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VITA REALE: Il Marito

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view post Posted on 3/3/2013, 11:29     +1   +1   -1
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T.P.E.
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Racconto tratto dal web, sito eroticiracconti, autore anonimo.
Il racconto si svolge in un giorno, notte, giorno, alba.
Dopo un'introduzione dell'antefatto si sviluppa in crescendo bdsm con un finale improvviso e originale.
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1 - NOTTE

fuckingmachine
Chi? Mio marito? Ma fammi il piacere. Non gli verrebbe il minimo sospetto neanche se ci vedesse insieme tutti e quattro. Il suo unico pensiero è il lavoro: solo e soltanto lo stramaledetto lavoro e nient’altro. -

- Ma come fai a giustificare i tuoi rientri all’alba?-

- Gli dico che vado a cena con le mie amiche. -

- E lui ci crede sempre? -

La donna ebbe un gesto di impazienza: non era per fare due chiacchiere che si era imbarcata in quella squallida avventura; e poi, non era per niente contenta che le fosse ricordato il marito.

- Ehi bello, sei qui per scopare o per farmi un interrogatorio? Vieni qui; lo vedi a forza di chiacchiere come ti è diventato il pisellino? Tutto piccolo e raggrinzito. Vieni, dammelo in bocca che ci penso io a fartelo diventare nuovamente duro. -

La donna, sulla quarantina, ancora bella e molto ben fatta, era nuda, sdraiata, di fianco, sul disadorno letto della camera d’albergo ad ore. Abbondantemente alticcia: frutto dei martini che aveva bevuto mentre tentava di rimorchiare quel gruppetto di tre ragazzi poco più che adolescenti, che al bar gli facevano il filo.

Ai ragazzi non era parso vero che una strafica del genere si lasciasse rimorchiare proprio da loro e che, per giunta, avesse anche voluto pagare l’albergo.

Il ragazzo cui si era rivolta per prenderglielo in bocca e farglielo tornare duro, era il più giovane, forse neanche ventenne. Era seduto, sul bordo del letto, in attesa che uno dei suoi amici si decidesse a lasciargli un buco libero per godere anche lui in quella splendida donna. Sino allora, si era dovuto accontentare di palparle le tette, strizzandole di tanto in tanto. Forse era una sua fantasia, ma gli sembrava che la donna gradisse quelle sue rudi attenzioni; soprattutto quando le strizzava i capezzoli. Si avvicinò, quasi vergognoso di non essere riuscito a mantenere l’erezione mentre i suoi compagni continuavano a pomparla contemporaneamente uno in fica, l’altro nel culo.

- Accidenti, è bastato poco. – disse la donna staccandosi sorpresa dal cazzo che le si era gonfiato all’improvviso in bocca - Ma lo sai che ce l’hai davvero molto grosso? Quasi quasi ti faccio prendere il posto di uno dei tuoi amici. -

Era molto timido, evidentemente dipendente dagli altri due – Se hanno fatto…-

- Ma si, - acconsentì quello che le stava piantato nel secondo canale, – vieni qui al posto mio. Sarà una cosa fantastica venirle in bocca mentre le spani il culo con quel tronco enorme che ti ritrovi e la fai urlare per il dolore. -

Non urlò, anche se il ragazzo, sia per l'inesperienza, sia per le dimensioni notevoli del suo membro, le fece veramente male entrando senza riguardi. Non le importò; anzi, in fondo era proprio questo che voleva: sentirsi piena, dilatata, ubriaca di dolore.

Fu per tutti una notte fantastica.

Eccitati dalla situazione, i ragazzi godettero più volte scambiandosi continuamente di posto, finché arrivò il momento in cui, esausti, fu evidente che non avevano più nulla da dare. Prima che sfiniti, si addormentassero, la donna li invitò, piuttosto bruscamente, a rivestirsi ed andare via.

Loro non badarono a quel burbero congedo. Erano troppo felici per la fortuna capitata.

Soddisfatta e completamente appagata, la donna non indugiò nei ricordi della piacevole nottata. Rapidamente fece una doccia, si rivestì con cura, pagò in contanti il conto della camera e con molta prudenza guidò fino a casa. I fumi dell’alcool non erano affatto svaniti, anzi, si mescolavano alla spossatezza ed al senso di soddisfazione che stavano sopraggiungendo.

Era quasi l’alba quando chiuse silenziosamente alle sue spalle la porta blindata della villa.

Alla scarsa luce delle lampade del giardino, che filtrava dalle pesanti tende delle finestre, si diresse nel salone per un ultimo, solitario bicchiere della staffa.

Riempì il bicchiere con una generosa dose di brandy e si gettò di schianto sul divano.

Era sazia.

Si crogiolò nel ricordo della serata. Non male, anzi, molto bene. Tre giovani stalloni in un colpo solo non era roba da tutti i giorni; quello più giovane, poi, con quel manganello fuori misura… . Neanche lei sapeva come aveva fatto a non gridare quando le era entrato dietro tutto d’un colpo. Poi, però, quando era riuscita a rilassarsi… . Che meraviglia sentirsi piena in quel modo, con due cazzoni che entravano ed uscivano alternativamente dai sui buchi; e quell’altro poi, sentiva ancora le sue mani sulla testa mentre glielo spingeva, giù, dritto in gola. Quasi l'aveva fatta soffocare con gli schizzi di sperma.

Sospirò, assaporando ancora quelle magnifiche sensazioni.

Guardò l’orologio: quasi le cinque. Era ora di andare a letto.

Finì di bere, ed alzandosi posò il bicchiere sul basso tavolo di legno massello. – Si, - ripromise a se stessa parlando con voce assonnata – vale proprio la pena di ritrovarli. –

- Chi è che devi ritrovare? -

La voce del marito proveniente dalla veranda coperta le fece gelare il sangue. Che accidenti ci faceva ancora alzato a quell’ora?

- Sei tu caro?- chiese tentando a fatica di riacquistare il suo sangue freddo.

- Certo che sono io, cara, chi vuoi che sia? Com’è andata la serata? – Entrando chiuse la portafinestra e si diresse verso il lussuoso bar.

La donna lo guardò, ancora completamente vestito, mentre ingollava, tutto d’un fiato un bicchiere di rum giamaicano, il suo preferito.

- Allora? Com’è andata? Ti sei divertita? -

- Il solito, sai com’è, no? Un ristorantino abbastanza ben messo, quattro chiacchiere, qualche pettegolezzo… roba di donne. Ho fatto un po’ tardi perché Teresa e Carla erano senza macchina e le ho accompagnate a casa. Poi altre due chiacchiere … . Ma tu piuttosto, com’è che sei ancora alzato? -

- Non riuscivo a prendere sonno; ho delle decisioni piuttosto importanti da prendere e non so bene cosa fare. -

- Cosa ti è successo? Una cosa grave? -

- In un certo senso si, grave ma anche strana, dopo quello che mi hai detto. Ho chiamato verso le undici e trenta l’ingegner Ferlizzi per ricordargli una pratica che deve essere pronta per domani, e sai chi mi ha risposto? -

Un forte campanello d’allarme cominciò a suonare nella testa della donna.

- Penso la filippina, è sempre lei che risponde quando chiamo Luisa. -

- No, mi ha risposto proprio Luisa che stava giocando a carte e indovina un po’ con chi? Proprio con Teresa, Carla ed Elisabetta. Pensa che erano rientrate prima delle undici dalla cena con te e visto che era ancora presto, avevano organizzato una partita a bridge. Ha anche aggiunto che tu eri rientrata precipitosamente a casa perché non ti sentivi bene. Avevi un fortissimo mal di testa.-

La donna restò di sasso. Il cervello si rifiutava di funzionare per trovare una spiegazione plausibile. Era nei guai; e seri, per giunta.

- Cos’è, sei diventata muta? Non hai una scusa pronta per l’occasione? – Il suo tono era cambiato di colpo. Nessuna nota amichevole, puro acciaio.

Si versò un’altra abbondante dose di rum, con ghiaccio questa volta.

- Vedi cara, anche se avessi avuta la miglior scusa del mondo, questa volta ti sarebbe servita a poco. Meno di un’ora fa, ho ricevuto via fax l’ultimo rapporto dell’investigatore che ti ho messo alle costole da oltre un mese. Lo vuoi leggere? Vuoi leggere anche il resoconto completo sulle tue "cene con le amiche" che mi ha consegnato oggi pomeriggio? –

Gettò sul divano una cartella da cui uscirono, sparpagliati, alcuni fogli dattiloscritti e molte fotografie. Ebbe appena il coraggio di gettare un fugace sguardo su quei documenti prima di chinare nuovamente il capo. - Sono interessanti - proseguì l'uomo -. C’è di tutto: Il tuo pomeriggio con il proprietario della palestra, le nottate con gli scaricatori dei mercati generali, il magnaccia che hai rimorchiato e che voleva farti battere per lui. Ecco, quello, se lo rintracci, forse potrà tornarti utile. Ah, dimenticavo, il fax riguarda i tre ragazzotti di questa notte: quelli che valeva la pena di ritrovare. -

La donna crollò di schianto sul divano. Non svenne, ma sentì il sangue defluirle dal cervello, dalle braccia, da tutto il corpo. Si sentì vuota. Le restava appena la forza per respirare.

La mazzata finale le arrivò dalle ultime glaciali parole del marito.

- Ti ho preparato una valigia con tutto quello che ti può servire per qualche giorno. Il resto te lo spedirò quando farai sapere al mio avvocato il tuo nuovo indirizzo. Ora chiamati un taxi e vattene prima che mi dimentichi di essere un gentiluomo. Uscendo lascia sulla consolle all’ingresso le chiavi di casa e delle macchine, così eviteremo altri brutti fastidi in seguito. -

In un lampo la donna fu cosciente di cosa le stava accadendo: stava perdendo tutto, proprio tutto. Vita agiata, macchine, gioielli, viaggi, lusso. Non le restava niente.
Sarebbe dovuta tornare a fare la piccola dattilografa in qualche squallido ufficio. Dal divorzio in quelle condizioni non avrebbe ricavato nulla, neanche un piccolo mensile: niente.

