| | Jim Holland - Lady Cruel - Il Castello dei Supplizi | |
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| slavemario |
| | Cio' che dici e' vero, Cico-ria, le ho viste anch'io le analogie. Ma...anch'io sono come Ayzad ed ero alla ricerca di questi fumetti da anni, come lui...ma niente...grazie ad Ayzad, qualche anno addietro, ho potuto avere copia di questi fumetti, scannerizzata. Questa e' la storia di questo fumetto, tratta dal sito di Ayzad : INSEGUENDO LADY CRUEL Questo ebook costituisce la più completa raccolta oggi disponibile su Lady Cruel, un fumetto BDSM prodotto in Italia negli anni 1976-78. Compilarla ha richiesto 17 anni di ricerche, eppure manca ancora di diverse pagine che è sempre meno probabile vengano ritrovate. Se tuttavia foste proprio voi a essere in possesso delle parti mancanti, siete invitati a contattarmi tramite il mio sito, www.ayzad.com – chissà che insieme non si riesca a completare l’impresa… La madeleine più cattiva del mondo Non ho problemi ad ammetterlo: la mia passione per questo fumetto è assolutamente irrazionale, specie considerando la qualità assai discutibile dell’opera. Ma se non altro ho un ottimo motivo. Lady Cruel è stata infatti la prima pubblicazione esplicitamente BDSM che abbia incontrato nella mia vita, con undici anni di anticipo rispetto a quanto avrebbero voluto la legge e la morale. Che ci fosse qualcosa di divertente nel tormentare belle ragazze indifese l’avevo intuito già dai disegni animati proto-bondage di Le avventure di Penelope Pitstop, ma non c’è dubbio che tanta passione per l’eros estremo sia stata innescata anche da quell’improbabile imprinting. Le immagini della “sadica di Yrverness” rimasero incise nelle mie fantasie per anni, finché raggiunta l’età dell’indipendenza decisi che la cosa più logica da farsi fosse ritrovarle. Era il periodo in cui esploravo l’Europa alla scoperta del vero BDSM, frequentando locali a tema e persone che della dominazione avevano fatto uno stile di vita, fra cui alcuni grandi collezionisti specializzati: sicuramente avrebbero potuto aiutarmi a scovare in un battibaleno tutti i fascicoli, no? La risposta fu, chiaramente, ‘no’. Girai sex shop in Inghilterra, negozi sadomaso a Parigi, circoli privati in Olanda e librerie erotiche negli Stati Uniti, ma chiunque interpellassi quel fumetto non l’aveva mai nemmeno sentito nominare. Fra l’altro il mio lavoro di giornalista mi portava spesso a intervistare fumettisti e illustratori, eppure neanche fra i professionisti c’era chi si ricordasse della sua esistenza. Perfino i guru italiani dell’erotismo mi prendevano per visionario, al punto di farmi quasi arrivare a dubitare dei miei stessi ricordi. Se avete mai avuto una passione collezionistica, saprete che sono proprio situazioni come questa che scatenano il puntiglio di voler ritrovare a tutti i costi il proprio oggetto del desiderio – e l’aspetto nostalgico esacerbava ulteriormente le cose. Se per la maggior parte della gente è sufficiente una canzone, un luogo o un profumo per ritrovare le sensazioni della propria infanzia, la mia madeleine proustiana indossava corsetto e tacchi a spillo, odorava di carta ingiallita e abitava da qualche parte con uno sfondo di pallini colorati. Introvabile. Tuttavia nemmeno Lady Cruel poteva sfuggire alla potenza di Internet. False piste «Internet è fatta per il porno» dice il famoso motto, e nel mio caso non posso che confermarlo. A partire dal 1994 una considerevole parte del mio tempo online è stato dedicato a… scopi di ricerca? Il bello di essere ufficialmente un esperto di erotismo è anche potersi avvalere di questi alibi, ma una cosa è certa. D’un tratto la tecnologia aveva reso possibile procurarsi le opere complete di pressoché qualsiasi autore: Farrel e Montorgueil, Pichard e Stanton, Benson e Hines, mille altri disegnatori più o meno abili… però Lady Cruel continuava a sfuggirmi. Potete provare anche voi: fate una ricerca col vostro motore di ricerca preferito, e scoprirete che prima del 2001 le uniche menzioni di questo titolo sulla Rete erano proprio le mie, corrispondenti