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MEMORIE DI UNA CAGNA

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-triskell-
view post Posted on 6/1/2013, 10:39 by: -triskell-     +1   -1
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Memorie di una Cagna – 9

“Che ne diresti di scendere a mangiare qualcosa?”, proposi allungandomi nel letto. Era quasi ora di pranzo e un leggero languore mi stuzzicava lo stomaco.
Lui si girò pigramente e dopo avermi dolcemente deposto un bacio sulle labbra mi disse di non muovermi, che ci avrebbe pensato lui alla colazione. Ne approfittai per farmi una doccia veloce e poi tornai a gettarmi sul letto sfatto, godendomi fino in fondo quel particolare momento di tranquillità, più unico che raro dovendo vivere con un uomo così. Poco dopo tornò e senza tanti preamboli mi ordinò di togliermi l’accappatoio, e nuda di sedermi sul letto. Lo guardai stupita.
“Cos’è, un nuovo giochino?”, chiesi maliziosamente, cercando di abbracciarlo.
“Ti sembro uno che ha voglia di giocare?”, rispose con voce dura, sistemandomi alcuni cuscini dietro la schiena. Sinceramente non riuscivo a spiegarmi quell’improvviso cambiamento d’umore. Cosa gli era preso, tutto a un tratto?
“C’è qualcosa che non va?”, domandai timidamente, ben sapendo quanto fosse pericoloso contraddirlo quando aveva simili sbalzi d’umore.
“Sta’ zitta!”, rispose.
Si tolse dalla tasca dei pantaloni un paio di manette e senza esitare mi agganciò i polsi alla testata del letto. “Io non credo di aver voglia….”, protestai ormai stanca di quel suo insopportabile modo di agire. Ma naturalmente non mi lasciò nemmeno finire la frase.
“Non credo tu abbia molta scelta!”, tagliò corto, per poi tornare al piano di sotto senza neppure ascoltare le mie ragioni. Ero furente! Non riuscivo a credere di essere stata proprio io, di mia spontanea volontà, a scegliere di vivere con un uomo simile. Come potevo accettare simili trattamenti? Mi sentivo umiliata e frustrata. A Lui non interessava minimamente cosa desiderassi, teneva conto unicamente del proprio piacere e delle sue voglie.
“Maledetto despota, arrogante e presuntuoso fino alla nausea!”, mormorai stizzita.
“Giuro che non appena mi libera lo prendo a calci nelle palle e poi me ne vado per sempre!”. E in quel momento ero seriamente intenzionata a portare a termine il mio proponimento. Ero stanca di subire i suoi atteggiamenti da dominatore, le sue decisioni autoritarie, le sue angherie e la violenza incontrollata. A volte mi faceva paura, pareva essere capace di tutto, di qualunque gesto che potesse soddisfare la sua voglia di dominio. Mi abbandonai contro i cuscini, con gli occhi chiusi, convincendomi che non era più accettabile una simile situazione. Gli avrei parlato, gli avrei spiegato che il gioco non era più divertente, che si era spinto troppo oltre ormai, che non era nei patti che lui decidesse come e quando scoparmi, infischiandosene delle mie emozioni, trattandomi alla stregua di una puttana da strada. Non sarei mai stata la schiava di nessuno, nemmeno per gioco, di questo doveva convincersene. Sentii dei passi che si avvicinavano strusciando sulla moquette. Bene! Respirai profondamente e mi preparai al discorso e all’inevitabile scontro. Ma quando aprii gli occhi, inaspettatamente, mi trovai di fronte Ramona, la giovane cameriera, che mi guardava con aria indecisa, reggendo il vassoio della colazione. Arrossii fino alla radice dei capelli per l’umiliante situazione. Era stato certamente lui a mandarla da me, perché mi vedesse nuda, vulnerabile, incatenata al letto e costretta a subire lo sguardo incredulo, ma anche divertito, della domestica.
“Che succede? Non avevi fame, tesoro?”, mi domandò lui entrando nella stanza, tutto allegro. Lo guardai con occhi che mandavano lampi.
