Legami di Seta - Forum Italiano BDSM & Fetish

Racconti d'autore: L'ISTITUTO

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-triskell-
view post Posted on 10/10/2012, 22:28 by: -triskell-     +1   -1
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T.P.E.
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CAPITOLO 12

“Ehi, Bruto, sono sicura che avete fatto del vostro meglio per prendervi cura del caso a voi affidato, non è vero?”, domandò una voce femminile.
Era quella di Leona, che era entrata nella stanza seguita dalle due guardiane. Fra le due donne c’era Rosy, l’altra piccola vittima, con gli occhi bassi e i lunghi capelli neri che le spiovevano sul viso, completamente nuda. La ragazza faticava a restare in piedi e veniva quasi trascinata, sostenuta da ambo le parti per le ascelle. Sembrava rendersi conto solo vagamente di quel che le succedeva intorno. Ancora legata alla panca di legno in quella scomoda e umiliante posizione di offerta, Katia poté vedere i profondi solchi rossastri che le ricoprivano quasi tutto il corpo, intensificati nella zona tra le ginocchia e il seno.
Non era difficile immaginare cosa le avessero fatto per ridurla così spezzata nel corpo e nella volontà.
“Oh, niente di speciale, Leona. Ho fatto solo il mio lavoro”, rispose ossequioso Bruto.
La direttrice sorrise rivolgendosi a Rosy e sollevandole il mento.
“Vedi cara? La tua amica si è divertita molto qui. Non riesco a capire perché non prendi esempio da lei. Beh, lei è speciale. Tu puoi forse fare solo da comparsa per i nostri piccoli giochi innocenti.”.
Rosy alzò lo sguardo e vide Katia che giaceva sulla panca, con la fessura tra le cosce spalancata e fradicia. Aprì la bocca per parlare, ma rimase muta con lo sguardo perso nel vuoto.
“Bene, faremo in modo che le ragazze si ricordino per sempre di questa giornata. Credo che dovremo adottare misure più severe con entrambe, specialmente con questa qui”, disse Leona indicando Rosy.
Le guardiane annuirono. Katia vide Elvira che portava un largo e alto cono di legno che finiva con una punta arrotondata. Lo pose a qualche passo da Katia mentre Leona spingeva avanti l’altra ragazza. Al soffitto, proprio sopra, era fissata una puleggia munita di un grosso gancio. Elvira allentò la fune abbassando il congegno e Leona alzò le braccia di Rosy e le fissò un polso a una cinghia di cuoio, che appese quindi al gancio. L’altro braccio lo lasciò libero, quindi diede ordine ti tirare la corda. Elvira obbedì e sollevò la puleggia finché Rosy si trovò a penzolare dal soffitto. Fu in quel momento che la ragazza riprese completamente i sensi e cominciò a gridare, fissando Katia con gli occhi spalancati.
“Non lasciare che mi facciano questo. Ti prego, aiutami!”, gridò.
Leona rise, facendo sobbalzare i pesanti seni, e ordinò di fissare la corda a quell’altezza.
Rosy pendeva per un braccio solo, l’altro le penzolava di lato come se fosse spezzato. Le sue grida risuonarono in tutta la stanza, mentre Bruto le afferrava il braccio libero e lo legava al fianco sinistro. Poi le fece ripiegare la gamba destra e ne legò il piede al fianco destro. Legata in quella grottesca posizione, la ragazza cominciò a girare lentamente su se stessa.
“Puoi alleviare la sofferenza appoggiando il piede sulla punta del cono”, le spiegò Leona. “Naturalmente ti farà un po’ male e ti ritroverai a penzolare”.
Rosy singhiozzò, guardò in basso verso il cono e cercò di oscillare in modo da appoggiare il piede libero sulla punta dell’attrezzo. Così poteva appoggiare parte del proprio peso. Ma la punta arrotondata era così piccola che il piede le scivolò via facendola gemere di dolore mentre il peso del suo corpo pendeva di nuovo dall’unica spalla.
“Per ora lei è sistemata. Adesso ci occuperemo di te, mia cara.”, disse Leona, rivolgendosi a Katia, che subito rabbrividì, sentendosi di nuovo tirata in causa.
