no!”, implorai per l’ultima volta, ma lui fu irremovibile. Affondai la testa nel materasso, come se non vedendo avessi potuto impedire anche a lui di guardarmi, e svuotai l’intestino di fronte ai suoi occhi. Presi a singhiozzare non appena sentii le mie stesse dita imbrattate e appiccicose e l’ansimo di lui che come al solito si faceva una sega gustandosi lo spettacolo. Mi domandai vagamente cosa mi spingesse ad accettare tutto questo: il timore di venir picchiata se non avessi ubbidito o forse la speranza che dietro a tutto ciò ci fosse ancora il volere del Padrone, il suo desiderio di possesso totale, anche indiretto quindi?
“Brava, brava, non smettere!”, sibilò Giorgio alle mie spalle, ed io potevo quasi udire lo strofinio esasperato del suo pugno.
“Fai presto, sbrigati!”, implorai perché realmente non lo avrei sopportato un secondo di più. Era abominevole tutto ciò, mi riduceva realmente al livello di una bestia, o peggio, di un semplice oggetto. Possibile che non avrebbe più contato niente quel che io volevo o non volevo?
“Grandissima troia!”, sibilò Giorgio. “Fai proprio di tutto, non sai rifiutare nulla al tuo Padrone!”. Ma io avrei voluto gridare che avevo avuto un solo Padrone, tutto il resto non era che un ostinato tentativo di far rivivere qualcosa che forse non ci sarebbe più stato.
“Puttana!”, urlò all’improvviso quando lo implorai di smetterla, “Non fiatare!”.
Lo sentii avvicinarsi e non ebbi il coraggio di immaginare ciò che avrebbe fatto.
“Devi solo ubbidire e il mio piacere diverrà anche il tuo!”.
Poi ordinandomi di non togliere le mani da dove le stavo tenendo, puntò l’uccello contro il mio culo, e me lo ficcò dentro.
“Oh, no, ti prego!, gridai, ma lui si era già insinuato in profondità e una volta ancoratosi al fondo del mio intestino sapevo bene che non lo avrei più disarcionato. Mi afferrò per i fianchi e prese a pomparmi velocemente, sgroppandomi sopra come un animale. Io sentivo bene il suo cazzo, duro come l’acciaio, che mi scivolava tra le dita e poi mi si conficcava nel culo, incurante di tutto il resto.
“Godo, sì, me lo fai diventare duro come il granito”, gridò sbavandomi sul collo. In effetti lo sentii gonfiarsi a dismisura e divenire saldo come un tronco d’albero, ma quando sospirai convinta che finalmente avrei avuto tregua me lo strappò fuori dal culo e me lo sprofondò abilmente nella fica. Sobbalzai e sebbene la mia testa tentasse di convincermi che tutto ciò era ripugnante, la mia sorca vogliosa la pensava in maniera ben diversa. I miei densi succhi andarono ad imbrattare ulteriormente l’asta di Giorgio che così lubrificata scivolò avanti
e indietro senza il minimo sforzo nel mio ventre voglioso. Sì, la verità era che avevo la fica gonfia come una pesca, dilatata e accogliente, scossa da spasmi febbrili che potevano essere quelli di una bocca affamata, una bocca capace di fare qualcosa di molto simile a un godurioso pompino. Poi venne copiosamente dentro di me ed ebbi pace. Come sempre era toccato a me poi ripulire tutto, e sotto la stretta sorveglianza di Giorgio, naturalmente. Mi rimise a letto, legata mani e piedi e poi uscì dalla stanza. Chiusi gli occhi.
Finalmente tornò il buio, non ne potevo più della luce elettrica.
