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MEMORIE DI UNA CAGNA

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-triskell-
view post Posted on 3/1/2013, 08:17 by: -triskell-     +1   -1
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Memorie di una Cagna – 7

Qualcosa mi tormentava da quando Lui era uscito di casa. Qualcosa di sottile e insinuante che non riuscivo a capire se era noia, stanchezza o nervosismo.
Fremevo impaziente di non so cosa, camminavo avanti e indietro nella stanza come una fiera in gabbia. Forse era solo colpa del caldo insopportabile! Accesi il ventilatore e mi sdraiai sul divano, con la vestaglia completamente slacciata e un cuscino sotto la testa. Rimasi così, con gli occhi chiusi, l’aria fresca che mi accarezzava languidamente tutto il corpo e il sudore che mi colava a gocce verso le tempie. Allungai una mano sul mio corpo nudo e mi sfiorai distrattamente un seno, poi scesi verso il ventre, scavalcai il sottile nastro del perizoma che indossavo e ripresi il dolce movimento sulle cosce, tracciando immaginari arabeschi con l’indice. Sospirai, sistemandomi più comodamente e poi aprii gli occhi, improvvisamente curiosa di sapere che aspetto avesse il mio corpo in quel momento. Tesi le punte dei piedi, lasciando irrigidire i muscoli delle cosce e dei polpacci, per poterne ammirare i contorni precisi e ben delineati. Poi sollevai la schiena protendendo i seni in un gesto assolutamente narcisistico ma quanto mai eccitante. Non ero forse bella, ma sensuale si, non avevo paura ad ammetterlo, così sensuale che i miei sensi assopiti cominciarono a risvegliarsi. Voltai la testa di lato tentando di distrarmi e vidi il grande specchio che ricopriva quasi tutta la parete. Sapevo bene che il caldo torpore e l’inedia di poco prima mi avevano ormai definitivamente abbandonata. Senza che potessi porvi resistenza la mia mano scivolò languida e sicura oltre l’ombelico, e poi sotto il triangolino di tessuto trasparente. Mi girai aprendo le gambe al riflesso sospirando voluttuosamente, sollevando il sedere perché anche i miei occhi potessero godere di quell’antico rituale di piacere, e tuffai le dita tra le labbra della mia fica, in quel momento ancora chiusa e asciutta. Ne stuzzicai il clitoride e poi mi fermai, per godermi fino in fondo le sensazioni che tutto ciò mi procurava. Ma la voglia cominciava a scatenarsi impetuosa e indomabile e così tornai ad allungare la mano tra le pieghe carnose. Mi guardai compiere quei gesti sul mio corpo come fosse quello di un’altra donna che mi compiacevo di saper far godere con tanta maestria. Pian piano un latteo ruscello cominciò a colarmi lungo le cosce frementi e allora capii, con sicurezza, cosa ero andata cercando tutta la mattina. Vibrai due dita dentro la mia sorcetta affamata, godendomi lo spettacolo, ma ritraendomi non appena sentivo sopraggiungere l’orgasmo, lasciandola così languire come un animaletto boccheggiante di voglia e desiderio. Niente e nessuno poteva farmi godere quanto le mie stesse mani, in quell’istante ne fui quasi certa. Scivolai sul tappeto, di fronte allo specchio, con un cuscino sistemato sotto le reni per avere il monte di venere del mio sesso esposto e offerto come su un altare. Mi piaceva tutto ciò, mi procurava strane sensazioni contrastanti. L’orgoglio di essere in grado di offrirmi da sola il massimo godimento, e la frustrante consapevolezza che non c’era nessuno a godere di tutto ciò, anche solo con lo sguardo. Tornai a strizzarmi impietosamente il clitoride gonfio ed eretto come un piccolo cazzo che, se fossi stata una contorsionista, non avrei esitato a succhiare gloriosamente, ansimando per il fuoco che mi divampava dentro. Dischiusi le cosce e mi allargai la passera. Ormai ero così eccita da volere qualcosa di ben più solido che non solo le mie dita nervose. Mi guardai attorno e adocchiai un oggetto qualsiasi, una spazzola per abiti dal lungo e grosso manico di legno, la cui sola vista mi fece fremere impaziente pregustando la lenta penetrazione.
Mi alzai e barcollando per il desiderio afferrai l’insolito dildo, poi tornai a sdraiarmi sul tappeto con le cosce spalancate. Mi strofinai le setole dure del fantastico oggetto di piacere sui capezzoli già eretti e gonfi, arrossandoli fino a farmeli bruciare. Poi scesi verso le labbra palpitanti della fica e le accarezzai con movimenti circolari e insistenti che mi procurarono brividi irrefrenabili, borbottando frasi destinate a un immaginario amante. Voltai l’oggetto e tentai prontamente di far scivolare il grosso manico nel mio ventre umido, ma trovai resistenza. Deliravo di piacere ma continuavo a protrarre quella deliziosa tortura con un impegno esasperante, ben conscia che più lunga e sottile sarebbe stata la preparazione e più tumultuoso e sconvolgente sarebbe esploso l’orgasmo. Avevo la bocca piena di saliva e una voglia incredibile di succhiare. Cosa non avrei fatto per avere un arrapante cazzo pieno di caldo nettare, da succhiare e leccare per ore intere, fino a strappargli anche l’ultima goccia di sborra, e di anima!
In mancanza di meglio quindi portai alle labbra quell’affare che, seppur inanimato e immobile, era già caldo e bagnato dei miei umori, e aveva il pregio di non afflosciarsi mai. Lo lambii con la lingua quasi fosse stato un cazzo reale, fino a ripulirlo di tutto il succo denso di cui era impregnato. Tentai anche di succhiarlo, ma era troppo grosso per la mia bocca, seppure ben allenata. Tornai quindi ad indirizzarlo verso la fica vogliosa, e trovandola ora più che ben disposta, non persi tempo e con entrambe le mani lo affondai con forza, completamente. Urlai di dolore e di piacere, tra ansimi e sospiri.
Mi sentivo sfondata ma non rinunciai a guardare sempre riflessa nello specchio, quella mia sorcetta vogliosa e oscenamente squarciata, che sarebbe stata disposta a ingollarsi qualunque cosa le avessi messo dentro! Strinsi le gambe e sentii il duro legno riempirmi e aderire perfettamente alle pareti della vagina. Quindi lo girai e rigirai, saggiando ogni possibile posizione e variante. Poi presi a vibrarlo più velocemente, man mano che la mia nicchia si allargava abituandosi all’intrusione mostruosa, lubrificandosi continuamente per facilitarne il passaggio. Lo accolsi interamente e quando lo vidi finalmente sparire, quasi inghiottito lasciando esposta la sola spazzola, non potei più resistere. Troppa fame aveva quella piccola gatta in calore che mi si dibatteva tra le cosce, implorando di godere o di essere uccisa. Con un’ultima stoccata me la riempii a viva forza andando a cozzare contro l’utero, e un urlo di godimento scaturito direttamente dall’anima accompagnò l’orgasmo che mi saliva dalle viscere per poi esplodermi nel cervello, in un turbinio di colori e luci deliranti, che mi lasciarono stordita ed esausta sul tappeto della sala da pranzo.

continua..................
 
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16 replies since 26/12/2012, 15:14   6219 views
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