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Racconti d'autore: L'ISTITUTO

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-triskell-
view post Posted on 31/7/2012, 14:37 by: -triskell-     +1   -1
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T.P.E.
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Anche questo è un racconto lungo, scritto da Frusta Gentile e pubblicato nel suo blog. Lo inserisco perciò a puntate, oggi le prime due.
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L'ISTITUTO

schiave


CAPITOLO 1

Katia scosse indietro i lunghi capelli biondi e lanciò uno sguardo all’alto muro grigio che si vedeva dietro il finestrino dell’autobus. Le sue dita si contrassero sulla piccola valigia che aveva accanto e sentì una fitta al cuore, come se l’avessero toccata due dita di ghiaccio. Era terribile. Quello non era il suo mondo.

Sua madre era andata su tutte le furie quando l’aveva sorpresa a letto con Gianni. Veramente non avevano ancora fatto nulla, anche se lei era ben lontana dall’idea di impedirlo. Come avrebbe voluto sentire il membro di lui nel suo piccolo sesso, sentirlo rompere le barriere e allargare le strette pareti, facendola godere.
“In fila per uno, scendere dall’autobus!”, sbraitò una voce severa.”Una volta fuori posate i vostri bagagli e aspettate le custodi”.
Katia allontanò ogni ricordo e vide che le altre ragazze si stavano alzando per scendere. Molte sembravano avere un’aria stanca e provata. Attese finché furono scese tutte, poi raccolse il suo bagaglio e seguì le altre nella fredda mattinata di novembre. Perché mai doveva trovarsi in un posto del genere solo per essersi scambiati qualche tenerezza? Katia non poteva crederci. Sua madre era stata irremovibile, aveva detto che la figlia era ormai irrecuperabile e aveva deciso di affidarla a un istituto di correzione. Era stato un incubo. E quel che era peggio, nessuno aveva speso una parola per difenderla, né i parenti stretti, né gli amici affezionati, nemmeno i vicini ipocriti.
“Per di qua!”, ordinò la guardia. Non c’era alcun calore in quella voce. Una donna dai capelli scuri, vestita con un severo abito in tweed, stava in piedi vicino alla scalinata d’ingresso con le braccia incrociate. Le guardiane marciavano nella sua direzione stando ai due lati del gruppo di ragazze.
“Andiamo, ragazze. La maggior parte di voi già conosce le regole del posto”, sibilò una delle custodi, lanciando un’occhiataccia a Katia. Lei abbassò il viso come se avesse ricevuto uno sputo.
“Quelle che ancora non le conoscono, seguano le compagne. Vietato parlare in fila!”, urlò colpendo con un grosso bastone la gamba sinistra di Katia. La ragazza emise un gemito di dolore, poi si morse il labbro superiore per impedirsi di piangere. Si rendeva conto che questo era solo l’inizio dell’incubo.
Le fecero marciare in fila serrata coi loro bagagli. Vi fu una lunga trafila di controlli, foto e documenti. Un paio di volte Katia colse lo sguardo di una delle guardie che la fissava in modo strano. Non sapeva bene come reagire, specialmente quando colse un sogghigno da parte di una delle ragazze che sembrava più incallita. Quindi le condussero alle docce, come Katia aveva temuto. Erano maltenute e c’era un orribile fetore.
“Spogliatevi! Gli abiti vi saranno riconsegnati insieme ai bagagli dopo che saranno stati ispezionati”. Katia cominciò a spogliarsi, terribilmente consapevole di tutta quella gente attorno a lei. Alcune ragazze avanzarono spavaldamente nella grande stanza piastrellata, coi seni che ballonzolavano e i cespugli del pube che sembravano emettere onde di elettricità. Un’altra ragazza dai capelli castani sembrava nervosa quanto Katia, mentre infilava i pollici nei pantaloni per farli scivolare. Katia le rivolse un sorriso mentre si sganciava il reggiseno mettendo a nudo il proprio petto. Piegò ordinatamente gli indumenti sulla valigia e si coprì il seno con le mani.
“Tu, qui!”, urlò l’orribile guardiana rivolta a Katia, indicandole un punto davanti a sé.
“Io?”, la sua voce era sottile ed incerta.
“Mi hai sentito. Svelta!”, ribatté la donna.
Katia si sentì osservata da tutte le altre ragazze. Non aveva scelta.
Arrossendo camminò a piedi nudi sul pavimento di piastrelle e si fermò davanti alla guardiana.
La donna era alta, quasi un metro e ottanta con gli stivali, l’uniforme modellava le curve piene del suo corpo. Era attraente, in un modo severo. Gli angoli della bocca piegati nello stesso orribile sogghigno che aveva giù fatto rabbrividire Katia.