“Maledetto figlio di puttana”, sibilai tra i denti, “slegami immediatamente!”.
Per tutta risposta si mise a sghignazzare divertito, mentre Ramona restava in silenzio, ma visibilmente confusa. Le prese il vassoio dalle mani, lo sistemò sul letto e cominciò a tagliare la carne. Poi mi chiese di aprire la bocca per imboccarmi.
“Avanti, mangia!”, disse quando mi rifiutai di aprire la bocca.
“Lo sai dove te lo puoi ficcare quel coso?”, esclamai io di rimando, strattonando i polsi nel vano tentativo di liberarmi. Lui tornò ad accostarmi la forchetta alla bocca.
“Ubbidisci!”, sussurrò e il suo tono da despota non fece che accendere di più la rabbia e l’odio che avevo in petto.
“Va’ a farti fottere!”, borbottai sferrando un calcio che mandò all’aria vassoio e stoviglie. Mi guardai attorno stordita e sorpresa io stessa: tra l’urlo di Ramona, le pietanze che erano volate in aria per poi ricadermi addosso e insudiciarmi tutta, non mi ero neppure accorta del violento schiaffo con cui mi aveva colpita. Lo guardai sbigottita mentre mi intimava di non fare mai più una cosa simile.
“E ora mangia!”, urlò premendomi la testa di lato, sui cuscini, perché raccogliessi con la bocca ciò che restava del pranzo. Tentai di scrollarmelo di dosso, di liberarmi dalla morsa delle dita sulla nuca, ma fu inutile. Percepii che avrebbe anche potuto spezzarmi il collo, pur di vedermi cedere. Notai lo sguardo incredulo della ragazzetta, sicuramente resa precedentemente complice della situazione. E allora irrefrenabili lacrime cominciarono a scendermi lungo le guance, lacrime brucianti, dolorose. Me ne sarei andata non appena mi avesse tolto le manette, questo era indubbio. Lo odiavo con tutte le mie forze, come non avevo mai odiato nessuno in tutta la mia vita. Ma singhiozzando, schiacciata contro i cuscini, raccolsi coi denti un pezzo di carne. Non avevo alcuna voglia di mangiare. Avevo lo stomaco chiuso ed ero certa che non sarei mai riuscita ad ingoiare il boccone, ma un nuovo schiaffo mi convinse a ubbidirgli.
“Mangia, piccola stupida”, incalzò mentre io tentavo di ingoiare il cibo raccolto, ben conscia di avere gli occhi di lui puntati sulle mie labbra bagnate di lacrime. E gli occhi della cameriera fissi sul mio corpo nudo, lucidi di eccitazione, che per un attimo mi fecero trasalire, pensando che quella puttanella stava godendo per lo spettacolo che offrivo! Ora la stronzetta non pareva più intimidita dalla violenza della situazione, e sicuramente aveva la fica bagnata vedendomi incatenata come l’ultima delle serve, obbligata a mangiare come una bestia! E i suoi occhi erano diventati alteri, arroganti, almeno quanto quelli di lui. Lui che mi spinse la testa sulla crema di piselli sparsa sulle lenzuola che così mi imbrattò i capelli e tutto il viso, riducendomi uno schifo unico. Non avevo più neppure il coraggio di alzare gli occhi per guardarmi allo specchio di fronte: ero sicura che mi avrebbe procurato altra umiliazione. Questo però parve intuirlo anche lui, perché mi afferrò per i capelli sulla nuca e mi obbligò ad alzare la testa.
“Guardati! Guarda quanto sei bella!”, sussurrò poi con voce roca, stringendomi il collo fino a farmi urlare. Ubbidii e ricominciai a piangere istericamente.
