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Racconti d'autore: L'ISTITUTO

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view post Posted on 31/7/2012, 14:37     +1   -1
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T.P.E.
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Anche questo è un racconto lungo, scritto da Frusta Gentile e pubblicato nel suo blog. Lo inserisco perciò a puntate, oggi le prime due.
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L'ISTITUTO

schiave


CAPITOLO 1

Katia scosse indietro i lunghi capelli biondi e lanciò uno sguardo all’alto muro grigio che si vedeva dietro il finestrino dell’autobus. Le sue dita si contrassero sulla piccola valigia che aveva accanto e sentì una fitta al cuore, come se l’avessero toccata due dita di ghiaccio. Era terribile. Quello non era il suo mondo.

Sua madre era andata su tutte le furie quando l’aveva sorpresa a letto con Gianni. Veramente non avevano ancora fatto nulla, anche se lei era ben lontana dall’idea di impedirlo. Come avrebbe voluto sentire il membro di lui nel suo piccolo sesso, sentirlo rompere le barriere e allargare le strette pareti, facendola godere.
“In fila per uno, scendere dall’autobus!”, sbraitò una voce severa.”Una volta fuori posate i vostri bagagli e aspettate le custodi”.
Katia allontanò ogni ricordo e vide che le altre ragazze si stavano alzando per scendere. Molte sembravano avere un’aria stanca e provata. Attese finché furono scese tutte, poi raccolse il suo bagaglio e seguì le altre nella fredda mattinata di novembre. Perché mai doveva trovarsi in un posto del genere solo per essersi scambiati qualche tenerezza? Katia non poteva crederci. Sua madre era stata irremovibile, aveva detto che la figlia era ormai irrecuperabile e aveva deciso di affidarla a un istituto di correzione. Era stato un incubo. E quel che era peggio, nessuno aveva speso una parola per difenderla, né i parenti stretti, né gli amici affezionati, nemmeno i vicini ipocriti.
“Per di qua!”, ordinò la guardia. Non c’era alcun calore in quella voce. Una donna dai capelli scuri, vestita con un severo abito in tweed, stava in piedi vicino alla scalinata d’ingresso con le braccia incrociate. Le guardiane marciavano nella sua direzione stando ai due lati del gruppo di ragazze.
“Andiamo, ragazze. La maggior parte di voi già conosce le regole del posto”, sibilò una delle custodi, lanciando un’occhiataccia a Katia. Lei abbassò il viso come se avesse ricevuto uno sputo.
“Quelle che ancora non le conoscono, seguano le compagne. Vietato parlare in fila!”, urlò colpendo con un grosso bastone la gamba sinistra di Katia. La ragazza emise un gemito di dolore, poi si morse il labbro superiore per impedirsi di piangere. Si rendeva conto che questo era solo l’inizio dell’incubo.
Le fecero marciare in fila serrata coi loro bagagli. Vi fu una lunga trafila di controlli, foto e documenti. Un paio di volte Katia colse lo sguardo di una delle guardie che la fissava in modo strano. Non sapeva bene come reagire, specialmente quando colse un sogghigno da parte di una delle ragazze che sembrava più incallita. Quindi le condussero alle docce, come Katia aveva temuto. Erano maltenute e c’era un orribile fetore.
“Spogliatevi! Gli abiti vi saranno riconsegnati insieme ai bagagli dopo che saranno stati ispezionati”. Katia cominciò a spogliarsi, terribilmente consapevole di tutta quella gente attorno a lei. Alcune ragazze avanzarono spavaldamente nella grande stanza piastrellata, coi seni che ballonzolavano e i cespugli del pube che sembravano emettere onde di elettricità. Un’altra ragazza dai capelli castani sembrava nervosa quanto Katia, mentre infilava i pollici nei pantaloni per farli scivolare. Katia le rivolse un sorriso mentre si sganciava il reggiseno mettendo a nudo il proprio petto. Piegò ordinatamente gli indumenti sulla valigia e si coprì il seno con le mani.
“Tu, qui!”, urlò l’orribile guardiana rivolta a Katia, indicandole un punto davanti a sé.
“Io?”, la sua voce era sottile ed incerta.
“Mi hai sentito. Svelta!”, ribatté la donna.
Katia si sentì osservata da tutte le altre ragazze. Non aveva scelta.
Arrossendo camminò a piedi nudi sul pavimento di piastrelle e si fermò davanti alla guardiana.
La donna era alta, quasi un metro e ottanta con gli stivali, l’uniforme modellava le curve piene del suo corpo. Era attraente, in un modo severo. Gli angoli della bocca piegati nello stesso orribile sogghigno che aveva giù fatto rabbrividire Katia.
“Girati, mani sui fianchi, e mostra bene il buco!”, ordinò la guardia.
“C-cosa?”, ribatté Katia stranita.
“Mi hai sentita! Voglio assicurarmi che non stai nascondendo qualcosa per farla entrare di contrabbando”. Diventando ancora più rossa di prima, Katia si girò e fece come aveva chiesto la guardiana. Poteva sentire le sue mani che le allargavano l’apertura anale. Un dito vi si infilò in profondità esplorandone l’interno, senza protezione e soprattutto senza lubrificante. Katia emise un sospiro accompagnato da una smorfia di dolore mentre i suoi capelli le ricadevano nascondendo il viso in fiamme. Quel dito! Era terribilmente a fondo dentro di lei. Era più di una carezza, ora, andava avanti e indietro con gusto, praticando un movimento come quello del coito. La ragazza cominciava a provare un certo piacere. Il suo clitoride cominciava a gonfiarsi e rispondere a quella stimolazione. Katia scosse la testa, le sue ginocchia cominciarono a tremare.
“Va bene, adesso girati! Mani sui fianchi e allarga le gambe”, fu l’ordine perentorio che la raggelò improvvisamente. Ancora riluttante la ragazza fece come le era stato ordinato. Il suo cespuglio era esposto allo sguardo della guardiana e a quello di tutte le altre ragazze. Con lo stesso sorriso crudele, la donna si piegò su di lei e posò entrambe le mani ai due lati della fessura vaginale. Anche Gianni aveva fatto così. L’aveva aperta in quel modo posando le dita sulle labbra rigonfie del sesso di Katia, mentre il suo cazzo ..., ma questo era successo un secolo prima, quando il mondo di Katia non era ancora stato stravolto del tutto.
“Sei vergine?”, fu la domanda brutale. “S-si”, fu la risposta.
La guardiana strinse gli occhi piegando la testa di lato, per scrutarla meglio.
“Già… lo sarai per poco”. La ragazza fece una smorfia quando sentì il dito della guardiana infilarsi nella fessura. L’altra custode intanto toccava il suo clitoride con una specie di carezza. Katia rabbrividì, facendo uno sforzo per rimanere immobile. Ma come poteva trattenere la sensazione delle sue cosce che tendevano a piegarsi in su e in giù assecondando quei movimenti? Il suo corpo era tutto un tremito sotto il tocco delle due donne. Katia contrasse le dita delle mani conficcandosi le unghie nella carne per resistere alla sofferenza di non mostrare piacere.
“E’ pulita. Alle docce”, disse finalmente la guardiana estraendo il dito di colpo.
Molte ragazze avevano già fatto la doccia e raccoglievano i loro vestiti.
Quando fu il turno di Katia di entrare nella cabina, fu sorpresa di vedere che tutte le altre avevano finito e se stavano andando. Voltandosi indietro vide che tutte e due le guardiane erano dietro di lei. Stava succedendo qualcosa. Se ne rese immediatamente conto e il suo cuore cominciò a battere forte.
“Dentro!”, e una delle guardie spinse Katia sotto la doccia.
Katia barcollò perdendo l’equilibrio. Si rimise in piedi e allontanò i capelli dal viso. Il pavimento bagnato la fece scivolare di nuovo e cadde appoggiandosi con le mani e le ginocchia. Sentì più di una mano che la prendeva per le spalle e la risollevava. “Oh, no, no!”, gridò.
L’avrebbero picchiata? Cosa le avrebbero fatto? Katia aveva sentito delle storie terribili di sevizie e violenze praticate nei riformatori. La più alta delle due guardie la fece girare e le abbassò con violenza le braccia, bloccandole con una mano. Era la stessa che l’aveva esaminata poco prima. Con l’altra mano si impadronì dei seni della ragazza e li strinse fino a strapparle gemiti di dolore. Era terribile! Katia tentò di divincolarsi e respingere quelle dita che sembravano d’acciaio, tentando di voltarsi dall’altra parte.
“Non devi mai voltare le spalle a una guardia, a meno che non te lo ordiniamo!, sibilò la donna.
La sua mano si sollevò prima di ricadere con un colpo secco sulla guancia sinistra di Katia. Nessuno l’aveva mai colpita con tanta violenza. La frustata di quelle dita le fece spuntare le lacrime agli occhi e la violenza del colpo la fece cadere un’altra volta al suolo.
“Per favore, no! Non ho fatto nulla di male. Lo giuro!”, piagnucolò la ragazzina.
Le guardie scoppiarono in una risata. Katia capì che non avrebbero avuto pietà. Indietreggiò strisciando tentando di nascondere le proprie intimità. La guardarono con bramosia come avrebbero fatto degli uomini. C’era una strana luce negli occhi di quelle due donne, qualcosa di perverso che Katia non aveva mai visto prima di allora. Continuò a indietreggiare sfregandosi la guancia dolorante. I suoi lunghi capelli le ricadevano in disordine sul bel viso terrorizzato.
“Su, Elvira, diamo una lezione a questa puttanella. La direttrice non ci farà caso. E’ occupata con le altre ragazze. Ora è tutta per noi”, disse con soddisfazione una delle guardiane.
“Con l’idrante?”, chiese Elvira. “Perché no? Chiamiamo anche Bruto”.
La più alta, Elvira, per prima cosa si girò e andò al telefono, borbottò qualcosa nel ricevitore, quindi riappese e ritornò verso un grande pannello, che aperto rivelò due pompe attaccate ad un idrante. “Ti daremo una bella lezione, piccola. Ti faremo ballare. Sono sicura che dopo non ci creerai più problemi. Non te ne dimenticherai facilmente”, disse a Katia.
La ragazza fissava terrorizzata prima una e poi l’altra donna. Vide una delle guardie sollevare il mento come a fare un segnale. Improvvisamente un getto di acqua la colpì al torace. Katia spalancò la bocca in un grido di sorpresa e i piedi scivolarono ancora di più sul pavimento. L’altro tubo dell’idrante pendeva al suolo inutilizzato. Per moltissimo tempo le due donne sommersero il corpo di Katia con getti di acqua bollente. La ragazza cercò di difendersi il viso con le mani lottando per rimettersi in piedi. Il suo corpo era quasi ustionato dall’acqua caldissima.
“Uh, basta, oh, pietà! Basta!”, implorò.
Cercò di fermare il getto con la mano e ricadde all’indietro andando a sbattere il capo contro la parete. Il pavimento era scivoloso come una lastra di ghiaccio sotto i suoi piedi nudi.
“Adesso si, che si sta muovendo. Mi piace vedere qualcuno che si dà da fare ai nostri ordini”, sogghignò Elvira.
L’altra donna rideva, impugnando l’idrante e dirigendolo contro il petto della ragazza. Katia piegò la testa all’indietro lasciando ricadere i lunghi capelli bagnati, era tutto quel che poteva fare per difendersi e impedirsi di cadere.
“Mio padre usava questo sistema per lavare i maiali”, disse la guardiana mentre lo faceva, ridendo di gusto.
Katia la guardò con rancore. Provava un sentimento di rabbia e di odio verso quelle due donne che si divertivano ad abusare del suo corpo e del suo orgoglio. Raccolse tutte le proprie energie per lanciarsi contro di loro. Ma un altro violento getto d’acqua la colpì all’improvviso. Dirigendo a terra l’idrante, Elvira colpì i fianchi di Katia. Il sollievo della pressione sul suo petto e l’improvviso attacco alla parte inferiore del corpo fecero perdere l’equilibrio alla ragazza che tentava di proteggersi con le mani davanti a sé. Con un grido Katia ricadde al suolo battendo la nuca sulle piastrelle.
La stanza le vorticò attorno per un attimo, il rumore dei getti d’acqua le parve lo scroscio di un torrente. Raccogliendo i sensi cercò disperatamente di rimettersi in piedi. Ma Elvira diresse prontamente il getto in mezzo alle sue gambe scompostamente aperte. Era la stessa sensazione delle dita ruvide che la frugavano tra le pieghe della sua carne intima. L’acqua batteva come un martello sul clitoride, colpendo con un getto bollente tutto il suo sesso e forzando le labbra della vagina ad aprirsi come le valve di un’ostrica. Katia si sentì sopraffatta, era come essere violentata in pubblico, pensò.
“No…no!”, provò ad urlare.
“Andiamo, tesoro, sappiamo che ti piace”, disse Elvira. “Ti stavi già scaldando quando ti toccavo, non è forse vero? E quando ti ho infilato le dita dentro…. mmmm”, insistette.
“Non è vero!, protestò Katia con le lacrime agli occhi.
“Bugiarda! Non vogliamo bugiarde qui. E’ contro il sistema. Tu sei una bugiarda e pagherai per questo!”, le urlò di rimando Elvira.
L’acqua batteva ancora sul clitoride della ragazza facendola annaspare sotto un’intensa sensazione erotica. Era troppo per lei e tentò di rigirarsi sul ventre per difendere il proprio sesso dall’idrante.
“E’ furba e tosta la ragazzina. Ci divertiremo con lei”, osservò Elvira rivolgendosi all’altra donna.
Katia sentiva i suoi capelli che si aggrovigliavano intorno alla gola togliendole il respiro, mentre l’acqua continuava a scottare il suo corpo.
Cercò di liberarsi dalla pressione, ma Elvira diresse nuovamente il getto tra le sue cosce seguendo i suoi movimenti e tenendola inchiodata al pavimento. Le due donne ridevano, una puntando il violento spruzzo sul suo petto e l’altra spostando continuamente il getto d’acqua per colpirla costantemente tra le cosce.
Katia era spaventata delle proprie reazioni. Ma come poteva resistere? Il contatto forzato dell’acqua sulle sue intimità era come una lingua che la avvolgeva e la penetrava contemporaneamente nell’ano e nella vagina. Ancora una volta ripensò all’ispezione che aveva dovuto subire.
“Pensi che sia pronta? Bruto dovrebbe essere qui tra poco”, disse Elvira dando un’occhiata all’orologio. Katia fece un altro sforzo per muovere il proprio corpo sul pavimento freddo e scivoloso. Non osava tentare di alzarsi. La forza del getto l’avrebbe sicuramente ributtata a terra. Stava imparando in fretta.
Quelle due donne l’avrebbero sicuramente uccisa e così, continuando a strisciare sul pavimento tentò di raggiungere la parete e aggrapparvisi con le unghie per riuscire a rimettersi in piedi. Pensava che se solo fosse riuscita ad alzarsi avrebbe avuto qualche possibilità di difendersi. Ma Elvira voleva essere sicura che la ragazza restasse a terra. Dirigendo l’idrante contro di lei la colpì con ancora più precisione su tutte le parti del corpo. Katia cercò di difendere il viso e il seno ma per lei non c’era alcuna possibilità di scampo. Si lasciò ricadere al suolo, vinta e abbandonata, con tutti i muscoli che si contraevano spasmodicamente.
“Nooooooooooo!”, urlò disperata.
Quando il getto la colpì nuovamente ai fianchi, Katia nascose il viso tra le braccia. Quelle donne! La stavano torturando per il gusto di vederla soffrire.
L’acqua ora le colpiva i seni e i suoi capezzoli si arrendevano alla potenza del getto. Sentiva che le punte si rizzavano nella stessa sensazione che aveva provato con Gianni. Ancora una volta strinse i denti e contrasse i muscoli per controllare quelle strane sensazioni.
“Guarda! La piccola bugiarda è in calore”, disse Elvira alla compagna, muovendo l’idrante dai seni alla vulva della ragazzina, e viceversa.
“Non mi sembra che si comporti come una verginella”, osservò l’altra donna.
“Lo è davvero. Ha ancora la sua ciliegina. Per il momento almeno….”, ribatté Elvira.
“Uhhhhhhhh!”, urlò Katia, provando un intenso orgasmo e venendo senza potersi più controllare, portando le mani al viso per nascondere la vergogna.
Era terribile essere così esposta e sentirsi gemere come una cagna davanti a quelle due sadiche. Giacque sul dorso piangendo e singhiozzando, mentre Elvira continuava a colpire i seni e la figa con l’idrante. La forza incredibile di quel getto le faceva sollevare e ricadere i fianchi. Gridò ancora in un misto di dolore, vergogna, rabbia e piacere. Le sue ginocchia si aprivano e richiudevano continuamente. Portando le mani tra le cosce cercò di arrestare quella sensazione pazzesca di calore che sentiva sulla fessura.
“La troietta non può fermarsi. Vuole scopare. Vuole un uomo, ma si accontenta anche di questo, in mancanza di meglio”, disse l’altra donna.
“Aspetta che arrivi Bruto. Le darà lui una lezione”, disse Elvira.
Katia avrebbe voluto gridare in faccia a quelle due donne quanto le facevano schifo con quelle orribili bocche e le loro marce perversioni. Ma ogni volta che tentava di aprire la bocca per parlare, un nuovo violento spasmo la assaliva al basso ventre, togliendole il respiro.