Mi sforzai di pensare a qualcosa di bello, di non ricominciare a domandarmi quando sarebbe finita quella follia che mi aveva invasa come una malattia. Un giorno sarei stata di nuovo libera e forse sarei andata a cercare il mio Padrone. Sì, lo avrei cercato anche tutta la vita pur di potergli mettere le mani addosso e fargli pagare tutto il male che mi aveva fatto. Me lo immaginai, o meglio lo sognai, tra tanti altri maschi presuntuosi e arroganti, che parevano avere tutti il viso di Giorgio. Erano allineati contro una parete, completamente nudi, legati con le mani sopra la testa. Tremavano, sicuramente di paura. Poi nel mio sogno confuso apparve una donna, una giovane donna con occhi da gatta assassina, che indossava stivali di cuoio e un corsetto da cui sbucavano i capezzoli tesi e la fica polposa. Quella donna ero io, ne ero certa. La vidi avvicinarsi a quei maschi improvvisamente mansueti come agnellini e, nonostante questo, non aver pietà. Affondò le unghie nel petto di ciascuno di loro e poi, con un sorriso sadico sul volto, ricamò i loro corpi di lunghi graffi sanguinanti. Mi pareva quasi di sentirlo veramente il calore del sangue sotto le unghie e la pelle che vi rimaneva impigliata come negli artigli di una tigre. Gli uomini urlavano, si dibattevano e le loro smorfie di dolore erano autentiche, le loro grida agghiaccianti, ma la donna sapeva solo sorridere. Poi si chinò di fronte a uno di loro, si inginocchiò col viso all’altezza del cazzo dell’uomo e glielo prese in bocca. Prese a succhiare come una gran troia, a leccare i coglioni gonfi di seme, ad accarezzare le lunghe cosce frementi, il ventre sussultante. Leccava senza essere mai sazia, succhiava come la più incallita pompinara, mentre le mani vagavano dappertutto, dispensando carezze dolci da far rabbrividire.
“Godi, amore mio”, sussurrava di tanto in tanto, staccando la bocca per meglio leccare la cappella lucente, “riempimi tutta la bocca della tua sborra rovente, fammi sentire una donna vera, soffocami col tuo cazzo impaziente!”.
L’uomo ansimava e si dibatteva, diviso dal desiderio di lasciarsi andare e svuotare le palle in quella gola assetata, e l’orrore di stare al gioco. “Ti farò morire di voglia!”, gridò lei ad un certo punto. E allora qualcosa fu chiaro come un film: l’uomo aveva un anello di metallo infilato alla base del cazzo, che glielo stritolava sempre più man mano che l’erezione glielo faceva diventare gonfio e grosso.
“Ti farò morire di goduria!”, ripeté lei e infatti l’uomo sospirò, spalancò la bocca e si abbandonò all’orgasmo. La sborra esplose come un torrente in piena nella gola di lei, mentre l’anello di metallo cadeva a terra.
“Oh, sì, sì, godo!”, gridò l’uomo come molto da lontano, ma poi strabuzzò gli occhi e rimase come paralizzato. La donna si rialzò vittoriosa, col volto sbavato di sangue e il cazzo del maschio tra i denti. Nel sogno mi sentii molto forte, come chi ha appena consumato una grande vendetta. Sì, ero proprio io la donna del sogno, con l’aria famelica e impietosa. Mi sentii sfiorare da una mano, una mano indubbiamente maschile. Come era possibile se erano tutti legati contro il muro, in mia balia, di mia proprietà?
Mi voltai lentamente, ma avevo già riconosciuto quelle mani morbide e forti, quella stretta violenta e distruttiva: Lui era tornato…. ..
Spalancai gli occhi e me lo trovai di fronte. Doveva essere ancora un sogno, non poteva essere vero! Lo guardai negli occhi e il tempo parve correre a ritroso e fermarsi al giorno in cui se ne era andato. Niente era mutato, niente di quel che era avvenuto nel frattempo aveva avuto importanza. Lui era ancora lì, con me, come non fosse mai fuggito. Sorrisi e intrecciai le dita alle sue.
“Te ne andrai di nuovo?”, domandai quasi col timore che parlare a voce troppo alta avrebbe spezzato l’incantesimo.
“Sono tornato!”, fu l’unica risposta.
