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Diventare un leccapiedi, fetish, feticismo piedi, punizioni, bdsm, sadomaso

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view post Posted on 14/3/2013, 23:09     +1   +1   -1
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T.P.E.
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Racconto non autografo, trovato sul web, dal sito annunci69, autore anonimo
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Venere (questo il suo nick) era una donna sui quarant’anni, campana, bella e affascinane quanto crudele; il suo compito sarebbe stato quello di addestrare Marco un ragazzo poco più che ventenne, per farlo diventare un perfetto leccapiedi. Marco non aveva mai avuto esperienze in campo femdom, ma da sempre aveva sentito la vocazione al servizio delle donne e alla totale sottomissione alle loro estremità.
Le prime volte che si incontrarono si sentì in imbarazzo, e non seppe come comportarsi, ammaliato dalla suprema bellezza della sua padrona, e stregato dai suoi modi di fare estremamente signorili. Da subito la sua padrona mise in chiaro alcune cose: da quando fosse entrato nella sua casa, e ogni qualvolta fosse rimasto al Suo cospetto, gli occhi di lui non avrebbero potuto guardare altra parte del corpo se non le Sue divine estremità. Inoltre, ogni qualvolta lo schiavo avesse mostrato reticenza, sarebbe spettata a lei la decisione su come “convincerlo”.
Iniziò così il suo percorso di sottomissione. La prima cosa che dovette apprendere fu il baciapiedi: la sua padrona gli insegnò pazientemente ad inginocchiarsi e a baciare dapprima le calzature (di qualunque sorta) partendo dal collo e scendendo gradualmente verso la punta. Inizialmente Marco era riluttante a baciare le scarpe impolverate, sporche o maleodoranti, e la punizione più comune che la sua padrona gli infliggeva era il calpestamento della mano. Pian piano si abituò a baciare ogni calzatura di qualsiasi stato di pulizia. Fu presto assegnata allo schiavo anche la pulizia e la cura delle calzature della padrona, la cui scarpiera doveva essere tenuta costantemente pulita e in ordine; spesso lo schiavo dovette passare ore a lucidare gli stivali della padrona mentre questa intratteneva il suo compagno nella camera. Quando la padrona lo ritenne opportuno permise allo schiavo di passare ai piedi: insegnò lui a baciare delicatamente le sue dolci e vellutate estremità, partendo dalla punta delle dita (due baci per ognuna), salendo poi gradualmente alle unghie (che spesso erano smaltate d’un nero lucido o d’un rosso vivo), al dorso del piede, il tallone, il collo fino alla caviglia. Se la padrona lo desiderava, si distendeva sul divano adagiando le sue gambe divine su uno dei braccioli, in modo da tenere i piedi sospesi: era il segnale che lo schiavo poteva passare a baciare le suole, continuando fino a quando un calcetto datogli sulla fronte non gli intimava di fermarsi. Fu durante questa fase del suo percorso che Marco iniziò ad assaporare la frusta: spesso infatti i suoi baci lasciavano un sottile velo di saliva sui piedi della padrona, e la punizione per tale mancanza era costituita da una serie da 10 frustate o di un ceffone energico sulla guancia; iniziò a sperimentare la crudeltà della sua padrona, che alle sue suppliche rispondeva accentuando ancora di più la violenza dei colpi.
Col passare del tempo le punizioni divennero meno frequenti (per l’esperienza sempre crescente dello schiavo), ma più intense. Lo schiavo dovette iniziare ben presto ad utilizzare la lingua per la pulizia delle scarpe: per stivali o scarpe chiuse in generale non fu difficile imparare a rimuovere la polvere che si depositava sulla parte posteriore, nonostante la iniziale riluttanza per i sapori sgradevoli che tale azione comportava. Il sapore del cuoio, che lo eccitava fino all’inverosimile, era per lui una adeguata ricompensa. La padrona concesse lui di evitare le suole (che per adesso puliva usando i suoi capelli come tappetino), ma non di succhiare i tacchi, che si divertiva ad infilare nella bocca del povero ragazzo e a muovere ritmicamente. Per quanto riguarda i sandali l’apprendimento risultò più difficile: la sua padrona non avrebbe in alcun modo tollerato che la sua lingua potesse sfiorare anche minimamente i suoi piedi, e passare con la punta della lingua i lacci sottili non fu di immediato successo. La punizione per aver deviato dai lacci dei sandali ed aver toccato appena la pelle del piede destro con la punta della lingua fu un calcio sui testicoli dato con le ginocchia: lo schiavo non dimenticò mai il dolore lancinante che ne seguì, lasciandolo senza respiro per alcuni secondi.
