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Happiness in Slavery

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view post Posted on 2/1/2016, 17:52     +3   +1   -1
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Riporto un breve saggio di Manolo Farci che si trova in rete e che potete scaricare gratuitamente a questo link:
http://www.academia.edu/10787813/Happiness...tidiana_al_BDSM
Si tratta di un contributo interessante, su cui si può essere d'accordo o meno, ma che vale la pena leggere e commentare.
Buona lettura.


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Happiness in Slavery

La via quotidiana del BDSM

(Un ringraziamento speciale va a Fulvio Brumatti e Stefano La Forgia per i loro preziosi consigli)



di Manolo Farci

(Assegnista di ricerca presso l’Università degli Studi di Urbino Carlo Bo)



If you want a lover
I'll do anything you ask me to
And if you want another kind of love
I'll wear a mask for you


Leonard Cohen, I'm Your Man


Storytelling BDSM

Viviamo in un’epoca in cui le storie sessuali paiono non avere più confini: l’accessibilità garantita dai cambiamenti del contesto mediatico e la crescente tendenza a dirsi tutto senza segreti ci ha progressivamente trasformato in esperti narratori di una società attraversata da rivoli di racconti sessuali sempre più diversificati (Plummer 1995). Ma le storie si modificano nel corso del tempo. Mentre negli anni Sessanta e Settanta, prevalevano le narrative del coming out delle identità gay e lesbiche, del movimento delle donne e delle pratiche di self help, oggi emergono, piuttosto, nuovi racconti che rigettano ogni naturalismo e determinismo, si alimentano di immanenza e ironia, utilizzano la complessità e il continuo slittamento di prospettiva per definire un mosaico di frammenti, iperbolici ed eccessivi, indeterminati e meta-riflessivi. Tra i soggetti che sembrano alimentare maggiormente questo storytelling sessuale vi sono i praticanti delle forme di BDSM consensuale che si organizzano attraverso gli strumenti offerti dalla rete. Svecchiato rispetto all’originaria matrice psicoanalitica – in particolare grazie al recente interesse maturato dagli studi sociali nei confronti del fenomeno (Weinberg 1995) – il sadomaso vive attualmente una sorta di paradossale notorietà. Negli anni Sessanta, il feticismo aveva trasformato l’erotismo estremo in una ispirazione creativa per la moda e i consumi (Steele 1996). A partire dagli anni Novanta, il BDSM diventa una vera e propria narrativa sociale diffusa nei media di massa. Il sadomaso inizia a saturare la cultura popolare apparendo sempre più spesso e nei più svariati contesti: dalle pubblicità di arredamento ai videoclip di musica pop (Weiss 2006). Un’ampia costellazione di differenti eventi mediatici – le prime inchieste giornalistiche su Cosmopolitan; il dibattito emerso a seguito del famoso Spanner Case (Weinberg, Magill 1995); lo sfruttamento dell’immagine della dominatrix nelle pubblicità; i siparietti comici delle commedie cinematografiche o i documentari dal velato accento pruriginoso – ha contribuito a regolamentare e spesso banalizzare il fenomeno, facendolo rientrare nel novero delle perversioni più stravaganti: un freak show di cui, al massimo, si può sorridere (Wilkinson 2009). L’aumento di pubblicità, film, canzoni, fatti di cronaca ed eventi che fanno riferimento al BDSM non ha avuto alcun effetto concreto