Legami di Seta - Forum Italiano BDSM & Fetish

Racconti d'autore: L'ISTITUTO

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-triskell-
view post Posted on 23/9/2012, 11:55 by: -triskell-     +1   -1
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T.P.E.
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CAPITOLO 7

Per quanto tempo era rimasta così, appesa per le braccia? Katia non ne aveva idea.
Aveva fatto dei sogni così strani, cose che solo qualche tempo prima l’avrebbero fatta morire di vergogna solo a pensarci. Ma adesso avevano un aspetto molto più reale e concreto, e le facevano dolere i seni e il sesso. Pensava a Bruto, al suo corpo imponente e muscoloso, al suo membro che penetrava nello stretto canale vaginale squarciando e allargando senza un minimo di compassione o di rimorso. Katia poteva sentire ancora le mani dell’uomo che la tenevano stretta ai fianchi mentre la sverginava sulla piccola brandina, e come le stringevano i seni e le strizzavano i capezzoli. Poteva sentire il suo respiro e i suoi denti sul collo mentre andava avanti e indietro senza sosta dentro di lei. Sentiva ancora i colpi di cinghia che le colpivano
le natiche, immaginando i segni che lasciavano sulla sua carne, per incitarla, mentre la scopava come una bestia.
“Ahhhhhhhhhhhhh!”.
Katia si risvegliò con un sussulto come se un lampo di luce le fosse scoppiato nel cervello. Ma quando aprì gli occhi si ritrovò completamente al buio. Si ricordò delle cinghie che la tenevano legata per i polsi e degli anelli che le bloccavano le caviglie, mentre quelle due donne terribili le attaccavano al corpo i fili elettrici. E poi…. poi la corrente, quella terribile sensazione che le attraversava i seni e la fica. Si ricordò come aveva cercato di urlare quando la scarica elettrica era diventata insopportabile e come la palla di gomma avesse soffocato il suo sfogo. Poi più nulla.
Katia si rese conto di non essere più appesa al soffitto. Anzi, non era più nella stessa stanza. Ma era così buio li dentro che poteva sentire lo spessore dell’oscurità sul viso. Qualcuno l’aveva legata in una strana posizione, coi piedi più alti della testa. La ragazza cercò di muovere le gambe. Poteva farle scivolare oltre lo strato di plastica che sentiva sotto di sé, o almeno le parve che quella superficie fosse plastica. Poi provò a muovere le braccia.
Anche i lacci che le stringevano i polsi erano stati allentati, come se avessero semplicemente voluto tenerla ferma mentre era priva di sensi, per impedirle di farsi del male.
“Posso scappare”, pensò Katia, sentendo nascere dentro di sé un’ombra di speranza. Sollevò la testa e sentì una fitta intensa al cervello. Doveva essere una conseguenza dell’elettricità, pensò, facendo ancora pressione con le braccia e le gambe per liberarsi dai legami. Le cinghie cedettero facilmente.
“Uhhhhhhh!”. Improvvisamente udì un gemito.
Katia rabbrividì. C’era qualcun altro nella stanza. Udì ancora lo stesso suono di prima. Veniva da qualche punto sotto di lei. Un’altra vittima ? Ci doveva essere un’altra ragazza, pensò, un altro dei ‘casi speciali’ affidati a Elvira e alla sua compagna.
“Hei! Chi c’è ?”, provò a chiamare. Le rispose un mugolio. Katia rimase un attimo in silenzio ma il suono non si ripeté. Forse la ragazza era ferita ?
Katia riuscì a liberarsi delle cinghie e rimase seduta. Poi con cautela fece penzolare le gambe oltre il giaciglio. Quello che non si aspettava era che l’asse fosse sospesa sopra il pavimento. Credendo di appoggiare la pianta dei piedi su di un piano solido, si trovò invece a cadere nella completa oscurità.
Il suo cuore quasi si fermò quando si sentì precipitare al suolo. Le sembrava di essere caduta per decine di metri, certa di sfracellarsi al suolo. In realtà si trovava a circa un metro e mezzo dall’asse su cui era stata sospesa. Per fortuna cadde sulle mani riparandosi il viso con l’avambraccio e rimase per alcuni secondi a terra, in preda ad un terrore da animale in trappola.
“Ohhhhhhh!”.
Di nuovo quel mugolio. Era più vicino adesso. Forse la ragazza era proprio lì accanto a lei. Katia si sforzò per alzarsi in piedi, combattendo contro le vertigini. Si mosse nel buio aggrappandosi alle pareti scivolose.
