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F, incalzato da qualche nerbata sulle natiche, obbedì come poteva. Dimostrandosi maldestro, secondo il giudizio della Signora. Pertanto si attirò subito minacce di pesanti punizioni. Comunque, faticando per la difficoltà di muoversi in quel modo, strisciò fino a superare la porta del salone e poi ancora avanti, lungo un corridoio che gli sembrò infinito, attraverso altre sale, finchè arrivò alla porta dell’appartamento della Dominatrice. F si rese conto che quello poteva essere l’alloggio di Miss Phoria poiché appariva composto da alcune stanze e proprio vicino alla porta, c’erano tre piccole gabbie metalliche, in due delle quali, erano rinchiusi, segregati nel poco spazio, altrettanti schiavi, nudi ed incatenati. Miss Phoria non badò a loro e fece proseguire F nella stanza successiva, dov’erano sistemati attrezzi di incatenamento e tortura. Alzatolo di peso, lo prese per i polsi che, sempre uniti dietro alla schiena, attaccò ad un gancio collegato ad un verricello mediante il quale lo tirò su, fino a costringerlo in punta di piedi. Con la schiena curva, le braccia issate ed il capo sbilanciato in avanti, F sperimentò la gravità di quella posizione, immediatamente peggiorata dal fatto che la Signora gli fece spalancare le gambe a dismisura usando come divaricatore un bastone con anelli alle estremità che agganciò alle cavigliere. Lasciato in quel modo F faticava ancora di più a tenersi puntellato sulle punte dei piedi e la difficoltà di reggersi aggravava maggiormente il suo patimento. Si rese subito conto che Miss Phoria non aveva particolare fretta, poiché rimase un per un po' a guardarlo, girandogli intorno piano piano, e poi si allontanò, sparendo dalla sua vista. Pur essendo riuscito a sbirciarla solo un attimo, timoroso di contravvenire alle regole, ma anche curioso dell’aspetto della Dominatrice, F aveva notato la bellezza di Miss Phoria. Di aspetto, mostrava di essere sulla trentina, aveva capelli ricci, fra il castano ed il rosso, portava gli occhiali e si facevano notare le sue labbra carnose, dipinte con un rossetto scuro, molto marcato. Di altezza media, sul corpo snello risaltavano le rotondità del seno, non molto pronunciato, e delle natiche. I pantaloni aderenti e gli stivaloni, facevano risaltare le gambe, dritte e tornite. Il suo atteggiamento gelido induceva rispetto, poiché c’era da aspettarsi che, da tanta calma, saltasse improvvisamente fuori una crudele violenza. L’impressione fu confermata quando Miss Phoria tornò nella stanza, preceduta dai due schiavi tirati fuori dalle gabbie che strisciavano per terra e sospinti a suon di scudisciate. Entrambi, già a prima vista, apparivano malconci e con le carni segnate da evidenti lividi. La Signora, che manteneva il suo apparente distacco, si era in parte spogliata. Senza i pantaloni, esibiva le gambe fasciate da calze autoreggenti, infilate negli stivali, ed un perizoma che le copriva appena il sesso e le lasciava in vista le natiche. Si era tolta anche la maglia, per cui restava in reggiseno, ed ai fianchi portava il classico cinturone, a cui erano attaccate manette, manganello e un lunga frusta arrotolata su se stessa. Sospinti dalla Dominatrice, i due arrivarono ai piedi di F. A quel punto, Miss Phoria si occupò del primo, mettendogli un ampio divaricatore fra le gambe che poi attaccò a un secondo verricello, per mezzo del quale, tirò su la vittima, fino a lasciarla sollevata da terra, a testa in giù. Al secondo, toccò, invece, di venire incatenato ad un cavalletto di legno, sistemato con la pancia in giù, schiacciata lungo l'asse trasversale, con braccia e gambe ammanettate ai piedi dello stesso. Durante quei preparativi, F constatò che i corpi degli schiavi erano segnati pressoché ovunque dai lividi. Inoltre, entrambi avevano anelli conficcati come piercing, sia ai