CAPITOLO 2

schiave



Katia sentiva l’acqua colpirla intorno al sesso, poi risalire ancora verso i seni. Elvira voleva prolungare la sua sofferenza trattenendola sull’orgasmo. La ragazza sentiva i propri capezzoli sempre più sensibili sotto il getto bollente. Di nuovo le tornò in mente l’immagine di una bocca, di una lingua che la percorreva lungo tutto il corpo.
“Lo vuoi dentro di te, vero, piccola troia?!”, sentenziò la guardiana.
Katia non voleva darle la soddisfazione di una risposta. Ma sapeva che le due donne avevano capito, il suo corpo parlava per lei. Non poteva nascondere le proprie sensazioni. Si contorceva sul pavimento con gli spasmi al basso ventre, piangendo di rabbia e frustrazione, mentre Elvira dirigeva l’idrante fra le sue cosce divaricate. Ma ora solo qualche goccia di rimbalzo ricadeva sul clitoride. Katia si rigirò con una forza selvaggia, puntando i piedi contro le natiche e slanciandosi verso il getto d’acqua in modo che la centrasse meglio, ormai schiava di quel vizio. Scuoteva violentemente il capo da un lato all’altro come una forsennata, e più di una volta si portò le mani in mezzo alle cosce per allargare le labbra della fica. Voleva sentirsi invasa da quel getto, sentire finalmente il brivido dell’orgasmo dentro di sé. Era una sensazione puramente animale. Le due guardiane avevano risvegliato e stimolato ogni parte sessuale del suo corpo. Katia non aveva mai avvertito un bisogno animale così intenso e una tensione così violenta in mezzo alle cosce. Tutto il suo corpo bramava l’ultima spinta, quella definitiva che l’avrebbe resa donna e le avrebbe fatto raggiungere il colmo dell’orgasmo più intenso. Si rotolò ancora sui fianchi in un estremo bisogno di quella esplosione sessuale. Ma Elvira sadicamente distolse il getto dell’acqua dalla ragazza.
“No! Oh, no, cosa..cosa mi state facendo? Perché… oh no. No!”, balbettò Katia, sicura che sarebbe impazzita se non riusciva al più presto ad ottenere il sollievo di cui aveva bisogno. Si umiliò pregando le due donne di liberarla da quella sofferenza. In fondo erano donne anche loro. Potevano capire meglio di qualunque altro cosa avevano scatenato e di cosa avesse bisogno.
Improvvisamente percepì un movimento al di là della fitta cortina di pioggia che le impediva la vista. C’era qualcun altro insieme alle donne. Doveva aver impugnato il secondo idrante, perché fu investita da un getto di acqua, stavolta gelida, che le colpiva la fica. Provò un dolore improvviso e intenso come se qualcuno l’avesse pugnalata. Emise un grido disperato mentre contemporaneamente il getto d’acqua calda le arrivava invece sul viso. Sentì la sua fessura serrarsi e le pareti vaginali contrarsi dolorosamente.
L’acqua gelata la colpiva con violenza ancora maggiore di quella calda.
Katia era stupita dall’acutezza delle proprie sensazioni. Quando all’improvviso il getto gelido le colpì invece il petto, si sentì mancare il respiro e ansimò cercando a fatica di tirare il fiato. Portò le mani alla gola distogliendo il viso dal getto, mentre i suoi fianchi si dibattevano ancora sul pavimento. Con un altro grido ricadde sul fianco sinistro, strisciando verso la parete di fondo. Quanto tempo ancora avrebbe dovuto sopportare quell’incubo, prima di perdere i sensi?
“Mi sembra pronta, adesso!”, disse una voce cavernosa sconosciuta. La voce di un uomo! Era certamente un uomo quello che le stava di fronte, al di là della nebbia, e fissava il suo corpo nudo arrossato e striato dalla violenza dei getti, che strisciava sulle piastrelle. Katia udì una risata più forte delle altre, ma ormai non le importava più nulla. Ora desiderava solo che quel terribile getto d’acqua si fermasse.
Totalmente fuori di sé, Katia cercò di gridare. Ma la violenza dell’acqua e gli spasmi che le scuotevano il corpo, glielo impedivano. Strisciò sul pavimento graffiandolo con le unghie mentre sentiva il mondo intorno a lei andare in frantumi. Sentiva che la propria mente stava cedendo e non riusciva a mantenere il controllo sul corpo.
“Ohhhhhhhhhhhh!”, ansimò sopraffatta.
Il rumore dell’acqua copriva le voci e le risate che venivano da dietro la fitta cortina bianca. Katia soffocava i propri singhiozzi, faticando a respirare. La stanza sembrò oscurarsi di colpo. Stava per perdere finalmente i sensi? In un certo senso sperava di svenire. Così non avrebbe più visto i suoi aguzzini che la fissavano aspettando di vederla cedere e abbandonarsi alle quelle sensazioni bestiali. Puntò nuovamente le dita sul pavimento cercando di sottrarsi alla tortura. Sentiva i capezzoli irrigiditi dal freddo e la tensione le faceva dolere i seni. Raggiunse finalmente la parete cercando di aggrapparvisi con le unghie. Il suo corpo nudo si avvinghiò a quel muro, il capo rovesciato sotto l’impeto dell’orgasmo che di nuovo stava salendo. L’acqua la colpì alla schiena come una frustata. Le braccia di Katia cedettero e la ragazza ricadde sul pavimento. La parete bianca di fronte a lei si oscurò come se tutto il mondo le crollasse addosso, mentre veniva come mai le era successo nella sua breve vita.
Finalmente l’acqua si fermò. Katia singhiozzava, raccolta sul pavimento con le ginocchia al petto, in posizione fetale. Udì il rumore di due pesanti stivali che si avvicinavano. Sapeva che avrebbe dovuto alzarsi e fuggire, o almeno tentare di chiedere aiuto. Forse in quell’inferno c’era ancora una persona sana di mente che avrebbe risposto alle sue invocazioni.
Sentiva ancora il proprio sesso scosso da spasmi, la pelle del corpo tutta raggrinzita. Era una sensazione piacevole, deliziosa. Avrebbe voluto restare lì per delle ore a godere il piacere dell’orgasmo in tutto il corpo. Ma Bruto aveva altri progetti. Katia sentì qualcosa di freddo contro la coscia sinistra.
Lo stivale. L’uomo stava facendo scorrere la punta dello stivale sul suo corpo, nel tentativo di rigirarla. Lei emise un gemito stringendo ancora di più le ginocchia. Lui alzò il piede premendole lo stivale sul viso. Per un attimo la ragazza pensò che l’avrebbe frantumata come un uovo. Ansimando, Katia sentiva la pressione dello stivale sulla guancia che le schiacciava le ossa e le premeva il capo contro il pavimento. Era quasi svenuta.
“Ti insegneremo a galoppare come tutte le altre, qui dentro”, disse l’uomo dandole un calcio.
Katia riprese i sensi mentre un altro calcio le arrivava sul sesso. Si sollevò sulle mani e sulle ginocchia in un equilibrio ancora instabile.
“Mettete via gli idranti. Me ne occuperò io in privato”, disse Bruto rivolto alle due donne.
Le guardie si scambiarono qualche battuta ridacchiando e obbedirono all’ordine dell’uomo.
Katia giaceva ancora in un angolo rannicchiata con le ginocchia al petto. Sentiva i capelli bagnati che le ricadevano sul collo e sulla schiena in un groviglio di nodi. Desiderava un asciugamano. Desiderava avere con sé la valigia che aveva preparato con tanta cura per poter indossare qualcosa di decente. Invece si trovava lì nuda, come un animale braccato, tutta dolorante e bagnata, esposta agli sguardi lascivi di quei porci. Elvira e la sua compagna avevano riposto gli idranti ed erano sparite dietro una porta dopo aver dato un’ultima occhiata alla ragazza.
“Adesso farai quello che ti dico io e andrà tutto bene. Non sono un tipo gentile come quelle due”.
Katia a quel punto avrebbe voluto richiamare indietro le due donne. Ma era chiaro che Bruto era il capo. Facendo schioccare le dita fece cenno alla ragazza di seguirlo. Lei tentò di alzarsi in piedi. Lui scosse la testa.
“No! Voglio che strisci. Vieni qui, piccola cagna. A proposito, come ti chiami?”.
“Katia”, sussurrò la ragazza tremante di paura.
“Bene, da ora sarai Cagna Katia”, sorrise l’uomo passandosi la lingua sul labbro inferiore.
Era un uomo attraente, pensò Katia, sollevandosi sulle mani e le ginocchia. Si sentiva ridicola e piena di vergogna. Ma il suo aspetto maschio era controbilanciato dall’odio e dal sadismo che gli si leggeva sul viso. Katia non era abituata a gente del genere, ma stava cominciando a imparare.
Lui schioccò ancora le dita sibilandole, “Vieni, Cagna Katia. Vieni avanti a quattro zampe”.
Con una mano davanti all’altra e le ginocchia che si trascinavano a fatica sul pavimento, Katia attraversò la stanza. Da qualche parte nella costruzione sentì la porta metallica di una cella che si chiudeva. Intorno a lei sgocciolavano i sifoni delle docce maltenute. Tutto sembrava irreale, le sembrava di muoversi dentro un film dell’orrore. Si fermò a qualche passo da Bruto, notando la protuberanza che pulsava nei suoi pantaloni. Dalla sua limitata esperienza con Gianni, sapeva cosa aspettarsi da quell’uomo. L’avrebbe violentata brutalmente in quel posto squallido e sudicio, e non ci sarebbe stato nessuno ad aiutarla.
Il suo sogno di una romantica prima volta si spezzo in centinai di pezzi cadendo rovinosamente nella realtà.
“Elvira dice che sei ancora vergine. Può darsi”, disse Bruto con le mani sui fianchi, “ma questo non significa che la tua bocca sia così pura”.
“C-cosa?”, disse Katia stupita. Bruto si chinò prendendole il viso tra le due mani. Lei sentì le unghie dell’uomo entrarle nella carne.
“Succhiare, fare un pompino. Ecco cosa intendo!”.
“No!”, gridò Katia.
Tentò di ribellarsi dalla stretta ma le sue ginocchia scivolarono sul pavimento. Bruto le tirò un calcio. La ragazza emise un grido e ricadde col viso sulle piastrelle. Ora sentiva le mani dell’uomo che la risollevavano, le giravano la testa e la premevano contro i suoi pantaloni. Sentì l’odore acuto della stoffa mal lavata misto a quelle del sesso che c’era sotto.
“No! Non fatemi questo!”.
Bruto la spinse indietro, se levò il copricapo da guardiano e lo appese a un chiodo. Si passò una mano tra i capelli neri e cominciò a sbottonarsi i pantaloni. Katia lo fissava mentre si toglieva la cintura e si apriva la patta.
Non indossava gli slip. Katia intravide un sesso scuro che premeva contro l’apertura. Poi lui si accostò nuovamente alla ragazza, col cazzo rigido e duro del tutto fuori dai pantaloni. La afferrò, mentre cercava di svincolarsi, ma lui la teneva saldamente per la testa. Katia sentì quel cazzo mostruoso che la colpiva in pieno viso, premendo la punta arrossata sui suoi occhi, mentre i testicoli le schiacciavano la guancia.
“Prova a farmi qualche scherzo, come mordermi, e sei finita. Intesi?”, le intimò.
Katia non ebbe nemmeno la possibilità di rispondere. Bruto la spinse indietro piantandole davanti il grosso membro per fissare con gusto sadico il viso pieno di terrore e repulsione della verginella.
Lei vide che misurava più di venti centimetri. E lui davvero voleva ficcarle in bocca quell’arnese mostruoso? Non ce l’avrebbe mai fatta. Contrasse i muscoli del viso mentre sentiva le dita dell’uomo che le forzavano la mascella.
Fu costretta ad aprire la bocca, il dolore era troppo intenso. Singhiozzando, dischiuse le labbra e serrò gli occhi, mentre le lacrime le scendevano sul viso.
“Ummmmmmmmffffffff!”, grugnì lei.
Senza tanti preliminari Bruto spinse brutalmente il cazzo nella bocca della ragazza e rise sentendola tossire, soffocata da quella violenta invasione. La grossa verga scivolò sulla sua lingua. Katia sentiva la tensione dei muscoli del collo mentre cercava disperatamente di distogliere il capo. Ma Bruto era molto più forte e la teneva ferma per la nuca ficcandole il membro sempre più a fondo. Lei lo sentiva sospirare mentre le affondava le unghie nella carne.
“Oh, si, piccola, dammi la tua bocca. Muovi la lingua. Pompa, piccola troia!
Quando ti dico succhia, succhia! E fammi sentire la lingua!”, grugni Bruto colpendola con uno schiaffo al viso, che la fece rintronare e dare uno scossone al cazzo che aveva in bocca. Katia si scostò i capelli dagli occhi, ancora sotto shock per quello che era costretta a fare: succhiare il cazzo di un uomo, uno sconosciuto, senza amore o piacere, solo violenza. Lei che ne aveva a malapena intravisto uno, prima che sua madre irrompesse nella stanza e la trovasse a letto con Gianni. E adesso era in ginocchio e costretta ad averne uno in bocca. Riusciva a stento a tenerlo tra le labbra. Aveva uno strano sapore, un po’ salato e selvatico. Inghiottì la saliva e chiuse gli occhi domandandosi quando quella umiliazione sarebbe finita.
“Dentro e fuori, piccola. E’ così che si scopa con la bocca. Ehi, è favoloso vederti fare il primo pompino”, grugnì Bruto, “anche se non sei brava, mi eccita farmi succhiare da una bocca vergine”.
La voce dell’uomo ora aveva un tono più basso e più grave, mentre le sue dita premevano a forza sulla nuca della ragazza. Il cazzo era nella bocca di Katia per più di metà della sua lunghezza. Lo spinse ancora più a fondo allargandole al massimo le labbra. Ora lei poteva sentire che le riempiva le guance e le toccava le tonsille, in fondo alla gola. Era sempre più difficile inghiottire la saliva che le riempiva la bocca, anzi impossibile, e la bava le scendeva dagli angoli, oltre che impedirle di respirare. Katia cercò di fermare i movimenti della testa e quel terribile andirivieni a cui la costringeva l’uomo.
Le ginocchia nude sulle piastrelle le dolevano, in quella posizione, ma il grosso guardiano era deciso ad ottenere quello che voleva ad ogni costo. Ma non era solo questo ciò che voleva.
“Oh, si, adesso basta. Fermati o mi scaricherò nella tua bocca in questo stesso istante”.
Katia tirò un sospiro di sollievo e si affrettò a inghiottire e liberarsi di tutta la saliva accumulata, appena si sentì liberata dal grosso membro. Era finita anche questa prova. Si sentiva sollevata ma allo stesso tempo dispiaciuta e strana. Malgrado la vergogna che provava, cominciava anche a sentire una strana sensazione di calore al basso ventre. Non travolgente e impetuosa come prima, durante l’orgasmo, ma sottile, di testa, causata dall’umiliazione e da un atto sessuale con un uomo, seppur forzato. Si scoprì eccitata e in fondo un po’ delusa della brusca interruzione. Pazienza, ma almeno non si ritrovò morta soffocata in un mare di sborra.
“In piedi!, le ordinò Bruto, senza ammettere repliche o indugi. La sollevò dal pavimento prendendola per il collo.
“Andiamo fuori di qui. Non intendo sprecare il succo del mio uccello nella tua bocca, quando ho un posto migliore per metterlo, disse.
Ancora una volta la ragazza cercò di liberarsi dalla sua stretta. Ma l’uomo l’afferrò per i capelli tirandola verso di sé. Katia sentì un dolore acuto. Gridò lottando contro quelle mani che le strappavano il cuoio capelluto mentre lacrime di dolore le scendevano sul viso. Lanciò un grido ancora più forte quando Bruto la trascinò sul pavimento, sempre tirandola per la medesima presa.
La stava portando fuori dalla stanza delle docce, attraverso lo squallido corridoio con una fila di lavandini sudici e vecchi specchi rigati. Bruto diede un ulteriore strattone ai suoi capelli, poi ce la trascinò tirandosela dietro come un animale catturato. Katia non poteva vedere dove la stava portando. Udì il tintinnio di un mazzo di chiavi, ma Bruto la teneva ancora per i capelli e non poteva vedere dove si trovassero.
“Dentro!”, disse l’uomo spingendola attraverso l’uscio con un calcio.
Katia si ritrovò in una stanzetta illuminata solo da una squallida lampadina che pendeva dal soffitto. I suoi piedi urtarono qualcosa di metallico. Doveva essere un piccolo soggiorno usato dai guardiani negli intervalli di lavoro.
Bruto, con i pantaloni ancora aperti, la spinse verso il materasso di una brandina, contro il muro.
“Stenditi sulla pancia!”, le ordinò.
Katia aveva imparato a ubbidire e non chiedere nulla. Fece come le aveva ordinato, tremando di terrore e di ansia. Portando lentamente una mano alla bocca si ripulì le labbra e le guance dalla sua stessa saliva intrisa del forte sapore di cazzo dell’uomo. La stoffa ruvida del materasso le pungeva i seni e la pancia. Quando sentì la rete sobbalzare sotto di lei, capì che Bruto le stava sopra.
“Adesso ci divertiamo per davvero!”, disse sghignazzando, già con la bava alla bocca.
Katia sentiva il suo respiro pesante e il fruscio dei pantaloni che gli scivolavano lungo i fianchi.
“Tira un po’ più su quel buco, come si conviene a una troia che vuol farsi infilzare”, fu l’ordine perentorio. “Sono sicuro che non aspetti altro”.
Katia arrossì, avrebbe voluto scoppiare a piangere. Quell’uomo le diceva tutte quelle cose orribili, e non c’era niente di vero. Lentamente sollevò le ginocchia e il culo. L’umida fessura era completamente esposta, ora. Sapeva che la stava guardando e che l’aveva vista poco contorcersi sul pavimento del bagno con le cosce spalancate. Come poteva pensare che non la considerasse una troia?
Nella tensione dell’attesa, udì un rumore. L’uomo stava estraendo qualcosa dalla tasca dei pantaloni. Si voltò giusto in tempo per veder balenare la lama di un coltello.
“No!”, urlò con tutte le sue forze. “Farò tutto quello che vuole. Ma non mi uccida!”.
Ma un colpo alla nuca la zittì riducendola ancora una volta in completa balia dell’uomo.


(continua)

Edited by BDSMLover - 4/5/2019, 13:28
 
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CAPITOLO 3


“No! Non fatemi del male!”, implorò Katia con il viso trasformato in una maschera di terrore. Si agitava mordendo con forza il labbro inferiore. Doveva trattarsi di un incubo, un sogno terribile da cui non si sarebbe certamente risvegliata.
Quando Bruto premette la lama del coltello contro il suo fianco non ebbe dubbi sulla realtà della situazione. L’uomo stava dietro di lei col cazzo fuori che sfiorava l’interno delle sue cosce. Poteva sentire il rumore fin troppo reale del suo respiro e della sua mole che la sovrastava. Katia cominciò a tremare di paura e scosse la testa lasciando che i lunghi capelli biondi le ricadessero scompostamente sul viso. Era incredibile tutto quel che le stava accadendo. Una giovane ragazza, appena entrata nell’adolescenza, torturata come un animale.
“Si, un bel buchetto. Proprio grazioso e invitante….”, osservò lui già pregustando il seguito.
Bruto depose per un attimo il pugnale e passò le dita sul corpo della ragazza seguendo col pollice la curva delle natiche. Katia si sentì aprire come un melone spaccato in due, mentre l’uomo le infilava brutalmente entrambi i pollici nell’apertura anale. Emise un gemito e spalancò la bocca con gli occhi fuori dalle orbite. Ora sentiva qualcosa di caldo e umido che le accarezzava l’ano. La sua lingua. Oddio! La stava leccando. Le infilava dentro la lingua e la rigirava come se fosse stata un dito sottile.
“Ahhhhhhhhhhhh!, proruppe Katia, suo malgrado.
Le spalle della ragazza si piegarono afflosciandosi e si sentì scuotere in tutto il corpo vergognandosi delle sensazioni che provava. Il terrore aveva lasciato il posto al piacere e alla perversione. Si morse il labbro inferiore fino a sentire il sapore del sangue, tendendo i muscoli delle cosce e sollevando ancora di più il bacino, per offrire meglio il culo. Bruto era tutto concentrato sulla sua apertura anale, allargata e inumidita quanto più possibile.
“Ti piace, eh, troia? Ti piacerebbe che ti mangiassi così anche la fica, vero?”.
Katia non rispose. Grugnì umiliata di essere stata scoperta, tendendo suo malgrado le natiche per un attacco più profondo, mentre un liquido caldo e appiccicoso colava lentamente dalla sua fessura fino alle cosce e al cespuglio del pube. Il crudele guardiano sapeva come eccitarla. Continuava a solleticarla profondamente con la lingua nel solco tra le natiche. Katia si sentiva prigioniera di se stessa. Affondò le dita nel materasso mentre l’uomo continuava a succhiarla.
“Uhhhhhhhh!”, si sentì gemere senza ritegno.
Bruto si spinse leggermente in avanti muovendo ora la lingua dall’ano alla vagina finché lunghe strisce liquide comparvero tra le cosce della ragazza. Fu allora che Katia udì un altro suono, il rumore della cinghia che veniva sfilata dai pantaloni.
“C-cosa? Oh, no!”, si lasciò sfuggire la ragazza passando dall’eccitazione al terrore.
Katia intravide l’ombra che si piegava su di lei. Poté vedere che si avvolgeva un’estremità della cinghia attorno alla mano lasciando ricadere l’altra estremità. Katia cercò di sollevare la testa per fronteggiare l’aguzzino, ma Bruto la tenne ferma, minacciando di batterla se avesse tentato di girare la testa.
“Oh, no.. Non potete… non potete farmi questo. Vi prego… “.
I suoi lamenti si spensero in un sussurro disperato. Non c’era nessuno che potesse sentirla. Poi vide l’ombra del braccio sollevare in aria la cinghia di cuoio. La cinghia sibilò e ricadde come un missile. Katia avvertì il bruciore violento di quel colpo sulle natiche. Tutto il suo corpo sussultò come un pesce trafitto da un arpione. Il dolore della scudisciata le strappò un singulto mentre lottava contro le lacrime.
“Non voglio che mi veda piangere!”, pensava Katia mordendosi la lingua mentre Bruto sghignazzava e sollevava nuovamente lo scudiscio.
“Ehi, che bello, che bel culo per la mia cinghia”, grugnì.
La striscia di cuoio ricadde ancora una volta, e ancora, e ancora. Katia fece del suo meglio per impedirsi di urlare affondando la testa nel cuscino e le unghie nel palmo della mano.
“Su, ora!”, le ordinò bruscamente il guardiano.
Un altro colpo alla nuca la costrinse a sollevarsi. Rimase così, in attesa di un’altra frustata, che invece non venne. Katia osò voltare la testa per dare un’occhiata alle proprie spalle. L’uomo stava dietro di lei, con la cinghia ancora avvolta intorno a una mano e gli occhi che brillavano sadici alla vista del suo corpo martoriato. Il suo cazzo era ancora più gonfio e grosso di prima, di un colore che tendeva al viola. Si distinguevano chiaramente le vene bluastre e rigonfie mentre alcune gocce brillavano sulla punta della cappella.
“E così vuoi vedere quel che ti faccio, eh? Ti piace vedere un uomo che ti colpisce, vero? Ci godi?”.
“No, no! Ma come può dire certe assurdità”, fu la pronta risposta. Ma di cosa stava .parlando? Lei riusciva a malapena a capirne il senso. Eppure cos’era quella strana sensazione che le percorreva le cosce rendendole molli e cedevole e che sembrava più forte della sua stessa volontà? Più forte la picchiava, più questa sensazione aumentava.
“No, no, no, basta!”, urlò sperando di convincerlo a lasciarla andare.
Ma perché quel trattamento rivolto proprio a lei? Perché non si trovava con le alte ragazze, nel calduccio delle sua branda? Katia singhiozzò e subito scacciò una lacrima dal viso. Vide ancora l’ombra del braccio che sollevata con la cinta, pronta a colpire e in un attimo ebbe un’illuminazione: la donna che non sa opporsi all’uomo, ne diventa schiava finché lui lo voglia. E lui ha il diritto di usarla come gli pare.
La nuova frustata la colpì con violenza alla base della spina dorsale, schiacciandola contro il materasso. Katia tese le braccia e digrignò i denti. Il suo bacino si contraeva
nervosamente mentre tentava di raccogliere le ginocchia per proteggersi dai colpi. Bruto fece sibilare la frusta vicino al suo viso. Katia strillò, scattando all’indietro nel timore che la sfigurasse per sempre. La sua reazione piacque al sadico.
“ Bene, sembra che tu abbia intenzione di sopravvivere, per divertirci ancora un po’. Molto bene”, disse Bruto soddisfatto”. E ricominciò a colpirla. Katia gridava e gemeva stringendo i pugni, mentre la cinghia ricadeva inesorabile sul suo corpo. Sentiva la sua carne che bruciava come se qualcuno l’avesse cosparsa di benzina e le avesse dato fuoco.
“Ahhhhhhhhhhhhh!”, gridò ormai vinta. La sua schiena era ricoperta da solchi violacei. Il respiro ansante di Bruto si mescolava alle sue grida di agonia. Contro la propria volontà, Katia sentì il salato delle lacrime che le sgorgavano dagli occhi e le scivolavano lungo le gote fin sulle mani. Aveva perso la sua battaglia. la sua volontà si era frantumata in mille pezzi.
“Yaghghghghghgh!”.
Bruto ansimava sempre più pesantemente. La cinghia colpì Katia in mezzo alle cosce tagliandole la carne accanto al clitoride. La ragazza pensò che sarebbe morta dal dolore.
“Yaghghghghghgh!”.
La colpì ancora. Stava mirando di proposito al sesso della ragazza, colpendola sempre più con precisione. Katia non ne poteva più. Tutto il suo corpo era invaso da un’intensa sensazione di dolore, i muscoli si irrigidivano ad ogni colpo di frusta. I suoi singhiozzi si confondevano col respiro ansante di Bruto e col sibilo della cinghia.
Un altro colpo la centrò in pieno sul clitoride. Ad ogni frustata i nervi di Katia vibravano come scossi da una corrente elettrica. Le vibrazioni partivano dal clitoride, facendolo pulsare. Gemendo di dolore e paura, non riuscendo più a sopportare quella tortura, Katia mosse una mano per difendere il proprio sesso dai colpi di cinghia. La frusta la colpì sulle dita facendola urlare di dolore.
“Stupida troia! Tieni lontano quelle mani o te le taglio!”, le intimò Bruto.
Katia abbassò la testa fino ad appoggiare la guancia sul cuscino. Lo mordeva nascondendo il viso contratto dal dolore.
“Cagna. Dannata piccola ipocrita. Adesso basta”, disse Bruto lasciando cadere al suolo la cinghia e avvicinandosi a lei sul giaciglio. Katia tirò un profondo respiro riempiendo i polmoni di ossigeno, pur sapendo che la pausa sarebbe stata breve. Avrebbe voluto sprofondare sotto terra. Quell’uomo la stava trascinando nel fango, le faceva del male e rideva di lei.
“Vi prego. Lasciatemi andare. Lasciatemi andare con le altre ragazze!”, implorò.
“A suo tempo. Non temere, non ho intenzione di ucciderti, per ora. Quando avremo finito tornerai insieme alle altre e a quelle due troie delle custodi. Ma adesso sei mia. Ti ho in pugno, piccola, e voglio fare un gioco pesante con te. E credimi”, aggiunse ammiccando “è quello che vuoi anche tu”.
“No, no! Vi sbagliate!”, cercò di protestare lei.
L’attenzione di Katia era catturata dai movimenti dell’uomo. Aveva ripreso in mano il coltello e le ordinò di girarsi sulla schiena. La ragazza mosse prima una gamba e poi l’altra e rimase distesa sul dorso. Lui la spinse fino a premerle la testa contro la testiera di ottone. La ragazza si sentì incastrata, bloccata, senza possibilità di movimento. Il cazzo del suo aguzzino era ancora più teso e duro, e pulsava, pronto ad eiaculare quel denso liquido latteo.
Katia ne aveva sentito parlare dalle sue amiche. Bruto si stava trattenendo, lo si capiva da come se lo stringeva con le dita di tanto in tanto per ritardare l’orgasmo.
“Sai, da ragazzo ho scorticato un sacco di bestie. Andavo sempre a caccia col mio vecchio. Tu l’hai mai fatto?”, si divertì lui a provocarla.
“N…no, mai!”, rispose lei in preda al ribrezzo e al terrore.
Bruto giocherellava col pugnale rigirandolo come affascinato dalla lama lucente. Quando il metallo catturava il riflesso della luce, brillava ammiccando nella sua mano. La stava minacciando col pugnale senza nemmeno sfiorarla, rievocando i giorni in cui lui e suo padre scannavano gli animali per puro piacere.
“Certo ragazza, potrei farlo ora, togliere la pelle di un coniglio in un batter d’occhio”, concluse facendo schioccare le dita per enfatizzare la propria affermazione.
“Dicono che anche i nazisti abbiano fatto le stesse cose con le persone, in Germania. Della gente interessante, quei nazisti, non trovi?”, disse ancora Bruto, guardandola negli occhi. Aveva uno sguardo canzonatorio e gioiva del suo terrore, mentre la spostava in modo che i piedi sporgessero dal letto.
“Si….si”, si trovò costretta ad acconsentire lei, temendo la sua furia.
“Sono contento che anche tu la pensi così”, e così dicendo, Bruto abbassò il pugnale toccandola nella zona tra la coscia e il sesso. Appoggiò per un attimo la lama di piatto fissando la carne che si tendeva. Katia si ontorse sul letto e un gemito le uscì dalle labbra. Il suo sguardo andava dal coltello al viso dell’uomo. Lui aveva gli occhi che gli brillavano e socchiuse le labbra come se stesse per dire qualcosa. Poi Katia capì che stava canticchiando una cantilena, mentre muoveva il coltello sul corpo di lei.
Rivoli di sudore le colarono sulla fronte, e la bocca si contrasse in una smorfia di terrore. Un fremito le percorse le gambe. Katia sapeva che ogni suo movimento avrebbe potuto spingere l’uomo a conficcarle la lama nella carne. Non voleva dargli questa possibilità. Bruto doveva essere malato per fare una cosa del genere a un essere umano. Doveva stare immobile, lasciare che lui si sfogasse, e poi tentare di fuggire.
“Già, niente di meglio che andare a caccia e scannare…”, disse Bruto quasi a sé stesso. Poi riprese la sua cantilena mentre il coltello si avvicinava sempre più alle intimità della ragazza. Un formicolio di sensazioni le percorsero il sesso, i muscoli si tendevano e si contraevano ad ogni movimento del pugnale che disegnava una linea curva e si arrestava a pochi millimetri dalle labbra della sua fica.
Bruto fece discendere la lama lungo la fessura. Katia grugnì chiudendo gli occhi.
“Vi prego, oh no, vi prego, non fatemi del male. Non feritemi”, sospirò.
“Non lo farei per niente al mondo, a meno che tu non cerchi di fregarmi in qualche modo. Ma tu non lo farai…non è vero?
“N…n…no!”.
“Bene, allora ci divertiremo insieme”.
Katia boccheggiò. Bruto distolse il coltello dalla fica e lo portò verso i piedi. Con la punta percorse tutta la pianta del piede destro. Se non fosse stata così terrorizzata, avrebbe sentito il solletico. Bruto impugnò l’arma come un cacciatore e improvvisamente tracciò un solco sottile sulla pelle della ragazza, che subito iniziò a sanguinare.
“Oh, no!”. Katia cercò di sottrarsi. “No, vi prego”, gemette retrocedendo finché la sua schiena fu contro la parete. Per un attimo temette che il suo intestino stesse per cedere.
“Vi prego, mettete via quel coltello. Farò tutto quello che volete, ma mettetelo via!”.
Bruto si passò la lingua sulle labbra fissando la ferita al piede di Katia. La ragazza se ne stava immobile col cuore che le batteva tanto forte che pensò sarebbe scoppiato. Voleva chiedere a Bruto cosa voleva da lei e cosa avesse intenzione di farle. Ma le domande erano inutili. L’aveva già capito cosa volevano da lei, in quell’orribile posto. Rabbrividì quando l’uomo la rigirò di nuovo sullo stomaco.
Ora tremava in preda al terrore. Non osava voltarsi a guardare l’uomo. Se chiudeva gli occhi, poteva comunque vederlo: scarno, muscoloso, un viso attraente deformato da un gusto sadico e da una mente malata. Nonostante la drammatica situazione, sentì che dalla fica le colava un liquido che le scorreva lungo le cosce. Si chiese se Bruto l’avesse notato. Era certa di sì. Katia voltò il viso appoggiando una guancia al cuscino, quasi fosse pronta per l’esecuzione della condanna. Si vedevano i segni dove aveva affondato i denti.
Che cosa avrebbe detto sua madre se l’avesse potuta vedere ora? Le veniva da piangere.
“Sulle ginocchia, cagna!”, fu l’ordine perentorio.
Katia obbedì prontamente sollevando il culo, per non contrariarlo. Il coltello ricominciò a lavorare.

(continua)
 
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CAPITOLO 4

Katia non riusciva a credere che il proprio corpo reagisse a quel modo, con il coltello nelle sua fessura. Era in calore e offriva le proprie intimità a quell’uomo sollevando e abbassando il bacino. I taglietti sulle labbra della fica ardevano come piccoli fuochi. Tutta la zona le doleva, ma non riusciva a stare ferma. Il sudore che le scendeva in mezzo alle cosce rendeva ancora più intenso il bruciore, mischiandosi agli umori che le inumidivano il sesso.
“Ehi, cagna, ti piace vero? Non vedi l’ora di avere il mio cazzo dentro! Sei qui da neanche un giorno e già vorresti liberarti della tua ciliegina. Come se ti desse fastidio da anni”, la incalzò lui.
“No, non violentatemi! Non fatelo, vi prego!”, supplicò Katia.
“Puoi contarci che lo farò. E non potrai pisciare né camminare per una settimana, dopo che avrò finito con te!”.
Katia udì il pugnale cadere a terra e sentì le forti mani di lui afferrarla per i fianchi. Stava per possederla, per montarla come un cane, come se lei fosse solo una cagna in calore. La tirò con forza verso di sé e le ginocchia le scivolarono indietro, nonostante si aggrappasse con forza conficcando le unghie nel materasso. Poi percepì la punta del grosso membro all’apertura della fica.
Bruto la teneva saldamente e con una spinta mandò il cazzo appena dentro la sua fessura.
Katia singhiozzò sollevando la testa e fissando la parete di fronte con gli occhi stravolti. Non aveva mai provato nulla di simile in vita sua.
Aveva sentito raccontare un sacco di storie di violenze, ma mai avrebbe pensato che potesse capitare a lei.
Boccheggiò nuovamente con la bocca e la gola completamente riarse, attendendo il seguito.
Bruto grugniva, perso nel proprio mondo di istinti primordiali. Cominciò a muoversi spingendo sempre più a fondo il membro nella vagina di Katia. Soltanto quando sentì la cappella incontrare la resistenza dell’imene, si arrestò. Katia lanciò un grido di terrore. Lui stava per perforarle quella piccola membrana.
Tutta tremante, piena di paura, cercò di fermarlo, di allontanarlo con la mano.
“Ehi, piccola cagna, cos’è questa storia? Prima non vedevi l’ora di averlo dentro!”, disse lui, riemergendo dai suoi pensieri.
“Mi fa male. Mi farete male…oh no, no! Tiratelo fuori. Fuori!”, urlò lei cercando di sfuggire alla morsa che la teneva bloccata.
“E’ quella ciliegina, vero? Dà troppo fastidio. Togliamola!”.
La voce di Bruto si era fatta ancora più grave. Le dita dell’uomo lasciavano lunghi solchi rossi sulla pelle di Katia. Continuava a stringerla sempre più forte, mentre il membro spingeva contro la membrana vaginale.
La ragazza singhiozzò. Vi fu un attimo di esitazione, poi Katia sentì qualcosa al suo interno cedere alla tremenda pressione. Ormai era andata!
Katia sentì la sensazione terribile di uno squarcio, seguita dal contatto ruvido di quel cazzo che apriva e allargava la sua cavità virtuale, rendendola una tana per piccoli animali. Si agitava e tremava scuotendo la testa da una parte all’altra.