Prima di avere l’onore di leccare le divine estremità di Venere, lo schiavo avrebbe dovuto abituarsi all’odore dei piedi: fino ad allora aveva soltanto annusato una leggera fragranza di cuoio, che poteva arrivare al massimo all’odore (frammisto di gomma e salsedine) che i sandali lasciavano sulla pelle del piede durante le calde giornate d’estate. Adesso la padrona lo voleva avvezzare ad odori più forti: dapprima lo costrinse ad annusare senza pausa gli stivali dopo che erano stati indossati (appositamente) per ore nel corso di lunghe passeggiate; poi, dopo avergli messo un guinzaglio, lo agganciò a corto alla sua cavigliera in modo da mantenere il viso del ragazzo costantemente a pochi centimetri dal suo piede, mentre si riposava sul letto (e gli inferiva di tanto in tanto dei calcetti). La padrona inventò poi tecniche di tortura più raffinate, come il legare le scarpe direttamente sulla faccia dello schiavetto e lasciarlo così per ore a svolgere le sue mansioni; oppure il legargli le sue calze usate sul naso e nella bocca. All’inizio ciò costituì un vero supplizio, che a volte superava l’eccitazione da questo scatenata. Il tutto era reso ancora più degradante dalle umiliazioni e dalle risate che la padrona non gli risparmiava, e dalle frustate che di tanto in tanto vibravano sulla sua schiena nuda.
Finalmente fu pronto a svolgere il compito da lui lungamente agognato: il feet licking. Inizialmente la padrona lo fece cominciare con piedi puliti, insegnandogli a leccare caviglia, dorso e dita; poi passò alle suole, che richiesero molte più attenzioni e pratica: giusta pressione della lingua, leccate compatte e soffici, salivazione moderata e soprattutto frequenza adeguata. La pulizia fra le dita richiedeva invece l’uso della punta della lingua, a colpi rapidi e decisi. Il toe sucking risultò invece di più facile attuazione: doveva infatti muovere la testa su e giù per alcuni minuti, ad ogni dito, ed aspirare delicatamente. Per lo schiavo fu quasi un’estasi mistica, il sentire le unghie della sua Signora sfiorare il suo palato, il calore e il sapore delle dita echeggiare nella sua bocca. Il passo successivo fu la pulizia dei piedi sudati: già abituato all’odore forte, ora lo schiavo non incontrò difficoltà ad assaporare il sudore acre e salino, e nutrirsi avidamente e devotamente dell’essenza dei piedi della sua padrona, come si trattasse di nettare divino.
Nel giro di alcune settimane il ragazzo aveva assunto una esperienza tale da poter essere considerato un leccapiedi professionista. Ma le prove decisive e più difficili sarebbero dovute ancora arrivare, e lui non ne era consapevole.
Venne infatti costretto anche a baciare i piedi del compagno della padrona , pur se riluttante a servire un maschio: le punizioni per la sua reticenza erano infatti al solito dure, andando dai calci sui testicoli, ai ceffoni, alle frustate. La padrona si divertì poi a cospargersi i piedi di olio, panna, vino e bevande più disparate e a costringere lo schiavo a leccarli.
Una volta la padrona si sedette in divano col suo compagno, ordinando allo schiavo di accucciarsi ai loro piedi; poi slacciò i pantaloni al compagno ed estrasse il suo membro in erezione; fece avvicinare lo schiavo a pochi centimetri dal glande pulsante, e disse: “guarda che bel cazzo, guarda com’è più grande del tuo, questo è un vero cazzo, annusalo, annusa bene tesoro, abituati all’odore hihihihi”. Poi iniziò a palpeggiare con le sue bellissime mani il membro del compagno, che mugolava di piacere; d’un tratto si interruppe, porse la mano aperta davanti alla faccia dello schiavo ed ordinò di leccarla. Aveva le dita lunghe e affusolate, e le unghie tinte di porpora. Egli obbedì, ed iniziò a passare la sua lingua sul palmo, poi fra le dita, assaporando il liquido salino e trasparente che il pene aveva iniziato ad emettere. Poi fu ordinato al ragazzo di togliere i sandali rosa che la padrona indossava, dopo di che questa iniziò ad eseguire un footjob all’uomo, muovendo ritmicamente e delicatamente le sue estremità, fino a quando questo non venne emettendo un grido di piacere, inondando di sperma il collo e il dorso dei piedi della sua compagna. La padrona continuò a strofinare le suole dei suoi piedi sul glande dell’uomo, raccogliendo i residui di liquido; poi fece cenno col dito di avvicinarsi al ragazzo, sorridendo beffardamente. ”Ti piaciono i miei piedini?” – sussurrò all’orecchio -“Si padrona”- “Allora avrai l’onore di ripulirli hihihihi”. Lo schiavo non ebbe scelta, ed iniziò a leccare via lo sperma residuo, iniziando a leccare prima il collo, scendendo fino alle dita, succhiando queste una ad una, mentre i due lo deridevano e a volte lo picchiavano delicatamente con la frusta. Intanto il sapore dello sperma, acido e salato, patinava la sua bocca, riempiendolo di disgusto e allo stesso tempo di eccitazione. Alla fine leccò le suole, mentre la sua padrona distendeva le dita dal piacere, colpendo di tanto in tanto il ragazzo con l’altro piede, sospirando mentre si rilassava.
Questo fu l’epilogo del percorso di addestramento: solo ora si sentiva pienamente appartenente alla sua padrona, ai suoi piedi, e sentiva un immenso piacere nell’esaudire gli ordini della sua Dea e nel suscitare il suo gradimento. Era diventato un vero schiavo.
 
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