capezzoli che al prepuzio, con una catenella che univa i tre punti, forzando il pene a stare in alto. Avevano pure un anello che stringeva lo scroto, verso l’attaccatura, mettendo così in uno strano risalto i testicoli. Ciò che maggiormente colpiva, comunque, era che i due apparivano magri, emaciati e vistosamente sofferenti, a visibile dimostrazione, degli innumerevoli patimenti a cui la Signora li aveva sicuramente sottoposti. Quando li ebbe sistemati, Miss Phoria tornò ad occuparsi di F. Innanzi tutto, azionò ancora il verricello elettrico per tirargli ancora più in alto le braccia, costringendolo quindi a drizzare il busto, in modo che fosse maggiore il dolore provocato dall’incatenamento con le braccia dietro la schiena. Poi, con gran calma, prese un cesto di mollette, che cominciò ad applicargli sul corpo. Cominciò dai capezzoli, mettendogliene sia in cima, che intorno. Proseguì lungo le braccia, e poi intorno al sesso, e ne applicò anche sul pene, sul glande e sui testicoli, gongolando ai gemiti della vittima. Altre ancora ne mise all’interno delle cosce, sul naso e sulle labbra, ordinando infine allo schiavo, di tirare fuori la lingua, per applicarne un paio anche lì. Il fastidio era notevole e la Dominatrice si dilettò, muovendo ora una ora l’altra molletta, levandone qualcuna con uno strappo, per poi rimetterla immediatamente. F sopportava quel gioco crudele mugolando di dolore, nell’impossibilità fisica di muoversi per il modo in cui era incatenato. Dopo essersi a lungo trastullata, Miss Phoria gli strappò le mollette, una ad una, finchè, quando ebbe finito, si fece vedere bene mentre sfilava il lungo manganello dalla cintura, e prendeva le misure, roteando infine su se stessa, per infliggere una violentissima randellata proprio in mezzo ai testicoli di F, che, a quel punto, mandò un urlo straziante, completamente stordito dall’atroce dolore. La Signora, non ancora appagata, gli spinse il manganello con forza, dritto in pancia, e poi lo colpì ripetutamente ai fianchi con una furia incontenibile. Solo quando lo schiavo perse l’equilibrio, lasciandosi penzolare dalla catena, Miss Phoria si fermò, restando ad osservarlo mentre mugolava col fiato mozzato. La tregua, comunque, non durò a lungo, poiché la Dominatrice lo incalzò affinchè si raddrizzasse e, quando ottenne ciò, si mise ad armeggiare con una seconda cesta che conteneva pinzette e morsetti metallici. L’uso di questi nuovi attrezzi, era simile a quello delle mollette, ma la loro morsa era ancora più forte. Innanzi tutto applicò ai capezzoli di F due pinzette, che stringevano esageratamente, e che avevano una specie di vite per essere bloccate e non perdere la presa, oltre ad un anellino dalla parte opposta a quella con cui mordevano la carne. Un’altra pinzetta identica, fu applicata sul prepuzio dello schiavo, che così, si trovava ad essere messo in modo simile agli altri due marchiati col piercing. Il gioco della Dominatrice, a quel punto, fu di passare una catenella fra i tre anelli, per divertirsi a tirare e strattonare contemporaneamente le pinzette. Ora tirava in avanti, ora di lato, ora sopra, ora in basso, ottenendo così di far muovere insieme pene e capezzoli, quasi strappandoli. A quelle sollecitazioni, F rispondeva urlando e piangendo di dolore, e ciò sembrava dare molto piacere alla ua torturatrice che, nel frattempo, si toccava voluttuosamente fra le gambe. Anche mentre si masturbava, eccitata dalla sofferenza della sua vittima, Miss Phoria non perdeva quell’aria fredda e distaccata, da aguzzina, che già stava elaborando una nuova tortura a cui sottoporre lo schiavo. Dopo un po’ di quel gioco, infatti, la Signora unì le estremità della catenella ad un moschettone, e quindi ad un’altra catena, più grossa e pesante che srotolò fino a farla passare sulla schiena dello schiavo incatenato al cavalletto, messo di traverso