L’aveva fatto! L’aveva sverginata, infrangendo la sua ultima difesa, e rendendola la sua cagna. Pensò che sarebbe svenuta. Vedeva davanti agli occhi macchie nere e gialle, ma qualcosa le fece improvvisamente riprendere i sensi.
Inginocchiata, col bacino sollevato in aria mentre veniva montata come un animale, si sentiva spaccata in due da quel cazzo che la possedeva con violenza, senza alcun riguardo. Bruto si chinò su di lei mordendole il collo e spingendo il cazzo sempre più a fondo. Non si era fermato un attimo dopo aver perforato l’imene e non faceva alcun caso alla sofferenza della ragazza. Anzi, l’idea che soffrisse sembrava eccitarlo ancora di più.
“Oh, no. E’ troppo grosso. Non riuscirete mai a farlo entrare!”, implorò ancora Katia, cercando di interrompere quella assurda catena di pensieri che le affollavano la mente, e quel tizzone rovente che si faceva largo dentro di lei.
“Vedrai i fuochi d’artificio e li sentirai scoppiare dentro la tua fica, cagnetta. Non senti che stanno già per accendersi?”, la stuzzicò lui.
Sbatteva il ventre contro le sue natiche sempre più in fretta e a fondo, e la forza di quell’impatto la faceva dondolare come una lanterna al vento. Katia gemette e affondò ancora di più i denti nel cuscino. Il sudore le colava dalla fronte mescolandosi alle lacrime. Graffiò e morse il tessuto mentre l’uomo continuava a scoparla sfondandola con tutta la sua forza. Ormai la sua vagina stretta era un lontano ricordo.
“Oddio, cosa mi state facendo… Basta, basta! “, si lamentò lei.
“Comincia a piacerti adesso, vero? Certo non avresti mai pensato nei tuoi sogni di bimba di essere scopata così. Ma ti piacerà!”, incalzò lui.
Bruto passò le mani sotto al corpo di Katia e le afferrò i seni strizzandole i capezzoli con tanta forza che la ragazza pensò che glieli avrebbe strappati.
Gridò per il dolore e il bruciore insopportabili. Bruto le morse l’attaccatura del collo come un lupo che tiene ferma la preda, facendole rovesciare il capo all’indietro come una cagna sottomessa. Katia si sollevò sulle braccia mentre il bacino e tutto l’interno del ventre erano scossi da sussulti incontrollabili.
“Su, piccola cagna, danza per me! Si, muoviti intorno al mio cazzo. Voglio trascinarti con me nel mio inferno!”.
Bruto la colpiva sulle natiche col ventre e i testicoli, sculacciandola ripetutamente per darle il ritmo. Le teneva i denti piantati nel collo mentre spingeva sempre più con forza il cazzo nel profondo della sua intimità. Katia poteva sentire i peli ispidi e duri del pube di lui sfregarle contro il solco, fra le natiche. Sembravano setole di una spazzola ruvida che la battevano e le irritavano la pelle già arrossata. Ma anche filamenti nervosi fatti apposta per stimolarla. Era selvaggio e meraviglioso, tutto questo. La sensazione di bruciore che provava all’interno della fica, la faceva impazzire. Si aggrappò alla coperta stringendola con le dita, ormai bianche dallo sforzo, aspettando l’ultimo spasmo che l’avrebbe spedita al di là, in un'altra dimensione.
“Dai che ci sei. Godi cagna, voglio che godi sotto di me! Vieni…su vieni, adesso!”, la spronò lui dandole dei colpi che rischiavano di sfondarla.
Quelle parole le fecero perdere ogni ritegno. Si senti volare verso l’alto e nello stesso tempo schiantare a terra. Katia urlò e singhiozzò sentendo un misto di dolore e piacere fare la guerra nelle sue viscere e sgorgare in rivoli dalla propria fessura. Il duello fra quelle due sensazioni e il dolore della stretta che le imprigionava i seni, le annebbiò la mente. Tutto quello che voleva era sentir crescere quella sensazione affinché la sofferenza e la tensione l’abbandonassero.
“Uhhhhhhhhhhhh”, gemette Katia suo malgrado.
“Troia! Piccola cagna! Godi, eh? Stai per avere il tuo primo orgasmo. E ti ricorderai di me e del mio cazzo per tutta la vita”, disse lui affondando soddisfatto dentro di lei, oltre il possibile.
Bruto la scopava ormai con tale violenza che ad ogni colpo la mandava a picchiare e a sbattere la testa contro la parete. Katia si aggrappò ancora di più al cuscino, insultandolo mentalmente. Sentiva la pressione di quelle mani sui seni come un fuoco che le si trasmetteva a tutte le sue fibre nervose, già terribilmente eccitate.
Katia non poteva credere alle proprie reazioni. Ma era così fuori di sé che ora voleva davvero che quel grosso cazzo la facesse godere. Era come se fosse impegnata in una battaglia mortale con se stessa su quello stesso giaciglio. La rete cigolava sotto i colpi dell’uomo e i sussulti di agonia di lei.
Katia emetteva inconsapevolmente ululati da cagna, un suono basso e rauco che le usciva dalla gola. L’impeto dell’orgasmo stava per esplodere dentro di lei, anche se ancora Non sapeva di cosa si trattasse. Provava piacere a quell’eccitamento, a quella tensione gioiosa e dolorosa che stava per scaricarsi in una furia selvaggia.
Il tremendo calore che sentiva nel ventre cresceva sempre di più. Poteva sentire il risucchio del cazzo che la scavava dentro. Improvvisamente le pareti della vagina si contrassero in uno spasmo più forte e Katia digrignò i denti.
“Yaghghghghghhh!”. La tensione del suo corpo, trattenuta a fatica, cominciava ad esplodere.
Katia sentiva che l’uomo era sul punto di venire, tutto quello che doveva fare era aspettare e presto avrebbe sentito l’orgasmo di lui che la riempiva.
“Si, piccola cagna, adesso….Adesso!”.
La voce di Bruto si alzò di tono mentre le sue dita si serravano ancora più forte sui seni della ragazza. Poi il suo cazzo dette una spinta più forte e si scaricò con una violenza inaudita. Katia subì il getto di sperma che le colpiva il fondo dell’utero e la riempiva totalmente, colandole subito dopo lungo le pareti vaginali e lungo le cosce. Cosa le aveva detto? Ah, si. Che le avrebbe fatto vedere i fuochi d’artificio. Ed era proprio quello che stava accadendo.
Sentiva la testa esplodere e il liquido distenderle i muscoli della fica, mentre l’uomo continuava a muoversi avanti e indietro più lentamente ora, quasi a rallentare la folle corsa prima di bloccarsi del tutto.
“Uhhhhh!”, ansimò lei con la bocca spalancata mentre si sentiva scuotere come per un terremoto. Agitò il bacino contorcendosi tutta e gridò quando Bruto le affondò i denti nella spalla.
“Prendila, piccola cagna…prendi tutta la mia sborra!”.
Era quello che stava facendo. L’orgasmo salì dentro di lei avvolgendola tutta,i seni, le dita, le ginocchia….le cosce. La zona attorno al sesso era tutta un bruciore, mentre altre ondate di piacere la sommergevano, togliendole il respiro. Era mostruoso, animale, ma meraviglioso. Ad ogni contrazione delle pareti vaginali seguiva un rilassamento che fermava per un attimo il dolore fino all’esplosione successiva. Katia aspettava con ansia questa esplosione, gemendo e contorcendosi sotto i colpi dell’uomo. Avrebbe potuto andare avanti così per un’eternità, e Katia lo desiderava! Il suo sesso l’aveva tradita!
Singhiozzò, vergognandosi, ricordando che l’uomo da cui veniva posseduta era il guardiano di un terribile posto da cui avrebbe voluto fuggire. Ma anche così, la sensazione che provava era la più bella che avesse mai subito in vita sua.
E, improvvisamente, fu tutto finito. La sua figa cercò di spremere altro succo dai testicoli di Bruto, ma non ce n’era più. L’uomo la lasciò andare e sghignazzò quando la ragazza ricadde senza forze sul letto, come un sacco vuoto.
Katia nascose il viso nel cuscino inzuppato di sudore. Avrebbe voluto che l’uomo se ne andasse, che sparisse lasciandola sola, così avrebbe potuto nascondergli la propria vergogna. Che mostro di ragazza era in realtà? Lui l’aveva vista eccitarsi sotto i getti dell’idrante ed ora l’aveva violentata, sverginata e lei aveva ceduto al piacere mentre lui ne abusava sghignazzando. E le era piaciuto! Cos’altro le avrebbe fatto? Quali altre umiliazioni avrebbe dovuto subire prima che finisse quell’orribile giornata?

(continua)
 
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CAPITOLO 5

“E’ stato bello, piccola. Accidenti, ci divertiremo un sacco, qui. Vedrai, ti piacerà la tua nuova casa”, disse Bruto soddisfatto.
Katia singhiozzava, tutta rossa in viso. Raccolse al petto le ginocchia rannicchiandosi in posizione fetale. Era stata violentata. Aveva ricevuto dentro di sé il cazzo di uno sconosciuto, era stata scopata come un animale, come una bestia, come una cagna.
“Adesso è ora di alzarci. Devi presentarti alla direttrice e raggiungere le altre ragazze”, disse Bruto, scendendo dal letto. Raccolse i suoi vestiti mentre Katia rimaneva immobile. Poi la ragazza sentì un sibilo seguito dal rumore secco di una manata che la colpiva sulle natiche. Strillò ritornando in sé e fissò l’uomo con le lacrime agli occhi, sfregandosi i glutei arrossati.
“Questo non è un albergo. Quando ti si dice di muoverti, devi muoverti! Andiamo ora”, ordinò Bruto andando a raccogliere i vestiti di lei e gettandoglieli addosso.
“Adesso ti farai una doccia per ripulirti. Muoviti !”, rincarò lui.
“D…doccia?”, ansimò Katia, stringendosi al petto gli abiti. Bruto rovesciò il capo all’indietro scoppiando in una fragorosa risata.
“Non preoccuparti. Elvira e la sua amica saranno occupate per un po’. E adesso muoviti !”.
La spinse fuori dalla stanza e chiuse a chiave la porta, quindi l’accompagnò alle docce. Erano ancora deserte. Bruto rimase lì, appoggiato alla parete con le braccia incrociate sul petto. Katia rabbrividì sentendo lo sguardo dell’uomo che percorreva il suo corpo nudo. Si vergognava, nonostante avesse abusato di lei fino a pochi minuti prima. Si insaponò tra le cosce sentendo la fica ancora umida e calda, cacciando indietro le lacrime. Tutto era successo in un giorno, un solo brevissimo giorno! Era incredibile! Era stata trattata in un modo orribile, derisa, umiliata, e infine violentata ! Mentre si spruzzava il viso con l’acqua fredda, la ragazza stentava a credere che tutto ciò fosse realmente successo. Ma lo sperma e il sangue che stava lavando dal suo sesso violato le ricordavano che era tutto vero.
“Sbrigati ! Non possiamo star qui tutto il giorno. Non stai in villeggiatura”.
Bruto le gettò un asciugamano sporco raccolto da terra e continuò a fissarla mentre si asciugava e si rivestiva. Non riusciva a trovare i sandali e la ferita al piede sanguinava ancora.
Lì accanto c’era la sua valigia, quella che prima le avevano sequestrato. Bruto gliela lanciò col piede mentre lei finiva di abbottonarsi il modesto vestitino stampato. Una volta usciti dalle docce, la diresse con brevi cenni autoritari lungo un interminabile corridoio. Si sentiva nell’aria il tipico odore degli edifici pubblici, il tanfo del disinfettante che copriva ogni cosa. Attraverso una finestrella rettangolare della porta, Katia intravide quelle che dovevano essere le aule. Le altre ragazze erano divise in piccoli gruppi, occupate a svolgere un compito.
“Ci arriverai quando avrai dimostrato di collaborare”, la minacciò Bruto, seguendo il suo sguardo.
Katia rabbrividì. Riusciva a stento ad immaginare cosa volessero significare le parole dell’uomo. Girarono in un altro corridoio e si ritrovarono nel settore riservato agli uffici. Katia sentì con sollievo la soffice moquette sotto i piedi nudi.
C’era un’aria di calma, quando si fermarono davanti a una pesante porta di quercia. Una piccola targa annunciava l’ufficio della Direttrice.
Bruto si tolse il cappello, bussò e ottenuto il permesso aprì la porta. Fece cenno alla ragazza di seguirlo. Era un ufficio molto ampio, arredato con pochi mobili eleganti. Dietro la scrivania in legno massiccio sedeva la signora Federica, segretaria personale della direttrice. La donna stava battendo a macchina e si interruppe per un momento, abbassando gli occhiali per vedere chi fosse entrato. Fece un piccolo sorriso e riprese il proprio lavoro.
“E’ un caso particolare?”, chiese la donna con una voce acuta.
“Sì, signora. C’è la dottoressa Storti?”, chiese Bruto con rispetto.
Il silenzio cadde pesante quando la donna smise di battere a macchina. Quindi si girò e annuì leggermente.
“Sì, ma è terribilmente occupata. Per via di un pezzo grosso venuto da Roma.
Posso….”, cercò di prendere tempo la donna.
“Credo che sarà interessata a questo caso”, incalzò Bruto.
Ci fu un’altra pausa di silenzio. Durante tutto quel tempo Katia aveva tenuto la testa bassa, con lo sguardo al pavimento. Ora sentendosi osservata sollevò il viso e fissò la signora Federica. Anche in quella donna non c’era ombra di pietà né di compassione. Sentì che Bruto la spingeva con le mani sulle spalle verso di lei. Poi le fece lasciare il bagaglio accanto a sé ed entrò in un altro ufficio, molto più elegante. Lì, in piedi di spalle davanti alla finestra, c’era la direttrice dell’istituto, la responsabile di tutto quello che accadeva.
Appena la porta si fu richiusa, la signora Federica si tolse gli occhiali e li rigirò in mano mentre la studiava. Katia si morse il labbro, aggrappandosi a una tenue speranza di salvezza e domandandosi se l’avrebbe lasciata parlare.
Poi cominciò a balbettare frasi sconnesse.
“Mi hanno violentata!, gridò quasi, mentre le lacrime le scendevano sul viso.
“Oh. Davvero?, fu la prima reazione.
“Sì. Prima due donne mi hanno violentata con l’idrante….”.
“Con tutto l’idrante? Mia cara, la cosa mi sembra altamente improbabile….”.
“No, no… con l’acqua. Elvira e l’altra… e poi… quest’uomo….”.
Katia scoppiò a piangere e si coprì il volto con entrambe le mani, lottando per ritrovare il controllo.
“Quest’uomo poi mi ha violentata. Mi ha portata in uno stanzino…. e mi ha violentata”.
Non poté continuare. Le lacrime soffocavano le sue parole.
“E’….tutto?”, chiese la signora Federica.
Katia non poteva credere a quel che udiva. Smise di piangere, col gelo nell’anima, e rimase a fissare allibita quel mostro di donna.

(continua)
 
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view post Posted on 21/9/2012, 22:24     +1   -1
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CAPITOLO 6

“Si è comportata bene?”, chiese la dottoressa Storti.
Bruto si strinse nelle spalle, guardando la ragazza con un sogghigno.
“Abbastanza, signora. Penso che abbia delle grandi potenzialità”, rispose lui.
“Se verrà affidata alla vostra guida personale, vero?”. La direttrice si toccò lo chignon sulla nuca, poi girò intorno al tavolo appoggiandosi pesantemente al bordo. Da quando l’aveva fatta entrare, osservava attentamente la ragazza per valutarla. Ma questa teneva sempre gli occhi a terra. Allungò quindi una mano e prese fra le dita il mento di Katia per sollevarle il viso.
“Molto carina. Sì, capisco perché sia voi che Elvira e la sua amica vogliate...ehm … occuparvi della sua educazione. Katia? Katia Lopresti, suppongo. Elvira mi ha portato il vostro fascicolo, dopo quel piccolo incidente. E’ curioso”, disse piegando le labbra sottili in un sorriso, “vostra madre sembra convinta che siate una specie di pervertita sessuale”.
“Lo è davvero, signora. Quando la scopavo, non voleva lasciare andare il mio uccello, e…”
“Risparmiatemi i dettagli, Bruto. So come vanno queste cose. Così..”, continuò con una voce più dolce, rivolta alla ragazza, “..sembra che vostra madre avesse ragione, benché sia stato un errore mandarvi qui per una correzione. Comunque, adesso che ci siete, dovete adeguarvi alle nostre regole”.
“Come…come potete fare questo?”, balbettò Katia. “Non potrà andare avanti per sempre. Vi prego, lasciatemi andare. Io non ho fatto niente di male”, fu la supplica della ragazza.
“Per rispondere alla vostra domanda”, disse in tono gelido la dottoressa Storti, in vena di spiegazioni, “questo fa parte del mio lavoro. Sono riuscita a radunare intorno a me alcuni amici fidati. Quello che avete sperimentato oggi non capita a tutte le ragazze. Voi siete un caso speciale e quindi sarete scelta per un trattamento particolare. Per quanto riguarda la seconda domanda, resterete qui per tutto il periodo deciso da vostra madre. E’ tutto. Portatela in cella, Bruto, poi ne discuteremo.
La dottoressa Storti tornò a sedersi dietro la scrivania e prese ad occuparsi di altri incartamenti.
Bruto prese Katia per un braccio e la spinse fuori dalla stanza.
Nell’anticamera la ragazza raccolse il suo bagaglio e quindi si avviò per il lungo corridoio, quasi rincorrendo il passo spedito del suo carceriere.
Raggiunsero l’atrio principale e ancora una volta Katia poté vedere le altre ragazze. Alcune alzarono il viso e la guardarono. Altre camminavano con gli occhi bassi scortate dalle guardiane. Katia provò un moto di rabbia quando vide Elvira che accompagnava un’altra ragazza, tutta tremante e ad occhi a terra, nell’ufficio della direttrice.
Una volta nella sua stanzetta, Katia dovette indossare la divisa grigia del riformatorio. Sedeva nella piccola cella fissando la parete. Si sentiva molto infelice e avrebbe voluto qualcuno con cui parlare.
Così passarono i giorni. All’ora di pranzo veniva prelevata e accompagnata nella sala comune, ma subito veniva ricondotta in cella. La porta era sempre chiusa a chiave, l’orribile suono metallico della serratura le risuonava dentro le ossa.
Il terzo giorno, mentre Katia giaceva fissando il soffitto, udì dei passi che si avvicinavano alla sua cella. Si alzò di scatto, sperando che quello fosse il giorno tanto atteso in cui sarebbe stata reintegrata nella comunità. Quando la porta si aprì, il suo cuore ebbe un sobbalzo. Elvira e l’altra donna comparvero sulla soglia come due inviate dal demonio. Katia si ritrasse sulla sua brandina, raccogliendo le ginocchia al petto, in atteggiamento di difesa.
“Andiamo, Katia. Non essere incorreggibile. Non vorrai sperimentare i nostri trattamenti per le ragazze difficili…”, disse Elvira, afferrandola brutalmente per un braccio e trascinandola giù dalla branda. Katia cercò di divincolarsi, ma abbandonò ogni resistenza appena l’altra donna la colpì violentemente con un ceffone in pieno viso.
“Forse ha bisogno di Bruto per calmarsi un po’!”, suggerì Elvira, spingendola fuori dalla porta. “La direttrice ha ragione. Ha bisogno di un paio di lezioni ancora”.
La spinsero lungo il corridoio. Katia teneva gli occhi a terra, lasciandosi trascinare in silenzio finché raggiunsero una piccola porta all’estremità delle lunghe scale che portavano giù, nello scantinato. Elvira frugò nella tasca per cercare la chiave. “Entra!”, fu l’ordine perentorio.
Katia fu spinta dentro e portò istintivamente le mani davanti. Era buio, tremendamente buio, l’unica luce arrivava dall’esterno. C’era un intenso odore di umidità che le fece arricciare il naso. Si guardò intorno strizzando gli occhi. Quando Elvira accese l’interruttore, Katia boccheggiò. Strumenti di ogni tipo erano appesi alle pareti. Voltandosi, con la voglia di scappare, vide che chiudevano la porta.
“Togliti i vestiti. Il tuo amante sta per arrivare e vuole trovarti già pronta”, disse Elvira con una smorfia beffarda.
Era facile sfilarsi la divisa. Forse era stata studiata apposta, così avrebbero potuto violentarla, picchiarla, fare di lei quello che volevano, senza perdere troppo tempo a denudarla.
“Brava! Vieni qui sotto il palo”, le ordinarono.
Katia vide un palo di legno largo un paio di metri che pendeva orizzontalmente dal soffitto, attaccato a una puleggia. Evidentemente si poteva alzare e abbassare a volontà. Lentamente Katia si mosse verso il punto indicato da Elvira.
“Adesso ti prepariamo per il tuo innamorato. Sarà contento del nostro lavoro”, aggiunse una delle due ammiccando alla compagna. "La direttrice ci ha informate che tu sei un caso speciale. L’avevamo capito fin dal primo giorno”, disse Elvira facendo cenno a Katia di alzare le braccia. Lei fece come le avevano ordinato, lasciandosi scappare una breve risata isterica. Si sentiva strana in quell’assurda, orribile situazione. Elvira era salita in piedi su di una sedia e stava legando i polsi della ragazza alle estremità del palo con due cinghie di cuoio. Strinse i legacci con forza fino a strapparle un grido di dolore. Ora le sue braccia erano aperte, come in croce. Katia sentì una fitta all’articolazione delle spalle e mosse la testa per cercare di allentare la tensione.
“Apri quelle gambe!. Sappiamo già che sei brava a farlo”, disse Elvira.
Katia arrossì di vergogna. Sembrava che tutti fossero al corrente di quello che era successo. Poteva facilmente immaginarsi Bruto che raccontava in tutti i dettagli cosa le aveva fatto e come lei aveva reagito alle violenze, col suo corpo che silenziosamente ne implorava ancora di più. A questo pensiero si sentì ammantare di vergogna. Se avesse potuto, sarebbe scappata all’inferno in quel preciso istante.
Le stavano stringendo ancora di più i legami ai polsi, poi la costrinsero ad aprire le gambe. Katia abbassò lo sguardo e vide due anelli di ferro inchiodati al pavimento, ognuno con una corta catena. Le catene terminavano con delle larghe strisce di cuoio a cui le due guardiane fissarono le caviglie della ragazza, legandole strette.
“Ahi, mi fa male! Sono troppo strette. Non potete allentarle un po’? Per favore!”.
Elvira si voltò di colpo e schiaffeggiò Katia duramente. “Per lasciarti scappare? Non hai alcuna possibilità. Sono strette e così rimarranno finché non avremo finito”.
Elvira controllò i legami, poi mosse l’argano. Quell’orribile strumento doveva essere stato costruito molto tempo prima, pensò Katia, ma funzionava ancora fin troppo bene.
“Oh, no, no. Basta!”, urlava la povera vittima mentre sentiva tutte le membra in tensione.
Elvira non diceva nulla, continuava a girare la manovella che faceva sollevare il palo sempre più in alto. Katia scosse la testa da un lato all’altro con gli occhi spalancati dal dolore. Sentiva i muscoli delle braccia che le pulsavano e i tendini che si stiravano dolorosamente, mentre il cuoio dei legacci le tagliava la carne. Le catene cigolarono quando Elvira diede un ulteriore strattone alla fune. Il respiro di Katia si fece faticoso, il petto si sollevava e si abbassava facendole sobbalzare i seni, mentre le punte dei capezzoli si irrigidivano per conto loro.
“Basta, basta!”, implorava, mentre le sue grida si tramutarono in singhiozzi.
Un altro giro di argano. I lacci alle caviglie la stringevano sempre di più.
Katia emise un altro lamento sentendo il cuoio tagliarle la pelle. Quando finalmente Elvira smise di tirare e bloccò l’argano, la ragazza pendeva nuda dal soffitto in posizione a X. Braccia e gambe erano divaricate. Appesa per i polsi e agganciata per le caviglie, Katia era ridotta alla completa impotenza.
“Adesso non potrà muoversi molto, qualsiasi cosa le faccia Bruto”, sghignazzò l’altra carceriera. Elvira si accostò alla ragazza e le fece scorrere un dito lungo tutto il corpo, soffermandosi qua e là, soprattutto quando l’accarezzò fra le gambe. Katia sentì la pelle delle cosce che si raggrinziva nell’istante in cui le dita di Elvira penetravano nella sua fessura.
“E’ proprio calda. Bene. E’ già bagnata e ancora non le abbiamo fatto nulla!”.
Nulla! Cos’era secondo loro quella tortura, l’umiliazione e la sofferenza di essere appesa al soffitto? Katia fissava con occhi increduli quelle due donne sotto di lei stupendosi ancora del loro sadismo. Ci fu qualche minuto di silenzio. Poi Katia esplose in un altro singhiozzo e implorò piangendo a dirotto le due donne di lasciarla tornare nella sua cella.
“Sto cominciando ad averne abbastanza di questa lagna. Diamole una lezione. La dottoressa Storti ci ha dato il permesso”, disse l’altra carceriera, indicando col capo una piccola scatola grigia in un angolo della stanza. Elvira annuì col capo e si diresse verso un grande scaffale di legno accanto alla porta. Katia la osservò in silenzio e rabbrividì quando la vide tornare con uno strumento che sembrava un bavaglio. Una grossa palla di gomma era trattenuta ai due lati da spesse strisce di cuoio che terminavano con una fibbia. Salendo in piedi sulla sedia e torcendole il naso, la guardiana obbligò la ragazza ad aprire la bocca. Poi le infilò la palla tra le mascelle ficcandogliela quasi in gola e rigirandola finché non arrivò a toccarle i molari. Katia scosse la testa in un disperato tentativo di sottrarsi alle dita della donna. Elvira ignorò la sua resistenza e le fissò la cinghia attorno al capo, allacciandola alla nuca.
Katia non poté più inghiottire, sentendosi soffocare dal sapore disgustoso che la gomma le lasciava in bocca. Inoltre non poteva emettere alcun suono ed era difficilissimo respirare. Osservò le due donne che si dirigevano verso uno scatolone metallico. Con terrore si rese conto che si trattava di un generatore di corrente e sentì il proprio cuore battere all’impazzata. Volevano torturarla con la corrente elettrica! Ne era sicura. Le avrebbero scaricato la corrente in tutto il corpo e sarebbero state a guardare la sua agonia.
Katia si dibatté furiosamente, l’idea di quella tortura la faceva impazzire.
Era sempre stata terrorizzata dall’elettricità da quando da bambina si ustionò un dito infilandolo in una presa. Agitò le catene tirando e divincolandosi più che poteva mentre i lunghi capelli biondi le sferzavano il petto. Ma non poteva fare niente. Più si dibatteva, più peggiorava la situazione, più aumentava il dolore. Il respiro affannoso e disperato faceva stringere ancora di più i nodi dentro la carne. Il collo e le spalle le dolevano per la terribile tensione a cui erano sottoposti.
Katia affondò i denti nel bavaglio di gomma, e si ritrovò costretta ad osservare le due donne che dipanavano una matassa di fili attaccati alla macchina. Alcuni di questi terminavano con delle ventose, altri con pinze.
Elvira sollevò uno dei fili tendendo la pinza davanti agli occhi terrorizzati di Katia.
“Sai a cosa servono queste, cara? Sai cosa ti faremo?”, sottolineò perfidamente.
Katia scosse la testa, col viso contratto dalla paura. Non voleva saperlo.
Elvira aprì la piccola bocca dentata e l’appoggiò al seno destro della vittima. Il contatto col metallo la fece rabbrividire. Poi, con uno scatto improvviso, la morsa si strinse sul capezzolo turgido.
Katia distolse il viso, mordendo il bavaglio e tirando selvaggiamente i legacci. Se solo avesse potuto liberare un braccio per togliere quell’orribile cosa che le mordeva il seno! Ma le cinghie erano fissate saldamente. Le lacrime cominciarono a scorrerle sul viso, più per l’impotenza che per il dolore.
Elvira si era accostata all’altro seno e lo stuzzicava con un’altra pinza.
Katia sentiva i piccoli denti acuminati morderle la carne delicata, poi, in maniera del tutto irrazionale, avvertì una strana sensazione che le faceva piegare le ginocchia e le distendeva i muscoli del seno.
“Più la lavoriamo e più si riscalda. La direttrice ha ragione. E’ un caso davvero speciale”, osservò l’altra guardiana indicando il sesso di Katia che cominciava a sbavare.
“E’ davvero una fornace quaggiù, aspetta solo un bel cazzo… o qualcos’altro di buono e di caldo che si prenda cura di lei. Ecco com’è, farebbe di tutto pur di far godere la sua piccola passera!”.
Katia avrebbe voluto gridare che non era vero, ma il bavaglio soffocava ogni suono. Elvira prese altri fili e attaccò tre pinze al sesso di Katia. Una proprio sul clitoride, due sulle piccole labbra. Katia affondò ulteriormente i denti nella palla di gomma mentre il contatto gelido delle pinze contrastava dolorosamente con il suo sesso che si faceva sempre più caldo e bagnato. Le due donne infine le attaccarono altri terminali alle dita dei piedi.
Katia spalancò gli occhi e guardò tutti quei fili elettrici collegati al suo corpo. Si sentiva come se la stessero preparando per una esecuzione. L’altra guardiana si avvicinò al generatore e accese lo strumento girando un interruttore.
“Cominciamo dal livello due e poi saliamo!”, disse Elvira.
Katia pregò silenziosamente di perdere subito i sensi. Ma sapeva che non avrebbe avuto quella fortuna. Le piccole pinze dentate mordevano i suoi seni e il suo sesso. Il rumore della macchina le riempiva le orecchie. Tremava guardando le dita di Elvira che ora muovevano i comandi dell’apparecchio. Il ronzio del generatore aumentò.
Katia sentì tutti i muscoli che si tendevano. Stava già accadendo. Sentiva la corrente che arrivava attraverso le pinze. Era come se un milione di piccoli denti la mordessero dappertutto. E il suo sesso! Le ricordava la tortura a cui era stata sottoposta il primo giorno con l’idrante. Il suo corpo si inarcò e cominciò a tremare come se fosse stato esposto a un gelido vento polare e la testa le si rovesciò di colpo all’indietro.
La sensazione della corrente che le attraversava il corpo, stranamente, non era del tutto spiacevole. Tentò di rilassarsi assaporando il brivido dell’elettricità che le solleticava il clitoride. Un’altra ondata di liquido le colò dalla figa scivolando lungo le cosce e aiutando la corrente a diffondersi.
Elvira se ne accorse. “Le piace! Diamogliene di più”, disse soddisfatta, aumentando la dose.
Il ronzio aumentò ancora. Adesso il formicolio era più intenso e concentrato.
Katia morse il bavaglio per scaricare la tensione frenetica sentendo che il suo cervello stava per cedere. La corrente la colpiva ora come una pugnalata, facendola gemere e sospirare, mentre cercava di divincolarsi tra i legami. Contrasse le dita dei piedi fino a sentirle invase dai crampi. Un ulteriore aumento di intensità le fece perdere completamente il controllo. Un getto di urina le scivolò lungo le gambe, mentre le due donne la osservavano ridendo.
“Sembra abbia toccato il suo limite, per ora”, disse l’altra guardiana.
“Vedremo. Non credo che perderà i sensi. Prenderà tutto quello che decidiamo di darle”, disse Elvira spostando l’interruttore ad un livello ancora più alto.
Katia si sentì come travolta da un camion che andava a tutta velocità. I suoi seni, il ventre e la fica furono come dilaniati dalle intense frecciate. Il suo corpo fu tutto un fremito. Elvira aumentò ancora la potenza spostando la leva quasi al massimo. Katia fu preda di una forza diabolica, le sue labbra divennero violacee e rivoli di saliva le colavano dagli angoli della bocca sul mento. Rimase appesa, completamente impotente, aspettando il peggio.
“Diamole un’ultima girata”, disse Elvira.
Furono le ultime parole che Katia udì. Poi sentì un odore di carne bruciata.
Il dolore era troppo intenso. Con un grido soffocato si irrigidì stirandosi tutta, poi si ammosciò appesa al palo perdendo finalmente i sensi.

