Racconto tratto dal web, sito eroticiracconti, autore anonimo.
Il racconto si svolge in un giorno, notte, giorno, alba.
Dopo un'introduzione dell'antefatto si sviluppa in crescendo bdsm con un finale improvviso e originale.
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1 - NOTTE
Chi? Mio marito? Ma fammi il piacere. Non gli verrebbe il minimo sospetto neanche se ci vedesse insieme tutti e quattro. Il suo unico pensiero è il lavoro: solo e soltanto lo stramaledetto lavoro e nient’altro. -
- Ma come fai a giustificare i tuoi rientri all’alba?-
- Gli dico che vado a cena con le mie amiche. -
- E lui ci crede sempre? -
La donna ebbe un gesto di impazienza: non era per fare due chiacchiere che si era imbarcata in quella squallida avventura; e poi, non era per niente contenta che le fosse ricordato il marito.
- Ehi bello, sei qui per scopare o per farmi un interrogatorio? Vieni qui; lo vedi a forza di chiacchiere come ti è diventato il pisellino? Tutto piccolo e raggrinzito. Vieni, dammelo in bocca che ci penso io a fartelo diventare nuovamente duro. -
La donna, sulla quarantina, ancora bella e molto ben fatta, era nuda, sdraiata, di fianco, sul disadorno letto della camera d’albergo ad ore. Abbondantemente alticcia: frutto dei martini che aveva bevuto mentre tentava di rimorchiare quel gruppetto di tre ragazzi poco più che adolescenti, che al bar gli facevano il filo.
Ai ragazzi non era parso vero che una strafica del genere si lasciasse rimorchiare proprio da loro e che, per giunta, avesse anche voluto pagare l’albergo.
Il ragazzo cui si era rivolta per prenderglielo in bocca e farglielo tornare duro, era il più giovane, forse neanche ventenne. Era seduto, sul bordo del letto, in attesa che uno dei suoi amici si decidesse a lasciargli un buco libero per godere anche lui in quella splendida donna. Sino allora, si era dovuto accontentare di palparle le tette, strizzandole di tanto in tanto. Forse era una sua fantasia, ma gli sembrava che la donna gradisse quelle sue rudi attenzioni; soprattutto quando le strizzava i capezzoli. Si avvicinò, quasi vergognoso di non essere riuscito a mantenere l’erezione mentre i suoi compagni continuavano a pomparla contemporaneamente uno in fica, l’altro nel culo.
- Accidenti, è bastato poco. – disse la donna staccandosi sorpresa dal cazzo che le si era gonfiato all’improvviso in bocca - Ma lo sai che ce l’hai davvero molto grosso? Quasi quasi ti faccio prendere il posto di uno dei tuoi amici. -
Era molto timido, evidentemente dipendente dagli altri due – Se hanno fatto…-
- Ma si, - acconsentì quello che le stava piantato nel secondo canale, – vieni qui al posto mio. Sarà una cosa fantastica venirle in bocca mentre le spani il culo con quel tronco enorme che ti ritrovi e la fai urlare per il dolore. -
Non urlò, anche se il ragazzo, sia per l'inesperienza, sia per le dimensioni notevoli del suo membro, le fece veramente male entrando senza riguardi. Non le importò; anzi, in fondo era proprio questo che voleva: sentirsi piena, dilatata, ubriaca di dolore.
Fu per tutti una notte fantastica.
Eccitati dalla situazione, i ragazzi godettero più volte scambiandosi continuamente di posto, finché arrivò il momento in cui, esausti, fu evidente che non avevano più nulla da dare. Prima che sfiniti, si addormentassero, la donna li invitò, piuttosto bruscamente, a rivestirsi ed andare via.
Loro non badarono a quel burbero congedo. Erano troppo felici per la fortuna capitata.
Soddisfatta e completamente appagata, la donna non indugiò nei ricordi della piacevole nottata. Rapidamente fece una doccia, si rivestì con cura, pagò in contanti il conto della camera e con molta prudenza guidò fino a casa. I fumi dell’alcool non erano affatto svaniti, anzi, si mescolavano alla spossatezza ed al senso di soddisfazione che stavano sopraggiungendo.