Cosa l’aspettava ancora? Era umanamente possibile sopportare tutta questa follia senza diventare pazzi?
“Oh no, no, no!”, supplicava quasi in delirio.
“Bruto, già che é stato così gentile con lei, perché non va a prendere gli altri strumenti? Sono sicura che la nostra Katia li troverà molto interessanti”, disse Leona con ironia-
“Cosa volete farmi ancora? Non ne posso più. Sto per morire!”, supplicò Katia con lo sguardo terrorizzato, quando vide Bruto allontanarsi dalla stanza. Non si era mai sentita così impotente come ora. Erano tutti intorno a lei come un’équipe di chirurghi. E lei era legata alla panca, busto e braccia, con le gambe aperte incatenate alle pareti, come una cavia destinata alla vivisezione.
Bloccata in quella posizione, non poteva muovere neppure un dito. Lottò contro forze innaturali cercando di strappare i legacci che le trattenevano i polsi, ma non c’era nulla da fare. Era in trappola, immobilizzata in quella oscena posizione, completamente indifesa e alla mercé di chiunque. E Bruto stava portando altri strumenti di tortura. E lo vide tornare con un lungo arnese con il manico di legno e la punta di ferro che lasciò cadere al suolo con un rumore secco. Sotto il braccio portava un sacco e l’altra mano reggeva un largo recipiente nero.
“Comincia a preparare il fuoco. Faremo in modo che queste ragazze portino per sempre con loro il ricordo di questo Istituto”, disse Leona a Elvira. “Naturalmente in un posto che sia accessibile solo agli amici più intimi.”, concluse ridendo.


Katia intuì come e iniziò ad urlare come una forsennata, tutto il corpo bagnato di sudore. Sentiva il rumore dei carboni che venivano versati nel recipiente, osservò mentre posavano il recipiente su un piedistallo, vi versavano del petrolio sopra i carboni e quindi gli davano fuoco. Un odore penetrante si sparse nella stanza. Katia annusò l’aria, si sentiva l’odore del petrolio e quello del carbone che cominciava a bruciare; quindi scoppiò in una risata isterica, mentre si sentiva impazzire. Era più facile lasciarsi andare,
fuggire dalla realtà rifugiandosi nella follia, piuttosto che accettare ciò che comprendeva sarebbe accaduto. Alzò gli occhi e incontrò lo sguardo terrorizzato di Rosy. Ma ora non le importava più niente di lei. Non le importava più di nulla e di nessuno, tranne che di sé stessa e di quella banda di sadici che la stavano facendo impazzire.
Udì sfrigolare il ferro dell’arnese che Bruto stava facendo rigirare sui carboni, e lo fide arrossarsi fiammeggiante, mentre mille scintille si alzarono fino al soffitto quando li rimescolò per rendere il fuoco più vivo.
“Ah! Ah! Ah! Siete tutti pazzi, e anch’io sono pazza! Spero che creperemo tutti insieme! Oh, dio, cosa ne sarà di me?”, gridò Katia, ridendo e piangendo insieme.
Leona aspettando che il ferro fosse incandescente, ogni tanto gettava un’occhiata a Katia e le sorrideva, quasi a rassicurarla. Bruto continuava a rigirare il carbone nel recipiente, leccandosi le labbra. Le altre due donne erano lì accanto, evidentemente eccitate dallo spettacolo, ma non osavano fare un movimento senza aver ricevuto ordini da Leona. Questo sembrava essere un suo divertimento personale, e solo Bruto aveva il diritto di condividerlo.
“Provi adesso!”, ordinò Leona. Bruto impugnò l’arnese tenendolo per il manico di legno e ne esaminò la punta, che terminava con un piccolo disco.
“Sì, è pronto”, disse, vedendolo arroventato.
Le parole uscirono come un sibilo dalla sua bocca. Katia scrollò la testa tremando per l’orrore. Il sudore le colava copioso dalla fronte, scivolandole sul naso e negli occhi. Poteva vedere la punta rossa e incandescente del ferro.
Vicino al disco diventava bianco, mentre tutto il resto era grigio scuro.
“No, no!”, gridò ancora, cercando istintivamente di raggomitolare il suo corpo a mo’ di protezione, ma i legacci che la trattenevano le impedivano ogni movimento.