“Girati, mani sui fianchi, e mostra bene il buco!”, ordinò la guardia.
“C-cosa?”, ribatté Katia stranita.
“Mi hai sentita! Voglio assicurarmi che non stai nascondendo qualcosa per farla entrare di contrabbando”. Diventando ancora più rossa di prima, Katia si girò e fece come aveva chiesto la guardiana. Poteva sentire le sue mani che le allargavano l’apertura anale. Un dito vi si infilò in profondità esplorandone l’interno, senza protezione e soprattutto senza lubrificante. Katia emise un sospiro accompagnato da una smorfia di dolore mentre i suoi capelli le ricadevano nascondendo il viso in fiamme. Quel dito! Era terribilmente a fondo dentro di lei. Era più di una carezza, ora, andava avanti e indietro con gusto, praticando un movimento come quello del coito. La ragazza cominciava a provare un certo piacere. Il suo clitoride cominciava a gonfiarsi e rispondere a quella stimolazione. Katia scosse la testa, le sue ginocchia cominciarono a tremare.
“Va bene, adesso girati! Mani sui fianchi e allarga le gambe”, fu l’ordine perentorio che la raggelò improvvisamente. Ancora riluttante la ragazza fece come le era stato ordinato. Il suo cespuglio era esposto allo sguardo della guardiana e a quello di tutte le altre ragazze. Con lo stesso sorriso crudele, la donna si piegò su di lei e posò entrambe le mani ai due lati della fessura vaginale. Anche Gianni aveva fatto così. L’aveva aperta in quel modo posando le dita sulle labbra rigonfie del sesso di Katia, mentre il suo cazzo ..., ma questo era successo un secolo prima, quando il mondo di Katia non era ancora stato stravolto del tutto.
“Sei vergine?”, fu la domanda brutale. “S-si”, fu la risposta.
La guardiana strinse gli occhi piegando la testa di lato, per scrutarla meglio.
“Già… lo sarai per poco”. La ragazza fece una smorfia quando sentì il dito della guardiana infilarsi nella fessura. L’altra custode intanto toccava il suo clitoride con una specie di carezza. Katia rabbrividì, facendo uno sforzo per rimanere immobile. Ma come poteva trattenere la sensazione delle sue cosce che tendevano a piegarsi in su e in giù assecondando quei movimenti? Il suo corpo era tutto un tremito sotto il tocco delle due donne. Katia contrasse le dita delle mani conficcandosi le unghie nella carne per resistere alla sofferenza di non mostrare piacere.
“E’ pulita. Alle docce”, disse finalmente la guardiana estraendo il dito di colpo.
Molte ragazze avevano già fatto la doccia e raccoglievano i loro vestiti.
Quando fu il turno di Katia di entrare nella cabina, fu sorpresa di vedere che tutte le altre avevano finito e se stavano andando. Voltandosi indietro vide che tutte e due le guardiane erano dietro di lei. Stava succedendo qualcosa. Se ne rese immediatamente conto e il suo cuore cominciò a battere forte.
“Dentro!”, e una delle guardie spinse Katia sotto la doccia.
Katia barcollò perdendo l’equilibrio. Si rimise in piedi e allontanò i capelli dal viso. Il pavimento bagnato la fece scivolare di nuovo e cadde appoggiandosi con le mani e le ginocchia. Sentì più di una mano che la prendeva per le spalle e la risollevava. “Oh, no, no!”, gridò.
L’avrebbero picchiata? Cosa le avrebbero fatto? Katia aveva sentito delle storie terribili di sevizie e violenze praticate nei riformatori. La più alta delle due guardie la fece girare e le abbassò con violenza le braccia, bloccandole con una mano. Era la stessa che l’aveva esaminata poco prima. Con l’altra mano si impadronì dei seni della ragazza e li strinse fino a strapparle gemiti di dolore. Era terribile! Katia tentò di divincolarsi e respingere quelle dita che sembravano d’acciaio, tentando di voltarsi dall’altra parte.
“Non devi mai voltare le spalle a una guardia, a meno che non te lo ordiniamo!, sibilò la donna.
La sua mano si sollevò prima di ricadere con un colpo secco sulla guancia sinistra di Katia. Nessuno l’aveva mai colpita con tanta violenza. La frustata di quelle dita le fece spuntare le lacrime agli occhi e la violenza del colpo la fece cadere un’altra volta al suolo.
“Per favore, no! Non ho fatto nulla di male. Lo giuro!”, piagnucolò la ragazzina.