sull’aumento del livello di accettazione e comprensione del fenomeno. In realtà, il sadomaso è reso accettabile solo quando viene ricondotto nel recinto della sessualità normativa, eterosessista e monogama – accettazione per normalizzazione, e comprensibile come sintomo di una devianza non voluta, legata ad una esperienza di disagio interiore – comprensione per patologizzazione (Weiss 2006). Non a caso, il discorso terapeutico continua a valutare il sadismo e il masochismo come parafilie, descritti alla stregua di disordini sessuali, senza cogliere la peculiare distinzione tra pratiche consensuali e non consensuali e la miriade di preferenze erotiche, combinatorie possibili, scenari individuali e terminologie utilizzate per descriverli. Non stupisce che “gli scienziati non sono riusciti a produrre una precisa definizione del sadomasochismo” (Moser, Madeson 2000: 26), ma si sono limitati a definire un soggetto psico-medico sadomasochista che ha davvero scarsa relazione con le persone quotidianamente coinvolte nei giochi di dominazione e sottomissione (Langdridge 2006). Nonostante la recente visibilità acquisita dal fenomeno, dunque, la maggior parte di queste rappresentazioni offrono una versione radicalmente de-sessualizzata dell’erotismo sadomaso. A dispetto di tutto ciò, la proliferazione su internet di spazi dedicati al BDSM – community, social network, blog – sembra costituire una narrativa sessuale inedita: quella di uomini e donne che, sebbene non riconoscendosi in alcuna tradizionale comunità di appartenenza – che sia omosessuale, lesbica o gay leather (Kamel 1995) – vivono la propria identità sessuale attraverso la scelta di precise pratiche sadomaso. La rete ha contribuito alla diffusione del BDSM come nuovo spazio di socializzazione erotica, che non si fonda più sul modello della confessione terapeutica o del coming out – retaggi narrativi di un processo di medicalizzazione della devianza – ma si compone delle scelte personali e delle forme di partecipazione collettiva che coinvolgono gli stessi praticanti sessuali. Il web permette una presa di parola da parte di coloro che le parafilie non le spiegano, ma le praticano e le testimoniano in prima persona, non tanto per esporsi scandalosamente o turbare l’opinione comune, ma per condividere la propria “devianza”. “Questa viene dunque esibita in spazi di normalità e naturalità che la separano definitivamente, almeno per coloro che se ne fanno spettatori e complici, dalla preclusione sociale” (Stella 2011: 91). In tal modo, il racconto del profano surclassa il sapere dello specialista, non vi si riconosce più, né ha bisogno di confrontarsi con esso: semplicemente ne fa a meno. Le stesse terminologie mediche con cui storicamente si sono etichettate le parafilie non vengono rimosse o colpevolmente disconosciute: sono riscritte, utilizzate come strumenti che offrono griglie interpretative entro cui potersi riconoscere, terminologie necessarie per attribuire un nome condiviso ad esperienze simili. Nickname come maxannusapiedi, FetishBoy, sadomaster, masokist50 dimostrano il modo in cui la devianza sociale non è più interiorizzata, ma accettata come un semplice gioco semantico, di cui se ne erotizza il significato. “Nasce un’erudizione sessuologica “bassa”, costruita senza studio, ma sperimentata in forma pratica e diffusa attraverso la rete, in cui gli stessi protagonisti imparano e insegnano” (Ivi, 99).