“Adesso, mia cara, ti faremo un piccolo marchio che sarà un ricordo di questo Istituto per tutta la vita.”, le disse Leona.
“No, no, voi siete pazzi! Oh dio, dio aiutami, aiutami!”. Katia continuava a gridare, scuotendo selvaggiamente la testa da un lato all’altro, mentre la mente le esplodeva per il terrore. Non si sentiva nemmeno più un essere umano. Le sembrava di essere un animale braccato e torturato. L’unica emozione che provava era un’immensa e cieca paura.
“Cominciamo!”, ordinò Leona a Bruto. L’uomo impugnò l’arnese incandescente e fissò la ragazza legata. Tutto il corpo di Katia era scosso da spasmi che le attraversavano le spalle e il busto fino alla punta dei seni, il ventre, le cosce e il sesso spalancato. Emise un’altra risata isterica, diabolica.
“Sta uscendo di senno”, disse Bruto ridendo.
Katia si sentiva eccitata. Certo doveva essere pazza per eccitarsi a quell’orribile spettacolo. In preda al terrore, con gli occhi spalancati, vide il ferro incandescente alzato su di lei. La vista dello strumento le abbagliò gli occhi e il cervello e per un attimo fu sul punto di perdere i sensi.
Bruto abbassò il ferro rovente sul ventre di Katia, prese tempo a cercare la giusta posizione, mentre la ragazza sentiva il calore sulla carne.
Katia lanciò un altro grido aspettandosi da un momento all’altro di sentire il contatto incandescente sulla pelle. Il calore lasciava una sottile traccia rossa fra le cosce della ragazza, dove la pelle cominciava a enfiarsi, ma Bruto era ben attento a non toccarle i muscoli. Sembrava pratico, chissà quante volte aveva già praticato quell’atroce rituale su povere ragazzine indifese. I peli del pube furono i primi a raggrinzirsi bruciacchiandosi, e il loro odore, mescolato a quello del sudore e del liquido vaginale, era nauseabondo. Era quello di un animale sventrato e fatto arrosto.
L’uomo le stava bruciando il sesso, e Katia poteva vederlo, impietrita senza poter far nulla per impedirlo. Si ficcò le unghie nel palmo delle mani in attesa dell’inevitabile, strinse i denti e cominciò a pregare. Si prega sempre, quando non c’è via di uscita.
Il ferro avanzava lentamente, ancora indeciso. Katia cercò di scivolare all’indietro appiattendosi contro la panca, ma fu inutile. Poi le riuscì solo di spalancare la bocca per urlare con tutta la voce rimastale. Sentiva l’inferno dentro di lei. Ora il calore era attorno al suo clitoride, come una bocca calda, che la sfiorasse. “Oh, mio dio, avrebbero
potuto mutilarla per sempre”, pensò ormai molto al di la del terrore. Era pazzesco! Era troppo folle! Eppure quella forte emozione le fece montare dentro di sé i sintomi dell’orgasmo. Si divincolò sotto gli spasmi del piacere, gemendo come una cagna in calore, mentre pregava e implorava pietà, e continuava a venire.
Leona e Bruto se ne accorsero e scoppiarono a ridere.
Improvvisamente Bruto si girò e alzando il ferro premette la punta arroventata a forma di disco sulla natica destra di Rosy. Ve la tenne dieci secondi che contò ad alta voce, tenendola ben ferma per i fianchi con l’altra mano. La ragazza urlò improvvisamente cosciente di sé per il dolore insopportabile e inaspettato. Quando Bruto mollò la presa, il suo corpo sospeso girò come impazzito, mentre lei continuava a gridare e gridare. L’odore della carne bruciata raggiunse Katia e le fece salire un’ondata di nausea. Aveva sentito lo sfrigolio del ferro nella carne della sua compagna, mentre Rosy si divincolava e si contorceva, senza purtroppo svenire.
Bruto tornò allora verso Katia e premette anche a lei il disco incandescente sull’alto della coscia destra, vicinissimo all’inguine e al sesso.


Impazzita di dolore, Katia urlò, mentre sentiva la fica esplodere in un altro orgasmo. Vide ancora per un attimo Bruto, le altre donne, e la danza grottesca di Rosy che
continuava a dondolare a peso morto. Poi cadde nel buio più completo, perché lei sì, finalmente svenne.