Le guardie scoppiarono in una risata. Katia capì che non avrebbero avuto pietà. Indietreggiò strisciando tentando di nascondere le proprie intimità. La guardarono con bramosia come avrebbero fatto degli uomini. C’era una strana luce negli occhi di quelle due donne, qualcosa di perverso che Katia non aveva mai visto prima di allora. Continuò a indietreggiare sfregandosi la guancia dolorante. I suoi lunghi capelli le ricadevano in disordine sul bel viso terrorizzato.
“Su, Elvira, diamo una lezione a questa puttanella. La direttrice non ci farà caso. E’ occupata con le altre ragazze. Ora è tutta per noi”, disse con soddisfazione una delle guardiane.
“Con l’idrante?”, chiese Elvira. “Perché no? Chiamiamo anche Bruto”.
La più alta, Elvira, per prima cosa si girò e andò al telefono, borbottò qualcosa nel ricevitore, quindi riappese e ritornò verso un grande pannello, che aperto rivelò due pompe attaccate ad un idrante. “Ti daremo una bella lezione, piccola. Ti faremo ballare. Sono sicura che dopo non ci creerai più problemi. Non te ne dimenticherai facilmente”, disse a Katia.
La ragazza fissava terrorizzata prima una e poi l’altra donna. Vide una delle guardie sollevare il mento come a fare un segnale. Improvvisamente un getto di acqua la colpì al torace. Katia spalancò la bocca in un grido di sorpresa e i piedi scivolarono ancora di più sul pavimento. L’altro tubo dell’idrante pendeva al suolo inutilizzato. Per moltissimo tempo le due donne sommersero il corpo di Katia con getti di acqua bollente. La ragazza cercò di difendersi il viso con le mani lottando per rimettersi in piedi. Il suo corpo era quasi ustionato dall’acqua caldissima.
“Uh, basta, oh, pietà! Basta!”, implorò.
Cercò di fermare il getto con la mano e ricadde all’indietro andando a sbattere il capo contro la parete. Il pavimento era scivoloso come una lastra di ghiaccio sotto i suoi piedi nudi.
“Adesso si, che si sta muovendo. Mi piace vedere qualcuno che si dà da fare ai nostri ordini”, sogghignò Elvira.
L’altra donna rideva, impugnando l’idrante e dirigendolo contro il petto della ragazza. Katia piegò la testa all’indietro lasciando ricadere i lunghi capelli bagnati, era tutto quel che poteva fare per difendersi e impedirsi di cadere.
“Mio padre usava questo sistema per lavare i maiali”, disse la guardiana mentre lo faceva, ridendo di gusto.
Katia la guardò con rancore. Provava un sentimento di rabbia e di odio verso quelle due donne che si divertivano ad abusare del suo corpo e del suo orgoglio. Raccolse tutte le proprie energie per lanciarsi contro di loro. Ma un altro violento getto d’acqua la colpì all’improvviso. Dirigendo a terra l’idrante, Elvira colpì i fianchi di Katia. Il sollievo della pressione sul suo petto e l’improvviso attacco alla parte inferiore del corpo fecero perdere l’equilibrio alla ragazza che tentava di proteggersi con le mani davanti a sé. Con un grido Katia ricadde al suolo battendo la nuca sulle piastrelle.
La stanza le vorticò attorno per un attimo, il rumore dei getti d’acqua le parve lo scroscio di un torrente. Raccogliendo i sensi cercò disperatamente di rimettersi in piedi. Ma Elvira diresse prontamente il getto in mezzo alle sue gambe scompostamente aperte. Era la stessa sensazione delle dita ruvide che la frugavano tra le pieghe della sua carne intima. L’acqua batteva come un martello sul clitoride, colpendo con un getto bollente tutto il suo sesso e forzando le labbra della vagina ad aprirsi come le valve di un’ostrica. Katia si sentì sopraffatta, era come essere violentata in pubblico, pensò.
“No…no!”, provò ad urlare.
“Andiamo, tesoro, sappiamo che ti piace”, disse Elvira. “Ti stavi già scaldando quando ti toccavo, non è forse vero? E quando ti ho infilato le dita dentro…. mmmm”, insistette.
“Non è vero!, protestò Katia con le lacrime agli occhi.
“Bugiarda! Non vogliamo bugiarde qui. E’ contro il sistema. Tu sei una bugiarda e pagherai per questo!”, le urlò di rimando Elvira.
L’acqua batteva ancora sul clitoride della ragazza facendola annaspare sotto un’intensa sensazione erotica. Era troppo per lei e tentò di rigirarsi sul ventre per difendere il proprio sesso dall’idrante.
