Legami di Seta - Forum Italiano BDSM & Fetish

Racconti d'autore: L'ISTITUTO

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-triskell-
view post Posted on 21/9/2012, 22:24 by: -triskell-     +1   -1
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T.P.E.
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CAPITOLO 6

“Si è comportata bene?”, chiese la dottoressa Storti.
Bruto si strinse nelle spalle, guardando la ragazza con un sogghigno.
“Abbastanza, signora. Penso che abbia delle grandi potenzialità”, rispose lui.
“Se verrà affidata alla vostra guida personale, vero?”. La direttrice si toccò lo chignon sulla nuca, poi girò intorno al tavolo appoggiandosi pesantemente al bordo. Da quando l’aveva fatta entrare, osservava attentamente la ragazza per valutarla. Ma questa teneva sempre gli occhi a terra. Allungò quindi una mano e prese fra le dita il mento di Katia per sollevarle il viso.
“Molto carina. Sì, capisco perché sia voi che Elvira e la sua amica vogliate...ehm … occuparvi della sua educazione. Katia? Katia Lopresti, suppongo. Elvira mi ha portato il vostro fascicolo, dopo quel piccolo incidente. E’ curioso”, disse piegando le labbra sottili in un sorriso, “vostra madre sembra convinta che siate una specie di pervertita sessuale”.
“Lo è davvero, signora. Quando la scopavo, non voleva lasciare andare il mio uccello, e…”
“Risparmiatemi i dettagli, Bruto. So come vanno queste cose. Così..”, continuò con una voce più dolce, rivolta alla ragazza, “..sembra che vostra madre avesse ragione, benché sia stato un errore mandarvi qui per una correzione. Comunque, adesso che ci siete, dovete adeguarvi alle nostre regole”.
“Come…come potete fare questo?”, balbettò Katia. “Non potrà andare avanti per sempre. Vi prego, lasciatemi andare. Io non ho fatto niente di male”, fu la supplica della ragazza.
“Per rispondere alla vostra domanda”, disse in tono gelido la dottoressa Storti, in vena di spiegazioni, “questo fa parte del mio lavoro. Sono riuscita a radunare intorno a me alcuni amici fidati. Quello che avete sperimentato oggi non capita a tutte le ragazze. Voi siete un caso speciale e quindi sarete scelta per un trattamento particolare. Per quanto riguarda la seconda domanda, resterete qui per tutto il periodo deciso da vostra madre. E’ tutto. Portatela in cella, Bruto, poi ne discuteremo.
La dottoressa Storti tornò a sedersi dietro la scrivania e prese ad occuparsi di altri incartamenti.
Bruto prese Katia per un braccio e la spinse fuori dalla stanza.
Nell’anticamera la ragazza raccolse il suo bagaglio e quindi si avviò per il lungo corridoio, quasi rincorrendo il passo spedito del suo carceriere.
Raggiunsero l’atrio principale e ancora una volta Katia poté vedere le altre ragazze. Alcune alzarono il viso e la guardarono. Altre camminavano con gli occhi bassi scortate dalle guardiane. Katia provò un moto di rabbia quando vide Elvira che accompagnava un’altra ragazza, tutta tremante e ad occhi a terra, nell’ufficio della direttrice.
Una volta nella sua stanzetta, Katia dovette indossare la divisa grigia del riformatorio. Sedeva nella piccola cella fissando la parete. Si sentiva molto infelice e avrebbe voluto qualcuno con cui parlare.
Così passarono i giorni. All’ora di pranzo veniva prelevata e accompagnata nella sala comune, ma subito veniva ricondotta in cella. La porta era sempre chiusa a chiave, l’orribile suono metallico della serratura le risuonava dentro le ossa.
Il terzo giorno, mentre Katia giaceva fissando il soffitto, udì dei passi che si avvicinavano alla sua cella. Si alzò di scatto, sperando che quello fosse il giorno tanto atteso in cui sarebbe stata reintegrata nella comunità. Quando la porta si aprì, il suo cuore ebbe un sobbalzo. Elvira e l’altra donna comparvero sulla soglia come due inviate dal demonio. Katia si ritrasse sulla sua brandina, raccogliendo le ginocchia al petto, in atteggiamento di difesa.
“Andiamo, Katia. Non essere incorreggibile. Non vorrai sperimentare i nostri trattamenti per le ragazze difficili…”, disse Elvira, afferrandola brutalmente per un braccio e trascinandola giù dalla branda. Katia cercò di divincolarsi, ma abbandonò ogni resistenza appena l’altra donna la colpì violentemente con un ceffone in pieno viso.