Katia si svegliò di soprassalto. Fu il bruciore all’inguine a spingerla nuovamente verso la realtà.
Là, dove quel bastardo aveva premuto il ferro arroventato, la carne pulsava e le procurava fitte acute. Fitte che si irradiavano stranamente verso la fica e verso l’oscuro buchetto che occhieggiava tra le natiche, già enfiate dai colpi di frusta e di cazzo. Le ritornò alla mente di essere stata violentata per la seconda volta là, nel piccolo nido che le impreziosiva le terga, e rabbrividì rammentando il piacere che, seppur misto al dolore, aveva provato. Il bruciore intanto manteneva viva la sua voglia di sesso mentre dalla fica, lei lo sentiva senza ombra di dubbio, le traboccava ancora succo bollente.
Era mai possibile eccitarsi con il dolore, amarlo alla fine, godere tra le braccia di un uomo che l’aveva torturata ed umiliata in modo indescrivibile? Impossibile? No, non era impossibile, visto che le era accaduto. Il cazzo di Bruto era ancora lì, inchiodato nella sua mente come se l’avesse ancora dentro la sua carne. La sua carne dove Bruto l’aveva marchiata a fuoco, le bruciava tra le cosce a un centimetro dalla sua fica palpitante. Non sapeva che tipo di marchio le avessero impresso, ma la consapevolezza di essere stata marchiata come una bestia, la esaltava. Si rese conto di quanto fosse assurdo quello che stava pensando. “Sono pazza… pazza…”, mugolò mordendosi un labbro. Era assurdo quello che le stava accadendo!
Ma come era stato possibile? In pochi giorni, poco più di una decina, lei aveva imparato ad amare il dolore. Addirittura amava l’uomo che l’aveva fatta soffrire. Era pazzesco! Era folle!
“No… no… Devo reagire… Io quei porci li odio, li debbo ammazzare!”, urlò, ma solo dentro di sé. Poi, improvvisamente, ebbe la certezza di essere con le braccia libere e le gambe senza legacci. Era distesa su un lettino e quindi, sebbene nuda, poteva alzarsi e muoversi. Si rizzò e scoprì di trovarsi in una cella non molto grande, arredata semplicemente, con la sola brandina sulla quale lei era stata stesa da qualcuno. Sulla brandina c’era solo il materasso di crine, sul quale Katia era rimasta distesa sino a un momento prima.
A cosce larghe, muovendo solo il capo e tenendo la mano all’inguine, con le dita sul bordo della bruciatura ancora calda, volle sentirne il gonfiore. Poi, quasi a non volerci pensare, cominciò ad esplorare con lo sguardo il piccolo locale sporco e con il pavimento pieno di roba inutile. Vide un paio di cassette di frutta vuote, cartoni anch’essi vuoti, e una coperta gettata in un angolo, contro la parete. La coperta poteva essere utile per avvolgere il proprio corpo. Si alzò. Aveva le gambe rigide e ad ogni passo lo sfintere le
procurava fitte atroci. Il cazzo di Bruto aveva fatto scempio delle sue budella. Inoltre aveva le cosce ancora imbrattate dallo sperma di lui, quello che le era colato fuori dal piccolo buco squarciato e violato. Mandò un lamento appena si chinò per afferrare la coperta, quindi si rizzò, sollevandola, e scoprendo che le facevano male anche tutti i muscoli, specie quelli del ventre dove Bruto l’aveva presa a pugni, e quelli delle spalle e delle cosce. Aveva sollevato la coperta ed era rimasta sorpresa a guardare la figura
gettata lì, in un angolo, e raggomitolata su se stessa come una cosa inutile.
Per un lungo istante la sua mente si svuotò e Katia fu di nuovo sul punto di impazzire, poi mandò un urlo liberatorio e ritrovò il proprio equilibrio mentale. La figura umana era quella di Rosy, la sua compagna di sventura.
Mentre lei era stata adagiata sul letto, l’altra era stata gettata in quell’angolo come uno straccio e ricoperta con il lurido plaid che lei aveva recuperato. Quando finì di urlare e tornò in sé, il primo pensiero che le venne fu che la povera ragazza fosse morta. Si chinò accanto a lei e si sedette sul plaid.