Lo scambio erotico di potere

Se la vita erotica è, almeno in parte, il frutto di un processo di elaborazione personale e condivisione collettiva, il BDSM è una delle manifestazioni sessuali che più di ogni altra mette in rilievo le pratiche di costruzione sociale che sottendono ad ogni comportamento collegato al sesso. Il sadomaso è, a tutti gli effetti, una forma di interazione sociale, un gioco delle parti che nasce dalla collaborazione attiva e paritaria tra le figure dominanti e sottomesse che vi sono coinvolte: ogni pratica acquista senso solo nel momento in cui viene incorniciata all’interno di una precisa sceneggiatura, come fosse una vera e propria forma di produzione teatrale. La fantasia e la teatralità si riflettono, ad esempio, nei ruoli messi a disposizione agli attori della scena, nelle modalità di relazione che ognuno intrattiene con l’altro, nei tipi di scenari che vengono rappresentati e nel gergo specifico che viene utilizzato (Weinberg 1978: 121). Lungi dal poter essere identificato esclusivamente con la sofferenza inflitta attraverso il dolore, il BDSM è, piuttosto, una attività consensuale e ricreativa, il cui obiettivo è ottenere il piacere di tutti i suoi partecipanti. Non è il dolore in se stesso, dunque, ma ciò che esso simbolizza ad essere erotico: nel sadomaso la violenza è, al massimo, una allegoria delle frustrazioni che puntellano la banalità della vita quotidiana (Kipnis 1996). Le storytelling BDSM che si generano dalle esperienze concrete dei praticanti hanno determinato questo processo di trasformazione discorsiva dall’idea psicanalitica del sadomasochismo come mezzo di raggiungimento del piacere attraverso il dolore, ad un concetto più complesso, in grado di riconoscere il godimento erotico racchiuso in ogni forma di relazione di potere consensuale sancita tra due o più individui (Langdridge, Butt 2005). Mettere in secondo piano la questione della sofferenza o della violenza significa costruire una narrazione sessuale che si distanzi definitivamente da qualsiasi matrice medica e terapeutica e legittimi la pluralità di pratiche – anche le più strane e bizzarri – che possono rientrare nell’alveo della cornice rituale del gioco erotico di potere. Sgombrato il campo da ogni ansia normativa sulle presunte modalità maggiormente adeguate attraverso cui esprimere il proprio erotismo sadomaso, l’elemento che emerge dalle storytelling BDSM è la natura negoziale e reiterata alla base di ogni forma erotizzata di potere. E la mutua consensualità non riguarda solo la definizione della scena che si andrà a costruire – con i suoi rituali, le sue parole d’ordine, i suoi limiti – ma coinvolge le stesse determinazioni di ruolo. Laddove la sintomatologia psicoanalitica pretende di astrarre il sadico e il masochista come strutture di personalità interiorizzate, la pratica BDSM ci insegna che ogni prassi erotica è sempre frutto di un incontro collaborativo dove ognuno dei due attori lavora per ricavare dall’altro tutti quegli elementi che servono ad appagare la propria perversione. Per questo, una sessione di gioco garantirà un intenso coinvolgimento mentale e fisico tra i suoi partecipanti, solamente se dominante esottomesso saranno capaci di adattarsi alle reciproche aspettative di ruolo: d’altronde, un autentico sadico non tollererebbe mai una vittima realmente masochista, così come un masochista non sopporterebbe di sicuro un carnefice davvero sadico (Deleuze 1967). A dispetto di ogni stereotipo e pregiudizio, il BDSM richiede una tale intimità e intendimento reciproco che non è sbagliato poterlo definire un vero e proprio teatro dell’amore e della dipendenza: “quale prova (segnale) di potere migliore dell’infliggere dolore e umiliazione senza che vi sia rimprovero? Quale prova (segnale) d’amore migliore del ricevere dolore e umiliazione senza lamentarsi?” (Traimond 2005: 44).