Poi d’un tratto mi parve di vedermi riflessa nei suoi occhi come in uno specchio, e allora balzai indietro inorridita. Dovevo sembrargli un mostro così conciata, una selvaggia. Mi rannicchiai in un angolo e lo guardai indecisa: avrei voluto gettarmi ai suoi piedi e implorarlo di tenermi sempre con sé, di farmi ciò che voleva ma di non abbandonarmi mai più eppure… Eppure tutto il tormento delle ore trascorse insieme stava tornando a galla, all’improvviso. Che cosa potevo fare? Cosa volevo veramente? Lasciai che fosse Lui a scegliere, come sempre. Lasciai che fosse Lui a decidere cosa doveva esserne di me. Mi fece stendere sul letto, senza parlare.
Ma il suo non fu un bacio tenero e dolce come di chi ritorna dopo una lunga assenza. Il suo fu un bacio violento, impaziente. Un bacio che sapeva di smania di mordere, di affondare dentro di me, nella mia bocca come nella fica. Lui sapeva di rabbia e di forza. Odorava quasi di violenza. Gli gettai le braccia legate insieme dalle catene dietro il collo, e poi mi abbandonai a lui.
“Sì, sì divorami”, implorai con un sospiro che nasceva dal fondo dell’anima, “fa’ di me quello che vuoi!”.
E allora fu come tornare a casa dopo tanto tempo, tornare al sicuro di una vita confusa e ingovernabile, l’unica che avessi mai conosciuto assieme a Lui. Che si liberò dal mio abbraccio con gli occhi lucidi e il respiro affannoso e con qualcosa di duro e impaziente che gli riempiva i pantaloni all’altezza dell’inguine. Mi distese nuovamente sul cuscino e mi liberò dalle catene. Lo guardai incredula: veramente saremmo tornati a casa, noi due soli, senza più dolore, senza più violenza, senza follia!. Prese le mie mani e se le portò alle labbra, le baciò teneramente e poi s’infilò un dito in bocca e lo succhiò. Mi guardava e sono certa che sentissimo la stessa emozione incendiarci i sensi e farci ribollire il sangue. Prese l’altra mano e mi succhiò anche quelle dita. Avevo avuto le catene per così tanti giorni che mi pareva strano aver i polsi tanto leggeri. Potevo muovere le mani ora, tendere le braccia per stringerlo, attirarlo a me e accarezzarlo. Potevo finalmente prendere l’iniziativa di insinuare le dita nella cerniera dei suoi calzoni e sfiorarlo dov’era più duro e palpitante. Urlai quando me lo ritrovai finalmente sotto le dita, urlai del piacere di aver trovato qualcosa che era come una parte di me. Ma lui mi bloccò con un gesto e si prodigò a sfilarmi gli aghi dai capezzoli, quelli che lui stesso mi aveva conficcato prima di andarsene e che Giorgio non mi aveva mai tolto. Ormai avevo imparato a conviverci e il dolore non era più lancinante come le prime volte. Potevo anche dormire a pancia in giù, ugualmente sapevo trovare la posizione migliore perché non mi si conficcassero ulteriormente nella carne.
Quando me li sfilò fu come se sradicasse qualcosa che era ormai divenuto parte del mio corpo e mi pareva naturale quindi che, rompendosi i coaguli, il sangue tornasse a scorrere. Mi parve naturale che insieme a Lui fosse tornato il dolore, il piacere, il sangue, l’impazienza: Lui era tutto questo e io potevo sopravvivere solo con lui.

continua.............................
 
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view post Posted on 21/1/2013, 14:59     +1   -1
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Memorie di una cagna – 13

“Perché te ne sei andato? Perché hai permesso che Giorgio mi trattasse come una puttana?”, domandai soffocando un sospiro.
Lui era chino su di me, sui miei capezzoli gonfi e martoriati, e mi leccava ogni gocciolina di sangue come stesse per morire di sete.