Come avevo potuto permettere a un uomo di ridurmi in quello stato? Quando il gioco era diventato follia e si era trasformato in tutto quell’orrore? Guardai il livido sulla guancia e anche i miei polsi incatenati, sanguinanti dopo tanto strattonare, e mi venne voglia di urlare, proprio mentre Lui si chinava a baciarmi sussurrando che non ero mai stata così eccitante. Mi sembrava matto, allucinato, eppure non mentiva dicendo che mi voleva, perché sentivo bene il rigonfio duro del suo cazzo che, attraverso i pantaloni, mi premeva sulla coscia nuda. Prese a leccarmi le labbra, il viso, ripulendomi a colpi di lingua dalla crema di piselli e dalle lacrime. Chiusi gli occhi e li strinsi forte sforzandomi di non cedere a quel calore languido che mi procurava il suo respiro affrettato sul collo, sulla gola, sul seno. “Non farlo, non farlo, non cedere!”, ripetevo a me stessa come una litania, stringendo i pugni fino a farmi sbiancare le nocche, strattonando le manette perché il dolore del ferro che mi tagliava la pelle mi impedisse di cedere al piacere, a quella voglia assurda e irrazionale che mi stava lentamente assalendo. Eppure lo odiavo. Com’era possibile che il mio corpo rispondesse alle sue carezze? Come si può desiderare un uomo che ti fa solo soffrire?
Aprii gli occhi e mi guardai attorno. Dovevo tornare alla realtà, ricordare l’umiliazione, ma mi trovai di fronte Ramona che lentamente si spogliava mettendo in mostra le sue rigogliose tettone, i fianchi generosi e un cespuglio folto e intricato tra le cosce pallide. Mi guardò con l’aria famelica del predatore che si sta avventando sulla vittima. Era ovvio che si sentiva forte e sicura, e che voleva godersi fino in fondo quella rara posizione di predominio. Allungò una mano per sfiorarmi i capezzoli, e vedendomi trattenere il respiro fece un sorriso cinico, quasi grottesco sul quel viso da ragazza non più che venticinquenne.
“Lasciami!”, mormorai non volendo darle soddisfazione. “Va’ via, brutta puttana!”, gridai scalciandola.
Ma un dolore improvviso tra le gambe mi paralizzò, impedendomi di colpirla. Alzai la testa di scatto, e vidi Lui seduto tra le mie cosce, con la parte finale di un mostruoso cazzo finto tra le sue mani, e la punta completamente affondata nel mio buchetto più stretto e reticente.
“Perché non vuoi che anche Ramona si diverta?”, mi domandò con una voce così dolce, paziente e innaturale che mi diede i brividi, continuando ad afferrare saldamente l’arnese e spingendolo un po’ più dentro.
Ansimai terrorizzata pregandolo di fermarsi, perché altrimenti mi avrebbe di certo ferita. Aveva dimensioni mostruose tanto che più che mezzo di piacere pareva esserlo di tortura! Lui sorrise comprensivo e disse che tutto dipendeva da me: dovevo essere compiacente con loro, altrimenti… Mi guardò con occhi improvvisamente gelidi.
“Altrimenti c’è ben peggio di questo!, esclamò vibrandomi una stoccata che mi penetrò per ulteriori dieci centimetri. A questo punto improvvisamente, non sentivo più le gambe, né tanto meno riuscivo a muoverle. Era come se quel grosso godemichè fosse andato a graffiarmi i muscoli che permettevano di muovere i fianchi, il bacino e le cosce. Non potevo far altro che restare immobile, oppure il dolore mi avrebbe intorbidito completamente la metà inferiore del corpo, quasi anestetizzandomi.
“Lo vedi come è buona ora?”, sussurrò a Ramona, “Divertiti !”.
Ma lei si era già gettata sulle mie tette e succhiava come una sanguisuga, mugolando per il gran godimento. “Sei bellissima e così succosa!”, mormorava Ramona riprendendo fiato, per poi tornare a riempirsene la bocca con ingordigia. Poi quando si fu stancata e la sua fighetta divenne così impaziente che neppure la mano che si era ficcata dentro riusciva più a soddisfarla, mi si sistemò sopra la faccia, con le gambe larghe e abbassò la sua nicchia di carne piena di ciprigna sulla mia bocca.