Era quasi l’alba quando chiuse silenziosamente alle sue spalle la porta blindata della villa.
Alla scarsa luce delle lampade del giardino, che filtrava dalle pesanti tende delle finestre, si diresse nel salone per un ultimo, solitario bicchiere della staffa.
Riempì il bicchiere con una generosa dose di brandy e si gettò di schianto sul divano.
Era sazia.
Si crogiolò nel ricordo della serata. Non male, anzi, molto bene. Tre giovani stalloni in un colpo solo non era roba da tutti i giorni; quello più giovane, poi, con quel manganello fuori misura… . Neanche lei sapeva come aveva fatto a non gridare quando le era entrato dietro tutto d’un colpo. Poi, però, quando era riuscita a rilassarsi… . Che meraviglia sentirsi piena in quel modo, con due cazzoni che entravano ed uscivano alternativamente dai sui buchi; e quell’altro poi, sentiva ancora le sue mani sulla testa mentre glielo spingeva, giù, dritto in gola. Quasi l'aveva fatta soffocare con gli schizzi di sperma.
Sospirò, assaporando ancora quelle magnifiche sensazioni.
Guardò l’orologio: quasi le cinque. Era ora di andare a letto.
Finì di bere, ed alzandosi posò il bicchiere sul basso tavolo di legno massello. – Si, - ripromise a se stessa parlando con voce assonnata – vale proprio la pena di ritrovarli. –
- Chi è che devi ritrovare? -
La voce del marito proveniente dalla veranda coperta le fece gelare il sangue. Che accidenti ci faceva ancora alzato a quell’ora?
- Sei tu caro?- chiese tentando a fatica di riacquistare il suo sangue freddo.
- Certo che sono io, cara, chi vuoi che sia? Com’è andata la serata? – Entrando chiuse la portafinestra e si diresse verso il lussuoso bar.
La donna lo guardò, ancora completamente vestito, mentre ingollava, tutto d’un fiato un bicchiere di rum giamaicano, il suo preferito.
- Allora? Com’è andata? Ti sei divertita? -
- Il solito, sai com’è, no? Un ristorantino abbastanza ben messo, quattro chiacchiere, qualche pettegolezzo… roba di donne. Ho fatto un po’ tardi perché Teresa e Carla erano senza macchina e le ho accompagnate a casa. Poi altre due chiacchiere … . Ma tu piuttosto, com’è che sei ancora alzato? -
- Non riuscivo a prendere sonno; ho delle decisioni piuttosto importanti da prendere e non so bene cosa fare. -
- Cosa ti è successo? Una cosa grave? -
- In un certo senso si, grave ma anche strana, dopo quello che mi hai detto. Ho chiamato verso le undici e trenta l’ingegner Ferlizzi per ricordargli una pratica che deve essere pronta per domani, e sai chi mi ha risposto? -
Un forte campanello d’allarme cominciò a suonare nella testa della donna.
- Penso la filippina, è sempre lei che risponde quando chiamo Luisa. -
- No, mi ha risposto proprio Luisa che stava giocando a carte e indovina un po’ con chi? Proprio con Teresa, Carla ed Elisabetta. Pensa che erano rientrate prima delle undici dalla cena con te e visto che era ancora presto, avevano organizzato una partita a bridge. Ha anche aggiunto che tu eri rientrata precipitosamente a casa perché non ti sentivi bene. Avevi un fortissimo mal di testa.-
La donna restò di sasso. Il cervello si rifiutava di funzionare per trovare una spiegazione plausibile. Era nei guai; e seri, per giunta.
- Cos’è, sei diventata muta? Non hai una scusa pronta per l’occasione? – Il suo tono era cambiato di colpo. Nessuna nota amichevole, puro acciaio.
Si versò un’altra abbondante dose di rum, con ghiaccio questa volta.