A scuola, al corso di igiene, le avevano insegnato come fare per scoprire se una persona è viva o morta, questo in caso di incidente. Quindi posò la mano sul collo di Rosy e cercò la vena. Sentì subito sotto le dita che la giugulare pulsava, e sospirò di sollievo. Rosy era solo svenuta.
La cella era illuminata da una luce che giungeva a malapena da una fessura che passava da sotto la porta, ma il pallore di Rosy era impressionante e lo si
notava perfettamente.
“Rosy…Rosy, mi senti?!”, mormorò dandole degli schiaffetti sul viso. La ragazza mandò un lamento, poi agitò la testa prima da un lato e poi dall’altro.
“No… no… Basta!”, farfugliò ancora sotto shock. Un po’ di saliva le colò lungo il mento e si rannicchiò ancora di più su se stessa. Anche Rosy era completamente nuda e Katia notò che aveva la pelle striata di rosso e di blu. L’avevano picchiata, forse frustata. Improvvisamente la ragazza spalancò gli occhi e la guardò con uno sguardo pieno di paura, di orrore e di supplica.
“Sono Katia… Calmati, Rosy, calmati… E’ tutto finito, ora…”, le disse mentendo, con un groppo alla gola mentre l’accarezzava sul viso, sulle spalle, con dolcezza. E con dolcezza le parlava, suadente. “Mi riconosci, adesso?”.
Per un lungo istante Rosy rimase a guardarla, ancora raccolta, quasi appallottolata in posizione fetale, premuta contro la parete. Poi il suo volto parve rasserenarsi un poco, e lei si sciolse, gettandosi in avanti, alla ricerca delle braccia di Katia.
“Stringimi, Katia, stringimi…”, supplicò. Katia la ricevette sul seno e la strinse a sé. Per lunghissimi minuti rimasero così, petto contro petto, le guance accaldate e rigate di lacrime, premute l’una all’altra, i seni in cui pulsava ancora il dolore dei colpi e delle sevizie subite, incollati.
“E’ stato terribile… terribile…”, mormorò Rosy “Quando ti hanno marchiata sei svenuta e loro non si sono più occupati di te. Io purtroppo, non sono svenuta e Bruto, insieme a Leona, si sono interessati a me…”.
“Cosa ti hanno fatto?”, le domando Katia.
Stranamente provava una curiosità morbosa. Voleva sapere che tipo di torture le avevano praticato, quasi fosse gelosa di ciò che Bruto e la direttrice potevano aver fatto con lei.
“Prima Bruto mi ha frustata… E’ stato terribile. Mi colpiva dovunque, mi martoriava le natiche, là dove mi aveva marchiata…. E poi…. Oh, mio dio….”.
E le raccontò di come Bruto le avesse ripiegata l’altra gamba per legare alla vita anche il piede sinistro. E di come Elvira avesse unto per bene con del grasso la punta arrotondata del cuneo di legno, lo stresso su cui prima aveva tentato senza riuscirci di appoggiare il piede per avere un attimo di respiro. E di come poi Leona avesse fatto abbassare la puleggia in modo da porla con l’ano proprio sulla punta del cuneo. Quando la punta arrotondata, lucida e scivolosa, fu ben sistemata e cominciò a farsi strada dentro di lei, Leona diede l’ordine di allentare la corda, tenuta tesa solo per non farla cadere, lasciando che il peso stesso del suo corpo pian piano la facesse affondare. E
più scendeva, più il cuneo entrava, più le dilatava l’ano. Rosy si sentiva dilaniare, squartare, aprire letteralmente in due. Non aveva mai pensato di poter provare un dolore simile. La discesa fu lenta ma inesorabile, e più il cuneo affondava dentro di lei, più lei si dilatava e lo assorbiva. Lei non se ne rese conto, ma quando finalmente svenne, il cuneo le era entrato per più di venti centimetri di lunghezza e alla base le aveva allargato il culo per almeno dodici centimetri di diametro.
“Oh, mio dio!”, disse anche Katia tremando di eccitazione, ma anche con una punta di invidia, dispiaciuta per Rosy, ma anche per non aver assistito a tutta la scena.

(continua)
 
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15 replies since 31/7/2012, 14:37   18931 views
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