“E’ furba e tosta la ragazzina. Ci divertiremo con lei”, osservò Elvira rivolgendosi all’altra donna.
Katia sentiva i suoi capelli che si aggrovigliavano intorno alla gola togliendole il respiro, mentre l’acqua continuava a scottare il suo corpo.
Cercò di liberarsi dalla pressione, ma Elvira diresse nuovamente il getto tra le sue cosce seguendo i suoi movimenti e tenendola inchiodata al pavimento. Le due donne ridevano, una puntando il violento spruzzo sul suo petto e l’altra spostando continuamente il getto d’acqua per colpirla costantemente tra le cosce.
Katia era spaventata delle proprie reazioni. Ma come poteva resistere? Il contatto forzato dell’acqua sulle sue intimità era come una lingua che la avvolgeva e la penetrava contemporaneamente nell’ano e nella vagina. Ancora una volta ripensò all’ispezione che aveva dovuto subire.
“Pensi che sia pronta? Bruto dovrebbe essere qui tra poco”, disse Elvira dando un’occhiata all’orologio. Katia fece un altro sforzo per muovere il proprio corpo sul pavimento freddo e scivoloso. Non osava tentare di alzarsi. La forza del getto l’avrebbe sicuramente ributtata a terra. Stava imparando in fretta.
Quelle due donne l’avrebbero sicuramente uccisa e così, continuando a strisciare sul pavimento tentò di raggiungere la parete e aggrapparvisi con le unghie per riuscire a rimettersi in piedi. Pensava che se solo fosse riuscita ad alzarsi avrebbe avuto qualche possibilità di difendersi. Ma Elvira voleva essere sicura che la ragazza restasse a terra. Dirigendo l’idrante contro di lei la colpì con ancora più precisione su tutte le parti del corpo. Katia cercò di difendere il viso e il seno ma per lei non c’era alcuna possibilità di scampo. Si lasciò ricadere al suolo, vinta e abbandonata, con tutti i muscoli che si contraevano spasmodicamente.
“Nooooooooooo!”, urlò disperata.
Quando il getto la colpì nuovamente ai fianchi, Katia nascose il viso tra le braccia. Quelle donne! La stavano torturando per il gusto di vederla soffrire.
L’acqua ora le colpiva i seni e i suoi capezzoli si arrendevano alla potenza del getto. Sentiva che le punte si rizzavano nella stessa sensazione che aveva provato con Gianni. Ancora una volta strinse i denti e contrasse i muscoli per controllare quelle strane sensazioni.
“Guarda! La piccola bugiarda è in calore”, disse Elvira alla compagna, muovendo l’idrante dai seni alla vulva della ragazzina, e viceversa.
“Non mi sembra che si comporti come una verginella”, osservò l’altra donna.
“Lo è davvero. Ha ancora la sua ciliegina. Per il momento almeno….”, ribatté Elvira.
“Uhhhhhhhh!”, urlò Katia, provando un intenso orgasmo e venendo senza potersi più controllare, portando le mani al viso per nascondere la vergogna.
Era terribile essere così esposta e sentirsi gemere come una cagna davanti a quelle due sadiche. Giacque sul dorso piangendo e singhiozzando, mentre Elvira continuava a colpire i seni e la figa con l’idrante. La forza incredibile di quel getto le faceva sollevare e ricadere i fianchi. Gridò ancora in un misto di dolore, vergogna, rabbia e piacere. Le sue ginocchia si aprivano e richiudevano continuamente. Portando le mani tra le cosce cercò di arrestare quella sensazione pazzesca di calore che sentiva sulla fessura.
“La troietta non può fermarsi. Vuole scopare. Vuole un uomo, ma si accontenta anche di questo, in mancanza di meglio”, disse l’altra donna.
“Aspetta che arrivi Bruto. Le darà lui una lezione”, disse Elvira.
Katia avrebbe voluto gridare in faccia a quelle due donne quanto le facevano schifo con quelle orribili bocche e le loro marce perversioni. Ma ogni volta che tentava di aprire la bocca per parlare, un nuovo violento spasmo la assaliva al basso ventre, togliendole il respiro.

CAPITOLO 2

schiave



Katia sentiva l’acqua colpirla intorno al sesso, poi risalire ancora verso i seni. Elvira voleva prolungare la sua sofferenza trattenendola sull’orgasmo. La ragazza sentiva i propri capezzoli sempre più sensibili sotto il getto bollente. Di nuovo le tornò in mente l’immagine di una bocca, di una lingua che la percorreva lungo tutto il corpo.
“Lo vuoi dentro di te, vero, piccola troia?!”, sentenziò la guardiana.