Il divorzio. Quel pensiero le esplose nel cervello annebbiato dall'alcol, annullando tutte le altre sue preoccupazioni. Un futuro solitario lontana dall'unica persona realmente importante della sua vita; l’unica persona cui era, a modo suo, veramente attaccata: il marito.

Nonostante quello che diceva di lui ai suoi occasionali amanti, lei gli voleva effettivamente bene. Lo amava; a modo suo, ma lo amava. Gli amanti, le scopate occasionali, le orge erano solo l’appagamento del suo incontenibile bisogno di sesso; l’amore non c’entrava nulla.

Lei amava suo marito, in modo totale, viscerale e non voleva perderlo.

Messa brutalmente di fronte alla realtà del divorzio, capì che del resto non le fregava nulla: avrebbe anche potuto, d’ora in poi, vivere come una mendicante; vestirsi di stracci, nutrirsi di avanzi, ma non senza suo marito, il suo spirito, la sua bontà, la sua comprensione, la sua pazienza: ecco proprio quella pazienza che lei, con il suo comportamento sciocco e leggero, aveva messo a così dura prova. Per lei, i suoi tradimenti non erano altro che scappatelle, leggerezze, svogliature. Mai avrebbe tradito il suo uomo amandone un altro.

Tutti questi pensieri le esplosero chiari nel cervello, nei brevi istanti che lui impiegò a finire il suo drink e ad avviarsi mestamente verso la porta del salone.

- Aspetta, ti prego, non andartene così, ti scongiuro, parliamone. – Non ebbe la forza di rincorrerlo, di fermarlo. Scoppiò in un pianto dirotto che le tolse ogni residuo di energia.

Non era questo, quello che lui si aspettava. Per come la conosceva, tutto aveva immaginato fuorché quella reazione. Aveva previsto una lite furibonda, strepiti, urla e minacce, non quella silenziosa ammissione, quel pianto disperato.

- Cos’altro vuoi che ci sia ancora da dire? Non ti sembra abbastanza? -

Fu preso da un’ira furibonda verso se stesso per averle rivolto quelle ultime parole.

Nelle lunghe ore trascorse in attesa del rientro della moglie, aveva pensato mille volte a quello che le avrebbe detto; a come doveva chiudere il discorso; a come doveva uscire dignitosamente di scena. Invece, eccolo lì, fermo con la mano sul pomello della porta, in attesa di una risposta che forse non sarebbe mai arrivata.

Era furente, con se stesso e con lei. Cercò di riconquistare la sua abituale calma, la sua freddezza, senza riuscirci. Non riusciva a dominarsi. Strani ed inusuali pensieri gli si affollavano nella mente. Sentiva imperioso il desiderio di sfogarsi, vendicarsi, far scontare a quella donna tutto ciò che gli aveva fatto; tutte le amarezze subite.
Colpirla, ferirla, come lei lo aveva ferito nei suoi sentimenti più profondi.

- Vuoi forse raccontarmi qualche tua altra avventura di cui non sono a conoscenza? Grazie, no. Quelle che so, mi bastano e avanzano; per tutta la vita. – Si meravigliò lui stesso della cattiveria insita in quelle parole, non erano da lui; ma il bisogno di sfogarsi, travalicava ormai ogni sua forma di autocontrollo.

Sentì parlare la donna, ancora distesa, affranta, sul divano, Gli riuscì difficile capire, tra i singhiozzi, cosa gli stesse dicendo. Capì soltanto che lei non aveva udito le sue parole, e soltanto allora realizzò che avevano continuato a parlare, tutti e due insieme, incuranti ognuno di quanto l'altro diceva.

Ancor più pieno di rabbia, afferrò parole apparentemente senza senso: amore, dolore, pietà. Poi, incredulo, comprese: tra un singulto e l’altro lei gli stava chiedendo perdono, lo stava implorando di non scacciarla.

- Ti prego, ti imploro, io ti amo. Lo so che mi sono comportata male, che ti ho fatto male, che merito veramente di essere scacciata, ma ti prego, dammi una possibilità, una sola!. Ti scongiuro, perdonami. -

- Ora chiedi perdono? Ora che hai fatto i tuoi porci comodi con mezza città, ora che mi hai distrutto dentro, ora piangi? -

Non era possibile. Quella che stava parlando non era sua moglie; non era la donna caparbia, indipendente, insofferente che ben conosceva. Mai sua moglie gli aveva chiesto perdono per una qualsiasi cosa. Quella era tutta una finzione, e lui non ci sarebbe mai cascato. Era veramente furioso.

- Smettila con questa sceneggiata. Sei una vera attrice. Riesci a farti uscire anche le lacrime. Ti farei piangere io, si, ma a modo mio! Altro che perdono. Ti conviene andartene prima che perda veramente le staffe. -

- Perché non vuoi credermi? Si, lo so, mi sono comportata male, è vero, lo riconosco. Ma io ti amo. – Finalmente trovò la forza di alzarsi e di gettarsi in ginocchio ai suoi piedi afferrandogli una mano che lui tentò inutilmente di divincolare. – Cosa vuoi che faccia per farmi perdonare? Vuoi che non esca più di casa? Lo farò. Non uscirò mai più! Vuoi che viva come l’ultima delle serve? Va bene; sarò la migliore e più umile serva che tu abbia mai avuto, ma ti prego, non scacciarmi, non allontanarmi da te. -

Lo guardava, dal basso in alto, con gli occhi gonfi di quelle lacrime che le avevano bagnato tutto il bel volto.

Lui la guardò freddamente, tentando, senza riuscirci, di liberare la mano dalla sua stretta.

- Dimmi, cosa debbo fare per dimostrarti che sono sincera e veramente pentita? Vuoi punirmi? Si, puniscimi come vuoi, quanto vuoi, fammi tutto quello che ti pare, picchiami fino a farmi svenire, ma ti prego, alla fine, perdonami. Vedrai, non te ne pentirai. Mai, per il resto della vita, te lo giuro. -

A quelle parole l’uomo sentì un brivido percorrergli la schiena: era vero, voleva veramente picchiarla, punirla, farle cose atroci proprio per ripagarla in quel modo di tutto l’inutile amore che le aveva donato, che ancora, nonostante tutto, provava per lei.

Lei intuì, più che sentire, quel brivido, e capì che qualcosa era improvvisamente cambiato, che una minima crepa si era aperta nel granito della intransigenza del suo uomo.

La mano, che prima serrava inerme, ora aveva preso vita, si era indurita e le stava stringendo il polso fino a farle male.

Non osava respirare; sapeva di star veramente camminando sul filo del rasoio: un battito di ciglia sbagliato e quella impercettibile crepa si sarebbe sigillata nuovamente e per sempre.

Freneticamente cercò di capire cosa l'avesse prodotta; di ricordare cosa avesse detto di tanto importante, nella concitazione del momento, da indurlo a sospendere per in istante la sua determinazione. In un attimo tutto le fu chiaro: contemporaneamente al ricordo delle proprie parole, capì anche che non poteva interrompere la sua offerta in quel modo. Doveva integrarla, completarla, renderla esplicita senza possibilità di dubbio sulla sua volontà di espiare. Suo marito era troppo maledettamente gentiluomo per prendere iniziative del genere.

Continuò come se quella brevissima interruzione le fosse servita soltanto per rafforzare la sua risolutezza.

- Si, puniscimi, ogni momento, ogni ora, tutti i giorni, per una settimana, per un mese, per un anno, non mi importa. Picchiami, legami, frustami, fammi tutto quello che vuoi, me lo merito, ma ti prego, perdonami. -

- Tu veramente vorresti che ti facessi tutto quello che dici pur di avere il mio perdono? – L’uomo era veramente perplesso: mai e poi mai avrebbe immaginato una cosa del genere.

Non gli rispose, ma si precipitò verso il ripostiglio dell’ingresso da cui tornò porgendogli uno dei loro frustini da cavallerizzo.

- Ecco, prendilo ed usalo subito, e poi più tardi, e domani appena ti alzi, ed ogni volta che mi vedi fin quando non avrai deciso che merito il tuo perdono. Usa questo o qualsiasi altra cosa tu voglia usare per punirmi, ma fallo, ti prego, e poi perdonami. -

Di colpo l’uomo si accorse che era proprio questo che aveva inconsciamente sognato fin da quando aveva letto il rapporto dell’investigatore.

Strappò con impeto il frustino dalla mano della moglie. – Va bene, se preferisci questo ad andartene, mi sta bene. Avrò tutto il tempo ed i modi per verificare se sei veramente pentita. –

Non gli lasciò terminare quello che stava dicendo; lo abbracciò baciandolo sulle guance, sulla bocca, sulle mani. – Grazie, grazie amor mio. Soltanto in questo momento che ti stavo perdendo ho capito quanto ti amo, e come sono stata stupida nel voler cercare altri piaceri. –

- Non ringraziarmi anticipatamente. Non ti ho perdonata. Ho soltanto accettato la tua proposta. Per il prossimo anno, quindi, questa non sarà più la tua casa, ma il tuo castello di Rossy, in cui verrai trattata come una schiava da addestrare. Il libro lo hai letto. Sai di cosa sto parlando e cosa ti aspetta: forse di più ma certamente non una virgola di meno. Se non ti va, la porta è ancora aperta. Se insisti nel mantenere la tua proposta, quella porta per te resterà sigillata finché non sarò certo che ti sei meritata il mio perdono. -

La donna non ebbe dubbi, lentamente, come se stesse compiendo un rito sacro, andò alla porta d’ingresso, chiuse la serratura di sicurezza con la sua chiave e la consegnò al marito senza dire una parola: la scelta era fatta.


continua..................

Edited by BDSMLover - 4/5/2019, 13:35
 
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view post Posted on 4/3/2013, 13:24     +2   +1   -1
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T.P.E.
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- Preparami una buona dose di rum con due cubetti di ghiaccio, - ordinò sedendosi sulla sua poltrona preferita, - poi raccontami per filo e per segno cosa avete fatto questa sera tu ed i tuoi giovinastri. -

La donna restò sorpresa per la richiesta. Pensava fosse un capitolo da dimenticare, non da raccontare. – Io veramente pensavo che … -

Non finì la frase. Una staffilata, non molto forte, ma sufficiente a farle esplodere un’ondata di dolore dalla schiena, su, fino al cervello, la colpì di traverso tra natica e coscia. Forse però, le fece ancora più male il tono tagliente con cui l’apostrofò il marito – Tu non devi pensare: devi soltanto fare quello che ti ordino. Prepara il drink e poi racconta. –

Non impiegò molto a raccontare con sufficiente precisione tutto quello che aveva fatto, e si era fatta fare dai tre.