“Lecca per bene, adesso! Ho tanta voglia di godere e farti bere il mio succo”, borbottò con una voce da bimba capricciosa.
Io guardai quella tana scura che mi si avvicinava, che mi copriva il viso fin quasi a soffocarmi e avrei voluto allungare subito la lingua, così come avevo sognato di fare tante volte. Avrei scoperto finalmente il piacere di slappare una donna, ma questo lei non doveva capirlo. Io la odiavo, così come odiavo lui, non avrei dato a nessuno di loro due la soddisfazione di vedermi infoiata come una cagna, dopo tante angherie. Così, invece di leccare, strinsi i denti e le morsicai il clitoride grosso e gonfio come una nocciola. Lei lanciò un urlo da animale braccato, poi istintivamente balzò indietro e mi guardò con occhi di fuoco. Balbettava dalla rabbia e dopo lo smarrimento mi si lanciò contro come una furia.
“Ora te la faccio passare io la voglia di essere tanto ribelle!”, esclamò, quindi tolse dalle mani di lui il rigido gingillo e se lo fissò alla vita. Con una spinta mi fece rotolare su me stessa e mi si mise con il culo all’aria, dopodiché tornò a puntarmi il cazzo finto contro il buchetto e con una stoccata che la fece gemere per lo sforzo, me lo sprofondò tutto dentro. Gridai di dolore ma non tentai neppure di disarcionarla. Qualunque lieve movimento mi faceva boccheggiare di dolore, come avessi un bastone rigido che mi perforava l’intestino. Così rimasi immobile e non potei far altro che prenderlo tutto dentro e lasciarmi fottere e trapanare da quella porca scatenata come una furia disumana. Rideva oltretutto! Rideva di me, del fatto che mi lasciavo inculare, di come mi lasciavo rovistare le viscere senza scalpitare o ribellarmi. Alzai gli occhi e mi trovai Lui di fronte, con i pantaloni slacciati e il cazzo che gli si ergeva rigido e duro ritto sul ventre. Mi guardava fremendo, tanto era eccitato! Eppure non si spostava di un millimetro e lasciava che il glande rosso e ardente come un tizzone, mi sfiorasse la fronte e il naso. D’improvviso ebbi una voglia pazzesca di prenderlo fino in gola, di succhiarlo, di leccarlo lungo tutta l’asta fino a renderlo sensibile e impaziente. Volevo avere la bocca piena almeno quanto il culo!
“Ti stai arrapando finalmente!”, sussurrò la troietta alle mie spalle smascherandomi subito. Trasalii vergognandomi come una ladra scoperta con le mani nel sacco, ma non la smentii. Del resto, come avrei potuto. La mano di lei si era tuffata a tastarmi la fica e mi aveva trovata calda e umida di desiderio. Il dolore nel culo infatti, andava mitigandosi e si trasformava in una nuova sensazione di piacere che non era solamente voglia di fottere, ma anche desiderio di essere sfondata, riempita a forza. E rendermi conto di essere eccitata dal dolore non faceva che arraparmi ancora di più. Spalancai la bocca verso il cazzo duro di lui e lo guardai con occhi imploranti.
“Cosa c’è adesso?”, domandò con tono ironico, “non dirmi che muori dalla voglia di succhiare il cazzo dell’uomo che ti ha legata, picchiata e inculata, e poi regalata come un bel giocattolino, alla propria domestica?!”.
Mi chiesi la stessa cosa, ma fu la mia fica a rispondere per me, allargandosi abbastanza da accogliere il secondo rigido gingillo che Ramona mi ficcò tra le cosce e che mi fece addirittura delirare di piacere, tanto che senza pensarci oltre spalancai la bocca e mi presi sino in gola il suo uccello. Quanta voglia ne avevo, nonostante tutto! Me lo lasciai scivolare fino alle tonsille, per succhiarlo interamente e poterlo stuzzicare a colpi di lingua anche più sotto, dove nascondeva un grappolo morbido e setoso. Lo sentii sospirare e muovere i fianchi incontro alle mie labbra e allora pensai di averlo in pugno, così come Lui teneva me quando morivo di voglia. Staccai la bocca e lo guardai negli occhi.