Katia non voleva darle la soddisfazione di una risposta. Ma sapeva che le due donne avevano capito, il suo corpo parlava per lei. Non poteva nascondere le proprie sensazioni. Si contorceva sul pavimento con gli spasmi al basso ventre, piangendo di rabbia e frustrazione, mentre Elvira dirigeva l’idrante fra le sue cosce divaricate. Ma ora solo qualche goccia di rimbalzo ricadeva sul clitoride. Katia si rigirò con una forza selvaggia, puntando i piedi contro le natiche e slanciandosi verso il getto d’acqua in modo che la centrasse meglio, ormai schiava di quel vizio. Scuoteva violentemente il capo da un lato all’altro come una forsennata, e più di una volta si portò le mani in mezzo alle cosce per allargare le labbra della fica. Voleva sentirsi invasa da quel getto, sentire finalmente il brivido dell’orgasmo dentro di sé. Era una sensazione puramente animale. Le due guardiane avevano risvegliato e stimolato ogni parte sessuale del suo corpo. Katia non aveva mai avvertito un bisogno animale così intenso e una tensione così violenta in mezzo alle cosce. Tutto il suo corpo bramava l’ultima spinta, quella definitiva che l’avrebbe resa donna e le avrebbe fatto raggiungere il colmo dell’orgasmo più intenso. Si rotolò ancora sui fianchi in un estremo bisogno di quella esplosione sessuale. Ma Elvira sadicamente distolse il getto dell’acqua dalla ragazza.
“No! Oh, no, cosa..cosa mi state facendo? Perché… oh no. No!”, balbettò Katia, sicura che sarebbe impazzita se non riusciva al più presto ad ottenere il sollievo di cui aveva bisogno. Si umiliò pregando le due donne di liberarla da quella sofferenza. In fondo erano donne anche loro. Potevano capire meglio di qualunque altro cosa avevano scatenato e di cosa avesse bisogno.
Improvvisamente percepì un movimento al di là della fitta cortina di pioggia che le impediva la vista. C’era qualcun altro insieme alle donne. Doveva aver impugnato il secondo idrante, perché fu investita da un getto di acqua, stavolta gelida, che le colpiva la fica. Provò un dolore improvviso e intenso come se qualcuno l’avesse pugnalata. Emise un grido disperato mentre contemporaneamente il getto d’acqua calda le arrivava invece sul viso. Sentì la sua fessura serrarsi e le pareti vaginali contrarsi dolorosamente.
L’acqua gelata la colpiva con violenza ancora maggiore di quella calda.
Katia era stupita dall’acutezza delle proprie sensazioni. Quando all’improvviso il getto gelido le colpì invece il petto, si sentì mancare il respiro e ansimò cercando a fatica di tirare il fiato. Portò le mani alla gola distogliendo il viso dal getto, mentre i suoi fianchi si dibattevano ancora sul pavimento. Con un altro grido ricadde sul fianco sinistro, strisciando verso la parete di fondo. Quanto tempo ancora avrebbe dovuto sopportare quell’incubo, prima di perdere i sensi?
“Mi sembra pronta, adesso!”, disse una voce cavernosa sconosciuta. La voce di un uomo! Era certamente un uomo quello che le stava di fronte, al di là della nebbia, e fissava il suo corpo nudo arrossato e striato dalla violenza dei getti, che strisciava sulle piastrelle. Katia udì una risata più forte delle altre, ma ormai non le importava più nulla. Ora desiderava solo che quel terribile getto d’acqua si fermasse.
Totalmente fuori di sé, Katia cercò di gridare. Ma la violenza dell’acqua e gli spasmi che le scuotevano il corpo, glielo impedivano. Strisciò sul pavimento graffiandolo con le unghie mentre sentiva il mondo intorno a lei andare in frantumi. Sentiva che la propria mente stava cedendo e non riusciva a mantenere il controllo sul corpo.
“Ohhhhhhhhhhhh!”, ansimò sopraffatta.
Il rumore dell’acqua copriva le voci e le risate che venivano da dietro la fitta cortina bianca. Katia soffocava i propri singhiozzi, faticando a respirare. La stanza sembrò oscurarsi di colpo. Stava per perdere finalmente i sensi? In un certo senso sperava di svenire. Così non avrebbe più visto i suoi aguzzini che la fissavano aspettando di vederla cedere e abbandonarsi alle quelle sensazioni bestiali. Puntò nuovamente le dita sul pavimento cercando di sottrarsi alla tortura. Sentiva i capezzoli irrigiditi dal freddo e la tensione le faceva dolere i seni. Raggiunse finalmente la parete cercando di aggrapparvisi con le unghie. Il suo corpo nudo si avvinghiò a quel muro, il capo rovesciato sotto l’impeto dell’orgasmo che di nuovo stava salendo. L’acqua la colpì alla schiena come una frustata. Le braccia di Katia cedettero e la ragazza ricadde sul pavimento. La parete bianca di fronte a lei si oscurò come se tutto il mondo le crollasse addosso, mentre veniva come mai le era successo nella sua breve vita.