“Perché mi hai lasciato credere che non ti avrei più rivisto?”, domandai ancora con la pazzesca voglia di picchiarlo per quanto mi aveva fatto soffrire. Lui non rispose. Sollevai il viso, lo guardai far guizzare la lingua voracemente ed ebbi voglia di urlare. Era possibile che desiderassi anche il dolore, purché mi venisse da lui? Gli afferrai la nuca con le mani e gli spinsi la testa ancor più contro il mio seno, con forza, finché non sentii i suoi denti.
“Mordimi!”, implorai, non potendo evitare di associare il dolore al piacere, non riuscendo a dimenticare che dopo le lacrime veniva sempre l’orgasmo. Ma lui esitava, mi lambiva dolcemente, facendomi solo intuire la forza che ricordavo. Era tenero e appassionato, così come avevo sempre sognato che fosse il nostro rapporto. Dolce e sincero. Era autentico, spontaneo, eppure in tutto ciò si celava un’attesa che stava diventando così esasperata da rendermi frenetica e impaziente. Guardai le sue mani che si posavano leggermente attorno ai miei capezzoli, che accarezzavano, che scivolavano quasi distrattamente verso il mio ventre. Mugolai scuotendo la testa. Dov’era la forza, la rabbia, la follia? Perché le sue dita non tracciavano solchi profondi nella mia pelle? Perché i suoi baci non mi si sprofondavano nella carne? Perché le sue mani non andavano a intingersi nel mio sangue per incendiarmi l’anima?
“Ti prego, ti prego!”, implorai quasi con le lacrime agli occhi, annientata dall’attesa di ciò che avevo creduto di odiare.
“Ti prego che cosa?”, sibilò lui senza staccare la bocca. E allora mi accorsi che nemmeno lui era insensibile ai miei palpiti e ai miei fremiti di nostalgia. Mi resi conto che aveva piena coscienza di ciò che andava scatenandomi dentro.
“Non ti piacciono più le mie carezze e i miei baci?”, domandò sfiorandomi con un dito il clitoride gonfio. “Non vuoi più che faccia l’amore con te?”.
Lo strinsi con forza. Sì, sì che volevo che mi prendesse, che sprofondasse nuovamente dentro di me, ma come spiegargli che desideravo ancora quella violenza per cui giorni prima lo avevo tanto odiato?
“Cosa vuoi? Rispondi!”, insistette lui. Ma forse non avrei mai trovato il coraggio di confessargli la verità.
“Che cosa vuoi da me?”, ringhiò contro la mia bocca, mentre la mano tra le mie cosce diveniva una morsa e mi stringeva tanto da farmi urlare. Lo guardai implorante, perché smettesse o perché continuasse? E la reazione istintiva sarebbe stata quella di scostargli la mano e impedirgli di continuare a stritolarmi il clitoride, ma non lo feci. Rimasi sotto di lui, dimenandomi nel tentativo di svincolarmi, ma senza alzare un solo dito per fermarlo. “Che cosa vuoi da me?, andava ripetendo in un sussurro a denti stretti, affondando anche le unghie nella carne della mia fica umida e gonfia. Non riuscivo a rispondergli. Insieme al dolore c’era il piacere,
insieme alla sofferenza il desiderio e l’urlo che non riuscii a trattenere era di dolore, ma fu subito soffocato da un impetuoso orgasmo.
Mi abbandonai tra le sue braccia, mezza intontita, così colma di lui, della sua presenza, da sentirmi realmente un suo prolungamento, o forse, anzi certamente, una sua proprietà. Ma mi andava bene anche così, era ciò che volevo. Appartenergli.
Lo sentii che si alzava lentamente dal letto, quasi per non disturbare il mio sonnacchioso abbandono. Non aprii gli occhi. Lo immaginai intento a racimolare la mia roba, a cercare il mio vestito per prepararci a tornare a casa. Udii un rumore di ferraglia proprio sopra la mia testa. Sicuramente stava togliendo le catene per riporle in un cassetto, non era il caso di portarle a casa. Stavo bene sì, mi parevano secoli che non mi sentivo così appagata e tranquilla.