“Forse ha bisogno di Bruto per calmarsi un po’!”, suggerì Elvira, spingendola fuori dalla porta. “La direttrice ha ragione. Ha bisogno di un paio di lezioni ancora”.
La spinsero lungo il corridoio. Katia teneva gli occhi a terra, lasciandosi trascinare in silenzio finché raggiunsero una piccola porta all’estremità delle lunghe scale che portavano giù, nello scantinato. Elvira frugò nella tasca per cercare la chiave. “Entra!”, fu l’ordine perentorio.
Katia fu spinta dentro e portò istintivamente le mani davanti. Era buio, tremendamente buio, l’unica luce arrivava dall’esterno. C’era un intenso odore di umidità che le fece arricciare il naso. Si guardò intorno strizzando gli occhi. Quando Elvira accese l’interruttore, Katia boccheggiò. Strumenti di ogni tipo erano appesi alle pareti. Voltandosi, con la voglia di scappare, vide che chiudevano la porta.
“Togliti i vestiti. Il tuo amante sta per arrivare e vuole trovarti già pronta”, disse Elvira con una smorfia beffarda.
Era facile sfilarsi la divisa. Forse era stata studiata apposta, così avrebbero potuto violentarla, picchiarla, fare di lei quello che volevano, senza perdere troppo tempo a denudarla.
“Brava! Vieni qui sotto il palo”, le ordinarono.
Katia vide un palo di legno largo un paio di metri che pendeva orizzontalmente dal soffitto, attaccato a una puleggia. Evidentemente si poteva alzare e abbassare a volontà. Lentamente Katia si mosse verso il punto indicato da Elvira.
“Adesso ti prepariamo per il tuo innamorato. Sarà contento del nostro lavoro”, aggiunse una delle due ammiccando alla compagna. "La direttrice ci ha informate che tu sei un caso speciale. L’avevamo capito fin dal primo giorno”, disse Elvira facendo cenno a Katia di alzare le braccia. Lei fece come le avevano ordinato, lasciandosi scappare una breve risata isterica. Si sentiva strana in quell’assurda, orribile situazione. Elvira era salita in piedi su di una sedia e stava legando i polsi della ragazza alle estremità del palo con due cinghie di cuoio. Strinse i legacci con forza fino a strapparle un grido di dolore. Ora le sue braccia erano aperte, come in croce. Katia sentì una fitta all’articolazione delle spalle e mosse la testa per cercare di allentare la tensione.
“Apri quelle gambe!. Sappiamo già che sei brava a farlo”, disse Elvira.
Katia arrossì di vergogna. Sembrava che tutti fossero al corrente di quello che era successo. Poteva facilmente immaginarsi Bruto che raccontava in tutti i dettagli cosa le aveva fatto e come lei aveva reagito alle violenze, col suo corpo che silenziosamente ne implorava ancora di più. A questo pensiero si sentì ammantare di vergogna. Se avesse potuto, sarebbe scappata all’inferno in quel preciso istante.
Le stavano stringendo ancora di più i legami ai polsi, poi la costrinsero ad aprire le gambe. Katia abbassò lo sguardo e vide due anelli di ferro inchiodati al pavimento, ognuno con una corta catena. Le catene terminavano con delle larghe strisce di cuoio a cui le due guardiane fissarono le caviglie della ragazza, legandole strette.
“Ahi, mi fa male! Sono troppo strette. Non potete allentarle un po’? Per favore!”.
Elvira si voltò di colpo e schiaffeggiò Katia duramente. “Per lasciarti scappare? Non hai alcuna possibilità. Sono strette e così rimarranno finché non avremo finito”.
Elvira controllò i legami, poi mosse l’argano. Quell’orribile strumento doveva essere stato costruito molto tempo prima, pensò Katia, ma funzionava ancora fin troppo bene.
“Oh, no, no. Basta!”, urlava la povera vittima mentre sentiva tutte le membra in tensione.
Elvira non diceva nulla, continuava a girare la manovella che faceva sollevare il palo sempre più in alto. Katia scosse la testa da un lato all’altro con gli occhi spalancati dal dolore. Sentiva i muscoli delle braccia che le pulsavano e i tendini che si stiravano dolorosamente, mentre il cuoio dei legacci le tagliava la carne. Le catene cigolarono quando Elvira diede un ulteriore strattone alla fune. Il respiro di Katia si fece faticoso, il petto si sollevava e si abbassava facendole sobbalzare i seni, mentre le punte dei capezzoli si irrigidivano per conto loro.