- Vedi cara, anche se avessi avuta la miglior scusa del mondo, questa volta ti sarebbe servita a poco. Meno di un’ora fa, ho ricevuto via fax l’ultimo rapporto dell’investigatore che ti ho messo alle costole da oltre un mese. Lo vuoi leggere? Vuoi leggere anche il resoconto completo sulle tue "cene con le amiche" che mi ha consegnato oggi pomeriggio? –
Gettò sul divano una cartella da cui uscirono, sparpagliati, alcuni fogli dattiloscritti e molte fotografie. Ebbe appena il coraggio di gettare un fugace sguardo su quei documenti prima di chinare nuovamente il capo. - Sono interessanti - proseguì l'uomo -. C’è di tutto: Il tuo pomeriggio con il proprietario della palestra, le nottate con gli scaricatori dei mercati generali, il magnaccia che hai rimorchiato e che voleva farti battere per lui. Ecco, quello, se lo rintracci, forse potrà tornarti utile. Ah, dimenticavo, il fax riguarda i tre ragazzotti di questa notte: quelli che valeva la pena di ritrovare. -
La donna crollò di schianto sul divano. Non svenne, ma sentì il sangue defluirle dal cervello, dalle braccia, da tutto il corpo. Si sentì vuota. Le restava appena la forza per respirare.
La mazzata finale le arrivò dalle ultime glaciali parole del marito.
- Ti ho preparato una valigia con tutto quello che ti può servire per qualche giorno. Il resto te lo spedirò quando farai sapere al mio avvocato il tuo nuovo indirizzo. Ora chiamati un taxi e vattene prima che mi dimentichi di essere un gentiluomo. Uscendo lascia sulla consolle all’ingresso le chiavi di casa e delle macchine, così eviteremo altri brutti fastidi in seguito. -
In un lampo la donna fu cosciente di cosa le stava accadendo: stava perdendo tutto, proprio tutto. Vita agiata, macchine, gioielli, viaggi, lusso. Non le restava niente.
Sarebbe dovuta tornare a fare la piccola dattilografa in qualche squallido ufficio. Dal divorzio in quelle condizioni non avrebbe ricavato nulla, neanche un piccolo mensile: niente.
Il divorzio. Quel pensiero le esplose nel cervello annebbiato dall'alcol, annullando tutte le altre sue preoccupazioni. Un futuro solitario lontana dall'unica persona realmente importante della sua vita; l’unica persona cui era, a modo suo, veramente attaccata: il marito.
Nonostante quello che diceva di lui ai suoi occasionali amanti, lei gli voleva effettivamente bene. Lo amava; a modo suo, ma lo amava. Gli amanti, le scopate occasionali, le orge erano solo l’appagamento del suo incontenibile bisogno di sesso; l’amore non c’entrava nulla.
Lei amava suo marito, in modo totale, viscerale e non voleva perderlo.
Messa brutalmente di fronte alla realtà del divorzio, capì che del resto non le fregava nulla: avrebbe anche potuto, d’ora in poi, vivere come una mendicante; vestirsi di stracci, nutrirsi di avanzi, ma non senza suo marito, il suo spirito, la sua bontà, la sua comprensione, la sua pazienza: ecco proprio quella pazienza che lei, con il suo comportamento sciocco e leggero, aveva messo a così dura prova. Per lei, i suoi tradimenti non erano altro che scappatelle, leggerezze, svogliature. Mai avrebbe tradito il suo uomo amandone un altro.
Tutti questi pensieri le esplosero chiari nel cervello, nei brevi istanti che lui impiegò a finire il suo drink e ad avviarsi mestamente verso la porta del salone.
- Aspetta, ti prego, non andartene così, ti scongiuro, parliamone. – Non ebbe la forza di rincorrerlo, di fermarlo. Scoppiò in un pianto dirotto che le tolse ogni residuo di energia.
Non era questo, quello che lui si aspettava. Per come la conosceva, tutto aveva immaginato fuorché quella reazione. Aveva previsto una lite furibonda, strepiti, urla e minacce, non quella silenziosa ammissione, quel pianto disperato.