“Chi sei? Va tutto bene ?”, disse Katia rivolta al buio.
“Uhhh… Sono Rosy. E tu chi sei ?”, rispose il buio.
“Katia. Continua a parlare. Ti troverò”.
“Oh, fa troppo male. Sono tutta rotta. Mi ha violentata… e poi…”. le parole della ragazza si persero fra i singhiozzi.
Katia sospirò procedendo a tentoni sul pavimento scivoloso di pietra. non voleva più farsi sorprendere da ostacoli nell’oscurità che l’avvolgeva. Era spaventata e disgustata. Le avevano gettate in quella cantina come sacchi di rifiuti. Si fermò proteggendosi il petto con le mani. Aveva sentito un rumore come di artigli di un piccolo animale.
Topi! Quel posto era pieno di topi. Fu presa da un tremore incontrollabile al solo pensiero di quelle bestiacce. Ma quella gente era veramente capace di tutto!
“Ti prego, ho tanta paura. Aiutami. Sono qui!”, mormorò Rosy.
Katia avanzò a tentoni, cercando di distogliere il pensiero dai topi che sentiva muoversi attorno a loro. L’altra ragazza era scossa da un attacco di tosse e Katia pensò che stesse per vomitare. La mano di Katia sfiorò qualcosa e si ritrasse. Quando Rosy emise un grido, Katia capì che si trattava della ragazza bruna che aveva già notato sull’autobus al loro arrivo, anch’essa portata via dalle carceriere. La prese per mano.
“Pensavo che non mi avrebbero fatto nulla. Si diceva che eri stata scelta tu come caso speciale, o qualcosa del genere. Io cercavo solo di non farmi notare”, cominciò a raccontare Rosy sconvolta e con le lacrime agli occhi. “Ma una notte sono venuti a prendermi e da allora non mi hanno più lasciata in pace. Quell’uomo...”.
“Bruto?”, la incalzò Katia.
“Credo che si chiami così. Mi ha afferrata per i capelli e inchiodata a terra mentre le altre due mi tenevano le gambe aperte. Poi mi ha scopata…fino a che mi sono sentita spaccata in due”.
Katia rabbrividì, provando una strana sensazione di eccitamento. Bruto aveva violentato anche Rosy. Apprese che l’aveva posseduta più volte mentre Elvira, con l’altra guardiana e chissà chi altro ancora stavano lì a godersi la scena.
Katia si sforzò di provare repulsione a quell’idea, ma scoprì di provare invece una sottile e perversa eccitazione. Rivide la violenza su di lei, e provò un brivido.
“E poi mi hanno picchiata finché non ho perso i sensi. Mi hanno rinchiuso qui dentro, poi ho visto portarci anche te. Mi hanno ordinato di non dirti nulla quando ti appesero a quell’asse. Volevano che tentassi di scappare e ti schiantassi al suolo, come è successo. Io volevo avvertirti, quando ti ho sentita rinvenire, ma dissero che sarebbero stati a guardare e guai per me se li avessi traditi”. Rosy terminò il suo racconto con un’altra serie di singhiozzi.
“Va bene, capisco”. Sì, Katia capiva facilmente. La direttrice usava il terrore per farsi ubbidire. Le ragazze non parlavano, troppo spaventate per fare qualsiasi obiezione. I guardiani invece erano tenuti buoni perché potevano approfittare delle ragazze e sfogare su di loro tutte le loro fantasie più perverse.
Improvvisamente la porta della cella si aprì. Katia si portò la mano al viso per ripararsi dalla luce che le feriva gli occhi dopo la totale oscurità. Rosy emise un gemito, stringendosi contro la compagna. “Sono venuti per me. sono venuti a prendermi!”, mormorò terrorizzata.
Elvira e l’altra donna erano sulla porta, armate di grossi bastoni. Quando si avvicinarono, Katia si lasciò sollevare per le braccia e trascinare sul pavimento della cantina. La porta si richiuse dietro di lei con un suono metallico che coprì il grido disperato di Rosy.
“Spero abbiate fatto una bella chiacchierata”, disse ironicamente Elvira, spingendola con il bastone.
“Metti le mani dietro la schiena adesso”.