Finalmente l’acqua si fermò. Katia singhiozzava, raccolta sul pavimento con le ginocchia al petto, in posizione fetale. Udì il rumore di due pesanti stivali che si avvicinavano. Sapeva che avrebbe dovuto alzarsi e fuggire, o almeno tentare di chiedere aiuto. Forse in quell’inferno c’era ancora una persona sana di mente che avrebbe risposto alle sue invocazioni.
Sentiva ancora il proprio sesso scosso da spasmi, la pelle del corpo tutta raggrinzita. Era una sensazione piacevole, deliziosa. Avrebbe voluto restare lì per delle ore a godere il piacere dell’orgasmo in tutto il corpo. Ma Bruto aveva altri progetti. Katia sentì qualcosa di freddo contro la coscia sinistra.
Lo stivale. L’uomo stava facendo scorrere la punta dello stivale sul suo corpo, nel tentativo di rigirarla. Lei emise un gemito stringendo ancora di più le ginocchia. Lui alzò il piede premendole lo stivale sul viso. Per un attimo la ragazza pensò che l’avrebbe frantumata come un uovo. Ansimando, Katia sentiva la pressione dello stivale sulla guancia che le schiacciava le ossa e le premeva il capo contro il pavimento. Era quasi svenuta.
“Ti insegneremo a galoppare come tutte le altre, qui dentro”, disse l’uomo dandole un calcio.
Katia riprese i sensi mentre un altro calcio le arrivava sul sesso. Si sollevò sulle mani e sulle ginocchia in un equilibrio ancora instabile.
“Mettete via gli idranti. Me ne occuperò io in privato”, disse Bruto rivolto alle due donne.
Le guardie si scambiarono qualche battuta ridacchiando e obbedirono all’ordine dell’uomo.
Katia giaceva ancora in un angolo rannicchiata con le ginocchia al petto. Sentiva i capelli bagnati che le ricadevano sul collo e sulla schiena in un groviglio di nodi. Desiderava un asciugamano. Desiderava avere con sé la valigia che aveva preparato con tanta cura per poter indossare qualcosa di decente. Invece si trovava lì nuda, come un animale braccato, tutta dolorante e bagnata, esposta agli sguardi lascivi di quei porci. Elvira e la sua compagna avevano riposto gli idranti ed erano sparite dietro una porta dopo aver dato un’ultima occhiata alla ragazza.
“Adesso farai quello che ti dico io e andrà tutto bene. Non sono un tipo gentile come quelle due”.
Katia a quel punto avrebbe voluto richiamare indietro le due donne. Ma era chiaro che Bruto era il capo. Facendo schioccare le dita fece cenno alla ragazza di seguirlo. Lei tentò di alzarsi in piedi. Lui scosse la testa.
“No! Voglio che strisci. Vieni qui, piccola cagna. A proposito, come ti chiami?”.
“Katia”, sussurrò la ragazza tremante di paura.
“Bene, da ora sarai Cagna Katia”, sorrise l’uomo passandosi la lingua sul labbro inferiore.
Era un uomo attraente, pensò Katia, sollevandosi sulle mani e le ginocchia. Si sentiva ridicola e piena di vergogna. Ma il suo aspetto maschio era controbilanciato dall’odio e dal sadismo che gli si leggeva sul viso. Katia non era abituata a gente del genere, ma stava cominciando a imparare.
Lui schioccò ancora le dita sibilandole, “Vieni, Cagna Katia. Vieni avanti a quattro zampe”.
Con una mano davanti all’altra e le ginocchia che si trascinavano a fatica sul pavimento, Katia attraversò la stanza. Da qualche parte nella costruzione sentì la porta metallica di una cella che si chiudeva. Intorno a lei sgocciolavano i sifoni delle docce maltenute. Tutto sembrava irreale, le sembrava di muoversi dentro un film dell’orrore. Si fermò a qualche passo da Bruto, notando la protuberanza che pulsava nei suoi pantaloni. Dalla sua limitata esperienza con Gianni, sapeva cosa aspettarsi da quell’uomo. L’avrebbe violentata brutalmente in quel posto squallido e sudicio, e non ci sarebbe stato nessuno ad aiutarla.