(continua)
 
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view post Posted on 23/9/2012, 11:55     +1   -1
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T.P.E.
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CAPITOLO 7

Per quanto tempo era rimasta così, appesa per le braccia? Katia non ne aveva idea.
Aveva fatto dei sogni così strani, cose che solo qualche tempo prima l’avrebbero fatta morire di vergogna solo a pensarci. Ma adesso avevano un aspetto molto più reale e concreto, e le facevano dolere i seni e il sesso. Pensava a Bruto, al suo corpo imponente e muscoloso, al suo membro che penetrava nello stretto canale vaginale squarciando e allargando senza un minimo di compassione o di rimorso. Katia poteva sentire ancora le mani dell’uomo che la tenevano stretta ai fianchi mentre la sverginava sulla piccola brandina, e come le stringevano i seni e le strizzavano i capezzoli. Poteva sentire il suo respiro e i suoi denti sul collo mentre andava avanti e indietro senza sosta dentro di lei. Sentiva ancora i colpi di cinghia che le colpivano
le natiche, immaginando i segni che lasciavano sulla sua carne, per incitarla, mentre la scopava come una bestia.
“Ahhhhhhhhhhhhh!”.
Katia si risvegliò con un sussulto come se un lampo di luce le fosse scoppiato nel cervello. Ma quando aprì gli occhi si ritrovò completamente al buio. Si ricordò delle cinghie che la tenevano legata per i polsi e degli anelli che le bloccavano le caviglie, mentre quelle due donne terribili le attaccavano al corpo i fili elettrici. E poi…. poi la corrente, quella terribile sensazione che le attraversava i seni e la fica. Si ricordò come aveva cercato di urlare quando la scarica elettrica era diventata insopportabile e come la palla di gomma avesse soffocato il suo sfogo. Poi più nulla.
Katia si rese conto di non essere più appesa al soffitto. Anzi, non era più nella stessa stanza. Ma era così buio li dentro che poteva sentire lo spessore dell’oscurità sul viso. Qualcuno l’aveva legata in una strana posizione, coi piedi più alti della testa. La ragazza cercò di muovere le gambe. Poteva farle scivolare oltre lo strato di plastica che sentiva sotto di sé, o almeno le parve che quella superficie fosse plastica. Poi provò a muovere le braccia.
Anche i lacci che le stringevano i polsi erano stati allentati, come se avessero semplicemente voluto tenerla ferma mentre era priva di sensi, per impedirle di farsi del male.
“Posso scappare”, pensò Katia, sentendo nascere dentro di sé un’ombra di speranza. Sollevò la testa e sentì una fitta intensa al cervello. Doveva essere una conseguenza dell’elettricità, pensò, facendo ancora pressione con le braccia e le gambe per liberarsi dai legami. Le cinghie cedettero facilmente.
“Uhhhhhhh!”. Improvvisamente udì un gemito.
Katia rabbrividì. C’era qualcun altro nella stanza. Udì ancora lo stesso suono di prima. Veniva da qualche punto sotto di lei. Un’altra vittima ? Ci doveva essere un’altra ragazza, pensò, un altro dei ‘casi speciali’ affidati a Elvira e alla sua compagna.
“Hei! Chi c’è ?”, provò a chiamare. Le rispose un mugolio. Katia rimase un attimo in silenzio ma il suono non si ripeté. Forse la ragazza era ferita ?
Katia riuscì a liberarsi delle cinghie e rimase seduta. Poi con cautela fece penzolare le gambe oltre il giaciglio. Quello che non si aspettava era che l’asse fosse sospesa sopra il pavimento. Credendo di appoggiare la pianta dei piedi su di un piano solido, si trovò invece a cadere nella completa oscurità.
Il suo cuore quasi si fermò quando si sentì precipitare al suolo. Le sembrava di essere caduta per decine di metri, certa di sfracellarsi al suolo. In realtà si trovava a circa un metro e mezzo dall’asse su cui era stata sospesa. Per fortuna cadde sulle mani riparandosi il viso con l’avambraccio e rimase per alcuni secondi a terra, in preda ad un terrore da animale in trappola.
“Ohhhhhhh!”.
Di nuovo quel mugolio. Era più vicino adesso. Forse la ragazza era proprio lì accanto a lei. Katia si sforzò per alzarsi in piedi, combattendo contro le vertigini. Si mosse nel buio aggrappandosi alle pareti scivolose.
“Chi sei? Va tutto bene ?”, disse Katia rivolta al buio.
“Uhhh… Sono Rosy. E tu chi sei ?”, rispose il buio.
“Katia. Continua a parlare. Ti troverò”.
“Oh, fa troppo male. Sono tutta rotta. Mi ha violentata… e poi…”. le parole della ragazza si persero fra i singhiozzi.
Katia sospirò procedendo a tentoni sul pavimento scivoloso di pietra. non voleva più farsi sorprendere da ostacoli nell’oscurità che l’avvolgeva. Era spaventata e disgustata. Le avevano gettate in quella cantina come sacchi di rifiuti. Si fermò proteggendosi il petto con le mani. Aveva sentito un rumore come di artigli di un piccolo animale.
Topi! Quel posto era pieno di topi. Fu presa da un tremore incontrollabile al solo pensiero di quelle bestiacce. Ma quella gente era veramente capace di tutto!
“Ti prego, ho tanta paura. Aiutami. Sono qui!”, mormorò Rosy.
Katia avanzò a tentoni, cercando di distogliere il pensiero dai topi che sentiva muoversi attorno a loro. L’altra ragazza era scossa da un attacco di tosse e Katia pensò che stesse per vomitare. La mano di Katia sfiorò qualcosa e si ritrasse. Quando Rosy emise un grido, Katia capì che si trattava della ragazza bruna che aveva già notato sull’autobus al loro arrivo, anch’essa portata via dalle carceriere. La prese per mano.
“Pensavo che non mi avrebbero fatto nulla. Si diceva che eri stata scelta tu come caso speciale, o qualcosa del genere. Io cercavo solo di non farmi notare”, cominciò a raccontare Rosy sconvolta e con le lacrime agli occhi. “Ma una notte sono venuti a prendermi e da allora non mi hanno più lasciata in pace. Quell’uomo...”.
“Bruto?”, la incalzò Katia.
“Credo che si chiami così. Mi ha afferrata per i capelli e inchiodata a terra mentre le altre due mi tenevano le gambe aperte. Poi mi ha scopata…fino a che mi sono sentita spaccata in due”.
Katia rabbrividì, provando una strana sensazione di eccitamento. Bruto aveva violentato anche Rosy. Apprese che l’aveva posseduta più volte mentre Elvira, con l’altra guardiana e chissà chi altro ancora stavano lì a godersi la scena.
Katia si sforzò di provare repulsione a quell’idea, ma scoprì di provare invece una sottile e perversa eccitazione. Rivide la violenza su di lei, e provò un brivido.
“E poi mi hanno picchiata finché non ho perso i sensi. Mi hanno rinchiuso qui dentro, poi ho visto portarci anche te. Mi hanno ordinato di non dirti nulla quando ti appesero a quell’asse. Volevano che tentassi di scappare e ti schiantassi al suolo, come è successo. Io volevo avvertirti, quando ti ho sentita rinvenire, ma dissero che sarebbero stati a guardare e guai per me se li avessi traditi”. Rosy terminò il suo racconto con un’altra serie di singhiozzi.
“Va bene, capisco”. Sì, Katia capiva facilmente. La direttrice usava il terrore per farsi ubbidire. Le ragazze non parlavano, troppo spaventate per fare qualsiasi obiezione. I guardiani invece erano tenuti buoni perché potevano approfittare delle ragazze e sfogare su di loro tutte le loro fantasie più perverse.
Improvvisamente la porta della cella si aprì. Katia si portò la mano al viso per ripararsi dalla luce che le feriva gli occhi dopo la totale oscurità. Rosy emise un gemito, stringendosi contro la compagna. “Sono venuti per me. sono venuti a prendermi!”, mormorò terrorizzata.
Elvira e l’altra donna erano sulla porta, armate di grossi bastoni. Quando si avvicinarono, Katia si lasciò sollevare per le braccia e trascinare sul pavimento della cantina. La porta si richiuse dietro di lei con un suono metallico che coprì il grido disperato di Rosy.
“Spero abbiate fatto una bella chiacchierata”, disse ironicamente Elvira, spingendola con il bastone.
“Metti le mani dietro la schiena adesso”.
Katia fece come le aveva ordinato. Elvira le premette il bastone in mezzo alla schiena mentre l’altra donna le legava i polsi. Un’altra corda le stringeva il petto immobilizzandole le mani sui fianchi e comprimendole i seni. Il bastone legato tra le scapole faceva pressione tenendola ritta e facendola gemere di dolore.
“Così non cercherai di scappare un’altra volta”, disse Elvira con un ghigno.
“Un’altra volta ?, chiese stupita Katia.
Elvira scoppiò in una fragorosa risata spingendo in avanti la sua vittima.
“E’ quello che avevi in mente quando hai tentato di scendere dall’asse. Non dire che non è vero. Questa è solo una precauzione”.
Percorsero tutto il lungo corridoio, illuminato da una fila di lampadine gialle. Evidentemente si trovavano nello scantinato dell’edificio. In quel posto poteva accadere di tutto, anche un omicidio, e probabilmente qualcosa di orrendo sarebbe accaduto.
“Di qua!”. Elvira le diede un altro spintone e la fece svoltare a sinistra in un piccolo corridoio secondario. Katia incespicò e si scosse i capelli dal viso. Elvira aveva aperto la porta di una stanza.
“Dentro, troia !”.
“Ah, Katia. Sono felice di rivederti!”. Com’era diversa la direttrice Storti ! E che orribile gioco stava facendo con lei!.
“Io…”, balbetto Katia.
La signora alzò un braccio facendole cenno di tacere. “Non devi aprir bocca, a meno che tu non voglia stare attaccata a quello strumento pieno di elettricità per tutta la notte, fino ad esserne arsa viva. E’ questo che vuoi ?”
Katia scosse la testa con lo sguardo fisso a quella donna alta e attraente. La dottoressa aveva uno strano abbigliamento. Invece del severo tailleur che indossava in ufficio, ora aveva uno strano completo di pelle che le lasciava liberi i seni rigogliosi. E questo metteva in evidenza i capezzoli di un rosso intenso, che svettavano dritti e gonfi. Nei suoi occhi scuri brillava una luce che fece ricordare a Katia lo sguardo sadico di Bruto.
Qualcuno tossì alle sue spalle e Katia osò dare un’occhiata alla stanza in cui si trovava. Al centro di una piattaforma si innalzava un lungo palo di legno che terminava con una punta metallica a forma di pene. Quello che colpì l’attenzione di Katia fu la familiare scatola grigia, lì accanto. In quel momento
il generatore era spento, come poté vedere dall’indicatore. Si ritrasse spaventata, le braccia le dolevano per la tensione esercitata dal bastone rigido contro la schiena.
“Bene Katia, vedo che ti ricordi la sensazione della corrente che ti attraversa il corpo. Fra parentesi, in questi contesti puoi chiamarmi Leona. Sai, dottoressa Storti suona così fuori posto in queste circostanza.
“No, no!”, urlò terrorizzata Katia incespicando e cadendo di faccia
Elvira la rimise in piedi e la spinse verso il mostruoso strumento al centro della stanza. Non riusciva a immaginare cosa le avrebbero fatto. Gli altri la osservavano divertiti con un sorriso canzonatorio. Leona accese il generatore di corrente.
“No, no. Vi scongiuro, non fatelo. Non ce la faccio più!”, implorò Katia pur sapendo che era inutile, anzi sicuramente serviva ad eccitare di più quelle anime sadiche.
“E’ un peccato che in questo momento Bruto sia impegnato con la tua amichetta. Sono sicura che gli sarebbe piaciuto farlo lui stesso, ma in ogni modo ci arrangeremo!”, disse Leona.
Le due guardie la spinsero in avanti. Con le braccia legate lungo il corpo e il bastone fissato alla spina dorsale in modo che non potesse nemmeno chinarsi, Katia non poteva fare praticamente nulla per opporsi al loro volere. Fissò con terrore quell’orribile strumento. Capiva che l’avrebbero impalata su quell’arnese e che avrebbero riso di lei vedendola contorcersi impotente sul palo.
“Oh, no, no, nooooooo!”, gridò Katia con tutta la forza e la disperazione che le restavano.
Ma Leona abbozzò solo un sorriso crudele. Prese una scatoletta e spalmò un lubrificante sulla punta del pene artificiale. Gli occhi di Katia si dilatarono dal terrore mentre continuava a gridare e a piangere.
“Stai tranquilla, di crema ne ho messa poca, ma è ad alta conduttività. Ti permetterà di assaporare meglio la sensazione di essere accarezzata dal di dentro. Ora decidi. Puoi lottare oppure startene tranquilla e lasciarci fare. Ma più ti dibatti, più ti penetrerà dentro e più ti farà male”, le disse Leona.
Purtroppo aveva ragione. Anche se era impensabile lasciare che quelle donne le facessero tutto quello che volevano senza nemmeno tentare di ribellarsi. Alla fine la ragazza capì che non aveva scelta. Cercò di staccare la sua mente dal corpo e lasciarle fare.
“Brava ! Così va meglio. E penso anche che i nostri giochi finiranno per piacerti”, disse Leona.
“Mai!”, mormorò Katia, mentre si sentiva sollevare per le ascelle e veniva issata in cima al palo.
Improvvisamente avvertì il contatto del metallo contro l’apertura della fica.
Nonostante i buoni propositi, si divincolò riuscendo quasi a sfuggire alla presa delle sue aguzzine e ricadde al suolo con un tonfo.
“Questo è molto sciocco da parte tua. Se loro non ti sostengono cadrai per terra col rischio di ferirti seriamente”, disse Leona, “Ricordalo!”.
Katia provava un odio tremendo per quella donna. Li odiava tutti. E odiava soprattutto quella sensazione di calore che le saliva dal ventre, quando la riposizionarono. Sentì le labbra della vagina che si distendevano per lasciare entrare quel freddo strumento di acciaio sulla cui punta brillava il lubrificante. Le sue gambe si contrassero non appena la punta metallica le sfiorò il clitoride ed entrò facendosi strada nel condotto vaginale. Gemette ancora mentre lo strumento penetrava sempre più a fondo fino a farla sentire
spaccata in due. Alla fine si trovò a toccare terra con la punta dei piedi. E così la lasciarono.
“Allora, visto che non è la fine del mondo?”, le chiese Leona.
Il membro artificiale era sparito tutto tra le sue cosce. I muscoli interni le dolevano. Era stata penetrata una volta sola, in fondo, ed era successo molti giorni prima.
“Adesso puoi rimanere in punta di piedi ma prima o poi cederai e finirai per appoggiare a terra tutta la pianta. Naturalmente in questo modo lo strumento ti entrerà molto più a fondo”, le disse Leona con un sorriso sadico.
Katia rabbrividì, girò il capo e vide le altre due donne che ridevano. Se rimaneva appoggiata sulla punta dei piedi alla pedana il dolore era ancora sopportabile. Evidentemente avevano studiato appositamente l’altezza dello strumento. Dapprima pensò che forse poteva tentare di ribellarsi, ma si rese subito conto che era una speranza assurda.
Allora cercò di sollevarsi il più possibile per far uscire la punta dalla vagina, ma questo era impossibile, era già al massimo dell’estensione. Tutto quello che poteva fare era rimanere ferma e impalata da quell’orrido cazzo artificiale. Si sentiva piena di rabbia e di vergogna.
“Non credere che sia tutto qui !”, riprese Leona.
“Oh, vi prego, non ne posso più”, disse Katia ormai esausta.
“Siamo qui proprio per provare i tuoi limiti. Hai già sperimentato il generatore. Adesso ti farò provare qualcosa di nuovo”.
“E’ una ragazza fortunata. Fottuta fino in fondo senza preoccuparsi di rimanere incinta !”, osservò Elvira, prendendo in mano una piccola pompa. Alla pompa era attaccato un tubo che terminava con un beccuccio. All’altro lato della pompa, un altro tubo più grosso era collegato a un rubinetto.
“Davvero fortunata. Le altre ragazze dell’Istituto non ricevono tutte queste attenzioni. Adesso vedremo se le merita. Elvira, le infili il tubo nell’ano”, ordinò Leona.
“C…cosa ?”, riuscì a mormorare incredula Katia.
“E’ solo un piccolo esperimento. Vogliamo stimolarti in due punti. E’ come se ti facessi scopare da due uomini contemporaneamente. Sicuramente è un’idea che ti è venuta più di una volta, vero?”.
“No, no. Mai!”, si difese Katia.
Elvira ignorò le proteste della ragazza e le infilò la canna nell’apertura anale per un buon venti centimetri. Katia lanciò un grido, il suo viso era più stravolto dalla vergogna che dal dolore.
Cosa le avrebbero fatto ancora? Impalata sullo strumento, Katia attese coi nervi a fior di pelle di conoscere la sua sorte.