- Bene, ora so qualcosa dei tuoi gusti che non sapevo. Ti sarebbe bastato chiedermelo ed avresti potuto farlo con me e forse anche meglio. Non importa. Ora va di sotto, nel bagno del tinello, spogliati completamente ed aspettami. -

Discese lentamente le scale con un misto di gelo e di speranza nel cuore. Da quel momento cominciava la sua purificazione, ma stava anche cominciando il suo lungo periodo da schiava. Il colpo che aveva ricevuto sulla coscia sinistra ancora le bruciava. Con angoscia si vietò di immaginare cosa l’aspettava.

Era nuda, immobile al centro del bagno annesso al tinello – sala hobby. Altri, in quello spazio, avrebbero ricavato sicuramente un appartamentino completo di servizi: per loro era soltanto il bagno della sala hobby. Le pareti, rivestite completamente di specchi, riflettevamo ogni particolare del suo corpo statuario. I seni sodi ed ancora ben eretti, erano appena segnati dal residuo di abbronzatura dell’estate precedente.

La raggiunse serrando tra le braccia un cumulo di oggetti indistinguibili tra loro. Spiccava soltanto il rotolo di robusta corda marinara del tipo intrecciato che avevano acquistato tempo prima per sostituire quella logora dell’ancora del motoscafo.

Depose tutto in un angolo, tranne un grosso rotolo di scotch telato con cui le legò i polsi dietro la schiena; dopo di che le ordinò di stendersi, pancia sotto, nella grossa vasca da bagno.

- La prima cosa che farò, - le disse armeggiando con gli oggetti che si era portato, - sarà di farti capire in quale mondo sei stata in quest’ultimo periodo, ed in quale, invece, alla fine dovrai tornare. -

Non sapeva cosa stava per accaderle. Certamente niente di molto piacevole considerando la freddezza con cui la stava trattando il suo uomo, o avrebbe dovuto chiamarlo il suo Padrone d’ora in poi? Non fece in tempo a darsi una risposta: appena distesa nella vasca, sentì una mano di suo marito allargarle le natiche e dopo un attimo, un oggetto, una specie di tubo, sufficientemente sottile da non farle male, penetrare senza complimenti nel suo ano. Era lungo, molto lungo. Lo sentì farsi strada sempre più all’interno del suo intestino finché non le sembrò che le fosse arrivato nello stomaco. Sapeva che non era possibile, ma questa fu la sua impressione.

Poi l’acqua, parecchio calda, cominciò ad inondarle la pancia.

Ecco la prima punizione. Un clistere. Voleva pulirla dentro per toglierle i residui dell’orgia con i giovinastri, come li aveva chiamati lui.

Si augurò che non avesse deciso di farlo molto grosso. Fino ad un litro e mezzo, due litri massimo, li sopportava bene, anzi, le piacevano. Oltre, no. Le provocavano degli insopportabili crampi che la facevano star male per il dolore.

Cominciò a sudare freddo: ricordò improvvisamente che suo marito conosceva bene questo suo handicap. C’era stato un periodo non lontano della loro vita, in cui il clistere era quasi una prassi normale nei loro giochi erotici.

Altro che pulizia interna, cominciava con una grossa dose di dolore.

A questo punto però, niente aveva più importanza. Non poteva assolutamente tirarsi indietro nell’unica occasione di perdono che le era stata concessa.

- Se ti potrà essere di sollievo, grida pure quanto vuoi. Sai bene che da qui sotto non esce neanche il rumore dei colpi di fucile quando provo le cartucce. – Il tono di voce del marito era stranamente calmo, quasi rilassato, per questo non si sarebbe mai aspettata quello che seguì. – So che odi i clisteri lunghi. Questo sarà il più lungo della tua vita. Dieci, quindici, venti litri, non lo so. Non preoccuparti, non ho nessuna intenzione di farti scoppiare. - aggiunse quando vide il culo della moglie stringersi per l’angoscia – Quando sarai piena come un otre, penso circa intorno ai tre, quattro litri, in preda ai tuoi ben noti, forti dolori, non ce la farai più a trattenerti, ed allora comincerai a cacarti addosso. Il tubo che ti ho infilato nel culo, è molto lungo ma anche piuttosto sottile, non impedirà alla merda che hai dentro di uscire insieme all’acqua. D'altronde, ci sei abituata, no? Cosa hai fatto in questi ultimi tempi se non sguazzare nella merda. Non è così? -

La donna, in preda ai primi spasmi, stentava a credere che fosse suo marito quello che stava usando quel linguaggio e non capì che anche a quella domanda retorica lui pretendeva una risposta.

Un secondo colpo di scudiscio, molto più forte del primo, le procurò un dolore tremendo proprio nel solco tra le natiche.

Urlò più forte che poté, quasi volesse fare uscire dal suo corpo, con il grido, anche il dolore che la stava paralizzando.

- Allora, è così o no? Te ne occorre un altro per capire che devi rispondere subito quando ti chiedo qualcosa? -

Non riuscì mai a capire dove trovò, in quel momento, la forza di emettere un flebile cenno d’assenso.

- Sai quando terminerà questo primo innocuo scherzetto? – proseguì l’uomo come se non fosse successo niente - Quando dal tuo culo, molto mal frequentato ultimamente, uscirà acqua limpida come quella che entra; non come quella che sta cominciando ad uscire adesso. -

Con enorme vergogna, ma anche con sollievo, la donna si rese conto che l’acqua cominciava finalmente ad uscire. Il dolore era diventato piuttosto forte.

- Bene, avevo ragione. Per ora ne reggi tre litri scarsi. Vedrai che prima della fine dell’anno non te ne uscirà una goccia se non prima di cinque litri. Per ora accontentiamoci di questo e cerchiamo di affrettare la tua pulizia. Ora riempio nuovamente la sacca ed apro il rubinetto al massimo. Vediamo se te ne entra più di quanta riesci a farne uscire. -

La lieve sensazione di sollievo provata appena l’acqua era cominciata ad uscire, fu annullata dal notevole improvviso incremento del quantitativo di liquido che si riversava nella sua pancia.

Quasi subito sentì gli spasmi tramutarsi in dolore acuto, continuo, sempre più forte.

Contrasse i muscoli dell’addome, cercando di accelerare la fuoriuscita dell’acqua, ma quella che entrava era sempre più di quella che riusciva ad evacuare.

Sentiva il liquido caldo colarle lungo le cosce, depositarsi sul fondo della vasca e pian piano risalire, su, verso la sua pancia.

Un odore sgradevole la colpì improvvisamente. L’imbarazzo fu estremo quando si rese conto che era il suo odore, l’odore dei suoi escrementi nei quale stava lentamente immergendosi.

Ora finalmente capiva a fondo l’idea di suo marito. Farle capire, dal vivo, fisicamente, come la considerava. Niente altro che un essere che si rotola nel proprio sterco: una maiala, una troia nel senso animale della parola.

Intuì anche il perché di quell’inesauribile clistere che la stava distruggendo dal dolore: come l’acqua che pulendole l’intestino da ogni residuo di escrementi, alla fine sarebbe uscita perfettamente pulita, così doveva uscirne lei. Perfettamente pulita ai suoi occhi. Il mezzo catartico sarebbe stato il dolore e l’assoluta sottomissione, come in quel momento, in cui nonostante gli atroci spasmi che le assalivano il ventre, continuava a stare immobile in attesa della immancabile crescita del dolore e dell’umiliazione che ora stava provando.

Era certa che sarebbe stata sottoposta ad altre lunghe, estenuanti ed inimmaginabili sedute di dolorose punizioni e confermò a se stessa, la volontà di accettare qualsiasi cosa avesse voluto farle, cosciente che era l’unico mezzo che lui le aveva concesso per dimostrargli il suo amore, il suo pentimento.

Il marito non aveva più pronunciato una sola parola.

Erano ormai sette od otto volte, aveva perso il conto, che lo sentiva riempire la sacca dell’enteroclisma. Nelle violente, dolorose contrazioni che l’assalivano, immaginò di essere una fontana, con l’acqua che entrava ed usciva in continuazione. Il fetido liquido sgorgato dal suo intestino, era arrivato a coprirle i seni costringendola a tenere la testa sollevata per evitare che le entrasse in bocca.

- Finalmente comincia ad uscire perfettamente pulita. – annunciò a sorpresa il marito - Adesso chiudo il rubinetto e svuoto la vasca, ma tu, se non vuoi che ti dia già una battuta con i fiocchi, stai ben attenta a non fartene uscire, ancora, neanche una goccia. Quando tu e la vasca sarete pulite, ti darò il permesso di svuotarti. Se risulterà candida come quella della doccia che userò per ripulirti, bene, con questa faccenda avremo finito, altrimenti ricomincio da capo. Altri quindici litri. -

La fece alzare, con il sottile tubo ancora ben infisso tra le natiche e, mentre la vasca si vuotava, con la doccia a telefono la ripulì da ogni traccia degli escrementi che le si erano appiccicati addosso. Il dolore al ventre era molto più sopportabile, sia perché si stava ormai abituando, sia perché aveva fatto in tempo ad evacuarne un discreto quantitativo prima che le ordinasse di alzarsi.

Le fu grata della delicatezza che usò nel lavarla.

Dai gesti lievi, quasi carezze, con cui compì il rito della sua pulizia esterna, comprese che se avesse continuato a comportarsi bene, a mantenere fino in fondo la sua determinazione ad espiare a qualsiasi costo, probabilmente il suo periodo a "Rossy" sarebbe durato molto meno di un anno, indipendentemente dalla freddezza e dalla durezza con cui avrebbe continuato a trattarla.

Tutto dipendeva da lei.