- Cos’altro vuoi che ci sia ancora da dire? Non ti sembra abbastanza? -
Fu preso da un’ira furibonda verso se stesso per averle rivolto quelle ultime parole.
Nelle lunghe ore trascorse in attesa del rientro della moglie, aveva pensato mille volte a quello che le avrebbe detto; a come doveva chiudere il discorso; a come doveva uscire dignitosamente di scena. Invece, eccolo lì, fermo con la mano sul pomello della porta, in attesa di una risposta che forse non sarebbe mai arrivata.
Era furente, con se stesso e con lei. Cercò di riconquistare la sua abituale calma, la sua freddezza, senza riuscirci. Non riusciva a dominarsi. Strani ed inusuali pensieri gli si affollavano nella mente. Sentiva imperioso il desiderio di sfogarsi, vendicarsi, far scontare a quella donna tutto ciò che gli aveva fatto; tutte le amarezze subite.
Colpirla, ferirla, come lei lo aveva ferito nei suoi sentimenti più profondi.
- Vuoi forse raccontarmi qualche tua altra avventura di cui non sono a conoscenza? Grazie, no. Quelle che so, mi bastano e avanzano; per tutta la vita. – Si meravigliò lui stesso della cattiveria insita in quelle parole, non erano da lui; ma il bisogno di sfogarsi, travalicava ormai ogni sua forma di autocontrollo.
Sentì parlare la donna, ancora distesa, affranta, sul divano, Gli riuscì difficile capire, tra i singhiozzi, cosa gli stesse dicendo. Capì soltanto che lei non aveva udito le sue parole, e soltanto allora realizzò che avevano continuato a parlare, tutti e due insieme, incuranti ognuno di quanto l'altro diceva.
Ancor più pieno di rabbia, afferrò parole apparentemente senza senso: amore, dolore, pietà. Poi, incredulo, comprese: tra un singulto e l’altro lei gli stava chiedendo perdono, lo stava implorando di non scacciarla.
- Ti prego, ti imploro, io ti amo. Lo so che mi sono comportata male, che ti ho fatto male, che merito veramente di essere scacciata, ma ti prego, dammi una possibilità, una sola!. Ti scongiuro, perdonami. -
- Ora chiedi perdono? Ora che hai fatto i tuoi porci comodi con mezza città, ora che mi hai distrutto dentro, ora piangi? -
Non era possibile. Quella che stava parlando non era sua moglie; non era la donna caparbia, indipendente, insofferente che ben conosceva. Mai sua moglie gli aveva chiesto perdono per una qualsiasi cosa. Quella era tutta una finzione, e lui non ci sarebbe mai cascato. Era veramente furioso.
- Smettila con questa sceneggiata. Sei una vera attrice. Riesci a farti uscire anche le lacrime. Ti farei piangere io, si, ma a modo mio! Altro che perdono. Ti conviene andartene prima che perda veramente le staffe. -
- Perché non vuoi credermi? Si, lo so, mi sono comportata male, è vero, lo riconosco. Ma io ti amo. – Finalmente trovò la forza di alzarsi e di gettarsi in ginocchio ai suoi piedi afferrandogli una mano che lui tentò inutilmente di divincolare. – Cosa vuoi che faccia per farmi perdonare? Vuoi che non esca più di casa? Lo farò. Non uscirò mai più! Vuoi che viva come l’ultima delle serve? Va bene; sarò la migliore e più umile serva che tu abbia mai avuto, ma ti prego, non scacciarmi, non allontanarmi da te. -
Lo guardava, dal basso in alto, con gli occhi gonfi di quelle lacrime che le avevano bagnato tutto il bel volto.
Lui la guardò freddamente, tentando, senza riuscirci, di liberare la mano dalla sua stretta.