Sentii il sonno che mi avviluppava lentamente, che mi trascinava in un sogno silenzioso.
Ma d’un tratto un dolore acuto mi fece spalancare gli occhi. Mi guardai attorno intontita e confusa, allungando le mani sul mio corpo in cerca del punto in cui me lo sentii trafitto da fitte lancinanti. Lui era sopra di me. Lo guardai incredula, mentre mi si riempivano gli occhi di lacrime, incapace di coordinare i movimenti, di rendermi conto di cosa stesse succedendo. Poi, prima che potessi chinare il capo, me lo ritrovai faccia a faccia, labbra contro labbra, che soffocava le mie proteste confuse infilandomi tutta la lingua in bocca. Boccheggiai tentando di scansarlo, ma il dolore mi esplose nella testa.
Sentivo solo un sordo pulsare che mi impediva di pensare, di agire. Del resto non so cosa avrei potuto fare. Lui mi copriva letteralmente col proprio corpo.
Aveva il cazzo duro, gonfio, che mi premeva contro il ventre. Indossava solo la camicia e quel bastone di carne rovente era quindi libero di insinuarsi nelle pieghe del mio corpo, di ritrarsi e poi di nuovo sondarmi. Solo vagamente mi rendevo conto del suo respiro affannoso, della lingua che insaziabile continuava a frugarmi il palato, delle sue mani ancorate ai miei polsi, che mi tenevano inchiodata al letto. Mi spalancò le cosce e prese a strofinarmi la cappella umida attorno alle grandi labbra. Lo lasciai fare, troppo sconvolta per preoccuparmi del suo desiderio. Pareva quasi che il dolore venisse da lui, dal suo corpo premuto contro il mio, che mi si agitava sopra come un essere famelico.
“Lasciami!”, gridai quando finalmente mi permise di respirare e affondò la testa nel mio collo. Ma una decisa stoccata mi penetrò tra le cosce, completamente, smorzando quel mio affannoso agitarmi. Ora concentrarmi solo sul dolore divenne un puro atto di volontà. Quel randello pulsante che mi trafiggeva senza pietà non era più ignorabile e, nonostante l’acuta sofferenza che mi martellava dappertutto, tornai ad avere coscienza di tutto il mio corpo, e soprattutto della mia fica. Chiusi gli occhi e mi resi conto ancora di più di lui che si agitava sopra di me, dimenando i fianchi per spingermelo sempre più dentro. Lo sentii sgusciare avanti e indietro come un pistone, e questo mi fece pensare alla mia fica allagata di umori densi e odorosi, al desiderio di essere tutta aperta e poi irrorata del suo prezioso succo. Il calore del godimento mi si diffuse lungo le cosce fino alle dita dei piedi e poi di nuovo risalì fino a colmarmi il ventre sussultante. Ero calda, aperta, disponibile e quel cazzo mi conosceva bene e sapeva il ritmo della mia sorcetta, quello con cui doveva essere suonata. Lui tornò a baciarmi e questa volta non mi opposi anzi, gli leccai le labbra con la punta della lingua, gliele succhiai, impaziente di bere dalla sua bocca. Il bruciore del mio ventre si contrappose a quel freddo che mi tormentava, sotto il suo petto. Ecco, finalmente avevo localizzato la causa del dolore: era il continuo strofinarsi dell’uomo contro il mio seno. Era tutto lì il male che mi aveva trafitta, quasi che il suo desiderio di vedermi soffrire si fosse concretizzato dentro la sua anima come un pugnale e mi stesse ora trafiggendo il cuore. Ma non lo scostai, non tentai più di sottrarmi. Il piacere che provavo riusciva a soffocare e annientare tutto ciò che non fosse il suo cazzo che mi rovistava sempre più energicamente. Io stessa spalancai le cosce e mi inarcai verso quella sua lama di fuoco.