Il suo sogno di una romantica prima volta si spezzo in centinai di pezzi cadendo rovinosamente nella realtà.
“Elvira dice che sei ancora vergine. Può darsi”, disse Bruto con le mani sui fianchi, “ma questo non significa che la tua bocca sia così pura”.
“C-cosa?”, disse Katia stupita. Bruto si chinò prendendole il viso tra le due mani. Lei sentì le unghie dell’uomo entrarle nella carne.
“Succhiare, fare un pompino. Ecco cosa intendo!”.
“No!”, gridò Katia.
Tentò di ribellarsi dalla stretta ma le sue ginocchia scivolarono sul pavimento. Bruto le tirò un calcio. La ragazza emise un grido e ricadde col viso sulle piastrelle. Ora sentiva le mani dell’uomo che la risollevavano, le giravano la testa e la premevano contro i suoi pantaloni. Sentì l’odore acuto della stoffa mal lavata misto a quelle del sesso che c’era sotto.
“No! Non fatemi questo!”.
Bruto la spinse indietro, se levò il copricapo da guardiano e lo appese a un chiodo. Si passò una mano tra i capelli neri e cominciò a sbottonarsi i pantaloni. Katia lo fissava mentre si toglieva la cintura e si apriva la patta.
Non indossava gli slip. Katia intravide un sesso scuro che premeva contro l’apertura. Poi lui si accostò nuovamente alla ragazza, col cazzo rigido e duro del tutto fuori dai pantaloni. La afferrò, mentre cercava di svincolarsi, ma lui la teneva saldamente per la testa. Katia sentì quel cazzo mostruoso che la colpiva in pieno viso, premendo la punta arrossata sui suoi occhi, mentre i testicoli le schiacciavano la guancia.
“Prova a farmi qualche scherzo, come mordermi, e sei finita. Intesi?”, le intimò.
Katia non ebbe nemmeno la possibilità di rispondere. Bruto la spinse indietro piantandole davanti il grosso membro per fissare con gusto sadico il viso pieno di terrore e repulsione della verginella.
Lei vide che misurava più di venti centimetri. E lui davvero voleva ficcarle in bocca quell’arnese mostruoso? Non ce l’avrebbe mai fatta. Contrasse i muscoli del viso mentre sentiva le dita dell’uomo che le forzavano la mascella.
Fu costretta ad aprire la bocca, il dolore era troppo intenso. Singhiozzando, dischiuse le labbra e serrò gli occhi, mentre le lacrime le scendevano sul viso.
“Ummmmmmmmffffffff!”, grugnì lei.
Senza tanti preliminari Bruto spinse brutalmente il cazzo nella bocca della ragazza e rise sentendola tossire, soffocata da quella violenta invasione. La grossa verga scivolò sulla sua lingua. Katia sentiva la tensione dei muscoli del collo mentre cercava disperatamente di distogliere il capo. Ma Bruto era molto più forte e la teneva ferma per la nuca ficcandole il membro sempre più a fondo. Lei lo sentiva sospirare mentre le affondava le unghie nella carne.
“Oh, si, piccola, dammi la tua bocca. Muovi la lingua. Pompa, piccola troia!
Quando ti dico succhia, succhia! E fammi sentire la lingua!”, grugni Bruto colpendola con uno schiaffo al viso, che la fece rintronare e dare uno scossone al cazzo che aveva in bocca. Katia si scostò i capelli dagli occhi, ancora sotto shock per quello che era costretta a fare: succhiare il cazzo di un uomo, uno sconosciuto, senza amore o piacere, solo violenza. Lei che ne aveva a malapena intravisto uno, prima che sua madre irrompesse nella stanza e la trovasse a letto con Gianni. E adesso era in ginocchio e costretta ad averne uno in bocca. Riusciva a stento a tenerlo tra le labbra. Aveva uno strano sapore, un po’ salato e selvatico. Inghiottì la saliva e chiuse gli occhi domandandosi quando quella umiliazione sarebbe finita.
“Dentro e fuori, piccola. E’ così che si scopa con la bocca. Ehi, è favoloso vederti fare il primo pompino”, grugnì Bruto, “anche se non sei brava, mi eccita farmi succhiare da una bocca vergine”.
La voce dell’uomo ora aveva un tono più basso e più grave, mentre le sue dita premevano a forza sulla nuca della ragazza. Il cazzo era nella bocca di Katia per più di metà della sua lunghezza. Lo spinse ancora più a fondo allargandole al massimo le labbra. Ora lei poteva sentire che le riempiva le guance e le toccava le tonsille, in fondo alla gola. Era sempre più difficile inghiottire la saliva che le riempiva la bocca, anzi impossibile, e la bava le scendeva dagli angoli, oltre che impedirle di respirare. Katia cercò di fermare i movimenti della testa e quel terribile andirivieni a cui la costringeva l’uomo.