Il freddo e il crudele

Le pratiche erotiche del sadomaso consensuale derivano necessariamente da contratti, protocolli, regole che le formalizzano e le verbalizzano: nel BDSM, ogni cosa deve essere detta, promessa, annunciata, accuratamente pattuita prima di essere compiuta. Il sadomaso è necessariamente una sessualità ragionata. Questa negoziazione incessante non ha solo la funzione di tutelare l’incolumità e garantire l’appagamento reciproco dei partecipanti. Essa instilla un elemento impersonale e riflessivo nella scena erotica che sottomette la volontà di ogni piacere individuale ad una ritualità astratta, che lavora per dissolvere le strutture sociali normative in direzione della formazione di nuove regole combinatorie (Turner 1982). «Vi è un misticismo del perverso: […] è come in una teologia nera in cui il piacere cessa di essere il motivo della volontà, in cui viene essenzialmente abiurato, disconosciuto, “rinunciato”, ma per essere meglio ritrovato come ricompensa o risultato, e come legge» (Deleuze 1967: 132-133). Nel BDSM, questo severo movimento di sospensione del piacere si ottiene inquadrando la scelta sessuale all’interno di una matrice contrattualistica o di una finzione istituzionale, svuotata però di qualsiasi sovrastruttura sociale, culturale o economica. Chi fa BDSM non si concede semplicemente all’istinto di piacere – meno che mai ad una pulsione di morte di reminescenza freudiana – ma trasferisce questo istinto in una fredda cornice razionale – “ogni tuo errore comporterà dieci frustate” – o lo congela dentro una formula immaginifica – “da questo momento in poi io sarò il re e tu la mia ancella”. É sempre un gioco di calcoli e reiterazioni, una pantomima di sospensioni e rinvii: non a caso, nel BDSM, l’abbandono all’orgasmo è il gesto di umiliazione che si concede al sottomesso. Tutto ciò dimostra quanto il sadomaso sia lontano dall’esuberanza oscena del pornografico. Irradiato dalla severità del sadico e dalla freddezza del masochista, l’erotismo sadomaso non si lascia ridurre alla funzione elementare del godimento sessuale, ma tende a superarsi verso una più elevata responsabilità speculativa: persino l’eccesso e il volgare sono piegati all’astrattezza logica o all’idealizzazione estetica. Svincolato dalla necessità dell’appagamento orgasmico meramente genitale, il corpo intero diventa simile ad una cosa che sente , una veste estranea che trae la propria eccitazione da quel singolare miscuglio di sollecitazioni corporee e riflessive in cui si trova compromessa (Perniola 1994). Tale processo di oggettivazione necessariamente pone sullo stesso piano organismi e cose: nel sadomaso, una frusta e una vagina, un seno e un plug anale sono entrambi flussi catalizzatori della medesima intensità erotica. Le pratiche del BDSM non si esauriscono mai nel semplice dislocamento feticistico – la usuale immagine dell’adorazione della scarpa col tacco – ma mirano a elaborare una sensualità impersonale e sovrasensuale che conferisce all’inorganico la stessa opportunità di produrre eccitazione. Il principio della fabbricazione sessuale – fabbricare scenografie, ruoli, oggetti che possano acquisire una valenza erotica – istituisce una sorta di movimento commerciale all’interno della pratica sadomaso, che si fa beffe del presunto ideale di gratuità che muoverebbe ogni istinto sessuale. Assimilando il gesto erotico al godimento di un bene qualsiasi, il gioco di scambi, diritti di proprietà e mercanteggiamenti che caratterizza il BDSM ci riconduce alla primordiale natura utensilare del nostro corpo, oggetto d’uso per eccellenza, moneta vivente il cui valore di mercato è iscritto nella quantità di piacere capace di produrre nel baratto di sensazioni che avviene tra dominanti e sottomessi (Klossowski 1970). Sebbene il linguaggio della pornografia tradizionale mal si sposa con il BDSM – al punto che il materiale porno sadomaso è spesso ignorato dai veri praticanti in quanto ne appiattisce la complessità agli stereotipi del sesso violento ed estremo (Rubin 1993) – entrambi sembrano condividere la medesima vivificante misantropia. Disconoscendo ogni relazione tra la sessualità e la qualità dell’amore, dell’impegno, e del mutuo rispetto, difatti, il linguaggio pornografico riduce l’essere umano – sia uomo che donna – ad una creatura sessuale, svilendo il rango, la condizione e lo status morale che siamo abituati ad attribuire alle “persone”. Questo processo di disumanizzazione sessuale risulta degradante, solo se aderiamo all’illusione morale di pretendere che ogni individuo debba sempre possedere un valore al di là del sesso, che vada costantemente decantato e riconosciuto, durevolmente alimentato. A tale credenza, la pornografia risponde con una radicale domanda: “essere fornitore di piacere sessuale non è un attributo significante e prezioso, di cui avere speciale cura? Forse dovremmo elaborare una teoria dell’umana dignità fondata sulle nostre abilità sessuali (non “crescete e moltiplicatevi”, ma “succhia, scopa e sii felice”)” (Soble 2007: 60). Non comprenderemmo pienamente il valore del BDSM se non tenessimo conto del fatto che il sadomaso – al pari della pornografia – ci riconduce alla natura essenzialmente oggettivante della sessualità, all’esercizio del potere, all’eccitamento del controllo e della sottomissione, alla ricerca dell’onnipotenza e all’infantilismo primordiale. Nel sadomaso, cioè, prevale quell’amoralità dionisiaca e pagana del sesso che viene spesso celata dal nostro mito dell’amore romantico. Trasformato in commedia e contestazione, il culto del dionisiaco è stato banalizzato negli anni Sessanta. Ma Dioniso è la barbarie e la brutalità della natura: non è semplicemente il piacere, ma il piacere-dolore, il giogo tormentoso della nostra vita in un corpo. Non a caso, ogni orgia dionisiaca si concludeva con smembramenti e mutilazioni: “il paganesimo riconosceva, venerava e temeva il demonismo della natura, e limitava la manifestazione del sesso attraverso formule rituali” (Paglia 1990: 35). Il BDSM è probabilmente l’ultima ritualità pagana che svela quanto il sesso sia sottomesso a quegli stessi principi di coazione e necessità primordiali che caratterizzano la brutalità disumanizzate del biologico, lo spietato divenire della natura pagana. “Nel dionisiaco non c’è la dignità della persona immaginata dal pensiero progressista. Il dio dà apertura, ma non diritti civili. Nella natura siamo dei condannati senza appello” (Ivi, 127).