(continua)
 
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view post Posted on 2/10/2012, 00:45     +1   -1
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CAPITOLO 8

Le dita dei piedi le dolevano a causa dei crampi. Era estremamente difficile stare sulle punte sostenendo il peso del proprio corpo in modo che lo strumento non le penetrasse ancor più profondamente nella vagina, fino a sfondarla. Appena si lasciava andare, Katia avvertiva la punta metallica entrare più a fondo dentro di lei.
Si rese conto che la sua fica si bagnava e si distendeva per far posto all’orribile arnese! Il suo viso era arrossato per lo sforzo e la vergogna. Ma la paura di ferirsi le fece sollevare nuovamente i piedi. Quelle donne stavano armeggiando dietro di lei, rigirando il piccolo ma lungo tubo e infilandoglielo più profondamente nell’ano.
“Ecco, così non dovrebbe più uscire!”, constatò Elvira.
“Oh, vi prego, non fatemi questo. Mi fa male!”. Altre lacrime sgorgarono dagli occhi di Katia mentre le tre donne la guardavano senza emozioni.
“Sei una ragazza fortunata”, le disse Leona, passandole le dita sul mento.
“Fra poco proverai una sensazione meravigliosa, anche se vedo che non mi credi. Immagina! Avere dentro di te un membro così grosso e duro…. e non solo! È il sogno di ogni donna. “No, non è vero! Non può essere”, gridò la ragazza, lottando contro le lacrime. Se solo avesse avuto le mani libere! Avrebbe potuto tentare di liberarsi da quella tortura. Ma i legacci la trattenevano saldamente. Le guardiane stavano armeggiando con la piccola pompa alle sue spalle. Lentamente Katia cominciò a capire quel che aveva voluto dire Leona. La sensazione piacevole durava, ma quando cercò di rilassarsi e appoggiare a terra le piante dei piedi, sentì i muscoli della sua vagina che si contraevano
dolorosamente attorno all’asta metallica. Il dolore e il piacere si mescolarono in un’unica forte sensazione e Katia tremò di vergogna temendo di raggiungere un orgasmo davanti a quelle tre donne.
“Bene! Credo che possiamo cominciare”, disse la direttrice.
Katia si irrigidì tutta alzandosi più che poté sulla punta dei piedi, temendo il peggio. Vedendo che Elvira stava azionando il generatore di corrente, allontanò velocemente dalla sua mente il pensiero dell’orgasmo.
Diversamente dall’altra volta, sentì l’elettricità scorrerle all’interno della fica, e la sensazione era molto più intensa.
Non c’erano le piccole pinze attaccate al suo corpo, la corrente arrivava direttamente al centro del suo corpo attraverso lo strumento che la penetrava, collegato al generatore. Anche il lubrificante serviva a stimolare ancora di più le sue tenere mucose. Katia si divincolò e tentò di resistere, ma si sentì costretta a saltellare su e giù coi piedi che le dolevano e le gambe che erano tutte un tremito. E stava venendo! La ragazza si rese conto che non sarebbe riuscita a controllarsi e a fermare gli spasmi che la corrente le procurava anche al clitoride. La scarica elettrica le procurò sensazioni sempre più intense. Katia abbandonò la testa all’indietro e una serie di piccoli gemiti le sfuggirono dalle labbra.
Le punte dei seni cominciarono ad irrigidirsi diventando di un rosso scuro mentre un flusso di radiazione le invasero il ventre.
Senza rendersene conto cominciò a scivolare su e giù lungo lo strumento metallico, masturbandosi. Il suo clitoride pulsava gonfio, e vibrava mentre la corrente le scorreva su tutti i nervi quasi fossero stati scoperti.
“Uhhhhhhhhhhhh!”, si lasciò sfuggire.
“Adesso con la pompa!”, ordinò Leona.
Si udì un altro suono, più intenso del ronzio del generatore. L’altra guardiana aveva aperto il rubinetto dell’acqua. Katia sentì il tubo vibrare dentro il suo intestino e un getto gelido le inondò le budella, facendola vacillare.
“Acqua gelata, perché tu capisca la differenza di temperatura!”, le spiegò Leona avvicinandosi a lei per osservare meglio le sue reazioni.
“La fica tutta un bruciore e il gelo nel culo, il tutto diviso da una sottilissima membrana”.
Era terribile! Katia sentiva il proprio corpo come spaccato in due, e inoltre stava riempiendosi come un pallone. Cercò di piegarsi per rilassare i muscoli dell’intestino. Sarebbe sicuramente scoppiata se non fosse riuscita a liberarsi dell’acqua che la invadeva. Elvira, sempre accanto al generatore, lanciò un’occhiata interrogativa a Leona, e questa le fece un cenno d’assenso. La donna girò l’interruttore aumentando l’intensità. Fu come se una serie di petardi scoppiassero nella vagina di Katia! La ragazza traballò abbandonandosi senza più ritegno. I piedi le scivolarono e il suo corpo si impalò sul grosso membro artificiale.
Ormai Katia non ci faceva più caso, al dolore e alla pressione. Per fortuna la nuova scossa aiutò l’acqua a fuoriuscire dall’ano scivolandole scura lungo le gambe. E questo la fece arrossire nuovamente. Era come se il suo intestino si stesse svuotando davanti a tutti, lasciandola ancor più umiliata.
Per distogliere la mente da quell’orrore, ricominciò ad andare su e giù convulsamente sul palo. Si masturbava da sola sollevandosi sulle punte e appoggiando i talloni sulla piattaforma. Si muoveva con un ritmo sempre più veloce e frenetico, facendo sobbalzare violentemente i seni.
La stanza sembrò svanire davanti ai suoi occhi. Perfino la sensazione dell’acqua gelata che le scorreva nel condotto anale, si trasformò in una sensazione di piacere. Katia si agitava sempre di più facendo muovere la piattaforma con i movimenti selvaggi del proprio corpo. Le piaceva. Quello strumento metallico
che la possedeva così profondamente e che la faceva godere, cominciava a piacerle. Tutto il suo corpo partecipava abbandonandosi a quella sensazione. Il formicolio provocato dalla scarica elettrica e il lubrificante aumentavano ancora di più la potenza dell’orgasmo. Sentiva che le forze la abbandonavano e il suo corpo, scosso da sussulti incontrollabili, si agitava come una farfalla impazzita trafitta da uno spillone.
“Sembra che non le dispiaccia farsi scopare in questo modo!”, osservò Elvira, aumentando la potenza del generatore.
“Sembra proprio di no. Avevamo ragione, ci abbiamo visto giusto. E’ speciale!”.
Leona era tutta eccitata in viso e si stava anch’essa masturbando. Tranquillamente seduta a gambe aperte, dopo aver sollevato la gonna e spostato di lato le mutande, mentre osservava i movimenti convulsi della ragazza.
Katia aveva ormai perso il controllo del proprio corpo naufragando in quella folle sensazione di piacere. Si dibatteva come su una sedia elettrica, solo che stava morendo di voglia, di vergogna e di orgasmi.
“Un altro giro per finire!”, ordinò Leona, ormai anch’essa in dirittura di arrivo.
Elvira fece cenno di aver capito e portò al massimo l’interruttore. Katia lanciò un urlo. Sentiva le mucose delle pareti vaginali serrarsi infiammate attorno allo strumento con tale violenza che credette di strapparlo dalla sua piattaforma. Il suo condotto anale risucchiò più a fondo il tubo di plastica e un altro getto di acqua le arrivò fin nelle viscere.
L’orgasmo era al suo culmine.
Singhiozzando e piangendo, gioendo e vergognandosi, Katia sentì l’universo rovesciarsi con fragore dentro la sua fica. Non poté trattenersi dal gridare mentre veniva…veniva…e veniva.
“Basta così!”, disse finalmente Leona, ormai paga, indicando il generatore. A Katia parve che le togliessero la terra da sotto i piedi. Quella terribile sensazione di calore era cessata di colpo. Sentì un ultimo spasmo attraversarle la vagina e poi più nulla. Il suo corpo continuava ad andare su e giù lungo il palo, come quello di una bambola meccanica. Un altro getto d’acqua le uscì dall’intestino con un ultimo schizzo. Anche il getto d’acqua fredda si era fermato.
Ora che la frenesia si era attenuata, con un ultimo grido la ragazza si lasciò cadere improvvisamente e rimase così, priva di sensi. Solo l’intervento immediato di Elvira le impedì di cadere e ferirsi.
La ragazza cadde in uno stato di semi incoscienza. Poteva udire i suoni e le voci intorno a sé ma non riusciva ad essere del tutto presente. Sentì che la toglievano dallo strumento di tortura e la adagiavano al suolo. La testa le girava. Lentamente, riprese i sensi. I soliti lampi di luce le scoppiarono nel cervello, come quando giaceva nella cella con Rosy.
Chissà Rosy, cosa ne era stato di lei? Leona aveva detto qualcosa a proposito di Bruto, che se ne sarebbe occupato lui. Katia immaginava fin troppo bene in che modo.
Si sentì avvolgere in una coperta. Il ruvido della stoffa le pungeva la pelle. Non riusciva ad immaginare in quale parte dell’edificio si trovasse, non sapeva nemmeno se fosse stato lo stesso edificio.

(continua)
 
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view post Posted on 4/10/2012, 12:56     +1   -1
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CAPITOLO 9

Per quanto tempo era rimasta svenuta? Oh, quelle donne diaboliche! Doveva essere stata un’idea di Leona. L’acqua gelida nel suo intestino e lo strumento che la penetrava fino a ridurla all’incoscienza. Quale crudeltà! Katia si sentiva come se fosse stata percossa a bastonate su tutto il corpo. Adesso la stavano trasportando da qualche altra parte.
Si trovavano in un freddo corridoio. Una delle donne allentò la presa sul suo corpo e aprì una porta. Katia rimase inerte e passiva, non voleva che si accorgessero che era tornata in sé. Poi sentì che la posavano a terra. Qualcuno la teneva ancora per le braccia, per poi farle scivolare una mano sulla fica e massaggiarla, quasi a volersi accertare che non fosse danneggiata. Katia sobbalzò riprendendosi del tutto, ma sempre fingendosi svenuta.
“Portala dentro. Elvira è andata a prendere l’altra ragazza, Rosy mi sembra che si chiami. Questa ha perso i sensi, ma si riprenderà presto, vedrai Bruto”, disse Leona all’uomo che attendeva.
“Assassini!”, avrebbe voluto gridare Katia. Invece rimase immobile mentre qualcuno le stava finalmente slegando le mani e liberandola dal bastone fra le spalle. Katia continuò la sua commedia.
“Appendila lì sopra!”, disse Leona a Bruto, allontanandosi poi con disinteresse.
Katia si sentì sollevare dal pavimento irregolare in terra battuta. Qualcuno la tirava per le braccia. C’erano delle altre cinghie, ma stavolta per fortuna erano imbottite all’interno con un materiale più soffice. Bruto fece attenzionea non fissare i legacci nei punti già feriti. C’erano due catene appese al soffitto. Katia pendeva per le braccia unite sopra la testa. Quando socchiuse gli occhi e si guardò intorno, vide che si trovava in un’altra cantina, più piccola della prima. Non c’erano molti oggetti, una sedia, qualche scatola e un
armadio chiuso. Cercò di pensare a qualcos’altro, sentiva nello stomaco i morsi della fame. Se solo avesse potuto avere qualcosa da mangiare, o un sorso d’acqua! Si rese conto che erano passate parecchie ore dall’ultima volta che aveva messo in bocca qualcosa di commestibile.
Katia sentì un respiro pesante accanto a lei. Chiuse frettolosamente gli occhi nella speranza che se avesse continuato a fingersi svenuta, forse Bruto l’avrebbe lasciata in pace.
Certo aveva molte altre vittime tra cui scegliere nel suo harem privato. L’uomo la pizzicò su un fianco stringendo fra le dita la pelle finché non divenne viola. Lei non riuscì a trattenere un grido.
“Ero sicuro che fingessi. Nessuno può restare svenuto così a lungo, a meno che non sia stato narcotizzato”, le rise in faccia Bruto, mentre lei sentiva le sue dita di fuoco strizzarle la carne.
“Eccoci di nuovo qui, come la prima volta, ricordi? Qualche volta la mente ci gioca brutti scherzi. Pensiamo che una persona sia peggiore di quello che realmente è. Poi la rivediamo e ci meravigliamo di averla giudicata così male. Vero, che anche tu mi vedi con occhi diversi, ora che siamo stati intimi ? Scommetto che ti stai già innamorando di me! Lo so che mi aspettavi. Sei una vera macchina per scopare”, la canzonò Bruto.
“Oh, no, no! Voi me lo fate fare. Vi prego, lasciatemi tornare nella mia cella”, piagnucolò Katia.
Era strano, ma la ragazza si era già abituata a stare in quella scomoda posizione. E si era già abituata a tutti i loro abusi. Il suo corpo era segnato dai colpi che le avevano inflitto Bruto e le due guardie. Era stata violentata con l’acqua, picchiata, frustata, torturata con la corrente e stuprata più volte. Non c’era da meravigliarsi che quel trovarsi appesa per i polsi fosse ancora il minore degli abusi che aveva dovuto subire.
“Non ti lascerò andare… non ancora. Mi sono divertito un po’ con l’altra ragazza, ma non sono soddisfatto. Non è come te”, disse Bruto passandosi il dorso della mano sulle labbra sensuali. “Tu sei speciale. Più te ne do e più ne vuoi”.
“No, no. Smettetela di dire così. Non è vero!”, reclamò Katia con tutta l’anima.
Bruto rise. Katia rabbrividì, non solo per le parole dell’uomo, ma anche per le incredibili reazioni che sentiva nel proprio corpo. Guardava quell’uomo, quel mostro, e lo trovava affascinante nel fisico e nel potere che aveva su di lei. Si sentì suo malgrado di desiderarlo, di desiderarne le attenzioni. Lui le diede una violenta pacca sul sedere e lei sentì quelle dita bruciarle la carne come per un ferro incandescente. Bruto sembrava più determinato e più crudele del solito. Forse era solo il sangue che gli affluiva al volto facendolo brillare di desiderio sessuale.
“E stavolta ti darò proprio tutto, piccola cagna. Senza trattenermi.”. Così dicendo, l’uomo colpì con un pugno il ventre morbido della ragazza. Katia soffocò il grido per mancanza improvvisa di fiato, ritraendo le ginocchia verso il petto. I muscoli delle braccia le dolevano per la tensione.
Nessuno le aveva mai fatto niente di simile! Colpire una donna inerme con tale violenza! Katia tossì e girò il capo alla ricerca disperata di una boccata d’aria. Il colpo si ripercuoteva nei muscoli del ventre e dentro l’intestino.
Stava ancora boccheggiando, le sembrava che il dolore le strappasse le viscere.
Spalancò gli occhi fissando incredula il proprio aguzzino.
“Vedo che sei ben sveglia, adesso”, disse Bruto con un ghigno.
“Ohhhh, no…non fatemi più male, vi prego!”. Le sue parole si persero in singhiozzi. Era stato il colpo più violento e doloroso che avesse mai ricevuto da quando si trovava in quell’orribile posto. Si aggrappò con le mani alle catene cercando di raggomitolare il proprio corpo per proteggersi da altri colpi. Continuava a fissare Bruto con la bocca spalancata, ancora in carenza d’aria. Una smorfia di terrore le si dipinse sul viso.
Bruto continuava a sorridere passandosi le dita fra i corti capelli neri. Si tolse la camicia e ora le stava di fronte a petto nudo con i soli pantaloni indosso. Abbassando suo malgrado gli occhi, Katia vide la protuberanza del suo membro che si ingrossava e tendeva il tessuto. Stava per violentarla di nuovo con quell’arnese, ma prima voleva divertirsi a torturarla.
“Quella piccola troia della tua compagna non è brava come te. Piagnucola in continuazione”, disse Bruto. “Tu… tu sei fatta di un’altra stoffa, sei diversa. Sei spaventata a morte ma ti bagni ugualmente come una cagna in calore. Sei fatta per godere del dolore”.
“Bugie! Sono tutte bugie! Siete voi a ridurmi così. Qualunque ragazza reagirebbe allo stesso modo”, tentò di protestare Katia.
“Ti sbagli, cagna. Qualunque ragazza sarebbe stretta e asciutta dal terrore. Tu ti bagni come se ci stessi godendo”, la incalzò Bruto.
“No, non sono io!”, urlò Katia, non potendo più ascoltare le parole dell’uomo. “Siete voi che mi riducete a questo punto. Siete tutti malati, tutti pazzi e volete far impazzire anche me!”.
Katia gridava scuotendo la testa e cercando di essere convincente. Le cinghie le segavano i polsi che sostenevano tutto il peso del suo corpo. Continuò a gridare insulti a Bruto che le stava di fronte guardandola con lo stesso sorriso. E si rese conto che era vero. La sua fica era un lago e desiderava quell’uomo.
Improvvisamente Bruto sollevò il braccio destro e la colpì col palmo della mano in pieno viso. La violenza dello schiaffo le fece voltare la testa di lato e battere i denti. La bocca cominciò a sanguinarle e per un attimo Katia pensò che le fosse saltato un dente. Si passò la lingua sulle labbra aride mentre le lacrime le riempivano gli occhi. Le scosse via con un gesto del capo cercando di ignorare il bruciore alla guancia.
“Voi…voi bastardi! Pensate di poter andare avanti all’infinito. Ma non sarà così. Qualcuno parlerà! Qualcuno racconterà tutto e vi denuncerà. Allora sarò io a ridere quando vi vedrò in galera!”, sbottò Katia rabbiosa.
Bruto borbottò qualcosa mentre con calma si dirigeva verso il piccolo armadio e apriva la porta metallica. Ne tirò fuori una frusta di cuoio nero. Katia capì subito cosa avesse intenzione di fare, ma era ormai rassegnata a tutto. Aveva finalmente trovato il coraggio di ribellarsi almeno a parole e avrebbe continuato a sputare il suo odio senza curarsi delle conseguenze.
“Siete pazzi! Siete malati! Tutti voi! Godete a torturare la gente in questo modo. Siete dei criminali!”.
Il viso di Bruto si fece più teso mentre alzava la frusta e la lasciava ricadere con forza sul bel seno di Katia. Lo sfogo della ragazza si interruppe di colpo per l’intensità del dolore. Penzolò impotente dalle catene, scalciando con le gambe nel vuoto.

(continua)
 
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view post Posted on 8/10/2012, 23:21     +1   -1
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CAPITOLO 10

Un altro pugno, questa volta proprio sopra l’ombelico. Subito dopo Bruto calò la frusta ancora una volta sul seno di Katia. La ragazza urlò raccogliendo istintivamente le ginocchia al petto. Il dolore era sempre più intenso. Katia strinse i denti, odiando sempre di più quell’uomo. Voleva che si avvicinasse a lei in modo da potergli sferrare un calcio nei testicoli. Il viso della ragazza era contorto dal dolore, ma stava lentamente riprendendo il controllo della propria mente.
“Ti piace? Vedo che ti sei calmata un po’. Non mi va di sentire i tuoi insulti, mi piacciono di più i tuoi mugolii. Si sta bene con te, piccola cagna”.
“No, no, no!”, protestò Katia.
“Sai che anche questo mi piace. Continui a dire di no, ma so che ne vorresti ancora”.
Bruto si portò la mano alla patta dei pantaloni e si strofinò il rigonfio del grosso uccello già teso. Katia, suo malgrado si ritrovò eccitata. Se l’avesse posseduta in quell’istante, sarebbe sicuramente venuta subito. Ma l’uomo non aveva fretta, voleva invece portarla ai limiti estremi della tensione e del desiderio, poi l’avrebbe presa. Katia serrò le labbra in un’espressione di fiera determinazione fissando diritto in viso il suo sadico aguzzino.
“Ti odio!”, sibilò lei, con un lampo di ira negli occhi.
“Lo so piccola. Dite tutte così. Date la colpa a noi perché finite per godere della vostra perversione, e questo non potete accettarlo perché la vostra educazione vi ha finora portato a sacrificare la carne. E così fingete di godere vostro malgrado dando la colpa ad altri che vi costringono, e vi salvate la coscienza e la vergogna. Ma poi è sempre lo stesso gioco. C’è qualcuno che comanda e approfitta di qualcuno che sta sotto. E’ così che va il mondo, e tu ora sei sotto e devi adeguarti alle mie regole”.
“No, non è vero, sono tutte menzogne! Ci sono ancora delle persone normali…”.
Bruto scoppiò a ridere, troncandole le parole. Scosse la testa e accarezzò i seni di Katia con la frusta.
“Forse, da qualche parte, ci sarà anche della gente normale, ma non qui. Qui regna l’inferno”.
Katia si divincolò disperatamente. I suoi piedi arrivavano quasi a sfiorare il pavimento, adesso che i muscoli delle braccia erano stirati dal peso del corpo.
“Cagna. Ti piace scopare, non vedi l’ora di avere qualcosa che ti riempia la fica, e poi mi parli di gente normale?”.
Bruto continuava a sghignazzare e la sua risata si ripercuoteva sulle pareti di pietra come il borbottio di un tuono. La colpì in pieno viso col manico
della frusta. poi la frustò nuovamente sul seno con un colpo secco che le strappò via una strisciolina di pelle. Katia lanciò un altro urlo, vinta dal
dolore. Sentiva il sudore freddo di paura colarle lungo il ventre e raccogliersi all’ombelico. Faceva fatica a respirare. Il terrore la stava sopraffacendo, togliendole il fiato.
“Ti stai scaldando, piccola cagna? Senti la fichetta che diventa una fornace ?”.
Bruto la fissava toccandosi il membro e passandosi la lingua sulle labbra. La visione di quel giovane corpo sconvolto dal dolore che si divincolava sotto le sue torture, lo eccitava sempre di più.
Katia, suo malgrado, provava una strana e insana sensazione di piacere in quella situazione assurda, insieme ad un altrettanto intenso sentimento di odio per quell’uomo.
“Ti scoperò fino a farti strabuzzare gli occhi dalle orbite. Ma pagherai per tutto questo. Tutti devono pagare per il piacere”.
“Porco! Bastardo!”, e altre parole simili le uscirono dalla bocca secca, senza più saliva.
L’uomo continuava a provocarla, strappandole insulti più violenti ogni volta che la batteva. La colpì ancora, questa volta mirando al capezzolo sinistro. Fu come se l’avesse bruciata con un tizzone ardente. Katia provò a muovere il piede destro. Se l’uomo si fosse avvicinato anche solo di poco, avrebbe potuto colpirlo al basso ventre. Voleva vendicarsi, fargliela pagare in qualche modo, non importava quali sarebbero state le conseguenze. Voleva che pagasse per ogni colpo, per ogni umiliazione, per tutto il dolore che era costretta a subire. E poi si sarebbe vendicata anche di Leona e di quell’orribile Elvira.
Ma all’improvviso Bruto allungò la mano libera e l’afferrò alla fica. Strinse forte le labbra e le infilò due dita dentro mentre Katia, colta di sorpresa, tendeva le gambe lanciando un grido. L’uomo avvicinò il viso a quello di lei ansimando, e la osservava da vicino mentre si impadroniva del suo morbido ventre completamente vulnerabile. Di tanto in tanto si aggrappava ai peli del pube tirandoli forte, quasi a sollevarla. Katia gridò ancora di più sentendo il dolore esploderle nel cervello.
“Ti piace che ti tocchi così, vero? Dai, piccola cagna, vieni, godi!”.
“No. Oh, no!”. Katia cercò di riconquistare il controllo della sua mente. Sollevò il ginocchio destro cercando il momento giusto per colpire l’uomo nel suo punto più debole.
Ma Bruto ne capì le intenzioni e senza darle tregua la colpì con la frusta in pieno viso. Il cuoio lasciava solchi rossi sulle guance ormai gonfie.
“Troia! Brutta puttana! Che vuoi fare? Vorresti farmi credere che non ti piace, eppure sei calda e bagnata, quaggiù!”. Così dicendo, fece un passo indietro colpendole ancora con la frusta il viso, le labbra e la punta dei seni. Ogni colpo faceva vacillare la ragazza appesa alle catene. Lo stridore del metallo si confondeva col sibilo della frusta, ma le sue grida sovrastavano ogni altro rumore. Era terribile, eppure al tempo stesso meraviglioso. Una strana combinazione di terrore, dolore e incomprensibile piacere.
Katia continuava a gridare tirando sempre di più le catene. Le cinghie di cuoio le segavano i polsi e il sudore le colava su tutto il corpo. Sentiva le mani intorpidite, come se i suoi nervi si fossero spezzati. Continuò ad insultare l’uomo con parole che non ricordava nemmeno di aver udito. Fu ancora peggio! Bruto riprese a frustarla con sempre maggior violenza. Katia si contorse, cercando di rigirarsi per non offrire sempre lo stesso fronte e difendere le parti più sensibili da quella furia scatenata.
“Non puoi andare da nessuna parte”, le disse Bruto, fermandosi per un attimo mentre si tergeva il sudore dalla fronte per lo sforzo e l’impegno con cui la frustava. “Puoi girare finché vuoi, cagna, ma tornerai sempre qui”. E per darle una dimostrazione, l’afferrò per i fianchi e la fece ruotare su se stessa.
Katia si ritrovò alla fine di nuovo di fronte a lui. Bruto riprese a colpirla mentre con l’altra mano continuava a tormentarle il sesso. Dentro e fuori. Accarezzando e strizzando. Sul bordo e in profondità. Borbottava frasi rese incomprensibili dalla furia della sua eccitazione. Katia sentì la protuberanza del suo cazzo sfregarsi contro le cosce. Si succhiò il
sangue da un labbro ferito e sentì un’ondata di nausea invaderle lo stomaco. Il dolore che provava e la manipolazione al sesso la eccitavano sempre di più. Katia non avrebbe saputo dire se fosse più intenso il dolore della tortura o quel piacere che sentiva montare e prendere possesso dentro di sé.
“Oh, sì, è fantastico scopare con te, piccola cagna. Leona mi ha raccontato come ti agitavi sul palo. E con tutte quelle scariche elettriche, poi! Le avevo detto come ballavi sul mio cazzo mentre ti sparavo dentro la mia sborra. Non ci volevano credere, finché non ti hanno visto. Sei una miniera di sorprese, troia!”.
Lentamente il combattimento cambiò. Bruto colpiva ancora con la frusta sul ventre e sui seni della ragazza, ma ora la sua mano si muoveva più delicatamente nella sua fica. Katia mosse i fianchi in risposta, cercando sempre il momento opportuno per sferrare il calcio che gli avrebbe ammaccato i gioielli. Ma si accorse che anche i suoi movimenti erano rallentati.
“Uhhhhh, no, no. Oh, bastardo! Io… non so… Non so cosa mi sta succedendo!”.
Katia sentì il suo succo di femmina colarle come un’ondata di lava dalla vagina. I grugniti di Bruto si trasformarono in un mugolio sordo e continuo. L’altra sua mano abbandonò la frusta e cominciò ad accarezzare i seni e il ventre della ragazza. Appoggiò il viso al suo petto e le morse i capezzoli affondando i denti nella carne tenera fino a farla urlare.
La succhiò con tutte le forze, poi la morse ancora, mentre Katia si contorceva e si divincolava. Se solo avesse potuto porre fine a quella tortura….
Il membro di Bruto era appoggiato alla sua coscia, ma quando tentò di colpirlo, le mancò la forza e la gamba le scivolò via. Katia odiava se stessa. Si rendeva conto di
eccitare sempre di più quell’uomo, e che quell’uomo eccitava sempre di più lei.
Mentre pendeva impotente dalle catene, una terribile battaglia si scatenò nella sua mente. L’uomo le strizzava i seni, le mordeva i capezzoli, la frugava dappertutto e pur odiandolo lei sentiva di desiderarlo immensamente. Bruto grugniva con gli occhi socchiusi. Un filo di saliva gli pendeva dal labbro inferiore. Fissò la ragazza e cominciò a sfilarsi la cintura militare.
“Te lo ricordi questo, piccola?”.
Katia lo fissava mentre si apriva la patta dei pantaloni e le mostrava il membro rigonfio di sangue e di voglia. Lentamente si tolse gli stivali e quindi i pantaloni. Era nudo, adesso, con il cazzo che svettava rigido in mezzo alla boscaglia dei peli del pube. Katia istintivamente serrò le gambe oscillando avanti e indietro. Il movimento la fece allontanare un attimo da lui e i suoi piedi sfiorarono il pavimento. Sentiva i propri seni gonfi e i capezzoli infiammati e doloranti diventare sempre più rigidi.
“E’ così che mi piace fottere. Tu legata a quel modo, che mi fissi così!”.
Katia sentiva un intenso dolore alle giunture, i polsi e le spalle le bruciavano ogni volta che tentava di sovrapporre le gambe per sottrarre il proprio sesso allo sguardo voglioso dell’uomo.
"Apri le gambe, cagna”. Bruto raccolse nuovamente la frusta e una sferzata ai fianchi la fece desistere dal celarsi. L’avrebbe picchiata ancora. Ancora non l’avrebbe posseduta, quell’inferno non era ancora giunto alla fine. Quando Bruto appoggiò l’estremità della frusta sul capezzolo sinistro e premette con forza, la ragazza sentì tutta la forza del cuoio e del metallo. Arrivò ad appoggiare gran parte dei piedi a terra mentre i seni le dolevano sempre di più man mano che le braccia si stiravano per la pressione a cui erano sottoposte. Sapeva che sarebbe stata una lunga notte.
“No, vi prego, no. Non fatelo di nuovo!”, si ritrovò a implorare.
“Fare cosa? Fotterti?”. Bruto sorrideva, ben sapendo cosa lei intendesse. Si avvicinò ancora di più con il cazzo violaceo sempre più grosso e rigido.
Si, quello. Non fatelo!”, mormorò Katia quasi sperando di non essere udita.
“Tua madre ti ha mandata qua perché sei un’incorreggibile troia. Ha fatto bene, almeno per noi, anche se in realtà si è sbagliata. Ancora non lo sei, ma ci sei portata e lo diventerai presto. Ti insegneremo noi a riscaldarti per bene”.
Con un gesto improvviso e selvaggio Bruto la colpì nuovamente al seno con la frusta. Katia urlò di dolore rovesciando la testa all’indietro, poi strinse le mascelle e puntò l’uomo sputandogli in un occhio. Bruto ghignò asciugandosi il volto con il dorso della mano e leccando lo sputo.
“Piccola troia, ne vuoi di più? Ne avrai, piccola, ne avrai!”.
Tutto il corpo di Katia vacillava sotto i colpi, ormai segnato in ogni centimetro, e dovunque regnava un dolore insopportabile. Con orrore, però, sentì i muscoli del ventre scossi da un tremore incontrollabile.
Bruto la guardava con soddisfazione, passandosi la frusta sul sesso e poi toccando la sua vulva. Era come se la scopasse a distanza. Poi la colpì ancora al basso ventre.
Katia strinse nuovamente i denti raggomitolando le gambe. I muscoli attorno all’ombelico si contrassero in uno spasmo doloroso, che le si ripercuoteva lungo la schiena. Tutto il suo corpo ondeggiava selvaggiamente appeso alle catene.
Con un movimento rapido Bruto la colpì al ginocchio raggomitolato al petto, obbligandola a distendere le gambe. Katia oscillava come un pendolo, ricevendo colpi ormai su tutto il corpo. La tensione le slogava le spalle. A un certo punto i suoi piedi vennero a trovarsi rivolti all’indietro e Bruto cominciò a frustarle le piante con una serie di colpi che si ripercuotevano lungo tutta la gamba e la spina dorsale.
Katia piangeva e si divincolava sempre più, cercando di sottrarsi alla frusta. I suoi lunghi capelli le ricadevano sulla schiena, mentre scuoteva la testa con la bocca spalancata.
“Oh, basta, basta. Basta!”, implorava con la voce rotta dalla paura. Quel pazzo l’avrebbe uccisa.
Ma Bruto non aveva alcuna intenzione di fermarsi. Adesso il bersaglio erano i piedi e cercava di colpirli quando lei meno se lo aspettava. La pelle delicata cominciò a sanguinare. Katia pensò che i colpi le avrebbero rotto le ossa. Continuava a implorare la guardia di smettere, ma più lo pregava, più violenti cadevano i colpi.
“Cagna, troia, puttana!”, urlava Bruto come un forsennato.
Katia strinse i denti cercando di non gridare. Doveva restarsene tranquilla. Se solo fosse rimasta immobile, lui si sarebbe fermato. Cercò di appoggiare i piedi al pavimento. Bruto si aspettava quella mossa. La colpì nell’incavo delle ginocchia, sghignazzando. Katia sentì la frusta sui fianchi che avrebbe lasciato sicuramente nuovi solchi rossastri dove stavano sbiadendo i precedenti. Poteva sentire il respiro affannoso di lui e la sua risata che accompagnava le frustate. I fianchi, il ventre e le natiche le bruciavano, si sentiva la pelle lacerata dai colpi. E il dolore al seno la faceva impazzire. Tutto il corpo era in un tormento che stranamente le faceva pulsare la fica e vibrare il clitoride.
Sentì di nuovo quel liquido che le colava dalla vagina lungo le cosce, misto al sudore. Si sentì disgustosamente cagna e per un attimo pensò a sua madre, a quanto ci avesse visto giusto, e che si meritava tutto questo.
Bruto continuava a frustare. Lunghi solchi rossi le attraversavano nuovamente tutto il corpo.
Katia gridò ancora, pregando l’uomo di fermarsi, temendo che sarebbe andato avanti a ferirla fino a causarle danni permanenti, al corpo e alla mente. Ma Bruto rispose alle sue preghiere con una risata. Ora si accaniva a colpirla mirando ai punti più delicati, all’interno delle cosce e al solco in mezzo alle natiche. Katia contrasse i muscoli più che poteva per proteggere la delicata zona delle labbra e attorno all’orifizio. Ma Bruto sapeva bene come colpire, e lo fece ancora…e ancora…
“Cagna! Pagherai per avere il mio cazzo!”, le urlò frustando più forte.
“Cazzo! Cazzo! Oh, si, dammelo il tuo cazzo!”, gridò Katia, finalmente vinta.
Senza far caso ai suoi lamenti, Bruto continuò a colpirla e con una frustata più violenta le sferzò l’ano, e Katia si sentì dilaniare. Gridò, e la sua voce rimbalzò sulle pareti della cantina come l’urlo di una sirena. Il dolore insopportabile le risalì lungo la spina dorsale, fino al cervello. Si divincolò e si dibatté con movimenti convulsi, mentre la fica le bruciava nella mano di Bruto.
“Così, piccola cagna, così. Mi piace vederti così!”.
Katia aveva gli occhi fuori dalle orbite mentre il dolore le spezzava qualcosa dentro: l’orgoglio, la volontà, la scarsa stima che già aveva di se stessa, tutto andò in frantumi rompendosi in milioni di pezzi sul pavimento in terra battuta di quella cantina, e non fece nemmeno rumore, come un atto scontato.
“Ci siamo! Ecco che ci siamo!”. Girandole intorno Bruto le infilò improvvisamente il manico della frusta nella fica. Katia avvertì gli spasmi che precedono l’orgasmo, sentiva i muscoli della vagina che si stringevano e si avvinghiavano attorno al manico di cuoio, e il liquido che continuava a stillare. Bruto si accorse dei suoi movimenti e sorrise. Spinse ancora più a fondo l’estremità della frusta e osservò il viso della ragazza farsi paonazzo e ansimante.
Katia si muoveva avanti e indietro con le cosce irrigidite dall’eccitazione.
Il suo sesso andava su e giù su quell’orrido strumento e non pensava a nient’altro che al piacere che ne provava. Non c’era niente di meglio che quella sensazione nella sua fica, pensò. Si stava masturbando da sola su quell’oggetto, in attesa di ricevere dentro di sé il cazzo di Bruto, che certo non avrebbe tardato a darglielo.
Poi improvvisamente la sensazione di piacere cessò lasciando un vuoto incolmabile. Bruto aveva levato la frusta dal suo sesso con incredibile velocità.
“Non sarà così presto. E non sarà così facile, piccola cagna”.
Di cosa stava parlando? Perché non la scopava subito, lì all’istante? Poteva sentirlo ansimare alle sue spalle. Katia aspettò, domandandosi cos’altro avesse
in serbo per lei. Pensava che l’avrebbe violentata in quella posizione, ma ora Bruto era dietro di lei. Cos’altro poteva avere in mente di farle?
“Oh, mio dio….No!”.