- Accucciati sul bidè e svuotati completamente, poi controlla tu stessa se l’acqua è limpida come dovrebbe essere. -

Altro esame: lasciando a lei il giudizio, voleva sicuramente accertarsi della sua onestà, della sincerità del suo impegno a far di tutto per redimersi ai suoi occhi.

Dopo tutto quel dolore e gli spasmi che nonostante tutto stavano tornando, liberarsi completamente fu più che un sollievo, fu qualcosa che rasentò il vero piacere, il piacere dell’orgasmo. Ebbe la certezza che in circostanze diverse, se non fosse stata così tesa per il suo incerto futuro, se tutto questo le fosse successo in un momento di armonia con il suo uomo, avrebbe goduto come una cagna in calore. Più e meglio di quanto aveva goduto poche ore prima con i suoi accompagnatori occasionali.

Il controllo che fece dell’acqua depositata nel bidè non la lasciò completamente soddisfatta: era limpida, si, ma si vedeva che era acqua… usata.

Non tentò di barare e la descrisse al marito usando proprio quei termini. Non seppe trovarne di migliori.

L’uomo controllò a sua volta e senza specificare se perché soddisfatto del risultato, o per premiarla della sua franchezza, la liberò dalla lunga cannula che le invadeva l’intestino.

- Ora dimmi esattamente quante volte, in questi ultimi due mesi, ti sei fatta inondare l’intestino dallo sperma dei tuoi amici. -

La donna fu presa dal panico. Onestamente non lo sapeva. Quindici, venti volte, non riusciva a ricordarlo. Decise di prendere tempo per fare quattro conti:

– Non lo so, così su due piedi non riesco a ricordarlo, non so cosa dirti, devi darmi un attimo di tempo per riflettere. –

Uno schiaffo secco, duro, dato con tutta la forza dell’uomo, le esplose all’improvviso sul seno sinistro, indifeso, dato che aveva le braccia ancora legate dietro la schiena.

- Non permetterti più di parlarmi in quel modo. Fino al ritorno alla normalità devi rivolgerti a me soltanto dandomi del Lei e parlare esclusivamente per rispondere con esattezza alle domande che ti faccio; non per perdere tempo. –

Sedette sulla tavoletta copri-water abbassata e tirò a se la donna facendola piegare fino ad adagiarla con il ventre sulle sue ginocchia. La bloccò afferrandola con la mano sinistra per i polsi legati e con la destra cominciò a sculacciarla con colpi lenti, metodici, dati con tutta la forza a piena mano.

- Io non ho fretta. Vediamo se ti torna il mente da quanti ti sei fatta inculare prima che mi faccia male la mano e continui a dartele con il frustino. -

Non riusciva a ragionare lucidamente, i colpi arrivavano costanti e devastanti sul suo sodo culo indifeso. L’istinto le diceva di scalciare, alzarsi, far terminare quel bruciore che, ad ondate sempre più rapide, le arrivava al cervello; la volontà la salvò da una sicura punizione ben peggiore. Si impose di stare più ferma possibile, l’unico lusso che si concesse fu di urlare, piangere ed urlare mentre tentava con tutte le forze di ricordare quante volte fosse "andata a cena con le amiche" in quegli ultimi due mesi. Non poteva sbagliare, sapeva bene di aver dato il culo ad ogni uscita.

- Sedici. Mi sono fatta inculare sedici volte. – Finalmente era riuscita a fare quel semplicissimo calcolo. Due uscite a settimana per otto settimane.

- Bene, vedi che se ben stimolata riesci a fare anche le cose più semplici? -


continua...................
 
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view post Posted on 5/3/2013, 12:27     +1   +1   -1
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La fece rialzare, si allontanò di un paio di passi e si fermò ad ammirare il corpo della moglie, in particolare il bellissimo sedere, ora rosso fiammante: le donava quel colore vivo che spiccava sulla sua candida pelle.

- Come avrai probabilmente cominciato a capire, tutto quello che ti succederà sarà in contrapposizione ai piaceri supplementari che ti sei concessa un questi ultimi due mesi. Non ti era sufficiente quello che facevi con me? Eppure non mi sembrava poco. Hai voluto degli extra? Gli extra si pagano, ed a caro prezzo. Ti sei fatta riempire il culo di sperma per sedici volte? Bene, per ogni volta riceverai un lavaggio come quello che hai appena ricevuto. Uno ogni tre giorni. -

La donna si sentì mancare. Si chiese se ce l’avrebbe mai fatta a sopportare tutto quello che l’aspettava e che sicuramente andava ben al di là degli enormi clisteri.

Non fu calcolo, come sarebbe potuto sembrare, ma un impulso improvviso, irresistibile, di cui neanche in seguito, ripensandoci, seppe darsi una spiegazione:

- Grazie, La ringrazio per l’aiuto che sta dandomi per tornare degna del Suo amore. -

Non riusciva a credere che proprio lei, altezzosa fino all’alterigia, avesse pronunciato quelle parole. Cosa le stava capitando? La cosa più strana era che a quelle parole ci credeva, le "sentiva" sue. Dentro di se era veramente grata al marito per la purificazione che le stava offrendo.

L’uomo accettò quelle parole per quello che veramente erano: una ulteriore prova di sottomissione. Non le rispose, ma compì un piccolo gesto che la rese ebbra di gioia, che la ripagò dei patimenti fin allora provati.

Delicatamente le prese il volto tra le mani e la baciò, con dolcezza, leggermente, sulle labbra ancora bagnate dalle lacrime.

Le sembrò, nella sua semplicità, il bacio più bello, più erotico, più passionale che avesse mai ricevuto; un calore dolce, appassionato le esplose tra le cosce serrate.
Godette in un modo nuovo, sconvolgente, mai provato fino allora. Fu costretta ad appoggiarsi al marito per non cadere e lui la sorresse, pur non dando alcun cenno di essersi accorto di quanto le era accaduto.

Distrattamente guardò l’orologio: quasi le otto di mattina.

Avevano passato la notte completamente in bianco.

- Meglio fare qualche ora di sonno. La giornata sarà lunga e dura per tutti e due. Dobbiamo andare a fare shopping. Mi rendo conto ora, che gli oggetti che usavamo per i nostri giochi sono assolutamente inadeguati alla nuova situazione. Comunque per questa notte ci arrangeremo. -

Non sapendo cosa intendesse veramente il marito con quel discorso, o meglio, avendo paura di comprenderlo fin troppo bene, preferì non aprire bocca. Si lasciò docilmente sciogliere i polsi e si concesse il lusso di sgranchirsi le braccia anchilosate.

Restò ferma, in piedi, con le braccia abbandonate lungo i fianchi attendendo che il suo Padrone si degnasse di tornare ad occuparsi di lei.

Con in mano soltanto il solito rotolo di scotch telato e la grossa corda la invitò a seguirlo ai piani superiori, nella loro camera da letto.

Finalmente! Si sentiva stanca, spossata. L’inconsueto orgasmo provato poco prima, le aveva tolto le ultime residue forze. Non vedeva l’ora di sdraiarsi sul suo comodo letto ad acqua e lasciarsi andare ad un lungo e benefico sonno ristoratore.

- Non guardare il mio letto, - disse il marito afferrando al volo il suo desiderio – Ne passerà di tempo prima di tornare ad esserne degna. Questo sarà il posto dove dormirai d’ora in avanti. – concluse indicandole la coperta che intanto aveva steso in terra, dalla sua parte.

Anche quel minimo sollievo le era negato, ma, in fondo, pensò, era giusto così se lui lo voleva.

Fece per distendersi a terra, ma lui la fermò.

- Prima debbo prepararti per la notte. Non vorrai mica addormentarti con i tuoi buchi vuoti: visto che ti piace tanto averli sempre pieni, ti accontento. –

Trasse dal cassetto del comodino due vibratori che usavano per i loro giochi e la fece piegare in avanti, a gambe larghe con le mani poggiate sul bordo del letto.

Rudemente senza alcuna preparazione le infisse il più lungo nella vagina e l’altro più corto, ma di dimensioni nettamente superiori, nell’ano.

Un solo grugnito di dolore fu quanto si concesse per alleviare il bruciore che sentiva sei suoi punti più intimi così rudemente violati.

Per essere sicuro che non li espellesse, con il nastro adesivi le confezionò una specie di tanga. Una lunga striscia attaccata al centro della pancia le passava in mezzo alle cosce, bloccava le teste dei due vibratori e risaliva, incollata nel solco tra le natiche, fino alle reni impedendo la fuoriuscita degli attrezzi. Un paio di giri di nastro adesivo all’altezza dei fianchi completarono l’opera per evitare che la striscia in mezzo alle gambe si scollasse.

La donna non riusciva a muoversi. Ogni passo che fece per giungere al suo giaciglio fu un tormento. La punta del dildo che la sodomizzava, urtava con quello infisso nella vagina straziando dolorosamente il leggero velo di separazione tra i due canali.

Per sua fortuna le concesse di sdraiarsi pancia sotto. Immaginò con angoscia cosa avrebbe dovuto patire se le avesse ordinato di stendersi supina.

Con la corda le legò strettamente la gambe tra loro.

- Visto che ti piace tanto tenerle spalancate, imparerai a tenerle ben strette e ad aprirle soltanto al mio comando. – Le mani gliele lasciò libere; non aggiunse altro, ma era implicito che se avesse abusato di questa prova di fiducia per alleviare i suoi tormenti, se ne sarebbe poi dovuta pentire amaramente.

La luce del giorno ormai inondava la stanza.

Lo sentì abbassare le stecche della serranda e sdraiarsi sul letto, così, completamente vestito.

Prima che la stanchezza vincesse il dolore che ormai le pulsava in tutto il corpo, facendola crollare in un sonno profondo, lo sentì piangere.

Gioì, si sentì al settimo cielo per la felicità. Il suo Padrone era infelice per quello che lei lo stava costringendo a farle par renderla di nuovo degna del suo amore. La puniva come meritava, la trattava rudemente ma l’amava ancora.

La flebile, lontana luce della loro riconciliazione si fece più forte, più vicina, più viva.

Fissando quella luce, con gli occhi della mente, si addormentò e sognò il giorno in cui finalmente sarebbe stata di nuovo degna di far l’amore con lui.

continua......................
 