rispetto ad F. All’estremità della catena, quindi, applicò un grosso peso, che stava alzato da terra. In quel modo la catena era in tensione e le tre pinzette erano tirate in avanti. Inoltre, ad ogni anche minimo movimento dello schiavo sul cavalletto, F subiva strattoni, lievi ma molto dolorosi. La sua posizione fu ben presto aggravata: Miss Phoria gli cinse i fianchi con un’altra catena, che strinse esageratamente, e che poi attaccò ad un tirante infisso nel muro, alle spalle dello schiavo, costringendolo ad arretrare col busto ed esponendo così ancora di più i capezzoli ed il pene alla morsa che lo tirava dall’altra parte. La Signora, restò un po’ a contemplare la sua creazione, quindi decise di attaccare un’altra catena al divaricatore per le gambe, che collegò ad un altro appiglio sul davanti, costringendo F a subire un’ennesima sollecitazione in senso opposto a quella che lo tirava indietro. In definitiva lo schiavo si ritrovava appeso per i polsi, uniti dietro la schiena e tirati in alto dal verricello, con le pinzette ai capezzoli ed al pene che lo tiravano in avanti, nella stessa direzione in cui erano tirati i suoi piedi e le sue gambe, spalancate per effetto del divaricatore, mentre la pancia era trattenuta all’indietro dalla catena che, fra l’altro, gli segava la carne dei fianchi. Ogni respiro suo, o dello schiavo sopra il quale passava la catena con il peso, era sufficiente per scatenare dolore, ed a quel punto F non riusciva più nemmeno a gemere o piangere, poiché anche quei minimi scossoni risultavano insopportabili. Miss Phoria sembrava soddisfatta della sua opera, tanto che si mise a masturbarsi in modo plateale, senza perdere l’occasione per afferrare con una mano il sesso del terzo schiavo, appeso a testa in giù, tormentandogli pesantemente i testicoli. Ansimò e mugolò, per fare capire ai tre schiavi che stava godendo, divertita dalla loro sofferenza. Quindi uscì velocemente dalla stanza, lasciandoli soli.
F, non vedendola tornare, dopo un po’ cadde preda del terrore di essere abbandonato lì. Accennò inutili e dolorosissimi movimenti, constatando che otteneva l’unico risultato di farsi del male. Fra l’altro, lo schiavo sul cavalletto, cominciava a non reggere più la forzata immobilità, per cui cercava di spostare un poco la schiena, muovendo la catena che tirava le pinzette sul corpo di F. Era, in sostanza, una situazione del tutto insostenibile per lo schiavo novizio, che non aveva scampo, nè poteva sottrarsi al patimento. Al suo ritorno nella stanza, dopo una mezz'oretta, Miss Phoria, che nel frattempo si era rimessa la maglietta, restando ancora senza pantaloni, portò altri attrezzi. Erano altri pesi, che applicò alla catena che tirava le pinzette, sia alla fine, che in mezzo, fra lo schiavo sul cavalletto ed F per esasperarne ancora di più la morsa. Dopo avere controllato l’efficacia della sistemazione, prese un nuovo attrezzo, il cui scopo era di tenere spalancata la bocca della vittima a cui veniva applicato. Era composto da due parti di ferro, tenute aperte da molle, che avevano un blocco per impedirne in ogni modo la chiusura. Urtando le catene che tiravano F, gli si mise davanti, e gli ficcò in bocca l’attrezzo, regolandolo subito al massimo, affinchè lo schiavo si trovasse con le mandibole aperte al limite della loro possibilità. Un altro aggeggio che la Signora usò sulla sua vittima, era un gancio, fatto a forma di doppio amo, di cui infilò le punte nelle narici. Il gancio era unito ad una cordicella, che la Torturatrice gli passò sopra alla testa, tendendola quindi attraverso l’anello del collare, normalmente usato per mettere il guinzaglio. Da qui la tirò ancora, facendola passare attraverso uno degli anelli della catena che tirava F all’indietro, e poi ancora in mezzo alle natiche. A quel punto, legò la corda ad un tubo metallico di forma curva, che senza