a numerose ricerche presso gruppi, comunità, forum e chi più ne ha più ne metta. La prima svolta arrivò solo in quell’anno con la risposta di una signora che sosteneva di essere in possesso di alcuni fascicoli che avrebbe potuto vendere a caro prezzo. A quel punto sarei stato disposto a tutto: accettai di incontrarla per discuterne… e lei sparì nel nulla. Quel messaggio aveva tuttavia suscitato l’interesse di un altro appassionato, a Genova, che ricordava di aver visto qualcosa di simile quand’era un ragazzino. Col lieve dubbio che Lady Cruel venisse spacciato esclusivamente fra i minorenni cominciammo a scambiarci informazioni e, con mio grande scorno, lui riuscì a ricostruire in una sola settimana più dettagli di quanti ne avessi messi insieme io in quattordici anni. Editore, formato, autore… persino le diverse edizioni pubblicate! In capo a un’altra settimana ricevetti una sua email nella quale mi informava di avere recuperato tutti i fascicoli presso un collezionista. Misi quindi temporaneamente da parte l’inevitabile attacco di bile e mi offersi di acquistarli a peso d’oro… (state immaginando com’è andata a finire?) …e pure lui sparì, non rispondendo più ai miei messaggi. Il punto della situazione Parliamoci chiaro: arrivato a questo punto ero ben cosciente che non valesse la pena di impuntarsi tanto per Lady Cruel. Tutto sommato stiamo parlando di un fumettaccio anni ’70 che evidentemente era così mediocre da non restare impresso nei ricordi di nessuno, se non di qualche preadolescente per cui la cosa più peccaminosa che ci fosse al mondo erano le pagine della biancheria intima sui cataloghi Postal Market. Da quanto avessi scoperto il suo unico merito, per così dire, poteva essere solo quello di essere stata la prima pubblicazione da edicola a mostrare immagini esplicite di “vero” sadismo e masochismo erotico a differenza dei confusi pasticci di sesso, crimine e violenza tipici dei “fumetti neri” di quegli anni, o delle riviste importate dal nord Europa in cui comparivano improbabili personaggi vestiti in pelle che evidentemente non avevano idea di cosa stessero facendo. Certo, per quanto ricordassi c’erano ancora alcuni eccessi che ricordavano più la macelleria di De Sade che i sacrosanti dettami dell’SSC, ma si era trattato in ogni caso di un importante passo avanti. L’aspetto più frustrante, comunque, era avere ormai raccolto tutti le informazioni possibili su quell’opera che mi ossessionava fin dall’infanzia… ma avere concluso che fossero completamente inutili. Ecco infatti cosa avevano prodotto le mie ultime ricerche: Autore: Jim Holland – Inesistente. L’unico artista omonimo era un vecchietto americano che dipingeva tramonti sul mare e gattini con gli occhi tristi. Qualcosa mi diceva che non fosse lo stesso di Lady Cruel. Titolo: Lady Cruel – Macché. Al massimo c’era qualcuno che si ricordava del mensile Cruel, una specie di concorrente di Club (la prima e sola rivista BDSM italiana) realizzato con gli scarti di Le Ore. Primo editore: Sole – Un marchio inesistente, sparito dalla faccia della Terra, kaputt. Secondo editore: Editris – Qui si era aperto uno spiraglio: la Editris (poi Edivega) altro non era che il primo nome della leggendaria Edizioni Moderne, cioè la casa editrice di Club. Peccato che persino il buon amico Fulvio Brumatti, che delle EM era stato il guru, non ricordasse nemmeno lontanamente di avere mai pubblicato un Lady Cruel, e che l’archivio aziendale fosse andato distrutto in un trasloco. E vi risparmio le ricerche in cantine, solai e presso gli archivi del distributore (Parrini, che distribuiva un buon 50% di tutto ciò che uscisse nelle edicole italiane, e quindi aveva archivi tanto, tanto, tanto grandi). Lady Cruel non esisteva più. Quindi, contro ogni buon senso, la ricerca continuava. Chi semina bene… Ricordate quando dicevo di fare una ricerca sul Web? Beh, io ne avevo fatte talmente tante che ormai non ci provavo neanche più. Finché una sera, più per autolesionismo che altro, non ho usato Google e ho trovato… beh, tutte le mie richieste. Ma anche una risposta. A un mio