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view post Posted on 7/3/2013, 10:00     +1   +1   -1
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2 - GIORNO

I seni le facevano male per la pressione del suo corpo.

Si voltò supina ed un dolore lancinante al retto la riportò di colpo alla dura realtà. In un attimo le tornò tutto in mente: la cena con le amiche, l’albergo, i tre ragazzi, suo marito.

Aiutandosi con le braccia si precipitò a voltarsi nuovamente pancia a terra. Il suo corpo era tutto un dolore; le gambe le formicolavano per la pressione delle legature.
Improvvisamente sentì l’impellente bisogno di andare in bagno. I due vibratori infissi ben saldi nel suo corpo non le procuravano più lo stesso dolore dell’inizio. Si era abituata, ora erano quasi poco più che un fastidio. Il problema era che in quella posizione spingevano sulla vescica dandole l’impressione di non poter resistere oltre.

Gemendo per il dolore che muovendosi le procurava il dildo che la sodomizzava da ore, si voltò sul fianco: poteva resistere ancora un poco.

- Era ora che ti svegliassi. Spero che ti senta ben riposata ed in forma per affrontare il tuo primo giorno di scuola. -

Il marito alzò la serranda della finestra. Dalla posizione del sole la donna capì che era passato da poco il mezzogiorno.

Senza dire altro, l’uomo si avvicinò, le sciolse le gambe, e la invitò ad alzarsi.

Fu un tormento, ma ci riuscì da sola.

Sempre in perfetto silenzio le legò nuovamente le braccia dietro la schiena, non per i posi, questa volta, ma per i gomiti, stringendoli fin quasi a farli toccare.

Dimenticò per un attimo le impellenti necessità fisiche sopraffatta dal doloroso fastidio che provava alle articolazioni delle braccia. Le sembrava che il torace si stesse per spaccare in due lungo la linea dello sterno.

Con un capo della corda l’uomo confezionò un cappio che le passò intorno al collo, poi, trascinandosela dietro come un cane a passeggio, la condusse nuovamente nel seminterrato, nel bagno del piano interrato.

Con sgomento la donna si rese conto che i suoi capezzoli si stavano gonfiando ed indurendo per l’eccitazione di quella situazione. Il dolore alle braccia; il dolore all’ano, risvegliato bruscamente dalla passeggiata; il dolore alla vescica per l’impossibilità di urinare, la stavano eccitando quasi come quando le era stato dato il permesso di svuotare l’intestino dal clistere.

Guardò con insistenza la tazza del cesso sperando che lui comprendesse le sue necessità.

- La mia cagna deve pisciare? – Continuava a parlarle usando quei termini volgari così lontani dalla sua consuetudine.

Memore dell’ordine impartitole la sera precedente, per lei tutto quello che le era successo prima di addormentarsi era accaduto "la sera precedente", si affretto a rispondere nei dovuti modi:

- Se a lei non dispiace, si, ne avrei bisogno. –

Le si avvicinò, le tolse i due giri di nastro che le avvolgevano la vita, poi, con una certa attenzione, staccò anche la striscia che le passava in mezzo alle gambe.

Nonostante la delicatezza con cui compì l’operazione, per la donna fu ugualmente un tormento. Molti peli del monte di venere, della vagina, ed intorno all’ano si strapparono alla radice, procurandole un notevole continuo dolore.

- Non preoccuparti se la tua fichetta ha un aspetto spelacchiato. Ora sbrigati ha fare tutto quello che devi. Poi prepara schiuma da barba e rasoio. Una troia come te non può uscire con i peli in quelle condizioni. -

Le slegò le braccia, liberandola da quella scomoda posizione ed uscì dal bagno senza aggiungere altro.

La donna si affretto a sedersi sulla tazza del cesso per svuotare la vescica; dopo l'enorme clistere ricevuto qualche ora prima, non aveva altro da svuotare.

Indugiando appena più di quanto avesse voluto, sotto il getto corroborante della doccia, si chiese, per un attimo, cosa avesse in mente il marito parlando di uscire in quelle condizioni. Scacciò subito il pensiero, mai sarebbe riuscita ad entrare nella mente a volte diabolica del suo uomo.

Quando tornò, lei aveva appena finito di asciugarsi i capelli.

Appoggiò un paio di sandali a terra ed appese all’appendiabiti a muro un indumento che lei stentò a riconoscere. Era un abitino, praticamente un copricostume, che usava esclusivamente per recarsi in spiaggia. Molto scollato, sia avanti che dietro, con la gonna parecchio scampanata ed estremamente corta.

Le ordinò di spostare la panchetta, usata normalmente come sedile, al centro della stanza e ce la fece distendere sulla schiena per la parte della lunghezza.

Aveva immaginato cosa stava per accadere: le avrebbe rasato i peli del pube; infatti, con pochi rapidi gesti la insaponò ed usando con molta attenzione un rasoio usa e getta, la rasò completamente. Le ordinò di voltarsi pancia sotto e ripeté l’operazione in mezzo alle natiche, privandola anche della poca peluria che le contornava l’ano.

Dopo averla fatta risciacquare sul bidet, senza tanti complimenti, le passò su tutta la zona appena rasata, il suo dopobarba.

Il bruciore fu terribile, non riuscì a ricacciare indietro le grosse lacrime le sgorgarono dagli occhi. Ma non si permise alto che un lieve lamento ed un lungo, intrattenibile brivido in tutto il corpo. Sapeva bene che, molto probabilmente, il peggio doveva ancora arrivare e non voleva dimostrarsi meno decisa della sera avanti, nel perseguire la strada della sua espiazione.

- Stai imparando a comportarti bene, - fu il suo unico commento, - ora vestiti, andiamo a fare shopping. -

Prese l’indumento che il marito le aveva portato, poi si guardò intorno perplessa.

- Cosa c’è, hai dimenticato come si indossa un vestito? –

- No, ma… , ha dimenticato di prendere la biancheria. Non posso indossare questo vestito senza mutandine e reggipetto. -

Come per magia, gli apparve in mano il frustino che lei stessa gli aveva consegnato poche ore prima.

- Io non dimentico niente. Dovresti saperlo; e non spetta a te decidere cosa puoi indossare e come. – Le parole gli uscivano dalla bocca taglienti come lame di rasoio. – Le troie non indossano biancheria e vanno in giro mettendo in mostra tutta la loro mercanzia. Stenditi nuovamente sulla panca a pancia sotto. -

La freddezza dell'uomo la sgomentò. Stentava a riconoscere in quel tono, in quelle parole l'uomo che amava. Conscia di cosa l'attendeva si stese nuovamente sulla panca. L'attesa non fu lunga: la prima staffilata la colpì esattamente al centro delle natiche, nel punto più carnoso. Come una saetta il bruciore, più che dolore, le percorse la spina dorsale, fin dentro la testa, per fermarsi, perfidamente pulsante, all'altezza delle tempie.

Altri quattro colpi, dopo un attimo, la raggiunsero in rapida successione, violenti, dati quasi con rabbia. Riuscì a distinguerli l’uno dall’altro, soltanto perché ognuno colpiva una parte nuova del suo corpo: cosce, attaccatura tra natiche e cosce, parte alta delle natiche, centro della schiena.

Non le era mai dispiaciuto il dolore fisico, anzi, a volte, giocando con doppi sensi e velate allusioni, aveva cercato di far capire al marito questo suo latente desiderio, ma lui o non aveva capito, o aveva fatto finta di non capire. Questo però era stato troppo anche per lei.

Un pianto dirotto la squassava mentre ondate di dolore l’avvolgevano completamente fin quasi a soffocarla impedendole il respiro.

L’uomo si fermò di colpo, sorpreso per la furia con cui aveva colpito quel corpo tanto amato. Osservò con uno strano miscuglio di piacere e pentimento le cinque strisce infuocate che segnavano cosce, natiche e schiena della moglie.

Per non cedere alla tentazione di arrivare ad un prematuro perdono, uscì sbattendo la porta dopo averle di nuovo ordinato di vestirsi come aveva deciso lui.

Lo raggiunse dopo neanche dieci minuti, vestita con quell’abito che la copriva ben poco. Se non compiva movimenti bruschi sarebbe riuscita a mantenere coperti pube e natiche. Niente di più.

Aveva gli occhi ancora gonfi per le lacrime versate, ma il volto era comunque sereno. Si avvicinò al marito prendendogli la mano che poco prima aveva impugnato il frustino. La baciò.

- La ringrazio per come si sta prendendo cura della mia educazione, e le chiedo perdono nuovamente per quello che l’ho costretto a fare. Comunque, se pensa che non sia sufficiente, non esiti: so bene che fin ora è stato molto buono e che merito ben di peggio. -

L’uomo la guardò allibito: questa non era sua moglie, era un’altra nel corpo di sua moglie. Si era quasi aspettato, dopo quella rude battuta, un ritorno al litigio, una sua tipica esplosione di insofferenza, invece… . La guardò negli occhi, cercando qualche machiavellico segno di furbizia: niente. Solo dolcezza, sottomissione e sincerità assoluta.

Questo lo convinse definitivamente che era sulla strada buona per rifondare il loro rapporto.

Le diede il permesso di fare un’abbondante colazione dopo di che uscirono.

In macchina finalmente le disse dove erano diretti. Non che le importasse molto, ma fu semplicemente felice che lui le avesse voluto confidare i suoi programmi. Erano diretti al più fornito sex-shop della città.

Non trovarono parcheggio se non a qualche centinaio di metri dal negozio. Il tratto di strada a piedi che dovette fare, fu per la donna una continua degradante umiliazione.

Ogni passante, uomo o donna, si fermavano a guardarla; gli uni con evidenti segni di compiacimento per lo spettacolo che offriva di se, delle sue parti intime praticamente in vista, le altre con sguardi di palese disapprovazione. Qualcuna la apostrofò apertamente invitandola a vestirsi o ad andare a fare la troia in casa.

Pensò, giungendo in negozio, di essere in salvo; fu anche peggio.

continua.................
 
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view post Posted on 8/3/2013, 13:56     +1   +1   -1
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I quattro avventori presenti le si fecero intorno mentre il marito parlava con il gestore. Uno arrivò persino a metterle una mano tra le cosce.