tanti complimenti, gli infilò nell’ano. Ora, F si trovava con la testa tirata all’indietro, il culo penetrato, il naso tormentato dalle punte del gancio. Si rendeva pienamente conto di avere ormai assunto un aspetto del tutto assurdo e sembrava che la sua Aguzzina trovasse ciò molto spassoso, poiché nuovamente gli girò a lungo intorno, palesemente divertita. Non aveva, però, ancora finito, perché dopo un po’ si mise armeggiare con una nuova catena. Stavolta ebbe bisogno di salire su una sedia, per farla passare attraverso un gancio sul soffitto. Ebbe cura di avere le due estremità al livello del pavimento, e quindi prese un moschettone per unire l’ultima catena con quella che tirava in avanti il divaricatore. Diede alcuni piccoli strappi, giusto per far capire ciò che stava per fare. F rabbrividì, rendendosi conto che la Signora aveva l’intenzione di tirare in alto la catena, trainando in quel modo anche le sue gambe, per fargli perdere la possibilità di appoggiare le punte dei piedi per terra. Perdendo anche quell’ultimo minimo appoggio, F sarebbe stato privo di ogni equilibrio, ed assolutamente in preda alle forze contrastanti che lo tiravano in direzioni opposte. Ad ogni strappo, scivolava con i piedi in avanti. Le spalle si drizzavano sempre di più, sul punto di slogarsi. Portava sempre più indietro la testa, per bilanciare la forza che lo teneva per il naso, ma in quel modo spostava all’indietro anche il busto, offrendosi maggiormente alla sofferenza di capezzoli e pene, morsi dalle pinzette. Miss Phoria, lentissima ma implacabile, non gli dava tregua. Inesorabilmente gli tirava in avanti i piedi, aggravando piano piano la sua instabilità, e quindi il suo dolore. Infine, con uno strappo finale, gli fece del tutto perdere l’equilibrio, facendogli sollevare i piedi dal pavimento. F, impegnò nelle braccia quel poco di forza che gli restava, cercando disperatamente di pareggiare la tensione che gliele stava girando in modo innaturale. Si rendeva conto che non avrebbe potuto resistere a lungo, e si aspettava da un momento all’altro di sentire cedere le ossa. Mosso dalla paura, che in quel momento era più forte del dolore delle parti del corpo, stritolate e strattonate in ogni direzione, trovò l’energia per un ultima disperata reazione: slanciò le mani verso l'alto, riuscendo ad afferrare la catena e trovando così un modo più efficace per reggersi. Miss Phoria lo osservava divertita, mentre cercava di resistere e sembrava in qualche modo molto soddisfatta di vederlo ancora reattivo. Con una mossa improvvisa, la torturatrice lasciò la catena che tirava in avanti le gambe di F ed azionò il verricello elettrico a cui era appeso. In pochi istanti lo schiavo si trovò tirato verso il soffitto, con le gambe a penzoloni, capezzoli e sesso tirati in basso sul davanti, e fianchi stretti dalla catena attaccata alle sue spalle. Doveva continuare a tenere anche la testa piegata all’indietro, ma il fatto di non essere sbilanciato dalle gambe consentiva ai suoi sforzi di ottenere qualche risultato. Alzandolo fino a fargli toccare quasi il soffitto, la Dominatrice, ottenne l’effetto di muovere in su anche la catena, che prima passava sulla schiena dello schiavo sul cavalletto. Così tutti i pesi tiravano decisamente in basso le pinzette, che stringevano capezzoli e pene di F. Rimase a guardare con calma la sua vittima, impegnata nel resistere a tutte le sollecitazioni, poi, lentamente, cominciò a rimuovere i pesi alla catena che tirava le pinzette. Molto piano, sganciò dal pavimento la catena che era ancora attaccata al divaricatore e finalmente allentò quella che faceva da cintura ad F, e che era attaccata al muro dietro di lui. A quel punto, allo schiavo restava ancora applicata la catenella fra le pinzette, il gancio al naso, unito a quello infilato nel culo, l’apparecchio per tenergli la bocca spalancata, ed