“Sì, eccolo, fammelo sentire tutto!”, ansimai arrendendomi per l’ennesima volta sotto i colpi del suo maglio. “Ti voglio da morire, sfondami senza pietà”, dissi. Lui era enorme, duro e impaziente almeno quanto me, e quando mi sentì chiudere le cosce per afferrarlo, e contrarre la fichetta come una bocca, mi prese la testa tra le mani e la strinse.
“Sei mia, mi appartieni!”, ringhiò e poi un caldo torrente di sborra mi inondò fino allo stomaco, e venni insieme a lui.
Si alzò lentamente dal mio corpo e la prima cosa che notai fu la sua camicia macchiata di sangue all’altezza del petto. Solo quando fu sceso dal letto abbassai gli occhi e mi accorsi che quel sangue era il mio e proveniva da un anello di metallo conficcato nel mio capezzolo sinistro. Allungai la mano e mi toccai il seno inorridita. Non usciva più sangue e il dolore si era momentaneamente quietato, ma al minimo movimento la catena che vi era attaccata me lo avrebbe strattonato. Era pazzesco, stentavo a crederci. Ecco perché mi aveva liberato le mani, unicamente per incatenarmi in quest’altro barbaro modo.
“Ma non andiamo a casa?”, domandai stupidamente colta da improvviso terrore.
Lui rise, si infilò i pantaloni, si sedette su una sedia e chiamò Ramona.
“Che significa questo?”, gridai vedendola apparire nella stanza.
“Eccola qui tesoro, è tutta per te”, le disse lui.
Lo guardai con occhi di ghiaccio. Non era cambiato niente allora, era tornato da me solo per divertirsi ancora un po’? Vidi lei avvicinarsi con aria altezzosa. Aveva addosso un vestito rosso che lui mi aveva comprato mesi prima e che sicuramente quella troia aveva preso nel mio armadio, o forse era stato lui stesso a regalarglielo. Calzava sandali dai tacchi alti, era truccata, pettinata e al polso aveva un bracciale d’oro che lui mi aveva regalato il secondo giorno che ero andata a vivere a casa sua, dicendo che con quella grossa catena al braccio non gli sarei più sfuggita.
“Schifosa puttana!”, urlai quando fu a pochi passi dal letto e, trovandomi con le mani inaspettatamente libere, mi tuffai sul suo viso con le unghie in mostra come artigli. Troppo tardi mi ricordai di avere una catena attaccata al capezzolo e lo strattone che ne ebbi mi fece contorcere in una smorfia di dolore lancinante. Ma avevo fatto centro e la troiaccia gridò insieme a me. Non mollai la presa e le mie unghie si conficcarono facilmente nel suo bel viso truccato. Il dolore al petto non fu nulla in confronto al piacere di vederle le guance rigate di sangue e gli occhi sbarrati dal terrore. Lui fu rapidissimo a dividerci, spingendomi sul letto brutalmente e offrendo un fazzoletto alla sua protetta. Sghignazzai istericamente sapendo bene che avrei pagato caro il mio gesto, ma troppo soddisfatta del volto sconvolto di lei per pentirmene.
“Bastardi figli di puttana!”, sibilai.
Ma allora la ragazza gettò a terra il fazzoletto e rabbiosa si scaraventò su di me.
“Ti farò a pezzi, ti farò implorare pietà in ginocchio”, urlò lei afferrando la catena legata all’anello e strattonandola sadicamente. Gridai, convinta che mi avrebbe strappato il capezzolo, quando la vidi sobbalzare e rabbrividire, sotto lo schiocco secco di una frustata.
“Che diavolo vuoi fare?!”, urlò lei voltandosi come una vipera.
Ma lui fece nuovamente vibrare quella specie di “gatto a nove code” sul suo fondoschiena e le intimò il silenzio con una sola occhiata.
“Me la pagherai!”, urlò lei, ma di nuovo una sferzata la colpì riducendole l’elegante vestitino in brandelli.