(continua)
 
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view post Posted on 9/10/2012, 23:24     +1   -1
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T.P.E.
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CAPITOLO 11

Bruto le girò intorno tenendo sempre in mano la frusta. Lentamente gliela infilò nella vagina, dalla parte del grosso manico di cuoio. Katia pensò che sarebbe impazzita. Bruto le toccava il clitoride strofinando l’organo sensibilissimo, mentre le infilava dentro il sesso il manico duro. Katia sentiva i suoi muscoli stringersi attorno allo strumento, bagnarlo e
risucchiarlo, come se fosse stato il membro di Bruto. Improvvisamente le contrazioni si fecero così violente che la ragazza emise un grido. Bruto stava dietro di lei, sempre inerme marionetta appesa per le braccia, e le leccava il collo.
“Sì, sei davvero bollente. Questo ti riscalderà ancora di più”. E Bruto le spinse il manico della frusta ancora più a fondo nella vagina, rigirandolo tutt’attorno con le sue sporgenze nodose che la sfregavano all’interno nella mucosa tenera, e all’esterno sul suo clitoride. Katia urlò ancora tra i singhiozzi. Poi sentì che l’uomo le posava le mani sui fianchi, aggrappandovisi saldamente come se stesse per cavalcarla.
Il suo cazzo. Sì, adesso poteva sentire quell’arnese rigido e caldo che premeva contro le sue natiche. Poi cominciò a sentirlo strisciare avanti e indietro sulla sua apertura anale. Il dolore provocato dalle frustate precedenti si era solo da poco assopito. Ora la ragazza si concentrò su quella sensazione di calore, la sua carne si serrò ancora di più sul manico della frusta. Era come se sentisse due sessi maschili, uno davanti e l’altro dietro, che la pretendevano e la volevano possedere.
Quasi non sentiva più il peso del proprio corpo che le tendeva le braccia e i muscoli delle spalle.
Bruto si fermò. Adesso voleva fare sul serio. Piegò le ginocchia cercando una posizione migliore. Allargandole le natiche fino a dilatare al massimo l’ano, vi si spinse dentro in un sol colpo, ma solo la punta riuscì a entrare. Katia urlò quasi impazzita. La fitta fu terribile e si sentì spaccare in due da quel tizzone rovente che la penetrava nell’apertura già dolorante. Gridò, mentre il suo corpo rispondeva ai movimenti dell’uomo. Era peggio, molto peggio del tubo che le avevano infilato l’altra volta. Era anche peggio della frusta, peggio della corrente elettrica! Katia continuava a gridare sentendosi sfondare lo stretto anello, naturalmente vergine. Il manico della frusta era ancora dentro la sua fessura mentre il cazzo di Bruto si spingeva sempre più a fondo nel suo intestino. Violentata da tutte e due le parti! Violentata da un uomo e da uno strumento di cuoio. Violentata da un uomo quasi attraente, che l’avrebbe forse trovata consenziente, ma non era ciò che lui desiderava. Desiderava le sue urla, il suo strazio. Era troppo per lei. Katia contrasse i muscoli del bacino e fece tutti i movimenti che la situazione le permetteva, per liberarsi da quel membro che la invadeva. Ma Bruto era forte e lei impotente, e lui spinse ancora
di più il suo cazzo dentro di lei. Katia si sentiva invasa da un affare enorme che immaginò a sensazione come una mazza da baseball. E i suoi muscoli alla fine cedettero, sconfitti sotto la violenza di quell’impatto.
“No, no, basta! Basta!”, ansimava urlando. I capelli le ricadevano sulle guance arrossate del tutto intrisi di sudore. Voleva sentire quel membro maschile nella vagina, non nell’ano! E invece la stava possedendo in quel modo così doloroso e umiliante, quasi a dispregio della sua femminilità. Sentiva il ventre di lui che le premeva contro le natiche ogni volta che l’uomo si spingeva ancora più a fondo dentro di lei. Oddio, com’era stretta. Katia gridò muovendo i fianchi per attutire il dolore.
“Così, piccola cagna. Brava! Muoviti, danza per me!”.
Aveva ottenuto l’effetto contrario, farlo scivolare meglio. Forse se gli avesse mostrato di essere eccitata, Bruto avrebbe preferito infilarle il sesso dentro la fica. Molti uomini lo preferiscono. E sarebbe stato più piacevole e meno doloroso per lei. Ma si sa che gli uomini preferiscono ciò che ottengono con fatica. E ora il grosso cazzo di Bruto si stava scavando la sua tana spaccandola in due, come una pala che le scavasse le budella. Il dolore si irradiava in tutto il corpo.
Bruto allungò le mani ad afferrarle i capezzoli. Si muoveva più velocemente adesso che aveva preso pieno possesso, spingendo a fondo il membro e poi ritirandosi quasi del tutto, fino alla punta. E ogni volta che rientrava erano dolori. Katia sperava che si stancasse presto e la prendesse dall’altra parte.
Ma l’uomo continuava a muoversi, avanti e indietro, sfregando come carta vetrata sul tessuto infiammato, pizzicandole le punte dei seni e mordendola sul collo.
Bruto portò una mano alla frusta, che aveva lasciata dentro abbandonata stretta tra i muscoli della fica, e la mosse avanti e indietro in sincronia col proprio cazzo. La combinazione dei due movimenti le fece scorrere i brividi su tutto il corpo. Katia sentì un calore insopportabile crescerle dentro, e si contrasse, scalciando nel vuoto.
Era pazzesco, era meraviglioso! Mai avrebbe pensato, viste le premesse, di raggiungere un tale stato d’estasi, di delirio.
Continuava a sentire un dolore lancinante all’ano e allo stesso tempo quella strana sensazione provocata dall’andirivieni della frusta nella sua fica.
Sentiva le pareti vaginali contrarsi, distendersi e avvilupparsi attorno allo strumento, mentre Bruto gridava sull’orlo dell’orgasmo.
“Prendi, piccola cagna. Prendi la mia sborra!”. La morse su una spalla strizzandole con violenza il seno.
Katia lanciò un grido che era insieme di dolore e di gioia, quando sentì il proprio sesso esplodere nell’orgasmo. Il suo corpo si muoveva convulsamente avanti e indietro mentre emetteva un torrente di gemiti e mugolii. La sua mente esplodeva mentre il suo corpo si scioglieva e si incollava a quello di Bruto in un orgasmo prolungato, che continuò anche dopo che l’uomo ebbe finito di scaricare tutto il suo sperma dentro di lei. Quando lui infine tentò di staccarsi lasciandosi scivolare fuori, i muscoli di lei ancora contratti cercarono di trattenerlo. Katia grugnì quasi delusa. Oh, ma che razza di cagna era diventata ormai!.
Katia, poi, si ritrovò a pendere inerte e sola dalle catene appese al soffitto. Una bolla d’aria le uscì con uno sbuffo dalla vagina liberata dal manico della frusta che le scivolò fuori e cadde a terra. Poi sentì lo sperma colarle da dietro scivolando in un rivolo sulle cosce, e poi giù lungo le gambe. Era finita. Quell’uomo l’aveva violentata in tutti i modi, l’aveva posseduta completamente fino a farla impazzire di piacere e punendola nello stesso tempo per il godimento suo malgrado provato.
Ora Katia fissò il suo aguzzino sperando che l’avrebbe finalmente lasciata andare.
“Ehi, ma come mi stringevi le palle. Da non crederci”, disse Bruto, massaggiandosi i testicoli e guardando Katia con un sogghigno. La ragazza si sentiva come se fosse stata trascinata nel fango, in cui ci si era poi rotolata. Adesso che la foga era passata, Katia si rendeva conto di essersi comportata da cagna. Aveva dimenticato tutti gli insegnamenti ricevuti, ogni principio morale, e per cosa? Per essere incatenata al soffitto, umiliata a quel modo, trattata come un animale, e violentata? Sentiva il bruciore delle cinghie che le dilaniavano la carne.
“Adesso ti faremo vedere cosa sa fare la tua amica, è sempre utile osservare gli altri”, disse Bruto.
Katia si sentì troppo debole per protestare. Bruto si rivestì, infilò gli stivali e sciolse i legacci che la trattenevano. Katia non fece alcuno sforzo per restare in piedi, ma si trovò a scivolare fra le braccia di Bruto, sperando solo che lui la riportasse in cella. Si sentiva stranamente sicura con lui, era quasi piacevole sentire il suo petto contro la guancia. Katia sapeva che seppure in un modo contorto, Bruto le voleva bene, e questo la rendeva felice e la metteva in confusione. Due forze contrarie combattevano nella sua
mente: una parte di lei voleva ancora sesso, ancora frustate perché scatenavano in lei emozioni spropositate, un’altra parte si ritraeva con orrore e le faceva desiderare di uccidere chiunque avesse cercato di trascinarla a quel punto.
Katia venne condotta attraverso i corridoi degli scantinati. Sopra di lei poteva sentire il mondo reale, il suono della campana che richiamava le ragazze in aula. Le ragazze che stavano di sopra si preparavano come ogni giorno a seguire le normali attività scolastiche, mentre lei stava soffrendo le pene di quell’inferno che stava laggiù. Era pazzesco: sopra una vita del tutto normale, e lì sotto, a pochi metri, regnava la follia!
“Dentro!”, le disse bruscamente Bruto. “Vai dentro!”. Katia era distratta, rassegnata.
Un’altra stanza, altri strumenti. Notò una piccola panca di legno. Due cinghie di cuoio erano fissate alle gambe della panca e una terza più larga l’attraversava al centro. Ai due lati della panca c’erano due catene legate a degli anelli sospesi a poca distanza dal pavimento. Bruto la fece sdraiare sulla panca in modo che la testa e le spalle pendessero oltre il bordo. La durezza del legno le fece dolere i fianchi e la schiena. Stava per lamentarsi, ma Bruto la zitti afferrandola per i capelli, e le sollevò una gamba per
fissarla a una delle catene. Quindi fece lo stesso con l’altra gamba imprigionandola come a croce con le cosce spalancate.
Katia gridò sentendosi completamente indifesa: la sua fica ancora umida si trovava così completamente esposta e il bacino le doleva a contatto del legno.
Cercò di scivolare in avanti, ma Bruto la riportò in posizione e forzandole le braccia gliele legò saldamente ai piedi della panca. Poi fissò la larga cinghia
centrale attorno allo stomaco di Katia, stringendola tanto da toglierle il fiato.
La testa di Katia pendeva abbondantemente oltre la panca e i suoi lunghi capelli arrivavano a toccare il pavimento sudicio. Le spalle erano saldamente appoggiate contro la panca, e le gambe, incatenate alla parete con le cosce spalancate, mettevano in mostra il suo sesso che aveva appena goduto.
“Ehi, ma che spettacolo! Potrei scoparti in questo preciso istante, in quella posizione. Ti è mancato, prima, vero? So che lo desideravi, ma sei arrivata in fondo lo stesso”.
Malgrado l’intensità dell’orgasmo che lei aveva provato, c’era ancora un senso di insoddisfazione. Bruto l’aveva presa nell’ano. Lei invece voleva sentire la
potenza del suo cazzo nella fica, strusciando coi peli il clitoride. Osservò l’uomo che si era fermato e la guardava a sua volta, quasi in attesa di una conferma. Che arrivò.
“Oh, sì, vi prego, prendetemi!”, si sorprese ad implorare Katia. Quando Bruto scrollò le spalle e cominciò a slacciarsi la cintura dei pantaloni, Katia non ebbe più dubbi. Aveva intravisto qualcosa che spingeva nuovamente sotto la stoffa, sapeva di cosa si trattava, e lo desiderava.
L’uomo liberò il membro un po’ riposato, e ne provò la consistenza sputandosi sulle dita e facendogliele scivolare sopra. Poi si pose sopra la testa inclinata della ragazza e le forzò la bocca fino in gola, facendole trattenere il respiro al limite del dovuto, finché non si ritrovò di nuovo duro e pronto. Allora girò attorno e si piazzò davanti alla ragazza e afferrandole i glutei a piene mani, le sollevò il bacino e si pose fra le sue cosce spalancate. Katia grugnì delusa, non potendo toccare il membro dell’uomo come avrebbe voluto. Tutto il suo corpo si tese per l’eccitazione. Bruto la penetrò velocemente rigirando il cazzo in tutte le direzioni e approfittando di entrambe le aperture già collaudate, mentre le strapazzava i seni.
A Katia piaceva tutto questo: le cinghie che le imprigionavano i fianchi e il cigolio delle catene; il dolore che provava ogni volta che lui si infilava nell’ano e il piacere di quando
invece le riempiva la fica, l dolore de i colpi dell’uomo che la spingevano contro la panca. Oh, quel cazzo dentro di lei, quanto amava il suo uccello che la scopava!

(continua)

 
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CAPITOLO 12

“Ehi, Bruto, sono sicura che avete fatto del vostro meglio per prendervi cura del caso a voi affidato, non è vero?”, domandò una voce femminile.
Era quella di Leona, che era entrata nella stanza seguita dalle due guardiane. Fra le due donne c’era Rosy, l’altra piccola vittima, con gli occhi bassi e i lunghi capelli neri che le spiovevano sul viso, completamente nuda. La ragazza faticava a restare in piedi e veniva quasi trascinata, sostenuta da ambo le parti per le ascelle. Sembrava rendersi conto solo vagamente di quel che le succedeva intorno. Ancora legata alla panca di legno in quella scomoda e umiliante posizione di offerta, Katia poté vedere i profondi solchi rossastri che le ricoprivano quasi tutto il corpo, intensificati nella zona tra le ginocchia e il seno.
Non era difficile immaginare cosa le avessero fatto per ridurla così spezzata nel corpo e nella volontà.
“Oh, niente di speciale, Leona. Ho fatto solo il mio lavoro”, rispose ossequioso Bruto.
La direttrice sorrise rivolgendosi a Rosy e sollevandole il mento.
“Vedi cara? La tua amica si è divertita molto qui. Non riesco a capire perché non prendi esempio da lei. Beh, lei è speciale. Tu puoi forse fare solo da comparsa per i nostri piccoli giochi innocenti.”.
Rosy alzò lo sguardo e vide Katia che giaceva sulla panca, con la fessura tra le cosce spalancata e fradicia. Aprì la bocca per parlare, ma rimase muta con lo sguardo perso nel vuoto.
“Bene, faremo in modo che le ragazze si ricordino per sempre di questa giornata. Credo che dovremo adottare misure più severe con entrambe, specialmente con questa qui”, disse Leona indicando Rosy.
Le guardiane annuirono. Katia vide Elvira che portava un largo e alto cono di legno che finiva con una punta arrotondata. Lo pose a qualche passo da Katia mentre Leona spingeva avanti l’altra ragazza. Al soffitto, proprio sopra, era fissata una puleggia munita di un grosso gancio. Elvira allentò la fune abbassando il congegno e Leona alzò le braccia di Rosy e le fissò un polso a una cinghia di cuoio, che appese quindi al gancio. L’altro braccio lo lasciò libero, quindi diede ordine ti tirare la corda. Elvira obbedì e sollevò la puleggia finché Rosy si trovò a penzolare dal soffitto. Fu in quel momento che la ragazza riprese completamente i sensi e cominciò a gridare, fissando Katia con gli occhi spalancati.
“Non lasciare che mi facciano questo. Ti prego, aiutami!”, gridò.
Leona rise, facendo sobbalzare i pesanti seni, e ordinò di fissare la corda a quell’altezza.
Rosy pendeva per un braccio solo, l’altro le penzolava di lato come se fosse spezzato. Le sue grida risuonarono in tutta la stanza, mentre Bruto le afferrava il braccio libero e lo legava al fianco sinistro. Poi le fece ripiegare la gamba destra e ne legò il piede al fianco destro. Legata in quella grottesca posizione, la ragazza cominciò a girare lentamente su se stessa.
“Puoi alleviare la sofferenza appoggiando il piede sulla punta del cono”, le spiegò Leona. “Naturalmente ti farà un po’ male e ti ritroverai a penzolare”.
Rosy singhiozzò, guardò in basso verso il cono e cercò di oscillare in modo da appoggiare il piede libero sulla punta dell’attrezzo. Così poteva appoggiare parte del proprio peso. Ma la punta arrotondata era così piccola che il piede le scivolò via facendola gemere di dolore mentre il peso del suo corpo pendeva di nuovo dall’unica spalla.
“Per ora lei è sistemata. Adesso ci occuperemo di te, mia cara.”, disse Leona, rivolgendosi a Katia, che subito rabbrividì, sentendosi di nuovo tirata in causa.
Cosa l’aspettava ancora? Era umanamente possibile sopportare tutta questa follia senza diventare pazzi?
“Oh no, no, no!”, supplicava quasi in delirio.
“Bruto, già che é stato così gentile con lei, perché non va a prendere gli altri strumenti? Sono sicura che la nostra Katia li troverà molto interessanti”, disse Leona con ironia-
“Cosa volete farmi ancora? Non ne posso più. Sto per morire!”, supplicò Katia con lo sguardo terrorizzato, quando vide Bruto allontanarsi dalla stanza. Non si era mai sentita così impotente come ora. Erano tutti intorno a lei come un’équipe di chirurghi. E lei era legata alla panca, busto e braccia, con le gambe aperte incatenate alle pareti, come una cavia destinata alla vivisezione.
Bloccata in quella posizione, non poteva muovere neppure un dito. Lottò contro forze innaturali cercando di strappare i legacci che le trattenevano i polsi, ma non c’era nulla da fare. Era in trappola, immobilizzata in quella oscena posizione, completamente indifesa e alla mercé di chiunque. E Bruto stava portando altri strumenti di tortura. E lo vide tornare con un lungo arnese con il manico di legno e la punta di ferro che lasciò cadere al suolo con un rumore secco. Sotto il braccio portava un sacco e l’altra mano reggeva un largo recipiente nero.
“Comincia a preparare il fuoco. Faremo in modo che queste ragazze portino per sempre con loro il ricordo di questo Istituto”, disse Leona a Elvira. “Naturalmente in un posto che sia accessibile solo agli amici più intimi.”, concluse ridendo.