- Vi piace? – chiese il marito accorgendosi di quello che stava succedendo. – Fai vedere ai signori che bei segni hai sul culetto. -

Si sentì morire dalla vergogna, ma ubbidendo ai voleri del suo signore, si affrettò ad alzare il corto gonnellino.

- Potete anche toccare, se volete, ma niente di più. Solo toccare. -

Non se lo fecero ripetere una seconda volta. Immediatamente sentì su di sé una selva di mani che la toccavano in ogni parte del corpo. Fu costretta ad allargare le gambe per permettere che le carezzassero e pizzicassero il clitoride notevolmente sviluppato. Dita brusche ed invadenti si infilarono in ogni suo buco, anche scacciandosi tra loro se non trovavano l’accordo per penetrarla due, anche tre insieme nella stessa parte. Le mani che non trovarono posto nelle sue parti basse, fecero presto a raggiungere i suoi seni. La palpeggiavano senza riguardo, cominciando a pizzicarle e torcerle i capezzoli fino a farla lacrimare per il dolore e l’umiliazione.

Il marito l’aveva chiamata "troia", e questi esseri viscidi, come tale la stavano trattando.

- Ehi, questa è una vera porca. Tastale la fica. Ci sta provando gusto. E’ tutta bagnata. -

- Tu non hai inteso niente, mettile un paio di dita in culo, senti come pulsa. Mai inteso una cosa del genere. -

Non se ne era accorta, non lo voleva, ma era vero. La sua fica stava bagnandosi. Il suo ano rispondeva suo malgrado, con piacere, a quelle intrusioni violente.

Guardò il suo uomo con la disperazione nel cuore. Voleva essere punita, umiliata per quello che gli aveva fatto, ma da lui, non da altri. Voleva soffrire, voleva espiare, ma per mano sua, non di altri.

Forse il marito capì il messaggio che i suoi occhi gli avevano lanciato, o forse pensò che si stava per passare il segno e che non avrebbe più potuto governare la situazione: un paio di avventori già avevano tirato fuori dai pantaloni il loro membro duro e pronto all’uso.

- Allora ragazzi, vi siete divertiti? Per ora basta così. Il seguito la prossima volta. Ora la troia ha da fare. – Indicandole l’uomo con cui stava parlando, le ordinò:
- Seguilo. E’ il proprietario. Ha parecchi articoli particolari da farti vedere. Se lo riterrai necessario, te li farà anche provare. Scegli tutto quello che pensi possa servirti. Non mi deludere. Intanto mi guarderò intorno per vedere se anche qui c’è qualcosa che ci possa essere utile. -

Mentre parlava, gli altri clienti, a malincuore, si allontanarono da lei dandole modo di rassettarsi prima di fare come le era stato ordinato.

Appena l’uomo accese le luci del magazzino, le sembrò di essere entrata in un museo delle torture. Le pareti erano letteralmente tappezzate di croci ad X, di fruste, frustini e staffili di tutti i tipi e misure. Corde, catene, manette, legacci di ogni tipo e per ogni uso. Cavalletti, gogne, manichini vestiti con strani indumenti di cuoio colmi di borchie, anelli e moschettoni.

Si guardò intorno con una certa apprensione. Cominciava a capire quello che voleva il marito: che scegliesse da sola gli strumenti con cui doveva punirla, torturarla, umiliarla; e nella scelta non doveva deluderlo.

- Ha già un’idea di quello che cerca o vuole che le illustri un po’ tutti i nostri prodotti? -

La voce dell’uomo la sorprese: gentile, serena, niente affatto equivoca o lubrica come si era aspettata.

- Mio marito non le ha detto cosa ci occorre? -

- No, signora, - non c’era traccia di ironia in quel "signora" - ha detto che avrebbe scelto lei. Cosa vi occorre in particolare per la vostra schiava? Strumenti di punizione o di costrizione? -

Dunque il marito non gli aveva detto che quello che sceglieva era destinato a lei. Si appuntò mentalmente che appena possibile avrebbe dovuto ringraziarlo per il tatto usato.

Si guardò di nuovo intorno. Scartò subito i grossi mezzi di costrizione: croci, cavalletti e gogne. Non le servivano. Avrebbe accettato tutto, fino in fondo, volontariamente, senza tentare minimamente di sottrarsi a qualsiasi castigo avesse voluto imporle. Se avesse subito le stesse punizioni legata, non avrebbero avuto ai suoi occhi lo stesso senso di volontarietà che si era imposta per arrivare al perdono.

Guardando i manichini, comunque, capì che qualcuno di quegli indumenti le sarebbe servito. Scelse una bella coppia di polsiere e cavigliere, un pesante collare, ed una robusta cintura. Tutti in cuoio nero e muniti di robusti anelli e moschettoni. Scelse poi anche un reggipetto, con le coppe forate al centro in modo che fuoriuscissero le aureole con i capezzoli ed il cui interno era irto di aculei regolabili. Potevano fuoriuscire fino a circa un centimetro. Chiese al proprietario di regolarli in modo che fuoriuscissero il massimo possibile.

L’uomo si complimentò per la scelta. – Vedrà quanto poco la sua schiava gradirà indossare questo reggipetto, soprattutto se la colpirà con una paletta tipo questa. - aggiunse indicando un paddle largo non più di sei centimetri e lungo circa mezzo metro. Poteva colpire contemporaneamente e con durezza ambedue i seni.

Prese anche quello. Immaginò con angoscia cosa avrebbe provato quando il suo signore avrebbe deciso di usarlo su di lei.

Staccò dalla parete un paio di fruste, una da oltre due metri, l’altra più corta, ma sicuramente molto più precisa. Prese anche qualche cane di bambù che sperimentò su una mano. Anche se usati piano, producevano un bruciore tremendo.

Era soddisfatta delle sue scelte. Mancava soltanto qualche paddle robusto per il suo sedere. Non ebbe che l’imbarazzo della scelta: uno rotondo normale, uno forato ed uno irto di piccoli aculei le sembrarono sufficienti.

Prima di uscire, guardandosi intorno per essere ben certa di non aver dimenticato nulla di importante, notò uno scaffale ben fornito di stringi seni e stringi capezzoli di varie forme. Per non sbagliare ne prese tre serie distinte.

Il gestore, comprendendo che la signora stava rifornendosi di un'attrezzatura completa, non mancò di suggerirle anche qualche siringa da vuoto, adatta per i capezzoli ed il clitoride. Anche di queste ne prese un paio di serie di diverse misure e forme.

Sperò di aver preso tutto quello che poteva servire a suo marito per aiutarla a redimersi: una cosa che non voleva proprio fare era deluderlo.

Si guardò nuovamente intorno, ma non trovò altro che non fosse ripetizione, in forma leggermente diversa, di quello che comunque già avevano.

Ora finalmente si sentì pronta a tornare dal suo uomo.

Anche lui aveva fatto spesa: due capienti buste ricolme erano deposte ai suoi piedi.

Pagò il conto e carichi di pacchi, fecero ritorno alla macchina.

Non fece in tempo ad allacciare la cintura di sicurezza che un violento ceffone le esplose sulla guancia.

- Questo è un piccolo promemoria per farti ricordare, appena arrivati a casa, di chiedermi di punirti per aver provato piacere dai palpeggiamenti di quei porci tuoi pari. –
Senza aggiungere altro mise in moto e partì.

continua......................
 
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Venusia
view post Posted on 11/3/2013, 23:44     +1   +1   -1




continua...................... quando? camberman
 
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view post Posted on 12/3/2013, 00:01     +1   +1   -1
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CITAZIONE (Venusia @ 11/3/2013, 23:44) 
continua...................... quando? camberman

adesso :D

=========================================

Erano di nuovo nel tinello.

Il piano interrato sembrava ormai essere diventato tutta la loro casa.

Gli acquisti erano depositati a terra, accanto ad una gamba del grosso tavolo in legno massello che troneggiava al centro della stanza. Lei, splendidamente nuda, era inginocchiata a lato della poltrona su cui era seduto il marito. Giocava distrattamente con i suoi seni, a volte li carezzava, a volte li stringeva fino a farle uscire le lacrime, secondo l’indirizzo che evidentemente prendevano i suoi pensieri.

La cena, preparata da lei in fretta, era stata consumata in silenzio. Lui seduto a tavola, lei accucciata ai suoi piedi, con il piatto poggiato per terra.

L’essere sempre completamente nuda l’aiutava molto nell’impersonare la parte che lei stessa si era assegnata. D'altro canto, non aveva tardato molto ad accorgersi che suo marito gradiva oltremodo averla sempre così liberamente disponibile per qualsiasi sua fantasia. Mentre preparava la cena, si era chinata per infilare una teglia nel forno. Non fece in tempo a rialzarsi che sentì due dita invaderle prepotentemente il buco del culo. Lei chiuse lo sportello del forno badando bene a non muoversi di un millimetro. Restò così, piegata in avanti mentre le dita la frugavano rudemente nella sua più nascosta intimità. Era stato un momento quasi magico. Con la mano libera suo marito le afferrò un seno stringendolo ferocemente. Tutto quello che lei permise al suo corpo fu di emettere un sottile silenzioso gemito. Poi sentì le dita uscire da lei e rientrare più grosse; forse tre, forse quattro dita, e spingere, spingere fino a farle sgorgare le lacrime. Il dolore era atroce. Cercò di rilassare i muscoli dell'ano, ma fu quasi inutile: le sembrava che lo sfintere si stesse per strappare da un momento all'altro.

Improvvisamente tutto finì. La mano fu tolta, il seno fu lasciato libero.

Combatté duramente con se stessa per non rialzarsi subito; per non massaggiarsi il seno che continuava a lanciarle fitte lancinanti. Restò prona in attesa del prossimo dolore che invece non venne.

- Sbrigati a finire di preparare la cena. Comincio ad avere un certo appetito. -

Questo fu il discorso più lungo che ottenne da lui da quando l'aveva schiaffeggiata in macchina.

Adesso erano lì, lei accovacciata ai suoi piedi, pronta a muoversi per rendergli disponibile qualsiasi parte del suo corpo.

- Posso parlare? – chiese approfittando di un attimo in cui la mano si limitava ad accarezzarla anziché procurarle dolore.