Katia fece come le aveva ordinato. Elvira le premette il bastone in mezzo alla schiena mentre l’altra donna le legava i polsi. Un’altra corda le stringeva il petto immobilizzandole le mani sui fianchi e comprimendole i seni. Il bastone legato tra le scapole faceva pressione tenendola ritta e facendola gemere di dolore.
“Così non cercherai di scappare un’altra volta”, disse Elvira con un ghigno.
“Un’altra volta ?, chiese stupita Katia.
Elvira scoppiò in una fragorosa risata spingendo in avanti la sua vittima.
“E’ quello che avevi in mente quando hai tentato di scendere dall’asse. Non dire che non è vero. Questa è solo una precauzione”.
Percorsero tutto il lungo corridoio, illuminato da una fila di lampadine gialle. Evidentemente si trovavano nello scantinato dell’edificio. In quel posto poteva accadere di tutto, anche un omicidio, e probabilmente qualcosa di orrendo sarebbe accaduto.
“Di qua!”. Elvira le diede un altro spintone e la fece svoltare a sinistra in un piccolo corridoio secondario. Katia incespicò e si scosse i capelli dal viso. Elvira aveva aperto la porta di una stanza.
“Dentro, troia !”.
“Ah, Katia. Sono felice di rivederti!”. Com’era diversa la direttrice Storti ! E che orribile gioco stava facendo con lei!.
“Io…”, balbetto Katia.
La signora alzò un braccio facendole cenno di tacere. “Non devi aprir bocca, a meno che tu non voglia stare attaccata a quello strumento pieno di elettricità per tutta la notte, fino ad esserne arsa viva. E’ questo che vuoi ?”
Katia scosse la testa con lo sguardo fisso a quella donna alta e attraente. La dottoressa aveva uno strano abbigliamento. Invece del severo tailleur che indossava in ufficio, ora aveva uno strano completo di pelle che le lasciava liberi i seni rigogliosi. E questo metteva in evidenza i capezzoli di un rosso intenso, che svettavano dritti e gonfi. Nei suoi occhi scuri brillava una luce che fece ricordare a Katia lo sguardo sadico di Bruto.
Qualcuno tossì alle sue spalle e Katia osò dare un’occhiata alla stanza in cui si trovava. Al centro di una piattaforma si innalzava un lungo palo di legno che terminava con una punta metallica a forma di pene. Quello che colpì l’attenzione di Katia fu la familiare scatola grigia, lì accanto. In quel momento
il generatore era spento, come poté vedere dall’indicatore. Si ritrasse spaventata, le braccia le dolevano per la tensione esercitata dal bastone rigido contro la schiena.
“Bene Katia, vedo che ti ricordi la sensazione della corrente che ti attraversa il corpo. Fra parentesi, in questi contesti puoi chiamarmi Leona. Sai, dottoressa Storti suona così fuori posto in queste circostanza.
“No, no!”, urlò terrorizzata Katia incespicando e cadendo di faccia
Elvira la rimise in piedi e la spinse verso il mostruoso strumento al centro della stanza. Non riusciva a immaginare cosa le avrebbero fatto. Gli altri la osservavano divertiti con un sorriso canzonatorio. Leona accese il generatore di corrente.
“No, no. Vi scongiuro, non fatelo. Non ce la faccio più!”, implorò Katia pur sapendo che era inutile, anzi sicuramente serviva ad eccitare di più quelle anime sadiche.
“E’ un peccato che in questo momento Bruto sia impegnato con la tua amichetta. Sono sicura che gli sarebbe piaciuto farlo lui stesso, ma in ogni modo ci arrangeremo!”, disse Leona.
Le due guardie la spinsero in avanti. Con le braccia legate lungo il corpo e il bastone fissato alla spina dorsale in modo che non potesse nemmeno chinarsi, Katia non poteva fare praticamente nulla per opporsi al loro volere. Fissò con terrore quell’orribile strumento. Capiva che l’avrebbero impalata su quell’arnese e che avrebbero riso di lei vedendola contorcersi impotente sul palo.
“Oh, no, no, nooooooo!”, gridò Katia con tutta la forza e la disperazione che le restavano.
Ma Leona abbozzò solo un sorriso crudele. Prese una scatoletta e spalmò un lubrificante sulla punta del pene artificiale. Gli occhi di Katia si dilatarono dal terrore mentre continuava a gridare e a piangere.
“Stai tranquilla, di crema ne ho messa poca, ma è ad alta conduttività. Ti permetterà di assaporare meglio la sensazione di essere accarezzata dal di dentro. Ora decidi. Puoi lottare oppure startene tranquilla e lasciarci fare. Ma più ti dibatti, più ti penetrerà dentro e più ti farà male”, le disse Leona.