“Basta, basta!”, implorava, mentre le sue grida si tramutarono in singhiozzi.
Un altro giro di argano. I lacci alle caviglie la stringevano sempre di più.
Katia emise un altro lamento sentendo il cuoio tagliarle la pelle. Quando finalmente Elvira smise di tirare e bloccò l’argano, la ragazza pendeva nuda dal soffitto in posizione a X. Braccia e gambe erano divaricate. Appesa per i polsi e agganciata per le caviglie, Katia era ridotta alla completa impotenza.
“Adesso non potrà muoversi molto, qualsiasi cosa le faccia Bruto”, sghignazzò l’altra carceriera. Elvira si accostò alla ragazza e le fece scorrere un dito lungo tutto il corpo, soffermandosi qua e là, soprattutto quando l’accarezzò fra le gambe. Katia sentì la pelle delle cosce che si raggrinziva nell’istante in cui le dita di Elvira penetravano nella sua fessura.
“E’ proprio calda. Bene. E’ già bagnata e ancora non le abbiamo fatto nulla!”.
Nulla! Cos’era secondo loro quella tortura, l’umiliazione e la sofferenza di essere appesa al soffitto? Katia fissava con occhi increduli quelle due donne sotto di lei stupendosi ancora del loro sadismo. Ci fu qualche minuto di silenzio. Poi Katia esplose in un altro singhiozzo e implorò piangendo a dirotto le due donne di lasciarla tornare nella sua cella.
“Sto cominciando ad averne abbastanza di questa lagna. Diamole una lezione. La dottoressa Storti ci ha dato il permesso”, disse l’altra carceriera, indicando col capo una piccola scatola grigia in un angolo della stanza. Elvira annuì col capo e si diresse verso un grande scaffale di legno accanto alla porta. Katia la osservò in silenzio e rabbrividì quando la vide tornare con uno strumento che sembrava un bavaglio. Una grossa palla di gomma era trattenuta ai due lati da spesse strisce di cuoio che terminavano con una fibbia. Salendo in piedi sulla sedia e torcendole il naso, la guardiana obbligò la ragazza ad aprire la bocca. Poi le infilò la palla tra le mascelle ficcandogliela quasi in gola e rigirandola finché non arrivò a toccarle i molari. Katia scosse la testa in un disperato tentativo di sottrarsi alle dita della donna. Elvira ignorò la sua resistenza e le fissò la cinghia attorno al capo, allacciandola alla nuca.
Katia non poté più inghiottire, sentendosi soffocare dal sapore disgustoso che la gomma le lasciava in bocca. Inoltre non poteva emettere alcun suono ed era difficilissimo respirare. Osservò le due donne che si dirigevano verso uno scatolone metallico. Con terrore si rese conto che si trattava di un generatore di corrente e sentì il proprio cuore battere all’impazzata. Volevano torturarla con la corrente elettrica! Ne era sicura. Le avrebbero scaricato la corrente in tutto il corpo e sarebbero state a guardare la sua agonia.
Katia si dibatté furiosamente, l’idea di quella tortura la faceva impazzire.
Era sempre stata terrorizzata dall’elettricità da quando da bambina si ustionò un dito infilandolo in una presa. Agitò le catene tirando e divincolandosi più che poteva mentre i lunghi capelli biondi le sferzavano il petto. Ma non poteva fare niente. Più si dibatteva, più peggiorava la situazione, più aumentava il dolore. Il respiro affannoso e disperato faceva stringere ancora di più i nodi dentro la carne. Il collo e le spalle le dolevano per la terribile tensione a cui erano sottoposti.
Katia affondò i denti nel bavaglio di gomma, e si ritrovò costretta ad osservare le due donne che dipanavano una matassa di fili attaccati alla macchina. Alcuni di questi terminavano con delle ventose, altri con pinze.
Elvira sollevò uno dei fili tendendo la pinza davanti agli occhi terrorizzati di Katia.
“Sai a cosa servono queste, cara? Sai cosa ti faremo?”, sottolineò perfidamente.
Katia scosse la testa, col viso contratto dalla paura. Non voleva saperlo.
Elvira aprì la piccola bocca dentata e l’appoggiò al seno destro della vittima. Il contatto col metallo la fece rabbrividire. Poi, con uno scatto improvviso, la morsa si strinse sul capezzolo turgido.
Katia distolse il viso, mordendo il bavaglio e tirando selvaggiamente i legacci. Se solo avesse potuto liberare un braccio per togliere quell’orribile cosa che le mordeva il seno! Ma le cinghie erano fissate saldamente. Le lacrime cominciarono a scorrerle sul viso, più per l’impotenza che per il dolore.