il divaricatore. Soprattutto gli restava da fare i conti con il suo stesso peso, che gravava tutto sulle braccia, per le quali era appeso al soffitto. Miss Phoria decise finalmente di farlo scendere, azionando al contrario la carrucola, proprio quando stava per perdere tutte le forze e cedere. F, dunque, fu calato fino ad essere steso per terra, incapace di rialzarsi. Rimase a boccheggiare, con le mandibole forzatamente spalancate, a pancia in giù, mentre la Dominatrice lo sganciava definitivamente dal verricello. Gli scostò, quindi, anche la catena intorno ai fianchi, che ormai non stringeva più, e gli rimosse i ganci dall’ano e dal naso. Decise che per un po’ poteva lasciarlo in pace sul pavimento, ma dopo che gli ebbe fatto piegare le gambe indietro, per unire i bracciali, ancora inlucchettati dietro la schiena, al punto centrale del divaricatore. Così F si ritrovò in una posizione che, pur essendo tutt’altro che comoda, era assai meno penosa di quelle provate fino ad allora. Miss Phoria, a quel punto, si dedicò nuovamente a tormentare lo scroto dello schiavo appeso a testa in giù. Constatato che ormai anche quella vittima sembrava incapace di reagire, si decise ad abbassare anche quel verricello. In breve, F si trovò lo schiavo al suo fianco, nella sua stessa identica posizione. Sorte diversa toccò al terzo, che fu lasciato al cavalletto, e sul quale, Miss Phoria sfogò la voglia di usare la frusta e lo scudiscio. Si mise a percuoterlo a lungo, sulla schiena, sulle natiche e sulle gambe, rinnovando i lividi che gli coloravano la carne. Quando si fu stancata, lo staccò dall’attrezzo, lasciandolo ruzzolare per terra, e lo costrinse a strisciare fino alla gabbia, nella quale lo rinchiuse, prima di tornare da F e dall’altro schiavo. I due avevano appena ripreso fiato, e già toccava loro di affrontare nuovamente la gelida crudeltà dell’aguzzina. Dedicando la sua attenzione per primo ad F, Miss Phoria usò ancora il verricello, alzandolo da terra per i polsi, uniti al divaricatore. Fu una nuova dolorosa sollecitazione per lo schiavo, che venne fermato a circa un metro dal pavimento, ad aspettare che nel frattempo la Dominatrice si occupasse dell’altra vittima, a cui toccò identica sorte. F, dunque, dovette subire ancora l’inserimento del gancio nel naso, unito ad una corda che, come in precedenza, gli fu fatta passare sopra alla testa, dietro la nuca, attraverso l’anello del collare, ed infine attaccata al tubo a forma di "J", la cui estremità gli fu infilata nell’ano. Nuovamente, la Signora applicò grossi pesi alla catenella che univa le pinzette, gravando, così, su capezzoli e pene. Anche l’altro schiavo fu sistemato nello stesso modo, con il divaricatore per la bocca, i ganci nel naso e nel culo, i pesi alla catena. Miss Phoria rimase un po’ a rimirare le sue vittime, soddisfatta dell’opera, fin quando uscì velocemente dalla stanza e dall’appartamento.
F, sentendo il rumore della porta che veniva chiusa a chiave, fu preso dall’angosciosa paura di essere abbandonato lì a lungo. I polsi, già doloranti per il lungo incatenamento precedente, erano atrocemente morsi dai bracciali, e stavolta non aveva la possibilità di afferrare la catena a cui era appeso, per cercare di compensare il peso. La respirazione era affannosa, e sentiva tutti i muscoli della schiena anchilosati. I pesi e le pinze, gli tormentavano capezzoli e prepuzio. Anche le mandibole, erano doloranti, per essere tanto a lungo forzatamente spalancate, e dalla bocca, oltre che dal naso, tirati all'indietro dal gancio, perdeva saliva e liquidi che colavano per terra, sotto di lui. L’altro schiavo non era in condizioni migliori, anche lui già duramente provato dal precedente incatenamento a testa in giù. F, cercava di capire quanto tempo avesse fino ad allora passato alla mercè di Miss Phoria. Essendo stato condotto da lei subito