Sentii un liquido colarmi tra le cosce quasi fossi venuta e mi resi conto che la scena mi aveva fatto sciogliere in un lago di calda broda. Ero più bagnata che mai, più eccitata che dopo due ore di un saldo cazzo nella fica. Ma non ci pensai neppure per un istante a dar da vedere il mio stato d’animo. Conoscevo fin troppo bene quella Sua luce negli occhi e sapevo che non c’era da aspettarsi niente di tranquillizzante. Le si avvicinò, la prese per la nuca e le spinse la bocca contro il mio capezzolo inanellato.
“E ora lecca!”, ordinò.
Lei scosse rabbiosamente la testa e allora lui le strappò completamente l’abito e questa volta la frustata la colpì proprio tra le cosce, sulla parte più tenera e delicata. Ramona scoppiò a piangere come una ragazzina terrorizzata e poi docilmente allungò la lingua sul mio capezzolo. La mosse piano, lentamente, diligentemente.
Le sue lacrime colarono sul mio petto, roventi come acciaio fuso, facendomi fremere di voglia e solleticando il mio orgoglio. Ma non osai fare il minimo gesto, o mostrarmi soddisfatta della sua punizione. Lui ci sorvegliava a distanza. Semplicemente non mi mossi e lasciai che il mio capezzolo si indurisse e che Ramona me lo succhiasse. Sospirai, divaricando le cosce tra cui mi pareva di avere un fuoco, e poi voltai il capo verso di Lui. Era in piedi accanto al letto, con la frusta abbandonata lungo il fianco e gli occhi socchiusi, sornioni, come quelli di un gatto, attento ad ogni nostra smorfia.
Non dissi nulla ma sospirai e fui certa che lui leggesse bene il mio stato d’animo. Sapeva bene cosa stavo provando, cosa mi divampava dentro. Sapeva che non avrei mai fatto un solo gesto di vittoria o di soddisfazione ma che comprendevo bene il suo desiderio di vedermi godere. Faceva tutto parte di un disegno complesso e confuso, un disegno che potevamo leggerci negli occhi a tratti, che lui aveva collocato subito, sin dall’inizio, nella nostra storia.
Avevo gli occhi lucidi e il respiro affrettato. La voglia di lui mi scoppiava dentro ma non mi ritenevo autorizzata a sfiorarlo come avrei desiderato solo per il fatto che non aveva permesso a Ramona di farmi male. Guardai i miei polsi liberi e allora mi venne quasi istintivo un gesto che credevo non avrei più compiuto senza esserne obbligata. Alzai le braccia sopra la testa. Afferrai con entrambe le mani la sbarra del letto. E tornai a guardarlo. Non avevo bisogno di essere incatenata per scegliere di fare solo ciò che lui desiderava.
Lo capì. Mi si avvicinò, si slacciò i pantaloni e mi ficcò il cazzo in gola.
Tutto, fino a impedirmi di respirare. Sapeva che avrei potuto morderlo per liberarmene o meglio, avrei potuto allungare una mano per scansarlo. Ma non feci nulla di tutto ciò. Strinsi convulsamente la sbarra del letto e nonostante realmente stentassi ormai a respirare, non mi opposi al suo gesto. Avrebbe anche potuto soffocarmi, uccidermi, ma ugualmente non lo avrei allontanato. Non avevo bisogno di essere incatenata per fare solo il suo volere, per appartenergli. Quell’invisibile catena che mi legava a lui era molto più resistente e… pericolosa.
Chiusi gli occhi quando cominciò a girarmi la testa e allora lui mi prese per i capelli e con un gesto violento mi strappò dalle sue labbra. Lo guardai rantolando. Aveva gli occhi lucidi, il volto teso, confuso. Respirava affannosamente e il cazzo era rosso come stesse per sborrare da un momento all’altro. Aprì la bocca per parlare (forse mi immaginai di leggere un “ti amo” sulle sue labbra..) ma non disse nulla e per un attimo mi parve egli stesso incredulo e sconvolto dal potere che aveva su di me!

FINE
 
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16 replies since 26/12/2012, 15:14   6190 views
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