- Dimmi, cosa debbo fare per dimostrarti che sono sincera e veramente pentita? Vuoi punirmi? Si, puniscimi come vuoi, quanto vuoi, fammi tutto quello che ti pare, picchiami fino a farmi svenire, ma ti prego, alla fine, perdonami. Vedrai, non te ne pentirai. Mai, per il resto della vita, te lo giuro. -
A quelle parole l’uomo sentì un brivido percorrergli la schiena: era vero, voleva veramente picchiarla, punirla, farle cose atroci proprio per ripagarla in quel modo di tutto l’inutile amore che le aveva donato, che ancora, nonostante tutto, provava per lei.
Lei intuì, più che sentire, quel brivido, e capì che qualcosa era improvvisamente cambiato, che una minima crepa si era aperta nel granito della intransigenza del suo uomo.
La mano, che prima serrava inerme, ora aveva preso vita, si era indurita e le stava stringendo il polso fino a farle male.
Non osava respirare; sapeva di star veramente camminando sul filo del rasoio: un battito di ciglia sbagliato e quella impercettibile crepa si sarebbe sigillata nuovamente e per sempre.
Freneticamente cercò di capire cosa l'avesse prodotta; di ricordare cosa avesse detto di tanto importante, nella concitazione del momento, da indurlo a sospendere per in istante la sua determinazione. In un attimo tutto le fu chiaro: contemporaneamente al ricordo delle proprie parole, capì anche che non poteva interrompere la sua offerta in quel modo. Doveva integrarla, completarla, renderla esplicita senza possibilità di dubbio sulla sua volontà di espiare. Suo marito era troppo maledettamente gentiluomo per prendere iniziative del genere.
Continuò come se quella brevissima interruzione le fosse servita soltanto per rafforzare la sua risolutezza.
- Si, puniscimi, ogni momento, ogni ora, tutti i giorni, per una settimana, per un mese, per un anno, non mi importa. Picchiami, legami, frustami, fammi tutto quello che vuoi, me lo merito, ma ti prego, perdonami. -
- Tu veramente vorresti che ti facessi tutto quello che dici pur di avere il mio perdono? – L’uomo era veramente perplesso: mai e poi mai avrebbe immaginato una cosa del genere.
Non gli rispose, ma si precipitò verso il ripostiglio dell’ingresso da cui tornò porgendogli uno dei loro frustini da cavallerizzo.
- Ecco, prendilo ed usalo subito, e poi più tardi, e domani appena ti alzi, ed ogni volta che mi vedi fin quando non avrai deciso che merito il tuo perdono. Usa questo o qualsiasi altra cosa tu voglia usare per punirmi, ma fallo, ti prego, e poi perdonami. -
Di colpo l’uomo si accorse che era proprio questo che aveva inconsciamente sognato fin da quando aveva letto il rapporto dell’investigatore.
Strappò con impeto il frustino dalla mano della moglie. – Va bene, se preferisci questo ad andartene, mi sta bene. Avrò tutto il tempo ed i modi per verificare se sei veramente pentita. –
Non gli lasciò terminare quello che stava dicendo; lo abbracciò baciandolo sulle guance, sulla bocca, sulle mani. – Grazie, grazie amor mio. Soltanto in questo momento che ti stavo perdendo ho capito quanto ti amo, e come sono stata stupida nel voler cercare altri piaceri. –
- Non ringraziarmi anticipatamente. Non ti ho perdonata. Ho soltanto accettato la tua proposta. Per il prossimo anno, quindi, questa non sarà più la tua casa, ma il tuo castello di Rossy, in cui verrai trattata come una schiava da addestrare. Il libro lo hai letto. Sai di cosa sto parlando e cosa ti aspetta: forse di più ma certamente non una virgola di meno. Se non ti va, la porta è ancora aperta. Se insisti nel mantenere la tua proposta, quella porta per te resterà sigillata finché non sarò certo che ti sei meritata il mio perdono. -
La donna non ebbe dubbi, lentamente, come se stesse compiendo un rito sacro, andò alla porta d’ingresso, chiuse la serratura di sicurezza con la sua chiave e la consegnò al marito senza dire una parola: la scelta era fatta.
continua..................
Edited by BDSMLover - 4/5/2019, 13:35