Elvira si era accostata all’altro seno e lo stuzzicava con un’altra pinza.
Katia sentiva i piccoli denti acuminati morderle la carne delicata, poi, in maniera del tutto irrazionale, avvertì una strana sensazione che le faceva piegare le ginocchia e le distendeva i muscoli del seno.
“Più la lavoriamo e più si riscalda. La direttrice ha ragione. E’ un caso davvero speciale”, osservò l’altra guardiana indicando il sesso di Katia che cominciava a sbavare.
“E’ davvero una fornace quaggiù, aspetta solo un bel cazzo… o qualcos’altro di buono e di caldo che si prenda cura di lei. Ecco com’è, farebbe di tutto pur di far godere la sua piccola passera!”.
Katia avrebbe voluto gridare che non era vero, ma il bavaglio soffocava ogni suono. Elvira prese altri fili e attaccò tre pinze al sesso di Katia. Una proprio sul clitoride, due sulle piccole labbra. Katia affondò ulteriormente i denti nella palla di gomma mentre il contatto gelido delle pinze contrastava dolorosamente con il suo sesso che si faceva sempre più caldo e bagnato. Le due donne infine le attaccarono altri terminali alle dita dei piedi.
Katia spalancò gli occhi e guardò tutti quei fili elettrici collegati al suo corpo. Si sentiva come se la stessero preparando per una esecuzione. L’altra guardiana si avvicinò al generatore e accese lo strumento girando un interruttore.
“Cominciamo dal livello due e poi saliamo!”, disse Elvira.
Katia pregò silenziosamente di perdere subito i sensi. Ma sapeva che non avrebbe avuto quella fortuna. Le piccole pinze dentate mordevano i suoi seni e il suo sesso. Il rumore della macchina le riempiva le orecchie. Tremava guardando le dita di Elvira che ora muovevano i comandi dell’apparecchio. Il ronzio del generatore aumentò.
Katia sentì tutti i muscoli che si tendevano. Stava già accadendo. Sentiva la corrente che arrivava attraverso le pinze. Era come se un milione di piccoli denti la mordessero dappertutto. E il suo sesso! Le ricordava la tortura a cui era stata sottoposta il primo giorno con l’idrante. Il suo corpo si inarcò e cominciò a tremare come se fosse stato esposto a un gelido vento polare e la testa le si rovesciò di colpo all’indietro.
La sensazione della corrente che le attraversava il corpo, stranamente, non era del tutto spiacevole. Tentò di rilassarsi assaporando il brivido dell’elettricità che le solleticava il clitoride. Un’altra ondata di liquido le colò dalla figa scivolando lungo le cosce e aiutando la corrente a diffondersi.
Elvira se ne accorse. “Le piace! Diamogliene di più”, disse soddisfatta, aumentando la dose.
Il ronzio aumentò ancora. Adesso il formicolio era più intenso e concentrato.
Katia morse il bavaglio per scaricare la tensione frenetica sentendo che il suo cervello stava per cedere. La corrente la colpiva ora come una pugnalata, facendola gemere e sospirare, mentre cercava di divincolarsi tra i legami. Contrasse le dita dei piedi fino a sentirle invase dai crampi. Un ulteriore aumento di intensità le fece perdere completamente il controllo. Un getto di urina le scivolò lungo le gambe, mentre le due donne la osservavano ridendo.
“Sembra abbia toccato il suo limite, per ora”, disse l’altra guardiana.
“Vedremo. Non credo che perderà i sensi. Prenderà tutto quello che decidiamo di darle”, disse Elvira spostando l’interruttore ad un livello ancora più alto.
Katia si sentì come travolta da un camion che andava a tutta velocità. I suoi seni, il ventre e la fica furono come dilaniati dalle intense frecciate. Il suo corpo fu tutto un fremito. Elvira aumentò ancora la potenza spostando la leva quasi al massimo. Katia fu preda di una forza diabolica, le sue labbra divennero violacee e rivoli di saliva le colavano dagli angoli della bocca sul mento. Rimase appesa, completamente impotente, aspettando il peggio.
“Diamole un’ultima girata”, disse Elvira.
Furono le ultime parole che Katia udì. Poi sentì un odore di carne bruciata.
Il dolore era troppo intenso. Con un grido soffocato si irrigidì stirandosi tutta, poi si ammosciò appesa al palo perdendo finalmente i sensi.

(continua)
 
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15 replies since 31/7/2012, 14:37   18939 views
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