Mamma mia, le discussioni aperte da Rain sono sempre interessantissime ma questa in particolare mi ha fatto fare un balzo all’indietro di oltre dieci anni. Nel 2001 andai negli Stati Uniti ospite di un carissimo amico. Li’ ebbi la fortuna e l’onore di conoscere una Mistress italiana emigrata laggiu’ giovanissima. Non vi diro’ il nome perche’ non era una persona che amava particolarmente le luci dei riflettori e per rispetto verso il mio amico che spesso e volentieri ci legge su questo forum (ciao Sandrino!! TVB!!
). All’epoca aveva all’incirca 30 anni. Bellissima, colta, intelligente, laureata in psicologia ed espertissima di sociologia e scienza delle comunicazioni. Una donna che sprigionava sex appeal da ogni poro della pelle. Due occhi azzurrissimi che ti passavano da parte a parte. Mi sentivo in soggezione a parlare con lei e misuravo ogni parola che le dicevo sapendo che ad ogni vocabolo lei stava imparando qualcosa in piu’ su di me. Ci confesso’ che appena arrivava un candidato nel suo studio le bastavano pochi minuti per capire il 20/25 % della persona che aveva davanti. Il modo di vestire, di camminare, di parlare, di muovere i muscoli facciali, le mani. Partiva dal concetto che ogni uomo o donna aveva una sua casella. La casella di partenza era quella in cui un SUB accetta spontaneamente di servire un DOM. Questo era l’inizio di tutto. Il segreto stava nel rimpicciolire il piu’ possibile quella casella sino a focalizzare uno o piu’ “quadratini” chiave. Semplice ma efficace fu l’esempio che ci fece del cervello umano. Diceva che il cervello di un (a) slave era come un appartamento con piu’ locali. Lo scopo era arrivare a possedere le chiavi per entrare in ognuno di essi. Alcuni era meglio lasciarli chiusi ma in altri, una volta dentro lei era libera di spostare mobili e suppellettili a suo piacimento. Fu li’ che ci parlo’ espressamente del “mindfucking” aggiungendo scherzando che visto che l’uomo ha fottuto il corpo delle donne per secoli ora era venuto il loro momento di fottere il cervello degli uomini!
Ci diede appuntamento per tre giorni dopo. Avremmo partecipato attivamente ad una sua sessione seppur in abiti “civili”. Dovevamo rappresentare i suoi amici che venivano a trovarla mentre il suo slave l’avrebbe servita per tutto il tempo. Con mia grande sorpresa ci trovammo di fronte ad un omone gigantesco, almeno un metro e novanta, completamente calvo o con un fisico possente. Indossava un grembiulino nero con pizzo bianco da camerierina francese che gli nascondeva gli organi genitali, polsiere bianche tipo coniglietta di Playboy e una ridicola fascia per capelli (che non aveva!!) fatto con lo stesso materiale del grembiule. All’inizio si limito’ a servirci da bere e a portarci stuzzichini di ogni tipo. Non parlava mai ed eseguiva senza fiatare ogni ordine della sua Mistress. Ad un certo punto e’ proprio lei a dirci: volete vederlo piangere come un bambino? State a vedere. Lo chiamo’ al suo cospetto e rivolgendosi a lui in inglese (io non capivo una parola, oggi qualcosa lo mastico ma allora per me era vero arabo) alternava frasi sdolcinate a veri improperi di una violenza inaudita. Avreste dovuto vedere lo sguardo a meta’ tra il rapito ed il terrorizzato che aveva lui (che si sia trattato del “subspace” di cui parla Rain?). Era una marionetta i cui fili erano gli occhi, le mani, la voce e le espressioni facciali della Mistress. Bastava un’alzata di sopracciglio di lei per avere una reazione uguale e contraria di lui. Dopo dieci minuti di questa estenuante altalena quel pezzo d’uomo gigantesco si raggomitolo’ sul tappeto ed inizio’ a frignare come un ragazzino di dieci anni a cui avevano appena rubato la bicicletta. Sandro ed io rimanemmo a bocca aperta. Lei a calci lo spedi’ nell’altra stanza dove lo avrebbe raggiunto poco dopo. Ci spiego’ che con questo slave erano gia’ arrivati al loro quindicesimo incontro. Sapeva tutto di lui, dei suoi tre matrimoni falliti, del rapporto incompiuto con sua madre e soprattutto (udite udite) del fatto che era un sergente dell’esercito, integerrimo e spietato con i suoi subalterni. Lei aveva saputo trasportare l’immagine materna del soldato su di se’ con un lavoro psicologico sopraffino. Alternava momenti d’ira a momenti d’amore sapendo perfettamente che di sua madre lui aveva sempre temuto i primi e anelato i secondi.
Se volessi potrei ordinargli di andare in banca e portarmi centomila dollari, ci disse. Naturalmente non lo farei mai ma potrei farlo in qualsiasi momento.
Al termine di ogni sessione si fermavano a parlare per ore. Lui le parlava di se’, dei suoi timori, delle sue angosce. Insieme discutevano fino a dove spingersi la volta successiva. Praticamente lei era contemporaneamente la sua Mistress, la sua psichiatra, la sua amante, sua madre, sua moglie, sua amica. Mai visto niente del genere.
Rain, mi hai fatto venire una voglia di rivederla incredibile. Chissa’ come sara’ ora, con dieci anni di piu’. So’ soltanto che ripensando a questa donna incredibile e paragonandola alla Mistress che sono io oggi e’ come se confrontassimo un pilota di formula uno ed un pensionato che tira fuori l’auto dal box alla domenica per andare a fare compere.
Ma a questo punto mi domando: il mindfucking e’ uno strumento che non dovrebbe mancare mai nel corredo di un DOM (che lo usa a suo piacimento cosi’ come potrebbe non usarlo mai) oppure se ne puo’ tranquillamente fare a meno?
L’impressione e’ che in Italia ci siano decine di bravissimi Master e di splendide Mistress che del mindfucking non saprebbero cosa farsene.
Allora dove sta’ la risposta giusta?