Le ginocchia nude sulle piastrelle le dolevano, in quella posizione, ma il grosso guardiano era deciso ad ottenere quello che voleva ad ogni costo. Ma non era solo questo ciò che voleva.
“Oh, si, adesso basta. Fermati o mi scaricherò nella tua bocca in questo stesso istante”.
Katia tirò un sospiro di sollievo e si affrettò a inghiottire e liberarsi di tutta la saliva accumulata, appena si sentì liberata dal grosso membro. Era finita anche questa prova. Si sentiva sollevata ma allo stesso tempo dispiaciuta e strana. Malgrado la vergogna che provava, cominciava anche a sentire una strana sensazione di calore al basso ventre. Non travolgente e impetuosa come prima, durante l’orgasmo, ma sottile, di testa, causata dall’umiliazione e da un atto sessuale con un uomo, seppur forzato. Si scoprì eccitata e in fondo un po’ delusa della brusca interruzione. Pazienza, ma almeno non si ritrovò morta soffocata in un mare di sborra.
“In piedi!, le ordinò Bruto, senza ammettere repliche o indugi. La sollevò dal pavimento prendendola per il collo.
“Andiamo fuori di qui. Non intendo sprecare il succo del mio uccello nella tua bocca, quando ho un posto migliore per metterlo, disse.
Ancora una volta la ragazza cercò di liberarsi dalla sua stretta. Ma l’uomo l’afferrò per i capelli tirandola verso di sé. Katia sentì un dolore acuto. Gridò lottando contro quelle mani che le strappavano il cuoio capelluto mentre lacrime di dolore le scendevano sul viso. Lanciò un grido ancora più forte quando Bruto la trascinò sul pavimento, sempre tirandola per la medesima presa.
La stava portando fuori dalla stanza delle docce, attraverso lo squallido corridoio con una fila di lavandini sudici e vecchi specchi rigati. Bruto diede un ulteriore strattone ai suoi capelli, poi ce la trascinò tirandosela dietro come un animale catturato. Katia non poteva vedere dove la stava portando. Udì il tintinnio di un mazzo di chiavi, ma Bruto la teneva ancora per i capelli e non poteva vedere dove si trovassero.
“Dentro!”, disse l’uomo spingendola attraverso l’uscio con un calcio.
Katia si ritrovò in una stanzetta illuminata solo da una squallida lampadina che pendeva dal soffitto. I suoi piedi urtarono qualcosa di metallico. Doveva essere un piccolo soggiorno usato dai guardiani negli intervalli di lavoro.
Bruto, con i pantaloni ancora aperti, la spinse verso il materasso di una brandina, contro il muro.
“Stenditi sulla pancia!”, le ordinò.
Katia aveva imparato a ubbidire e non chiedere nulla. Fece come le aveva ordinato, tremando di terrore e di ansia. Portando lentamente una mano alla bocca si ripulì le labbra e le guance dalla sua stessa saliva intrisa del forte sapore di cazzo dell’uomo. La stoffa ruvida del materasso le pungeva i seni e la pancia. Quando sentì la rete sobbalzare sotto di lei, capì che Bruto le stava sopra.
“Adesso ci divertiamo per davvero!”, disse sghignazzando, già con la bava alla bocca.
Katia sentiva il suo respiro pesante e il fruscio dei pantaloni che gli scivolavano lungo i fianchi.
“Tira un po’ più su quel buco, come si conviene a una troia che vuol farsi infilzare”, fu l’ordine perentorio. “Sono sicuro che non aspetti altro”.
Katia arrossì, avrebbe voluto scoppiare a piangere. Quell’uomo le diceva tutte quelle cose orribili, e non c’era niente di vero. Lentamente sollevò le ginocchia e il culo. L’umida fessura era completamente esposta, ora. Sapeva che la stava guardando e che l’aveva vista poco contorcersi sul pavimento del bagno con le cosce spalancate. Come poteva pensare che non la considerasse una troia?
Nella tensione dell’attesa, udì un rumore. L’uomo stava estraendo qualcosa dalla tasca dei pantaloni. Si voltò giusto in tempo per veder balenare la lama di un coltello.
“No!”, urlò con tutte le sue forze. “Farò tutto quello che vuole. Ma non mi uccida!”.
Ma un colpo alla nuca la zittì riducendola ancora una volta in completa balia dell’uomo.


(continua)

Edited by BDSMLover - 4/5/2019, 13:28
 
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