dopo pranzo, poteva essere ormai passato l’intero pomeriggio, per cui si avvicinava la sua terza notte al Castello. In sostanza, da tre giorni non dormiva, né beveva né mangiava, e solo ciò sarebbe bastato come tortura, mentre aveva dovuto subire numerosi e pesanti altri patimenti. Restò così ancora a lungo, con la sofferenza aggravata dallo sconforto e dalla paura, finchè udì la porta dell’appartamento che si apriva. Nella stanza, fecero il loro ingresso Miss Phoria, che stavolta si era rimessa i pantaloni, e una nuova Dominatrice. Si trattava di una Signora bionda, più anziana, robusta, e vestita con camicia e pantaloni larghi. La nuova arrivata, si complimentò molto con l’ospite, per il modo in cui aveva sistemato le due vittime; ispezionò catene ed attrezzi, con grande attenzione, quindi, chiese di potersi divertire un po' anche lei. - Sarà un piacere per me assisterla, Lady Mara - le rispose Miss Phoria - Utilizzi pure gli strumenti che preferisce. - Mi basta assai poco - replicò l’altra. Quando si ha a disposizione uno schiavo così ben incatenato, la tortura è assai semplice. Dicendo questo, Lady Mara cercò fra gli attrezzi a disposizione nella stanza, recuperando un bastoncino sottile ed appuntito che mostrò a Miss Phoria con grande soddisfazione. Azionò, quindi, il verricello per alzare F, finché ebbe la sua faccia a portata di mano, e, con un sorriso cattivo in volto, cominciò a stuzzicare il naso della vittima, col bastoncino appuntito. Sentendo l’oggetto nelle narici, F provò una fastidiosa sensazione, che si aggravava man mano che la Signora lo spingeva più a fondo, pungendolo dall’interno, prima da una parte e poi dall’altra. Lo schiavo cercava di tirarsi indietro, ma era inutile, poiché già aveva il collo piegato al massimo, tirato all’indietro per effetto del gancio al naso. Il solo prurito, a parte il dolore delle ripetute punture, provocato dal bastoncino, era sufficiente a causargli sofferenza. Infatti, bastò uno starnuto per scuoterlo tutto, e ciò, tenuto conto di com’era incatenato, ebbe effetti disastrosi per i suoi muscoli anchilosati e tesi. Lady Mara, dopo aver a lungo tormentato F, stuzzicò anche l’altro schiavo nello stesso modo, ottenendo pure con quello, un risultato che giudicò piacevole. Riprese nuovamente con il primo, infilandogli il bastoncino anche nella bocca spalancata, oltre che nel naso. Gli pizzicò il palato, fino in fondo, provocandogli un terribile senso di nausea, tosse secca e mancanza di respiro. ornò al secondo, e poi continuò, alternando l’uno e l’altro, mentre commentava con l’amica più giovane, l’efficacia di quella semplice tortura. Trascorse così altro tempo, finchè le due decisero che era l’ora di prepararsi per tornare dalle altre Dominatrici. Rapidamente abbassarono i verricelli, lasciando F steso per terra, mentre il secondo, liberato dai vari strumenti costrittivi che lo cingevano, venne rimesso in gabbia. F fu liberato, in primo luogo del lucchetto, che univa polsi e divaricatore per le gambe. Gli tolsero quindi il gancio infilato nel culo ei anche quello nel naso. Quando venne liberato dall’attrezzo che gli teneva spalancate le mandibole, quasi non riusciva più a chiudere la bocca. Infine, con la rimozione del divaricatore, poté finalmente stringere le gambe. Lo fecero alzare in piedi, per allentare le pinzette: prima quella al prepuzio e poi quelle ai capezzoli, non mancando in quell’occasione, di strattonarlo ancora un poco. In definitiva, gli lasciarono solo i polsi lucchettati insieme, e nuovamente lo fecero stendere a pancia in giù, perché strisciasse lungo la strada del ritorno. Agganciato al guinzaglio, e sospinto dalle due Signore, con piccoli calci e scudisciate, strisciò faticosamente fino a tornare nella sala, in cui, ore prima, le Dominatrici avevano pranzato.
(continua)
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