- Certo che puoi parlare, basta che tu lo faccia nei dovuti modi, avanti, cosa c’è? -

- Mi aveva ordinato di ricordarle che ho meritato una grossa punizione per aver provato piacere in quel negozio. -

- Volevo proprio vedere se te ne saresti ricordata. Brava. Prima però, fammi vedere cosa hai acquistato, se non sarò soddisfatto, uniremo le punizioni. -

Sperò ardentemente di non aver sbagliato, non per evitare l’eventuale punizione, ma per non dargli una delusione.

Era curiosa, voleva vedere cosa avesse comperato lui, così fece in modo di scartare per primi i suoi pacchi. Una serie crescente di falli in lattice. Il più piccolo era già di dimensioni notevoli, se fosse stato vero, l’avrebbe definito un gran bel cazzo; il più grande, settimo della serie, era qualcosa di veramente mostruoso. Impugnandolo con una mano, riusciva appena a coprirne metà circonferenza.

Sperò che non l'avesse mai costretta ad usarlo, ben sapendo, invece, che era una speranza vana. Rabbrividì al pensiero che avrebbe potuto infilarglielo anche nel buco per cui non era stato sicuramente costruito. Nel posarlo, fu quasi certa che lo avrebbe sperimentato proprio lì.

Da un’altra scatola tirò fuori una serie di pinze, di sfere e di cilindri metallici arrotondati in punta, non molto grandi ma comunque anch’essi di dimensioni rispettabili.
Da ogni oggetto pendevano dei sottili cavi elettrici. Ne conosceva l’uso: non li aveva mai sperimentati, ma una sua amica le aveva descritto cosa si provava nel sentirsi seni, ano e fica attraversati dalla corrente elettrica. Sudò freddo quando vide l'apparecchio cui sarebbero stati collegati. La sua amica le aveva parlato di una normale batteria da 9 volt, questo era munito di una manopola che consentiva di arrivare a 24 volt.

Una scatola con duecento aghi sterili; quattro speculi vaginali di differenti misure, ma certamente più per uso veterinario che per quello ostetrico, vista la loro grandezza; un’infinità di pinze metalliche. Per ultimo un attrezzo di cui non riuscì a capire l’uso: una scatola di legno, rettangolare, con angoli e bordi arrotondati, molto pesante. Da un foro laterale fuoriusciva un’asta filettata in punta. Si guardò bene dal chiedere spiegazioni: era cosciente che presto avrebbe verificato di persona dove e quanto dolore le avrebbe procurato.

Il marito si avvicinò soltanto quando iniziò a tirare fuori quello che aveva scelto lei.

Le fece indossare subito il collare, le polsiere e le cavigliere. Osservò con evidente soddisfazione il reggipetto senza però farglielo indossare. Approvò anche la cintura, dicendo che sarebbe tornata utile in più di qualche occasione.

Non aggiunse altro, ma era evidente che gli strumenti punitivi scelti dalla donna lo lasciarono completamente appagato.

- E’ soddisfatto delle mie scelte? – si azzardò a chiedere.

- Si, abbastanza, hai preso più o meno ciò che avrei preso io. Ho notato che non hai acquistato nessuno dei grossi strumenti di costrizione, vuol dire che pensi non ne avrò bisogno nel punirti? -

- Le ho già detto che può fare tutto quello che vuole, ed io lo accetterò senza ribellarmi, felice perché lei ha promesso che alla fine mi perdonerà. -

- Verifichiamo subito se quello che dici è vero. Prendi la paletta con i fori e stenditi pancia sotto sul tavolo. Regoliamo i conti del negozio. -

I segni delle staffilate del pomeriggio erano quasi scomparsi. Si fermò un momento ad ammirare il bel culo della moglie. Tondo, sodo, morbido al punto giusto. Lo carezzò con delicatezza ripensando a tutte le volte che, in passato, aveva provato un languido piacere nel compiere quegli stessi gesti, a tutti i baci che vi aveva delicatamente depositato.

Poi, una stanca tristezza lo assalì. Di quanti era stato? Quanti lo avevano accarezzato? Quanti si erano introdotti in quel piccolo, grazioso forellino che tanto gli piaceva?

In un attimo la tristezza si trasformò in furia e cominciò a colpire, non per punire, ma per far male. Immediatamente si rese conto di aver scelto l'attrezzo giusto per il suo stato d'animo. E' vero che non dava la stessa soddisfazione che si prova colpendo con la mano: mancava il contatto "fisico"; ma l'effetto che ogni colpo produceva, era nello stesso tempo, devastante per la sua vittima ed estremamente esaltante per lui stesso. Pochi, pochissimi colpi dati quasi con ferocia, gli furono sufficienti per demolire le difese della donna.

Ogni volta che il crudele attrezzo le piombava addosso, la donna si sentiva letteralmente esplodere mentre ondate di violento dolore si irraggiavano immediatamente per tutto il suo corpo. Freneticamente si aggrappò con le mani al bordo del tavolo per imporsi di non alzarsi e sfuggire a quell'atroce castigo.

Le urla della donna lo riportarono rapidamente alla ragione. Si rese conto che non poteva e non doveva continuare a colpire in quel modo, con quella forza. Diminuì la forza ed incominciò a colpire con un ritmo più lento, prendendo come bersaglio alternativamente una natica per volta.

Questo sistema sembrò, in qualche modo, esserle più gradito: le sue urla si smorzarono trasformandosi in piccole grida strozzate ad ogni impatto. La tensione delle membra si allentò, le natiche non erano più dure come il marmo, restavano rilassate ed assorbivano i colpi non opponendo resistenza spandendosi ed allargandosi ogni volta che la paletta vi piombava sopra violentemente.

Osservò quel bel culo rosso fuoco. In un impeto di tenerezza carezzò lievemente le parti più infuocate meravigliandosi del calore che emanavano.

Al lieve tocco delle carezze, la donna reagì con un lungo, profondo, brivido. I lamenti di dolore si trasformarono molto rapidamente in gemiti di piacere.

- Non è possibile. - pensò l'uomo continuando ad accarezzare le natiche ardenti della moglie - Ha preso una battuta con i fiocchi, ed eccola qui, pronta come una cagna in calore. –

continua.....................
 
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Venusia
view post Posted on 12/3/2013, 00:16     +1   +1   -1




specool
 
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view post Posted on 12/3/2013, 17:46     +2   +1   -1
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Quasi del tutto casualmente, nel carezzarla, le dita si incanalarono nel profondo solco. La reazione della moglie fu istantanea: sollevò il culo nell'attimo esatto in cui le dita le sfiorarono l'ano.

Poteva esserci un invito più esplicito?

- Non lo meriteresti, - le disse quasi scherzando, - ma visto che ti sei comportata bene durante questo regolamento di conti…-

Lasciò la frase a metà, si chinò e baciò a più riprese quel culo, che così rosso e infuocato, lo faceva impazzire.

Con la lingua cercò il bruno forellino. Lo trovò, lo titillò, ci girò intorno soffermandosi al centro come se volesse penetrarla in quel modo. Il corpo della donna era scosso da tremiti irrefrenabili. Mugolii di piacere accompagnavano i movimenti del suo bacino che si sollevava incontro alla lingua ogni volta che, nel suo girovagare, incrociava l'ano pulsante.

Il gioco durò poco, forse per lei, troppo poco. Un grido lungo, denso di soddisfazione, accompagnò il suo orgasmo mentre spossata, si abbandonava sul duro tavolo ad una breve pausa ristoratrice.

Chiuse gli occhi, beandosi di quella pienezza di sensazioni che quell'orgasmo inusuale le avevano procurato. Forse, per qualche breve istante, si addormentò.

Quando riaprì gli occhi, il marito era seduto sulla sua poltrona, la guardava in silenzio. Non le era mai successo, ma, sotto quello sguardo intenso, quasi si vergognò della sua nudità. Era il suo silenzio, che più la disturbava. Quel suo continuare a fissarla senza un gesto, senza dire una parola.

Toccava a lei riprendere il gioco? Si aspettava che fosse lei a riaprire le dolorose danze? Forse no, forse stava soltanto riposando beandosi della vista di quel corpo tanto amato, o odiato?

Il silenzio ormai si era fatto pesante, non più naturale. Doveva decidere in fretta.
- La ringrazio, è stato magnifico, bellissimo. Grazie, veramente. -

- Non c'è bisogno, anche a me ha fatto piacere. - Il suo sguardo era tornato sereno, quasi sorridente, ma non del tutto. Si aspettava ancora qualcosa.

- Allora, - lo invitò - non mi fa provare niente di quello che ha comperato oggi? -

- Cosa vuoi provare? C'è qualcosa, in particolare, che ha stuzzicato il tuo interesse? -

- Tutto, voglio provare tutto, o almeno, - si corresse realizzando che quel "voglio" poteva essere male interpretato, - tutto quello che lei desidera farmi provare. Ho visto che ci sono cose che dovrebbero darle un bel po’ di piacere quando me le farà sperimentare. -

L'uomo apprezzò il discorso, non che temesse di perdere il dominio, ormai consolidato sulla moglie, ma gradì quel suo chiedere volontariamente, insistentemente, nuovo dolore, nuove punizioni che ormai non erano più tali in senso letterale, ma si erano trasformate in una sorta di incessante, volontaria catartica espiazione.

- Si, hai ragione, mi dispiace per te, ma almeno un paio di attrezzi stuzzicano notevolmente il mio insospettato lato sadico. Allora, senti cosa facciamo: vista l'ora, non credo sia il caso di provare tutto, ma per un paio di attrezzi c'è tempo. Ne scegliamo uno ciascuno e alla fine mi dirai chi ha fatto la scelta migliore. Su, scegli. Io la mia l'ho già fatta. Se tu dovessi scegliere la stessa cosa, cambierò io, non preoccuparti. -

Sorpresa da quella proposta inaspettata, la donna cominciò a frugare tra gli oggetti acquistati dal marito.

Guardò nuovamente tutto, ma il suo interesse continuava ad andare verso la misteriosa scatola che l'aveva incuriosita fin dall'inizio.

- Scelgo questa, anche se non so proprio a cosa possa servire. - disse indicandola al marito.