Katia intuì come e iniziò ad urlare come una forsennata, tutto il corpo bagnato di sudore. Sentiva il rumore dei carboni che venivano versati nel recipiente, osservò mentre posavano il recipiente su un piedistallo, vi versavano del petrolio sopra i carboni e quindi gli davano fuoco. Un odore penetrante si sparse nella stanza. Katia annusò l’aria, si sentiva l’odore del petrolio e quello del carbone che cominciava a bruciare; quindi scoppiò in una risata isterica, mentre si sentiva impazzire. Era più facile lasciarsi andare,
fuggire dalla realtà rifugiandosi nella follia, piuttosto che accettare ciò che comprendeva sarebbe accaduto. Alzò gli occhi e incontrò lo sguardo terrorizzato di Rosy. Ma ora non le importava più niente di lei. Non le importava più di nulla e di nessuno, tranne che di sé stessa e di quella banda di sadici che la stavano facendo impazzire.
Udì sfrigolare il ferro dell’arnese che Bruto stava facendo rigirare sui carboni, e lo fide arrossarsi fiammeggiante, mentre mille scintille si alzarono fino al soffitto quando li rimescolò per rendere il fuoco più vivo.
“Ah! Ah! Ah! Siete tutti pazzi, e anch’io sono pazza! Spero che creperemo tutti insieme! Oh, dio, cosa ne sarà di me?”, gridò Katia, ridendo e piangendo insieme.
Leona aspettando che il ferro fosse incandescente, ogni tanto gettava un’occhiata a Katia e le sorrideva, quasi a rassicurarla. Bruto continuava a rigirare il carbone nel recipiente, leccandosi le labbra. Le altre due donne erano lì accanto, evidentemente eccitate dallo spettacolo, ma non osavano fare un movimento senza aver ricevuto ordini da Leona. Questo sembrava essere un suo divertimento personale, e solo Bruto aveva il diritto di condividerlo.
“Provi adesso!”, ordinò Leona. Bruto impugnò l’arnese tenendolo per il manico di legno e ne esaminò la punta, che terminava con un piccolo disco.
“Sì, è pronto”, disse, vedendolo arroventato.
Le parole uscirono come un sibilo dalla sua bocca. Katia scrollò la testa tremando per l’orrore. Il sudore le colava copioso dalla fronte, scivolandole sul naso e negli occhi. Poteva vedere la punta rossa e incandescente del ferro.
Vicino al disco diventava bianco, mentre tutto il resto era grigio scuro.
“No, no!”, gridò ancora, cercando istintivamente di raggomitolare il suo corpo a mo’ di protezione, ma i legacci che la trattenevano le impedivano ogni movimento.
“Adesso, mia cara, ti faremo un piccolo marchio che sarà un ricordo di questo Istituto per tutta la vita.”, le disse Leona.
“No, no, voi siete pazzi! Oh dio, dio aiutami, aiutami!”. Katia continuava a gridare, scuotendo selvaggiamente la testa da un lato all’altro, mentre la mente le esplodeva per il terrore. Non si sentiva nemmeno più un essere umano. Le sembrava di essere un animale braccato e torturato. L’unica emozione che provava era un’immensa e cieca paura.
“Cominciamo!”, ordinò Leona a Bruto. L’uomo impugnò l’arnese incandescente e fissò la ragazza legata. Tutto il corpo di Katia era scosso da spasmi che le attraversavano le spalle e il busto fino alla punta dei seni, il ventre, le cosce e il sesso spalancato. Emise un’altra risata isterica, diabolica.
“Sta uscendo di senno”, disse Bruto ridendo.
Katia si sentiva eccitata. Certo doveva essere pazza per eccitarsi a quell’orribile spettacolo. In preda al terrore, con gli occhi spalancati, vide il ferro incandescente alzato su di lei. La vista dello strumento le abbagliò gli occhi e il cervello e per un attimo fu sul punto di perdere i sensi.
Bruto abbassò il ferro rovente sul ventre di Katia, prese tempo a cercare la giusta posizione, mentre la ragazza sentiva il calore sulla carne.
Katia lanciò un altro grido aspettandosi da un momento all’altro di sentire il contatto incandescente sulla pelle. Il calore lasciava una sottile traccia rossa fra le cosce della ragazza, dove la pelle cominciava a enfiarsi, ma Bruto era ben attento a non toccarle i muscoli. Sembrava pratico, chissà quante volte aveva già praticato quell’atroce rituale su povere ragazzine indifese. I peli del pube furono i primi a raggrinzirsi bruciacchiandosi, e il loro odore, mescolato a quello del sudore e del liquido vaginale, era nauseabondo. Era quello di un animale sventrato e fatto arrosto.
L’uomo le stava bruciando il sesso, e Katia poteva vederlo, impietrita senza poter far nulla per impedirlo. Si ficcò le unghie nel palmo delle mani in attesa dell’inevitabile, strinse i denti e cominciò a pregare. Si prega sempre, quando non c’è via di uscita.
Il ferro avanzava lentamente, ancora indeciso. Katia cercò di scivolare all’indietro appiattendosi contro la panca, ma fu inutile. Poi le riuscì solo di spalancare la bocca per urlare con tutta la voce rimastale. Sentiva l’inferno dentro di lei. Ora il calore era attorno al suo clitoride, come una bocca calda, che la sfiorasse. “Oh, mio dio, avrebbero
potuto mutilarla per sempre”, pensò ormai molto al di la del terrore. Era pazzesco! Era troppo folle! Eppure quella forte emozione le fece montare dentro di sé i sintomi dell’orgasmo. Si divincolò sotto gli spasmi del piacere, gemendo come una cagna in calore, mentre pregava e implorava pietà, e continuava a venire.
Leona e Bruto se ne accorsero e scoppiarono a ridere.
Improvvisamente Bruto si girò e alzando il ferro premette la punta arroventata a forma di disco sulla natica destra di Rosy. Ve la tenne dieci secondi che contò ad alta voce, tenendola ben ferma per i fianchi con l’altra mano. La ragazza urlò improvvisamente cosciente di sé per il dolore insopportabile e inaspettato. Quando Bruto mollò la presa, il suo corpo sospeso girò come impazzito, mentre lei continuava a gridare e gridare. L’odore della carne bruciata raggiunse Katia e le fece salire un’ondata di nausea. Aveva sentito lo sfrigolio del ferro nella carne della sua compagna, mentre Rosy si divincolava e si contorceva, senza purtroppo svenire.
Bruto tornò allora verso Katia e premette anche a lei il disco incandescente sull’alto della coscia destra, vicinissimo all’inguine e al sesso.


Impazzita di dolore, Katia urlò, mentre sentiva la fica esplodere in un altro orgasmo. Vide ancora per un attimo Bruto, le altre donne, e la danza grottesca di Rosy che
continuava a dondolare a peso morto. Poi cadde nel buio più completo, perché lei sì, finalmente svenne.

Katia si svegliò di soprassalto. Fu il bruciore all’inguine a spingerla nuovamente verso la realtà.
Là, dove quel bastardo aveva premuto il ferro arroventato, la carne pulsava e le procurava fitte acute. Fitte che si irradiavano stranamente verso la fica e verso l’oscuro buchetto che occhieggiava tra le natiche, già enfiate dai colpi di frusta e di cazzo. Le ritornò alla mente di essere stata violentata per la seconda volta là, nel piccolo nido che le impreziosiva le terga, e rabbrividì rammentando il piacere che, seppur misto al dolore, aveva provato. Il bruciore intanto manteneva viva la sua voglia di sesso mentre dalla fica, lei lo sentiva senza ombra di dubbio, le traboccava ancora succo bollente.
Era mai possibile eccitarsi con il dolore, amarlo alla fine, godere tra le braccia di un uomo che l’aveva torturata ed umiliata in modo indescrivibile? Impossibile? No, non era impossibile, visto che le era accaduto. Il cazzo di Bruto era ancora lì, inchiodato nella sua mente come se l’avesse ancora dentro la sua carne. La sua carne dove Bruto l’aveva marchiata a fuoco, le bruciava tra le cosce a un centimetro dalla sua fica palpitante. Non sapeva che tipo di marchio le avessero impresso, ma la consapevolezza di essere stata marchiata come una bestia, la esaltava. Si rese conto di quanto fosse assurdo quello che stava pensando. “Sono pazza… pazza…”, mugolò mordendosi un labbro. Era assurdo quello che le stava accadendo!
Ma come era stato possibile? In pochi giorni, poco più di una decina, lei aveva imparato ad amare il dolore. Addirittura amava l’uomo che l’aveva fatta soffrire. Era pazzesco! Era folle!
“No… no… Devo reagire… Io quei porci li odio, li debbo ammazzare!”, urlò, ma solo dentro di sé. Poi, improvvisamente, ebbe la certezza di essere con le braccia libere e le gambe senza legacci. Era distesa su un lettino e quindi, sebbene nuda, poteva alzarsi e muoversi. Si rizzò e scoprì di trovarsi in una cella non molto grande, arredata semplicemente, con la sola brandina sulla quale lei era stata stesa da qualcuno. Sulla brandina c’era solo il materasso di crine, sul quale Katia era rimasta distesa sino a un momento prima.
A cosce larghe, muovendo solo il capo e tenendo la mano all’inguine, con le dita sul bordo della bruciatura ancora calda, volle sentirne il gonfiore. Poi, quasi a non volerci pensare, cominciò ad esplorare con lo sguardo il piccolo locale sporco e con il pavimento pieno di roba inutile. Vide un paio di cassette di frutta vuote, cartoni anch’essi vuoti, e una coperta gettata in un angolo, contro la parete. La coperta poteva essere utile per avvolgere il proprio corpo. Si alzò. Aveva le gambe rigide e ad ogni passo lo sfintere le
procurava fitte atroci. Il cazzo di Bruto aveva fatto scempio delle sue budella. Inoltre aveva le cosce ancora imbrattate dallo sperma di lui, quello che le era colato fuori dal piccolo buco squarciato e violato. Mandò un lamento appena si chinò per afferrare la coperta, quindi si rizzò, sollevandola, e scoprendo che le facevano male anche tutti i muscoli, specie quelli del ventre dove Bruto l’aveva presa a pugni, e quelli delle spalle e delle cosce. Aveva sollevato la coperta ed era rimasta sorpresa a guardare la figura
gettata lì, in un angolo, e raggomitolata su se stessa come una cosa inutile.
Per un lungo istante la sua mente si svuotò e Katia fu di nuovo sul punto di impazzire, poi mandò un urlo liberatorio e ritrovò il proprio equilibrio mentale. La figura umana era quella di Rosy, la sua compagna di sventura.
Mentre lei era stata adagiata sul letto, l’altra era stata gettata in quell’angolo come uno straccio e ricoperta con il lurido plaid che lei aveva recuperato. Quando finì di urlare e tornò in sé, il primo pensiero che le venne fu che la povera ragazza fosse morta. Si chinò accanto a lei e si sedette sul plaid.
A scuola, al corso di igiene, le avevano insegnato come fare per scoprire se una persona è viva o morta, questo in caso di incidente. Quindi posò la mano sul collo di Rosy e cercò la vena. Sentì subito sotto le dita che la giugulare pulsava, e sospirò di sollievo. Rosy era solo svenuta.
La cella era illuminata da una luce che giungeva a malapena da una fessura che passava da sotto la porta, ma il pallore di Rosy era impressionante e lo si
notava perfettamente.
“Rosy…Rosy, mi senti?!”, mormorò dandole degli schiaffetti sul viso. La ragazza mandò un lamento, poi agitò la testa prima da un lato e poi dall’altro.
“No… no… Basta!”, farfugliò ancora sotto shock. Un po’ di saliva le colò lungo il mento e si rannicchiò ancora di più su se stessa. Anche Rosy era completamente nuda e Katia notò che aveva la pelle striata di rosso e di blu. L’avevano picchiata, forse frustata. Improvvisamente la ragazza spalancò gli occhi e la guardò con uno sguardo pieno di paura, di orrore e di supplica.
“Sono Katia… Calmati, Rosy, calmati… E’ tutto finito, ora…”, le disse mentendo, con un groppo alla gola mentre l’accarezzava sul viso, sulle spalle, con dolcezza. E con dolcezza le parlava, suadente. “Mi riconosci, adesso?”.
Per un lungo istante Rosy rimase a guardarla, ancora raccolta, quasi appallottolata in posizione fetale, premuta contro la parete. Poi il suo volto parve rasserenarsi un poco, e lei si sciolse, gettandosi in avanti, alla ricerca delle braccia di Katia.
“Stringimi, Katia, stringimi…”, supplicò. Katia la ricevette sul seno e la strinse a sé. Per lunghissimi minuti rimasero così, petto contro petto, le guance accaldate e rigate di lacrime, premute l’una all’altra, i seni in cui pulsava ancora il dolore dei colpi e delle sevizie subite, incollati.
“E’ stato terribile… terribile…”, mormorò Rosy “Quando ti hanno marchiata sei svenuta e loro non si sono più occupati di te. Io purtroppo, non sono svenuta e Bruto, insieme a Leona, si sono interessati a me…”.
“Cosa ti hanno fatto?”, le domando Katia.
Stranamente provava una curiosità morbosa. Voleva sapere che tipo di torture le avevano praticato, quasi fosse gelosa di ciò che Bruto e la direttrice potevano aver fatto con lei.
“Prima Bruto mi ha frustata… E’ stato terribile. Mi colpiva dovunque, mi martoriava le natiche, là dove mi aveva marchiata…. E poi…. Oh, mio dio….”.
E le raccontò di come Bruto le avesse ripiegata l’altra gamba per legare alla vita anche il piede sinistro. E di come Elvira avesse unto per bene con del grasso la punta arrotondata del cuneo di legno, lo stresso su cui prima aveva tentato senza riuscirci di appoggiare il piede per avere un attimo di respiro. E di come poi Leona avesse fatto abbassare la puleggia in modo da porla con l’ano proprio sulla punta del cuneo. Quando la punta arrotondata, lucida e scivolosa, fu ben sistemata e cominciò a farsi strada dentro di lei, Leona diede l’ordine di allentare la corda, tenuta tesa solo per non farla cadere, lasciando che il peso stesso del suo corpo pian piano la facesse affondare. E
più scendeva, più il cuneo entrava, più le dilatava l’ano. Rosy si sentiva dilaniare, squartare, aprire letteralmente in due. Non aveva mai pensato di poter provare un dolore simile. La discesa fu lenta ma inesorabile, e più il cuneo affondava dentro di lei, più lei si dilatava e lo assorbiva. Lei non se ne rese conto, ma quando finalmente svenne, il cuneo le era entrato per più di venti centimetri di lunghezza e alla base le aveva allargato il culo per almeno dodici centimetri di diametro.
“Oh, mio dio!”, disse anche Katia tremando di eccitazione, ma anche con una punta di invidia, dispiaciuta per Rosy, ma anche per non aver assistito a tutta la scena.

(continua)
 
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view post Posted on 18/10/2012, 23:49     +1   -1
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CAPITOLO 13

Rosy spalancò le cosce.
Katia, suo malgrado, ebbe una fitta al cuore vedendo lo scempio che quello strumento di tortura a forma di cono aveva procurato allo sfintere dilatato, slabbrato e sanguinante della ragazza. E subito sopra vide il marchio che il ferro rovente aveva lasciato su quella pelle delicata. Era un cerchio bluastro, rossiccio al centro, e ancora non si capiva cosa
significasse.
Ma anche la sua carne era martoriata a quel modo, Katia doveva avere l’inguine sfigurato.
“Brucia… Brucia…”, balbettava Rosy.
La sua ferita era proprio nel punto in cui cominciavano le natiche e precisamente là dove finiva la coscia sinistra. Per mostrarla a Katia, si era stesa sulla brandina e aveva spalancato le gambe dopo averle piegate e sollevate. In quella posizione esibiva all’amica tutto il proprio inguine, quel triangolo ricciuto dalla peluria chiara, e il piccolo
taglio umido di umori. Katia non aveva mai visto una fica così da vicino e ne rimase sconvolta. Inspiegabilmente non riusciva a staccare lo sguardo da quel taglio succoso, ma soprattutto dalla scottatura che si vedeva chiaramente, dieci centimetri più sotto.
“Fai qualcosa… ti prego… sto impazzendo…”, disse Rosy piagnucolando. Aveva portato entrambe le mani all’inguine e si copriva la fica, quasi vergognosa che Katia la guardasse.
Katia soffiò sulla bruciatura. Prima lo fece con delicatezza, poi in modo più deciso, avvicinandosi maggiormente.
“Oh, sì… sì… E’ bello, bello…”, tornò a balbettare Rosy in cerca di refrigerio.
Intanto aveva tolto le mani dalla fessura e Katia, sbalordita, scoprì che colava da tanto era fradicia di succo. Rosy veniva. Rosy godeva. La sua carne bruciava e lei si scioglieva facendosi colare gli umori dalla fica come una broda calda e vischiosa. Ma come le avevano ridotte quei bastardi? Due cagne in calore!
Nello stesso istante in cui Katia pensava tutto ciò, Rosy le afferrò la testa all’altezza delle orecchie e incollò la faccia di lei contro il proprio inguine.
Lo fece con un singhiozzo pieno di libidine e Katia si ritrovò con le labbra posate sulla vagina di Rosy. Aveva tenuto la bocca socchiusa ed era stata colta di sorpresa. La carne umida della ragazza aveva un sapore dolce e muschiato, un sapore strano. Era il sapore di donna, del succo filtrato attraverso le labbra di Katia e finito contro la sua lingua.
E Katia non si era scostata! Era rimasta lì, con la bocca semiaperta su quella carne martoriata e gonfia di desiderio. Era rimasta immobile e indecisa, con le cosce strette e
sul punto di venire anche lei, nonostante Rosy le avesse tolto le mani dal volto, senza più trattenerla.
Katia si era aggrappata al bordo della brandina e la sua lingua si agitava trattenuta dai denti, all’interno della sua cavità orale, come un’ape impazzita, alla ricerca di una via di uscita. Anelava qualcosa di cui aveva orrore solo ad immaginarne l’azione, eppure il paradiso della trasgressione era là, a pochi centimetri dalla sua lingua. Portò le mani chiuse a pugno contro la sua fica, strette tra le sue cosce, e cominciò a mugolare con una cantilena simile ad un pianto.
“Oh… fallo… fallo! Fammi passare il dolore!”, la incalzò Rosy supplicandola con voce rauca, bassa, perversa, folle.
E nell’istante in cui Katia, ad occhi chiusi, stava per abbandonarsi all’istinto e stava per spalancare la bocca, il sibilo della frustata prima e il colpo atroce che le morse la carne sulle natiche dopo, la costrinsero a staccarsi e a raggomitolarsi su se stessa. Non tolse le mani dall’inguine, però. La frustata le era giunta sulla carne nell’attimo stesso in cui aveva goduto, ed ora si ficcava tre dita nella vagina che le pulsava e si pizzicava il clitoride enfiato, mentre il suo succo colava copioso lungo le cosce. Si masturbò senza ritegno guardando Bruto che se ne stava alto, massiccio e a torso nudo, con quella sua ironica e demoniaca espressione sul viso, di fronte a lei, con la sua maledetta frusta nella mano sinistra. I pantaloni della divisa erano tirati e gonfi all’inguine, là dove Bruto aveva il temibile randello che le aveva entrambe martoriate e rese donne.
“E brave le mie troiette!”, disse con voce ironica e cattiva. “Si fanno tra loro, si slinguano da sole appena io le metto insieme senza legarle”.
Smise di parlare per frustare Katia, con una violenza estrema, colpendola sui fianchi e all’inguine. E quando la poveretta si rotolò per terra per proteggersi il sesso, la frusta la colse sulle natiche, nel solco, nuovamente sull’ano, là dove già una volta l’aveva colpita.
Katia provò un dolore acuto, una fitta terribile che le diede l’impressione di essere nuovamente squarciata dal cazzo di Bruto.
“Aaaaahhhhhh!”, urlò, ma in quel suo grido non c’era solo sofferenza: c’era anche il piacere che le stava nuovamente esplodendo tra le cosce, nel clitoride ormai grosso come un piccolo pene eretto. Con orrore si rese conto di essersi messa in posizione da cagna e di offrire il proprio culo e il proprio nido tra le natiche, in un muto invito a quell’uomo odioso e magnifico.
“E vuole anche farsi fottere, vuole farsi inculare la troia! Che spudorata maiala, vorrebbe sempre il mio cazzo! Lo vorrebbe dovunque. In culo, in bocca, nella sua ciabatta bagnata e fradicia…”.
E così dicendo questo, le aveva infilato il grosso pollice nel nido e lo roteava e lo muoveva avanti e indietro, come se la stesse scopando, rabbiosamente, procurandole un piacere folle, ma graffiandola con l’unghia di altre tre dita, dentro, nelle pareti interne della vagina. E Katia godeva e si contorceva pizzicandosi i capezzoli, mugolando. Poi lui si interruppe, proprio sul più bello, afferrandola per i capelli e sollevandola di peso. Katia piangeva ed aveva l’impressione che le stesse per staccare il cuoio cappelluto, ma non tanto per il dolore, che ormai era diventato un suo compagno, qualcosa da amare e da desiderare, che si conosceva. Katia piangeva di frustrazione perché Bruto aveva smesso di farla godere, interrompendo la violenta masturbazione proprio sul più bello. E ridendone, anche!
“Bastardo, figlio di puttana, maledetto rottinculo!”.
Lo cominciò ad insultare furiosamente, scalciando nel vano tentativo di colpirlo con un calcio nei coglioni, ma lui la tenne lontano da sé, ridendo, con una facilità e una forza
incredibili. Poi la colpì con violenza estrema sul ventre nudo, facendola piegare in due. Katia sentì l’urlo di terrore di Rosy che aveva assistito alla scena temendo il peggio, mentre lei ebbe solo il tempo di pensare che, inconsciamente, era quello ciò che aveva voluto: farsi colpire, sentire ancora una volta quel terribile dolore che ormai, per lei, esisteva solo perché si accoppiava al piacere. E stranamente, mentre perdeva i sensi e sprofondava nel nulla, con le viscere sconvolte dal colpo tremendo, si scoprì di serrare le cosce e di continuare a godere.