appello pubblicato (in inglese) su un misconosciuto forum tedesco, un signore mi aveva risposto ormai da mesi dicendo di avere forse qualche numero in cantina. E – incredibile dictu – non solo la mia richiesta di contatto ricevette risposta immediata, ma questa persona abitava nella mia stessa città e aveva già controllato il materiale. Si trattava proprio di Lady Cruel e mi avrebbe lasciato volentieri i fascicoli, oltretutto gratis. Poteva andarmi bene incontrarlo l’indomani per pranzo? Per riprendermi dallo shock mi ci volle un bel po’, ma dodici ore dopo ero in una pizzeria del centro con un signore simpatico, intelligente e di una cortesia squisita. Nella ventiquattr’ore aveva una busta sigillata come Fort Knox. «Devi capire… Ho dei bambini piccoli e sai come sono…» Lo so sì, com’è che sono i bambini con Lady Cruel – ma non divaghiamo. Il patto che facciamo è di scansionare i fumetti e restituirli con tutta calma. L’unica sua preoccupazione è restare anonimo… Roba da non credere, soprattutto quando mi spiega che nella busta ci sono “l’edizione grande”, quella piccola e addirittura le puntate uscite su non sa più quale giornaletto, dal quale aveva staccato le pagine. Non vi dico il batticuore. Tornato a casa ho aperto il plico e ho ritrovato finalmente il fumetto da cui era partita la mia grande passione per il BDSM. Vedere nuovamente quei fondali optical alla Liechtenstein fu una emozione incredibile, ma come sospettavo del tutto esagerata rispetto al contenuto vero e proprio. Lady Cruel è obiettivamente una porcheriuola che non regge il confronto con la maggior parte di ciò che si vede oggi in giro. Ma chi se ne frega. Era Lady Cruel, e tanto mi bastava. Mancava solo il terzo numero della serie “ufficiale”, quella in formato A4 – e siccome piove sempre sul bagnato, poche settimane dopo ricevetti una nuova email dal mio contatto genovese, che si scusava tanto per essere svanito senza preavviso. Colpa di un trasloco… proprio nella mia città! Se ero ancora interessato, potevamo incontrarci in qualsiasi momento per integrare anche la sua collezione. Che conteneva proprio il numero mancante. Nel frattempo avevo però altro da fare. Dopo tanti anni, la mia prima preoccupazione fu infatti digitalizzare ogni pagina per preservarla in eterno. E nel farlo cominciai a notare alcuni particolari piuttosto strani… Caccia all’autore Sfogliando con lo sguardo di un adulto le varie edizioni di Lady Cruel di cui ero entrato in possesso mi saltarono subito all’occhio alcune caratteristiche che permettevano di decifrare un po’ meglio l’enigma che ancora circondava questa serie misconosciuta. La prima è che l’edizione originale fosse sicuramente quella in formato A5, composta da un numero minore di pagine e con uno svolgimento assai più coerente rispetto alla pubblicazione di dimensioni maggiori – da cui sono tratte le scansioni presentate in questo ebook per via della migliore qualità di stampa. In quest’ultima versione compaiono infatti parecchie tavole che sembrano essere state inserite in un secondo tempo per “allungare il brodo”, facili da distinguere per la composizione differente l’uso massiccio di elementi scopiazzati senza riguardo da autori celebri quali Crepax, De Mulotto, Pichard e altri. Queste aggiunte sono fra l’altro causa di improvvisi cambi d’abito, dialoghi ancora più sconclusionati del solito, sequenze ripetute e rimontate. Tutto faceva pensare che l’editore avesse voluto sfruttare oltre i limiti una serie originale ormai conclusa, imponendo al disegnatore di realizzare in fretta e furia abbastanza pagine extra che giustificassero la stampa di un paio di fascicoli in più. Questa teoria trovava ulteriore conferma con la tavola finale del sesto episodio, in cui la protagonista stessa compariva a spiegare che «la storia finisce qui, ma mandate i vostri suggerimenti di come proseguirla e fra qualche mese forse riprenderà». La profezia si avvererà poi con l’ultimo fascicolo, intitolato Crudele piacere e palesemente disegnato da un diverso artista, che dal tratto sembrava essersi formato proprio alla scuola italiana dei “fumetti neri”. Guardando meglio, l’origine nostrana di molte tavole veniva inoltre tradita da una serie di dettagli che difficilmente sarebbero potuti nascere da un pennello straniero. Fra questi si possono notare la guida a sinistra della Rolls Royce di Lady Cruel – un po’ improbabile per una storia creata nel Regno Unito – ma soprattutto i tanti strani effetti sonori (‘Wip!’, ‘Strazz!’