“E se ora mi rifiutassi di continuare?”, domandai con aria di sfida.
Lui stirò le labbra in una specie di cinico sorriso, poi si spostò alle mie spalle e andò a ficcarlo in bocca a Ramona, che non chiedeva di meglio. Se lo prese in bocca per bene, leccandosi via anche la mia saliva, e poi allungò una mano per accarezzargli il culo e il buchetto sottostante. Ma Lui la bloccò all’istante con un gesto che la lasciò sbigottita. Oltre la mia spalla lo vidi stringere con forza il polso della ragazza, finché non ebbe abbandonato la presa. E allora mi immaginai dietro di lui, dopo averlo legato, impaziente di riservargli quel trattamento che tanto sembrava temere! Ma i sogni purtroppo son sempre così lontani dalla realtà. Lo vidi toglierle il cazzo di bocca, nonostante le sue suppliche, e andarle alle spalle.
“Oh, Signore, ma cosa fa?”, protestò quando lui l’afferrò per i fianchi e le puntò l’uccello contro il culo. Non le rispose e si limitò a vibrare una violenta stoccata che lo fece sprofondare fino all’elsa in quelle carni vogliose, ma anche probabilmente strette e asciutte. Lei urlò e cadendo in avanti tornò a sprofondarmi il grosso affare nel culo e quello più piccolo nella fica, facendomi gridare di dolore e di piacere. Avevo in effetti una voglia pazzesca di godere, ma avrei voluto il mio uomo dentro di me e non un freddo giocattolo. La mia rabbia non faceva che aumentare mentre guardavo Ramona, sofferente ma almeno sfondata da un cazzo vero, caldo e palpitante. La odiai e odiai lui, che le dava la parte migliore di sé infischiandosene della mia voglia, del mio desiderio e anche della rabbia di vedermi tradire sotto gli occhi con una puttanella infoiata, e che ora sembrava prenderci un gran gusto a sfondarmi violentemente, mentre lei si godeva un cazzo vero. Tentai di dimenarmi, di liberarmi ora che il dolore si era attutito dopo tante stoccate, ma lei mi afferrò i fianchi, si ancorò a me, affondandomi le unghie nella carne e mi tenne incollata a sé, così che ogni stoccata di lui colpisse entrambe. Potei ben sentirlo quindi allorché accelerò i colpi e vibrò insaziabile e impaziente in lei, e lei in me. Ero completamente aperta ormai, del tutto ricolma, sia nella fica che nel culo, e i due rigidi oggetti che si tuffavano contemporaneamente nel mio ventre erano come una enorme mano che chiudendosi a pugno mi apriva, mi sondava in profondità e poi si ritirava, ma solo per tuffarsi ancora e ancora.
“Godete cagne!”, gridò lui con voce roca. “Ululate insieme, voglio sfondarvi entrambe con un sol colpo!”.
E infatti poi vibrò l’affondo decisivo, quello che lo spinse fin dentro lo stomaco della troietta che, a sua volta, sprofondò coi suoi preziosi orpelli nel fondo delle mie viscere. Venni, nonostante la rabbia di dover sentire gli spasmi di Ramona che riceveva intanto le dense colate di sperma di quello che era stato il mio uomo, e nonostante la frustrazione di essere stata solo un giocattolo utile al piacere sadico di entrambi. Mi girai a guardarli. Erano l’uno sull’altra, ansanti, abbandonati alla calma che segue la voglia soddisfatta. Completamente dimentichi di me che, seppur distrutta dal violento orgasmo, ebbi ancora la voglia di prendere una decisione definitiva: il mattino dopo me ne sarei andata per sempre!

continua................................
 
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16 replies since 26/12/2012, 15:14   6219 views
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