(continua)
 
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view post Posted on 26/10/2012, 01:03     +1   -1
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CAPITOLO 14

Dovevano essere trascorsi pochi minuti, ma Katia non era in grado di dire quanti. Tornò in sé e scoprì di trovarsi in quel grande locale dove lei e Rosy erano state torturate insieme.
“E così, piccola cagna, sei tu che ami farti le donne, vero?”, la voce di Bruto era secca e sibilante come una frustata, rivolto a Rosy.
“Sì…sì… Io…”, balbettava Rosy con la voce sofferente e Katia spostò piano la testa, vincendo i conati di vomito che le salivano dal ventre a causa del colpo ricevuto. Vide che c’era un letto in un angolo e che Rosy penzolava dal soffitto, con i polsi legati insieme e imprigionati in bracciali di ferro fissati a una catena. Tutto il corpo era pieno di striature rossastre e Bruto aveva sempre in mano la sua dannata frusta. Doveva averla seviziata per farle ammettere ciò che lui voleva, proprio per trovare il motivo per continuare a
torturarla. Qualunque scusa era buona per farla soffrire. Katia poteva guardare la scena e, restando immobile, non farsi notare.
Si rese anche conto di avere le mani e i piedi liberi, poteva muoversi, cercare anche di andarsene. Intanto Bruto aveva mollato la frusta e aveva afferrato qualcosa da sopra un ripiano che fungeva da tavolo.
Katia vide con orrore che si trattava di una riproduzione di un membro enorme, luccicante, quindi metallico, e che dalla parte opposta alla punta arrotondata che fungeva da glande, c’era una sorta di maniglia, simile a quella dei cavatappi.
“Quindi, nonostante tu abbia a disposizione un cazzo come il mio, ti piace farti le femmine, brutta porca! Te le do io le femmine! Ti farò passare il vizio, maledetta baldracca…”. Si era avvicinato a Rosy e le aveva appoggiato quell’orribile oggetto all’inguine. La ragazza tremava e singhiozzava, sapendo di essere senza difese. Katia notò che la superficie dell’oggetto non era liscia bensì ricoperta da piccole protuberanze aguzze.
“Ma ti rendi conto che non ti posso mandare nelle camerate con le altre?! Tu mi trasformi questo posto in un bordello! Una viziosa come te deve togliersi dalla testa certe idee..”, sghignazzò Bruto, e con la mano libera costrinse Rosy ad allargare le cosce.
“Non fare la scema, perché te ne pentiresti. Allarga le gambe da sola, senza farmi faticare troppo, hai capito?”. Rosy ubbidì immediatamente.
Katia sbalordita vide che la sua amica si offriva oscenamente, piegando le reni e porgendo l’inguine verso Bruto che rideva sgangheratamente.
“Brava… brava! Sono contento che cominci a capire… ora ti fisso questo affare nella passera. Vedo che è già bagnata e che stai godendo! Bene, può darsi che il tuo caso non sia poi così disperato e che magari una parte di colpa l’abbia anche quella stronzetta! Dì la verità…anche Katia è un po’ lesbica, vero?”.
“No..no…non lo so…”, insisteva a negare Rosy.
“Ok. Vedi quest’affare? Girando la maniglia si allarga, come un divaricatore. E in più ha due punte. Graffiano queste punte e se io dovessi muoverlo avanti e indietro, come un cazzo, dopo averlo allargato al massimo, immagina un po’ cosa ti succede dentro, nella tua dolce fichetta! Quindi fai la brava e ubbidisci a tutto quello che ti ordineremo, altrimenti…”.
“Sì.. sì… Vi prego… Vi supplico… “, balbettava Rosy piangendo.
Intanto quel bastardo le aveva spinto l’attrezzo all’ingresso dell’apertura delicata e Katia poté vedere che spariva lentamente dentro. Mentre Rosy urlava di dolore, le
punte aguzze dovevano procurarle un male terribile, disumano. Katia vide un rivolo di sangue colare dalla peluria, lungo la coscia sinistra. Intanto l’oggetto metallico si era annidato completamente in quella calda e umida guaina di carne giovane.
“Ecco! Adesso lo allarghiamo un po’!”, disse Bruto, facendo fare un paio di giri al congegno che le premeva contro le mucose sensibili.
“Aaaaaaaaahhhhhh”, urlò Rosy immediatamente. Katia si sentì accapponare la pelle al pensiero di quello che stava accadendo alla sua compagna. Ora aveva sollevato la testa e guardava la scena ad occhi sbarrati, senza più curarsi che Bruto potesse accorgersi di lei e del fatto che era nuovamente in sé. Ma Bruto non le prestava la minima attenzione. Aveva staccato Rosy dal soffitto e dalle catene e se l’era portata sul letto. L’aveva gettata là sopra come se si trattasse di un manichino disarticolato e poi l’aveva girata sulla schiena con gesti decisi e cattivi. Ora la testa di Rosy penzolava oltre il bordo del basso letto e Bruto fissò le caviglie della ragazza all’asta metallica che sosteneva
la rete a due piazze e il materasso.
“Così non ti viene in mente di fare scherzi con i piedi e poi puoi mettere in bella mostra la fichetta, così quando arrivano Leona e le ragazze potranno vedere come ti sto educando”, disse Bruto, ghignando.
A Katia vennero i brividi al pensiero che quelle tre streghe tornassero là dentro e magari per occuparsi anche di lei. Intanto non riusciva a staccare lo sguardo dalla scena che Bruto e Rosy le offrivano. L’uomo si era tolto i calzoni ed esibiva il grosso cazzo. Se lo palpava piano, mostrandolo a Rosy e ridendo. Si tastava la grossa borsa dei testicoli e se li massaggiava oscenamente, consapevole forse dell’effetto che quella visione aveva sulla ragazza.
Katia da parte sua non riusciva a non guardare quel randello di carne che si stava intostando, e se lo tornava a sentire tra le cosce e nell’ano, terribile ed immenso, che la devastava, che la riempiva e la fotteva con quella maestosità che lei oramai conosceva anche fin troppo bene.
“Dì che ti piace! Dillo, baldracchetta….”.
“Sì, mi piace…”, dovette ammettere Rosy, temendo il peggio.
“Dì che lo vuoi in bocca… Dì che me lo vuoi succhiare…”.
“Sì, lo voglio in bocca, lo voglio succhiare…”, balbettò Rosy con voce rauca.
Katia allora capì che la troietta lo desiderava sul serio. Intuì dal tono di quella voce che la poveretta ormai era impazzita e che sembrava accettare tutto il godimento che le poteva dare il piacere accoppiato al dolore. Bruto aveva girato attorno al letto e si era piazzato a cosce larghe davanti alla sua faccia. Lei aveva sempre la testa che le penzolava oltre il bordo ed era coricata di traverso sul letto. L’uomo si abbassò lievemente e i suoi coglioni sfiorarono le labbra della ragazza.
“Lecca… Dai, lecca… e fallo bene se non vuoi che dia un altro giretto a quel coso che ti ho infilato nella fica!”, e intanto qualche giro lo dava davvero.
Rosy si mise a leccare avidamente, protendeva la lingua verso quei testicoli, sollevava la testa per riuscire a raggiungere l’asta che guizzava sopra, ma lui si sollevò strofinandosi il culo contro il suo viso. Si sentiva soltanto il suono osceno che la bocca della ragazza faceva continuando a leccare l’uomo che la stava torturando. Poi Bruto si accorse di Katia.
“E così finalmente ti sei decisa a svegliarti. Sei curiosa e gelosa, vero?”, disse Bruto a Katia vedendola ben sveglia e attenta. “Vuoi vedere cosa ti stai perdendo. Che cagna che sei! Ha ragione Leona quando dice che sei la miglior fica che ci sia capitata qui dentro..”, si interruppe per tirare un capezzolo a Rosy. E aggiunse, sempre rivolto a Rosy:
“Smettila di leccare, troia, se no mi fai venire. Sta buona altrimenti ti ammazzo, baldracca!"
Bruto si mise a sghignazzare guardando Katia che era diventata rossa e che si masturbava lentamente, continuando a passare lo sguardo dal suo cazzo alla fica di Rosy.
“Vorresti essere al suo posto, vorresti succhiarmi, bere tu il mio sperma…Ti piace, vero?”, la incalzava Bruto.
“Bastardo, maledetto bastardo.. ma come ci hai ridotte… come cagne…”, mormorò Katia, e intanto guardava la fessura colma di umori di Rosy. Lui l’aveva sbarrata in modo incredibile. L’oggetto metallico era stato allargato al massimo, ma la cosa che maggiormente stupì Katia fu stabilire che nonostante la presenza di quell’orrendo attrezzo di tortura nella fica, Rosy godeva. Una schiuma rossastra si formava ai lati dell’arnese e il clitoride della ragazza era gonfio e turgido tanto da essere simile a un grosso capezzolo raggrinzito.
Katia come in trance cadde in ginocchio e posò le mani sulle ginocchia piegate e aperte di Rosy. La ragazza s’inarcò maggiormente, quasi volesse offrire se stessa anche a lei.
“Su, non essere timida. Falle quello che le stavi facendo quando vi ho scoperte. Leccala!”, ordinò Bruto con voce rauca.
Katia scosse la testa furiosamente, ma intanto avvicinava il viso come se una forza irresistibile la spingesse a posare le labbra su quella fessura martoriata, per darle sollievo,
per lenire la sofferenza che la sua compagna stava provando….anche…
“E tu, cagna…prendi!”, mugolò Bruto infilando il cazzo fino in fondo alla gola di Rosy, facilitato dalla posizione favorevole. E poi prese a scopare Rosy in bocca. Lo faceva con sempre maggior violenza, dando dei colpi furiosi e continui che le toglievano il fiato, e facendole sbattere ad ogni stoccata la testa contro la testiera del letto.
“E tu, leccala. Leccala!.
Katia si chinò in avanti socchiudendo le labbra e protendendo la lingua.

(continua)
 
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view post Posted on 31/10/2012, 00:25     +1   -1
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T.P.E.
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CAPITOLO 15

Katia si era scatenata.Le accadde improvvisamente. Un attimo prima era là a guardare il clitoride di Rosy, e un attimo dopo si scagliava su quella fica per leccarla. Tremava come una foglia ed era incapace di controllarsi. Odiava e amava quell’arnese terrificante che stava piantato nella vagina della sua compagna, ad allargarla a dismisura. Lo odiava perché non stava dentro di lei e perché le impediva di lambire tutta quella deliziosa fessura, e lo amava perché era consapevole che stava procurando a Rosy una sofferenza inaudita.
Non le rimaneva che succhiarle il clitoride divenuto ancora più turgido. Ora non assomigliava più a un capezzolo, bensì a una piccola prugna. Rosy si protendeva verso di lei e Katia, pur ostacolata dal fallo finto che dilaniava la ragazza, non smetteva un istante di suggere e lappare. Leccava il liquido schiumoso e roseo che trabordava dalle pieghe della carne, tutt’attorno all’arnese terrificante. Ne gustava il sapore scoprendo, per la prima volta in vita sua, il sapore delicatamente aspro del sesso di una donna. Se ne impadronì
voluttuosamente abbandonandosi a quella esperienza nuova e incredibile. In lei ogni tabù stava saltando, ogni remora del passato era stata cancellata. Aveva sempre provato schifo al pensiero che una donna le mettesse le mani addosso, o che magari le praticasse un ditalino o una slinguata. Aveva sognato che a farle
ciò potessero essere solo i maschi, solo Gianni, soprattutto, ma Gianni non ne aveva avuto il tempo e sua madre l’aveva mandata lì, in quell’inferno! La domanda fece capolino in un angolo lontano del suo cervello ormai impazzito, e Katia la ricacciò con orrore. Non voleva neppure pensare che stava cominciando
ad accettare quella realtà. Se lo avesse fatto sarebbe stata perduta per sempre.
Bruto tirava i capezzoli di Rosy. Sembrava che li volesse strappare, quasi. La piccola sussultava sempre più spesso e il suo succo era sempre più rosso e dolciastro, segno che il sangue le scorreva sempre più copioso nella vagina. I denti metallici del fallo, ad ogni contrazione della fichetta, le si piantavano maggiormente nella carne, e Katia beveva quel succo, lo lappava via dedicandosi con maggiore attenzione a quel clitoride, consapevole che le pareti interne di quella vulva martoriata, avviluppavano sempre con maggior furia l’oggetto metallico che la sbarrava dolorosamente.
“Ragazze, come mi succhia! Questo sì che è un pompino! Brava la mia troietta lesbica!”, farfugliava Bruto continuando a vibrare colpi rabbiosi. Rosy mugolava furiosamente e il suo volto era cianotico. Il grosso palo di carne era sempre piantato profondamente nella sua bocca, se lo sentiva dentro sino alla gola, alle tonsille. L’asta pulsava e la soffocava mentre il glande le sbatteva contro l’ugola dolorosamente. Tutta la bocca le bruciava e si sentiva schiacciare e martoriare la lingua. Ma Rosy non smetteva un istante di leccare e lambire il grosso randello per quanto la sua lunghezza e circonferenza glielo permetteva. Aveva la gola arsa e si chiedeva quando Bruto l’avrebbe finalmente annaffiata con il suo sperma. Lo anelava come un nettare prezioso, come l’unico modo per dissetare la propria libidine. Il dolore che provava esplodeva dalla sua vulva e diventava piacere in quel clitoride succhiato e lappato da Katia per irradiarsi, centuplicato, in tutto il suo corpo. Inoltre i seni le pulsavano. Bruto li tirava e pizzicava dolorosamente e tale sensazione diventava un calore intenso che si trasformava nella sensazione simile a quella di una lingua che li leccasse e di una bocca che li mordesse.
“Lo so che vorresti il mio succo. Vorresti che ti inondassi la bocca, ma non lo avrai! O almeno non subito.”, disse Bruto ridacchiando sadicamente. E un attimo dopo estrasse il proprio manganello da quelle labbra esauste. La lingua di Rosy rimase delusa a schiaffeggiare l’aria, come un animale assetato.
“E tu, smetti di leccarla, troia!”, urlò Bruto all’indirizzo di Katia. Intanto le si era avvicinato facendo seguire i fatti alle parole. Un calcio preciso e doloroso, vibrato con la punta della scarpa, la colse tra le natiche,
centrandole l’ano. Katia ebbe l’impressione di morire e credette, per un istante, che la punta della scarpa le fosse entrata nello sfintere dilaniandola. Mandando un urlo, per non essere sbalzata via, dovette senza
volerlo aggrapparsi scompostamente alla coscia di Rosy. Ciò facendo sfiorò la maniglia dell’oggetto che stava piantato nella carne della compagna.
“Noooooo….”, urlò la povera vittima. Inorridita, nonostante il dolore che lei stessa stava provando là dove era stata colpita, Katia vide un fiotto di sangue uscire dalle pieghe di quella carne martoriata.
Bruto si mise a ridere. “Mi hai dato una bella idea, piccola cagna!”, disse afferrando Katia per i capelli e sollevandola alla sua altezza. “Meriti un bacio per quest’idea!”. Un attimo dopo aveva incollato la bocca a quella della ragazza che tentava di divincolarsi e liberarsi senza riuscirci. Katia tentò anche di dargli un calcio tra le gambe, ma lui glielo impedì imprigionandole una coscia tra le proprie, grosse come tronchi d’albero. E le morse le labbra.
I suoi denti strinsero la tenera carne di Katia che intanto avvertiva la presenza del grosso membro di lui, quel membro che ormai aveva imparato ad amare e che, forse, non odiava più. Lo sentiva contro il ventre, durissimo e pressante. Si scostò un po’ con la speranza di farselo scivolare contro la fica, ma fu inutile. Bruto la allontanò da sé con uno spintone, mandandola a sbattere contro il muro.
“Troia!”, disse sghignazzando. “Pensi sempre a scopare. Lo vorresti dentro in continuazione. Credo che non ti basterebbero cento maschi per soddisfare la tua maledetta libidine. Tua madre aveva ragione. E anche la direttrice ha ragione.”.
“Dove ho ragione?”, chiese una voce alle loro spalle. Bruto si voltò di scatto e sorrise a Leona. La donna indossava una guaina di cuoio che le modellava il corpo ma le lasciava scoperti i seni nudi che svettavano da due larghi fori, duri ed arroganti, con le punte dipinte di rosso. Anche il suo inguine era completamente nudo ed esposto alla vista di tutti, un triangolo ricciuto e nerissimo, un vello pieno e folto simile a una foresta tropicale. Katia rimase a guardare quella donna, là tra le gambe con uno sguardo fisso, chiedendosi se
il suo sapore di femmina matura fosse diverso da quello che aveva appena assaporato tra le cosce di Rosy.
“Questa ragazza è incorreggibile, Leona!”, la apostrofò subiti Bruto per riscaldare l’ambiente. “E’ come dicevate voi. Vuole essere scopata sempre, in continuazione, starebbe sempre aggrappata al mio membro, se glielo permettessi. E guardate come vi fissa tra le gambe…le piacciono anche le donne.”.
“Non mi dire che ha leccato la fica di Rosy! Magari le hai trovate che si facevano!”, disse ironicamente la direttrice.
“Sì, purtroppo...”, ammise Bruto, ben contento di rincarare la dose.
“Male, molto male piccole mie!”, disse Leona con estrema ironia. Intanto dietro di lei erano comparse Elvira e l’altra guardiana. Indossavano le loro divise attillate e severe ed avevano un viso che non prometteva nulla di buono.
Elvira si tirava dietro un’atra ragazza dell’Istituto. Una che Katia non aveva mai visto, probabilmente una giunta con gli ultimi arrivi. La nuova doveva aver già subito un primo trattamento di tipo duro: ne portava i segni su tutto il corpo e aveva le mani legate dietro la schiena, mentre era costretta a portare un collare da cani. Elvira lo tirava in continuazione, costringendo la ragazza a camminare a quattro zampe.
“Sai perché è male?”, proseguì Leona. “Vedi quella là? E’ appena arrivata e la prima cosa che ha fatto è stato ficcarsi nel letto della sua vicina di branda, per scoparsela..”, fece una pausa e ridacchiò. “Proprio una cagna
incorreggibile come te, troietta mia. Ora vedrai cosa le faremo, così ti renderai conto di cosa tocca alle lesbiche qui dentro. D’altronde siamo in un riformatorio, col compito di raddrizzare comportamenti sbagliati, o no? E faremo vedere all’ispettore che è venuto a controllare il nostro buon operato, come applichiamo la disciplina, qui!
Solo in quell’istante Katia vide che dietro le due guardiane c’era un uomo.
Era maturo, sui sessanta, corpulento, il viso paonazzo, le labbra carnose e sensuali, i capelli grigi formavano una coroncina attorno al cranio calvo. Era vestito con estrema eleganza, sbarbato per bene e profumato. Ma aveva due occhi celesti duri e spietati che sembravano divorare il corpo di Katia. Senza dire una parola l’uomo si diresse verso una sedia e Bruto corse a sistemargliela per bene. Sì, quell’Ispettore venuto dal ministero da Roma, doveva essere un uomo molto importante, pensò Katia. E subito l’uomo si sentì al settimo cielo in
quel limbo senza legge e senza giudizi di colpa.
“La nostra Katia mi ha fatto venire un’idea, Leona! Farle togliere l’arnese dalla vagina di Rosy. E’ ora che impari ad agire, oltre che solo subire.”.
“Sì, mi sembra una buona idea!”. La frusta di Leona schioccò e colpì Katia su una natica, costringendola a saltare. “Hai sentito? Vai dalla tua amica e liberala da quella tortura.”.
Katia si avviò lentamente. I suoi occhi non riuscivano a staccarsi dall’inguine della sua amica. La ragazza ogni tanto sollevava il capo che continuava a pendere oltre il bordo del letto dove era legata, e guardava alternativamente Katia e gli altri. Katia si chinò e posò la mano sulla maniglia che, riavvitandosi, avrebbe diminuito lo spessore dell’attrezzo, permettendo una più semplice e meno dolorosa estrazione dello stesso. Una frustata tornò a colpire Katia sulla natica facendola sobbalzare e urlare.
“Non ti azzardare ad allentare la quella vite!”, disse con voce cattiva Leona.
Katia la guardò preoccupata e incredula. Vide anche che Bruto stava versando del whisky in un bicchiere e guardava verso l’ispettore che sorrideva soddisfatto.
“Volete guardare da vicino, Ispettore?”, gli propose Bruto per ingraziarselo ulteriormente.
“Sì, con piacere!”, fu la risposta coraggiosa e colma di perversioni represse dell’uomo.
“Devi togliere quell’arnese così com’è, dilatato al massimo!”, fu la richiesta imperiosa a Katia.
“A noi piace così, e anche all’Ispettore.”, stava dicendo Leona.
Erano matti, tutti pazzi furiosi. Se Katia lo avesse fatto la vagina della povera Rosy ne sarebbe rimasta graffiata orrendamente all’interno, le punte metalliche le avrebbero strappato la pelle e lei avrebbe sofferto le pene dell’inferno. Elvira si era avvicinata e teneva in mano delle garze, sorrideva e dette a Katia l’impressione che non vedesse l’ora di gustarsi la scena, e che lei Katia avrebbe preso presto il posto di Rosy.
“Sbrigati, bastarda!, sussurrò tra i denti, Leona,“Non vedi che l’Ispettore ci tiene? E fallo lentamente, hai capito?”
Anche l’Ispettore si era avvicinato con il bicchiere, pieno per metà tra le mani. Leona si rivolse a Bruto. “Tu, intanto dalle il membro da leccare così la piccola Rosy, che pare desiderarlo tanto, avrà il dolce, oltre che l’amaro.
“Con grande piacere, Leona!”, fu la risposta.
Rosy ebbe nuovamente la bocca piena del grosso cazzo di Bruto e l’uomo riprese ad usare quelle labbra per scopare. Lo fece con una violenza inaudita, mentre Leona si avvicinava con espressione eccitata e l’ispettore fissava la scena senza perdere il minimo movimento di Katia. Un po’ in disparte Elvira e l’altra guardiana si stavano spogliando. Le due erano eccitatissime. Katia, tremando, mise la mano nuovamente sulla maniglia e cominciò a tirare piano. Vide che Rosy si inarcava furiosamente e capì che le stava massacrando il ventre. Il sangue ne usciva a fiotti ormai, ma Elvira si era precipitata con le garze per asciugare il sangue man mano che fuoriusciva. Ma nonostante tutto Rosy non aveva smesso di succhiare il membro di Bruto. Katia impiegò qualche are la realtà che si stava verificando sotto i suoi occhi.
Rosy aveva imparato ad amare il dolore! Rosy godeva nonostante la sofferenza che lei le procurava!
Fu una scoperta che la sconvolse, che per un istante le diede la certezza d’impazzire. Poi di colpo qualcosa dentro di lei si ruppe e si trasformò. Invece di continuare ad estrarre il pene artificiale, l’oggetto immondo, cominciò a muoverlo su e giù come un vero cazzo. Cominciò a scopare Rosy con quell’attrezzo osceno e crudele ricavandone un piacere sempre più acuto, un eccitamento voluttuoso e perverso che non aveva mai provato prima. Immaginò addirittura di averlo lei nella fica, tra le natiche… Immaginò di scopare e di godere provando insieme un dolore lancinante, un dolore che la scavava, che la esaltava mescolandosi a un orgasmo furioso che le esplodeva sotto la pelle costringendola a gemere come una cagna. Qualcuno la spinse di lato e la scostò.
“Ehi, questa ci prende gusto!”, disse Leona. “Conviene che continui io prima che questa l’ammazzi!”.
“Si sbrighi…”, farfugliò l’ispettore. Era paonazzo e la mano che serrava il bicchiere di whisky gli tremava. Katia bruciava di passione. Doveva godere, doveva placare la sete di sesso che le ardeva dentro. Andò ad inginocchiarsi dietro a Bruto e cominciò a leccarlo tra le natiche. Si era aggrappata a quelle cosce muscolose e la sua lingua frullava veloce e rapida, picchiettando e leccando lo sfintere che si contraeva e pulsava sempre più velocemente. I movimenti di Bruto erano diventati più lenti, più maestosi.
“Sì, brava,,, così… Come mi lecca bene questa troia!”.
Rosy era al massimo della follia. Il clitoride le stava esplodendo come un fuoco d’artificio. La sua furia erotica era esaltata da quella sofferenza inaudita che le pulsava là, nel basso ventre. Aveva l’impressione di essere
squarciata, ma nello stesso tempo qualcuno che lei non poteva vedere, oltre che estrarle il fallo crudele, le accarezzava il clitoride enfiato. Tutto ciò, unito al membro di Bruto che le riempiva la bocca, le dava una felicità senza nome, la faceva godere, la faceva venire furiosamente, mescolando insieme due
sensazioni contrastanti, dolore e piacere, in modo completo, così da sublimarsi tra loro.
Rosy sentì la voce di Leona che diceva all’ispettore: “Spruzzatele il liquore che avete in bocca e poi andate a berlo proprio là e a leccarlo via dalla sua fica. La farete impazzire, prima per il bruciore e poi per il piacere che proverà. Ve lo assicuro!”.
E fu proprio nell’istante che Leona tolse completamente l’attrezzo dalla fessura di Rosy, ed Elvira la ripulì del sangue, che Bruto venne e riempì le labbra e la gola della ragazza con il proprio seme. Egli percepì la bocca di
Rosy attorno alla propria asta, popparlo e succhiarlo così da bere sino all’ultima stilla gli umori caldi che lui le stava donando. La ragazza era fuori di sé dal piacere che provava, la sua fica era libera e lei avvertiva un vago
sollievo che andava ad accrescere il godimento per la carezza al clitoride e per la conclusione felice del pompino che aveva appena portato a termine. Poi un bruciore furioso, intollerabile, bestiale, le esplose tra le cosce, tra le mucose intime massacrate. Ciò uccise il piacere appena provato e la riempì di una sofferenza inaudita.
L’ispettore dopo averle spruzzato una sorsata di whisky sulla fica, ora l’aveva afferrata per le cosce e si era chinato per leccare avidamente, mugolando, agitandosi eccitato. Il suo cazzo molliccio gli dondolava tra le
cosce. Si era tolto la giacca e la cravatta ed era rimasto in camicia, con la patta dei calzoni aperta, oltre cui il membro sporgeva semirigido.
Leona si rivolse allora alla terza ragazza, quella sorpresa a lesbicare:“Fagli un pompino, piccola troia!”, le ordinò afferrandola per il collare e costringendola ad infilare la testa tra le gambe spalancate dell’uomo. E mentre l’ispettore lambiva furiosamente e con gusto la fica di Rosy, l’altra ragazza prese a con una smorfia di disgusto a succhiarlo e a leccarlo. Era costretta a stare in ginocchio a cosce larghe, con la fica esposta, e Leona si divertiva a martoriarla nella fessura infilandole il lunghissimo tacco a spillo dello stivale di pelle lucidissima. Elvira e l’altra guardiana assistevano alla scena masturbandosi a vicenda e pizzicandosi i capezzoli con espressione eccitata.
Ora Rosy si scuoteva e si inarcava. “E’ bello… magnifico… Sto godendo, sto impazzendo… Uuuhhh! Ancora, di più, di più…”, farfugliava felice. Si era sollevata seduta sul letto e si martoriava da sola i seni, mentre dalle labbra le colava un filo di bava mescolato allo sperma di Bruto. Anche l’ispettore venne copiosamente nella bocca della lesbichina, e parve soddisfatto.

(continua)
 
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view post Posted on 3/11/2012, 02:52     +1   -1
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CAPITOLO 16

Katia, seduta sui calcagni un po’ in disparte, guardava l’uomo che l’aveva sverginata e che le aveva insegnato tutto quello. Una strana sensazione le palpitava nel ventre, e guardando Bruto provava un sentimento nuovo, un sentimento che non era né odio né amore, ma qualcosa di molto di più, qualcosa di esaltante che neppure Katia era in grado di comprendere. Una dipendenza, un’appartenenza.
“Bruto….”, chiamò piano.
Lui si girò, la guardò e sorridendo le si avvicinò. Aveva la mano chiusa a pugno. Lei protese le proprie braccia ed afferrò quella mano, portandosela alle labbra. Prese a leccarla e a baciarla. “Sono tua Bruto… Sono la tua cagna… Ti leccherò il culo ogni volta che vorrai… sarò io a lavarti con la lingua prima che tu faccia una doccia… Ti leccherò i piedi fra le dita, pulirò il tuo cazzo con la bocca ogni volta che piscerai…”.
Fece una pausa e guardò il sesso di Bruto che le sue parole stavano facendo ergere di nuovo, nonostante fosse appena venuto.
“Hai imparato bene la lezione, allora, piccola troia!”, sussurrò lui soddisfatto. L’afferrò per i capelli e le strofinò il cazzo contro le labbra.
“Fammelo diventare ancora duro!”, ordinò. “Poi, forse, ti farò scopare e ti farò godere, Katia…”.
Nella voce di Bruto c’era cattiveria, durezza, ma le sue dita le avevano elargito, per la prima volta, una carezza sulla nuca e l’avevano attirata verso il proprio sesso con un gesto che, al confronto di quelli che lo avevano preceduto, si poteva definire quasi delicato. Katia tornò a provare l’emozione di poco prima, la sensazione che non era riuscita a definire. E allora comprese. Era forse la stessa cosa che doveva provare un cane con il proprio padrone.
“Sono la tua cagna, la tua schiava!”, disse un attimo prima di prendere in bocca il grosso cazzo di Bruto, e provò la gioia di sentirselo gonfiare tra le labbra e scivolare in gola.
“Succhia, cagna! In premio ti farò scopare, sì, ti farò proprio scopare!”, disse Bruto sghignazzando eccitato, forse per mascherare una leggera emozione.

(continua)
 
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