…) che di inglese avevano ben poco. Benché non potessi esserne completamente sicuro, tutti questi indizi mi convinsero che il motivo per cui nessuno conosceva la serie che tanto mi aveva ossessionato fosse in fondo il più semplice. Con ogni probabilità Lady Cruel doveva essere stato fin dall’inizio un semplice fumettaccio italiano diffuso malamente solo nel nostro paese, e Jim Holland solo lo pseudonimo di un disegnatore qualsiasi, che dopo questa parentesi BDSM era tornato a occuparsi di soggetti più tradizionali. Una soluzione così banale avrebbe potuto rappresentare una grande delusione… se non fosse stato per il successo che le mie scansioni avevano riscosso non appena pubblicate in rete. All’epoca non avevo ancora un sito personale, così mi ero appoggiato a quello di un’amica (Anastassja.org, oggi chiuso) per condividere l’opera con gli eventuali altri appassionati. La quantità di scaricamenti registrati nel giro di poche settimane lasciò entrambi sbalorditi, così come il numero di siti di tutto il mondo che si affrettarono a ripubblicare quel fumetto che, evidentemente, continuava a incuriosire nonostante le origini dozzinali e quasi trent’anni di oblio. E non era ancora finita… …e poi arrivò Margot Quando finalmente riuscii a incontrarmi con quel collezionista genovese che mi aveva tanto lasciato perplesso, trovai ancora una sorpresa ad attendermi. Oltre al fascicolo mancante, dai suoi archivi spuntò infatti anche un ulteriore fumetto di piccolo formato, intitolato Margot. L’omonimia con la diabolica assistente di Lady Cruel non è casuale: all’interno si ritrovavano infatti tutti i personaggi della serie principale, in una sorta di seguito apocrifo pieno di novità. Sorvolando sullo stile di disegno incostante e i dialoghi mostruosamente trash, questo nuovo albo introduceva un abbozzo di approfondimento psicologico e – una prima assoluta – perfino una trama! Dopo sette episodi in cui non era accaduto praticamente nulla, in Margot capita di tutto: nuovi personaggi, nuove situazioni, retroscena imprevisti… Anche le pagine di servizio riservano molte interessanti curiosità, a partire dalla prefazione, che cercava un po’ sgangheratamente di prevenire le inevitabili critiche e che copio integralmente: “Nel ricco e fantasioso mondo S/M esistono alcune espressioni che sono sue caratteristiche fondamentali, come il Bondage, il Feticisimo, la Transessualità, eccetera. Non solo nei giochi sessuali però, il sadomasochismo ha le sue chiare preferenze: anche nel campo dell’espressione artistica larga parte del favore del sadomasochista va a quelle forme che meglio corrispondono alla sua personalità. Il fumetto è una delle sue forme favorite. Innanzitutto è molto più astratto dalla realtà di quanto lo possa essere la fotografia e permette quindi di caricaturizzare quei determinati aspetti della realtà stessa che interessa sottolineare. Il lettore “non addetto ai lavori” non deve quindi pensare che i disegni di legature, torture, eccetera siano un’apologia della violenza. Si tratta invece del modo sadomasochista di evidenziare e quindi di denunciare, se vogliamo, la violenza dei rapporti quotidiani abilmente dissimulata sotto certo perbenismo. Con pochi tratti di matita, a esempio, si potrebbe fare un parallelo molto interessante fra braccialetti, collane, tacchi alti, velette, che la donna porta nella vita di tutti i giorni e i corrispettivi strumenti di sottomissione come manette, collari, bende per gli occhi e così via. Si potrebbe parlare di interdipendenza a livello inconscio, ma il discorso diventerebbe troppo serio e impegnativo. Esagerando le proprie “debolezze” in modo così grottesco, il sadomasochista si libera dei suoi