Purtroppo aveva ragione. Anche se era impensabile lasciare che quelle donne le facessero tutto quello che volevano senza nemmeno tentare di ribellarsi. Alla fine la ragazza capì che non aveva scelta. Cercò di staccare la sua mente dal corpo e lasciarle fare.
“Brava ! Così va meglio. E penso anche che i nostri giochi finiranno per piacerti”, disse Leona.
“Mai!”, mormorò Katia, mentre si sentiva sollevare per le ascelle e veniva issata in cima al palo.
Improvvisamente avvertì il contatto del metallo contro l’apertura della fica.
Nonostante i buoni propositi, si divincolò riuscendo quasi a sfuggire alla presa delle sue aguzzine e ricadde al suolo con un tonfo.
“Questo è molto sciocco da parte tua. Se loro non ti sostengono cadrai per terra col rischio di ferirti seriamente”, disse Leona, “Ricordalo!”.
Katia provava un odio tremendo per quella donna. Li odiava tutti. E odiava soprattutto quella sensazione di calore che le saliva dal ventre, quando la riposizionarono. Sentì le labbra della vagina che si distendevano per lasciare entrare quel freddo strumento di acciaio sulla cui punta brillava il lubrificante. Le sue gambe si contrassero non appena la punta metallica le sfiorò il clitoride ed entrò facendosi strada nel condotto vaginale. Gemette ancora mentre lo strumento penetrava sempre più a fondo fino a farla sentire
spaccata in due. Alla fine si trovò a toccare terra con la punta dei piedi. E così la lasciarono.
“Allora, visto che non è la fine del mondo?”, le chiese Leona.
Il membro artificiale era sparito tutto tra le sue cosce. I muscoli interni le dolevano. Era stata penetrata una volta sola, in fondo, ed era successo molti giorni prima.
“Adesso puoi rimanere in punta di piedi ma prima o poi cederai e finirai per appoggiare a terra tutta la pianta. Naturalmente in questo modo lo strumento ti entrerà molto più a fondo”, le disse Leona con un sorriso sadico.
Katia rabbrividì, girò il capo e vide le altre due donne che ridevano. Se rimaneva appoggiata sulla punta dei piedi alla pedana il dolore era ancora sopportabile. Evidentemente avevano studiato appositamente l’altezza dello strumento. Dapprima pensò che forse poteva tentare di ribellarsi, ma si rese subito conto che era una speranza assurda.
Allora cercò di sollevarsi il più possibile per far uscire la punta dalla vagina, ma questo era impossibile, era già al massimo dell’estensione. Tutto quello che poteva fare era rimanere ferma e impalata da quell’orrido cazzo artificiale. Si sentiva piena di rabbia e di vergogna.
“Non credere che sia tutto qui !”, riprese Leona.
“Oh, vi prego, non ne posso più”, disse Katia ormai esausta.
“Siamo qui proprio per provare i tuoi limiti. Hai già sperimentato il generatore. Adesso ti farò provare qualcosa di nuovo”.
“E’ una ragazza fortunata. Fottuta fino in fondo senza preoccuparsi di rimanere incinta !”, osservò Elvira, prendendo in mano una piccola pompa. Alla pompa era attaccato un tubo che terminava con un beccuccio. All’altro lato della pompa, un altro tubo più grosso era collegato a un rubinetto.
“Davvero fortunata. Le altre ragazze dell’Istituto non ricevono tutte queste attenzioni. Adesso vedremo se le merita. Elvira, le infili il tubo nell’ano”, ordinò Leona.
“C…cosa ?”, riuscì a mormorare incredula Katia.
“E’ solo un piccolo esperimento. Vogliamo stimolarti in due punti. E’ come se ti facessi scopare da due uomini contemporaneamente. Sicuramente è un’idea che ti è venuta più di una volta, vero?”.
“No, no. Mai!”, si difese Katia.
Elvira ignorò le proteste della ragazza e le infilò la canna nell’apertura anale per un buon venti centimetri. Katia lanciò un grido, il suo viso era più stravolto dalla vergogna che dal dolore.
Cosa le avrebbero fatto ancora? Impalata sullo strumento, Katia attese coi nervi a fior di pelle di conoscere la sua sorte.

(continua)
 
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15 replies since 31/7/2012, 14:37   18939 views
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