- Ottima scelta. Possiamo usarla contemporaneamente alla mia. Per capire come funziona, prendi uno dei falli di lattice, ed avvitalo sull'asta. -

continua....................
 
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dr.jena
view post Posted on 12/3/2013, 23:34     +1   -1




Tri.... fallo continuare alla svelta please
 
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view post Posted on 13/3/2013, 12:02     +1   +1   -1
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T.P.E.
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ok lo posto fino alla fine
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fuckingmachine
La donna eseguì e, pensando che si trattasse di una semplice dimostrazione, avvitò sull'asta il primo fallo che le capitò in mano. Il quinto della serie: un paletto di lattice, a forma di oliva allungata, che nel suo massimo diametro raggiungeva almeno gli otto centimetri. Appena accesa la macchina, ne comprese il funzionamento. Il fallo era diventato uno stantuffo che avanzava ed arretrava, avanzava ed arretrava senza sosta, con movimento lento, fluido e regolare. Instancabile membro, pronto a scopare una donna all'infinito, fino al suo sfinimento più completo. Scopare o … .

Memore della preferenza dimostrata, quel giorno, da suo marito, per il suo culo, si pentì di aver scelto un fallo così grosso. Ormai era fatta, non poteva e non voleva tornare indietro. Si rincuorò pensando che, fortunatamente, non aveva scelto il più grosso.

Mentre lei guardava affascinata il lento movimento di quel mostruoso fallo, il marito aveva spostato di fronte alla sua comoda poltrona, la lunga panca su cui si era distesa poche ore prima per la rasatura delle sue parti intime.

La invitò ad avvicinarsi portando con sé la scatola con le pinze ed i cilindri metallici.

Un brivido le corse per la schiena: avrebbe sperimentato il tormento della corrente elettrica.

Le fece allargare le gambe al limite del possibile e piegare il busto verso terra fino a toccare con le mani il pavimento.

In quella posizione si sentiva oscenamente aperta ed offerta a qualsiasi intrusione. Dovette attendere poco: una fredda sfera, piuttosto piccola e ben lubrificata, le violò l'ano, spinta in profondità nella sua ampolla rettale dal dito del marito. Come aveva subito intuito, alla sfera nell'ano seguì un grosso cilindro profondamente infisso nella vagina. Due pinze metalliche, le morsero crudelmente i delicati capezzoli e subito dopo, altre due le strinsero le grandi labbra. L’ultima, la più crudele, addentò saldamente il suo sviluppatissimo clitoride.

Tutti i cavetti pendenti dal suo corpo, furono rapidamente collegati alla scatola di comando; dopo di che il marito le indicò la panca e la invitò a sedervisi sopra, a cavalcioni.

Il cilindro infisso nella vagina le dette un poco di fastidio, ma niente in confronto a quanto aveva fino ad allora sopportato.

Tramite gli anelli appositamente predisposti, le cavigliere furono collegate tra loro, mentre, con il solito nastro adesivo, l'uomo le bloccò le cosce, fino alle ginocchia, ai fianchi della panca.

L'uomo la guardò ammirandola: sembrava un'amazzone completamente nuda a cavallo di uno strano animale senza testa.

Le ordinò di prostrarsi in avanti.

Le tirò le braccia oltre la testa e legandole saldamente con il nastro, ai fianchi della panca, come le cosce.

Con una corda passante sotto il piano, legò gli anelli fissati ai lati della cintura. Così bloccata, la donna non poteva compiere il minimo movimento. Non poteva vedersi, ma immaginò che il suo ano era oscenamente aperto e pronto e disponibile ad essere invaso da qualsiasi cosa suo marito avesse deciso di infilarci: lei, anche se lo avesse voluto, non avrebbe potuto fare niente per evitarlo, per impedirglielo.

Dalla posizione in cui era costretta, accosciata come una rana, la donna capì che la maggior attenzione di suo marito si sarebbe rivolta nuovamente verso il suo ano ancora dolorante.

I suoi timori si rivelarono completamente fondati quando capì che il marito stava sistemando dietro di lei, a pochissima distanza dal suo culo, la pesante scatola con avvitato il grosso fallo di lattice che lei stessa aveva inconsciamente scelto. Il grosso stantuffo avrebbe compiuto l’instancabile, devastante andirivieni, proprio nel suo ormai martoriato canale posteriore.

Non dovette, infatti, attendere molto. Dopo aver trafficato per qualche momento con le due apparecchiature, la donna sentì una mano del marito lubrificarle abbondantemente l'ano e subito dopo la punta del fallo che veniva puntata esattamente là dove aveva paventato.

La macchina infernale fu accesa: lentamente, ma senza esitazioni l’enorme oggetto cominciò a farsi largo dentro di lei.

Violenti brividi di dolore infransero la sua forzata immobilità, ma non cedette: continuò, con tutta la sua volontà, a non opporre la minima resistenza.

Improvvisamente il dolore cessò. La parte più larga dell’attrezzo aveva superato l’anello del suo sfintère. Era completamente dentro di lei.

L'apparecchio fu spento.

Si sentiva piena all’inverosimile. Soltanto il dolore ai capezzoli, che l’assaliva ad ondate, superava, a volte, quello che provava nel basso ventre.

-Cara moglie, sei uno spettacolo. –

Erano mesi che non la chiamava più così. La donna, accantonando per un attimo il dolore, si chiese se finalmente fosse riuscita a far breccia nella sua intransigenza, se lo avesse finalmente convinto della sincerità del suo pentimento.

- Questa sarà certamente la punizione più dura tra quelle ricevute finora. Avrai di sicuro capito che, appena riaccendo la macchina, lo stantuffo comincerà quel lento movimento nel tuo culetto, che hai dimostrato a troppa gente di gradire tanto. Ma, - continuò piuttosto perfidamente, - non credo che questa volta ti piacerà tanto quanto in passato. Ogni cinque volte che il fallo ti sarà entrato completamente, come ora, per un giro completo si accenderà un interruttore che darà, a caso, corrente ad uno dei terminali che hai addosso. Una volta toccherà al capezzolo destro, un’altra alla fica, e così via. Per cinque minuti. Poi dipenderà da te. Passati i primi cinque minuti, potrai interromperla in qualsiasi momento. Ti basterà chiederlo, io mi riterrò soddisfatto dei primi cinque minuti. Poi ti scioglierò e potrai andare a riposare. Sei pronta? -

Non rispose subito. Qualcosa nel discorso di suo marito la lasciava perplessa: perché lasciare a lei la scelta se prolungare o meno la peggiore punizione imposta? Fino allora aveva sempre stabilito lui cosa e quanto; perché adesso, proprio adesso che l’aveva nuovamente chiamata "moglie", le lasciava quella terribile scelta? Perché non interrompeva lui stesso il tormento dopo cinque minuti? Non voleva? Allora comprese.

- Sono pronta. -

Una leggerissima vibrazione l’avvertì che la macchina era stata accesa, un attimo prima che l’oggetto infisso nel suo intestino cominciasse a muoversi: il supplizio aveva inizio.

La sua vera angoscia era l’altra apparecchiatura: quella che non aveva mai sperimentato.

Sentì per quattro volte il fallo sfilarsi lentamente, quasi del tutto, dal suo ano; per quattro volte subì la lenta e dolorosa dilatazione mentre quel palo di lattice si infilava nuovamente dentro di lei. Se non fosse stato per l'angoscia della scossa elettrica, forse alla lunga avrebbe potuto anche godere di quelle dolorose intrusioni; ma non riusciva a rilassarsi.

Trattenne il fiato durante tutto il ciclo della quinta intrusione, poi sentì un capezzolo inturgidirsi fino a scoppiare; dieci e cento aghi penetrare contemporaneamente in quello straziato capezzolo, cento e mille aghi aggredire e piantarsi in tutto il seno, in tutto il suo corpo, in tutta la sua determinazione.

Improvvisamente tutto finì. Soltanto allora si accorse che il suo corpo era completamente squassato da un intenso tremore, mentre, inesorabile, lo stantuffo si faceva, per la settima volta, strada dentro di lei.

Cercò di addormentare la sua mente, annullare i suoi pensieri. Non voleva presagire quello che avrebbe sofferto quando il caso avesse assegnato il contatto alla pinza del clitoride o al cilindro nella vagina.

I cinque minuti trascorsero senza che niente le fosse risparmiato. Per almeno tre volte, ogni contatto produsse la sua devastante opera su quel dolente corpo. L'ano, che con molta delicatezza, il marito provvedeva a lubrificare in continuazione, era in uno stato di dolore perenne, ormai quasi non avvertiva più l'implacabile movimento.

Ogni nervo, ogni muscolo, ogni tendine era teso allo spasimo dalla sofferenza, nella terrorizzata attesa del prossimo, ignoto punto in cui la terribile scossa l'avrebbe colpita.

Ogni cellula del suo corpo la implorava di fare cessare quello strazio. Soltanto la sua ferrea determinazione le permetteva di andare avanti, di sopportare oltre il sopportabile.

Lei stessa aveva deciso di punire il suo corpo in una sola, ultima volta; di mondare per sempre se stessa dalle colpe commesse.

I minuti passavano inesorabili; dieci, dodici, quindici.

L'uomo guardava attonito quell'amato corpo reagire sempre più a fatica agli inumani stimoli cui era sottoposto. Chiunque avrebbe fatto cessare da tempo quello strazio.

Lei no.

Continuava a subire al disopra delle sue forze, della sua resistenza, non provandone, con ogni evidenza, alcun piacere.

Finalmente comprese: Lei non avrebbe fermato mai quella punizione. Doveva essere l'ultima: o il perdono o la morte.


3. L'alba

Il lungo sonno ristoratore terminò mentre sognava che suo marito la stava baciando tenendola stretta tra le sue braccia.

Pigramente aprì gli occhi e vide il volto sorridente del marito che la guardava mentre, sdraiati sul loro letto ad acqua, le carezzava dolcemente tutto il corpo ancora dolorante.

- Buon giorno, amore. -

- Buon giorno amore, - gli rispose facendo le fusa, - con quale attrezzo nuovo giochiamo oggi? -


-FINE-

Edited by BDSMLover - 4/5/2019, 13:36
 
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10 replies since 3/3/2013, 11:29   12311 views
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