complessi e, in fondo, lasciando credere agli altri che questa è la sua realtà, se la ride.” Nelle ultime pagine una rubrica di annunci potrebbe farci riflettere su quanto – o quanto poco – sia cambiato il mondo del BDSM in trentacinque anni. A fianco di coppie scambiste dalle idee confuse e degli immancabili ‘singoli superdotati pronti a tutto’ troviamo infatti inserzioni di dominatrici a pagamento identiche a quelli attuali e… un tapino in cerca di una vecchia Fiat 600, che spiega: «non sono un collezionista di auto d’epoca, ma un lettore squattrinato». Il colophon, dove si può leggere la denominazione legale completa della pubblicazione, riserva poi una nota storica affascinante. Margot era registrato come ‘supplemento al periodico mensile Club n. 1, Edizioni Edivega”. Proprio quel Club che continuerà a essere pubblicato fin nei primi anni del XXI secolo, rappresentando l’unico bastione della cultura BDSM in Italia. La scoperta più importante è però nella notazione agli angoli delle tavole, numerate con ‘3- xx’ – ossia terza uscita della nuova serie, iniziata con quel Crudele piacere che cronologicamente era il settimo episodio di Lady Cruel. Si tratta della conferma che, da qualche parte, ci sia anche un numero 8 nel quale abbia fatto la sua comparsa la perfida Shellia, detronizzando Margot stessa. La ricerca delle pagine mancanti, tanto per cambiare, continuava. Il pericolo di incontrare i propri sogni Diciamo subito che – per il momento – non ho ancora ritrovato né Lady Cruel 8, né il secondo fantomatico numero di Margot. In compenso nel 2005 una curiosa circostanza ha aggiunto un tassello fondamentale nel puzzle al quale ho lavorato tanto a lungo. Conclusa la mia esperienza di regista delle performance BDSM di Revolution, un evento mensile che viene a tutt’oggi ricordato come la prima festa “moderna” per gli appassionati di erotismo estremo, venni contattato infatti da Fulvio Brumatti, con la richiesta di prendermi cura di un altro party chiamato Sadistique e ancora in ottima salute. Visto che nel frattempo le Edizioni Moderne avevano definitivamente chiuso, il luogo scelto per l’appuntamento fu l’ufficio del suo nuovo editore che –sorpresa sorpresa! – altri non era che il vecchio titolare della Editrice Sole. Naturalmente almeno lui ricordava bene Lady Cruel, e chiacchierando dei tempi che furono riuscii a estorcergli nuove informazioni di prima mano. La conversazione confermò in pieno la mia teoria su una produzione tutta italiana. Il vero nome (o meglio il soprannome) di Jim Holland era semplicemente ‘Giangi’, e la variabilità del suo tratto era colpa dell’uso intensivo dell’episcopio, impiegato per copiare velocemente le vignette di altri autori quando bisognava andare in stampa e il tempo stringeva. L’edizione in formato A4 di Lady Cruel era inoltre composta davvero da otto fascicoli… ma non esistendo alcun archivio ufficiale, gli unici a poterne essere in possesso oggi sono solo i collezionisti. La notizia più sconvolgente arrivò però quand’ero ormai sulla porta, pronto ad andarmene. «Sai qual è la cosa più buffa?» mi disse l’editore. «Una volta ero andato in nord Europa per acquistare materiale da pubblicare e con me era venuto anche Giangi. Una sera stiamo camminando per strada, e lui improvvisamente si blocca – rigido come una statua, con gli occhi sbarrati. Io sul momento mi spavento, penso che gli sia venuto un infarto. Poi mi giro a guardare cos’è che sta fissando… Lo so che non ci crederai, ma ti giuro che davanti a noi, vestita con pelliccia e stivali col tacco, c’era proprio Lady Cruel. Identica! Stessa faccia, stessa espressione… Poi lei è salita in macchina e noi siamo rimasti lì come dei cretini, immobili ancora per qualche minuto.» E poi uno si chiede come mai “Jim Holland” abbia smesso di disegnare. Ma ho già scritto fin troppo: colpa di una “piccola” ossessione personale. Meglio lasciarvi a «un singolare, spregiudicato, maliardo personaggio, in un fumetto artistico che è il meglio del sado masochismo mondiale». Così dicono loro.
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