La carriera sadomaso

La maggior parte delle pratiche BDSM necessita di essere inquadrata all’interno di un preciso contesto (Weinberg 1978): al pari di qualsiasi altra organizzazione sociale, il BDSM dipende dai significati culturalmente prodotti, appresi e condivisi da coloro che vi prendono parte. Riviste, feste, seminari, incontri culturali a tema hanno avuto la funzione storica di normalizzare i comportamenti “devianti” e celebrare un sentimento di appartenenza collettiva tra i suoi partecipanti. Da semplice pratica sessuale, il sadomaso si è trasformato in una vera e propria ideologia sottoculturale (Thornton 1995), uno strumento attraverso cui i membri di una comunità circoscrivono il proprio gruppo di appartenenza e si distinguono rispetto a tutto ciò che non rientra nel novero dei loro valori e delle loro consuetudini sociali. Come ogni sottocultura che si rispetti, anche nelle comunità sadomaso le forme di accettazione e determinazione di status derivano dal possesso di un preciso capitale sottoculturale. Nel caso del BDSM, tale capitale si acquisisce principalmente attraverso le conoscenze e le abilità pratiche apprese con l’esperienza di sessioni a cui si è preso parte come dominante, sottomesso o switch, l’utilizzo di una specifica attrezzatura, l’adozione di un look e un abbigliamento particolari, la cultura necessaria a costruirsi un profilo in grado di rievocare suggestioni letterarie, cinematografiche, mitologiche o esoteriche. Sapere applicare le più complesse tecniche di bondage, conoscere bene tutti i rischi dell’uso della cera calda sulla pelle nuda, avere un arsenale di costose e raffinate fruste, acquistare oggetti inusuali o essere addirittura capaci di costruirsi da soli i propri utensili di gioco: ognuno di questi elementi rappresenta un bene culturale in grado di accrescere quella reputazione e fiducia necessari affinché si possa prender parte attivamente all’interno dell’universo BDSM. Pur non prevedendo discriminanti di classe, genere, età, etnia o provenienza geografica, il sadomaso richiede un investimento di tempo, denaro e conoscenza personale sicuramente maggiore rispetto ad altre pratiche sessuali. Gli spazi di discussione e confronto su internet rappresentano una piattaforma privilegiata dove imparare a determinare e gestire in modo più agevole il proprio percorso sadomaso: grazie alla rete, si inizia a prendere sempre più consapevolezza del fatto che cultori del BDSM non si nasce, ma si diventa. Difatti, come dimostrano alcuni studi etnografici, i membri di tale comunità non decidono di appartenervi in quanto si percepiscono come sadici o masochisti, ma perché sentono di vivere una condizione di differenza costitutiva rispetto alle interazioni sociali eteronormative che caratterizzano gli spazi istituzionali della sessualità (Newmahr 2008). Il web offre a costoro non solo la possibilità di confrontarsi con persone che condividono scelte sessuali simili, ma anche l’opportunità di contribuire alla costruzione di una storia e di una memoria collettiva che, pur alimentandosi di miti, narrative, simbologie attinte dai più svariati contesti socioculturali – dalla medicina alla musica pop – lascia ad ognuno la libertà di aggiungere creatività e iniziativa personale. Su internet, quindi, il BDSM diventa un vero e proprio collante narrativo disponibile all’esplorazione e alla creazione intellettuale da parte di coloro che volontariamente scelgono di farne parte. L’anonimato rende più facile a chiunque – a prescindere dalla propria identità sociale di appartenenza – di avere accesso ai materiali sadomaso e di formarsi una propria competenza, anche solo consultando i discorsi che circolano sulla rete. Ciò determina un profondo cambiamento nel modo in cui si costruisce la propria carriera sadomaso. Se in passato una persona doveva anzitutto definire una identità – solitamente aderendo agli stilemi leather tipici dei club a tema (Kamel 1995) – per poi fare il suo ingresso all’interno di una specifica comunità dove imparare a gestire gusti, inclinazioni e limiti, adesso, attraverso la partecipazione alle comunità di internet, un individuo può formarsi una idea dei tipi di comportamento BDSM ai quali è interessato, confrontarsi con le persone che condividono inclinazioni a lui affini, e successivamente adottare un’identità che gli consenta di agire nel mondo reale. Tale meccanismo ha offerto a soggetti sociali un tempo esclusi dall’universo sadomaso – come le donne eterosessuali con tendenze alla sottomissione – una maggiore opportunità di esprimersi e prendere attivamente parte ad una comunità BDSM (Wiseman 2008). Allo stesso tempo, la rete ha garantito visibilità e reputazione a pratiche espressive che non necessariamente affondano le proprie radici dentro l’immagine della leather culture veicolata dalla comunità omosessuale o lesbica (Rambukkana, 2004). Basti pensare al fatto che pratiche come il ballbusting, le cinture di castità per l’uomo, il pony girl o il tickling, pur non costituendo una novità, grazie ad internet assumono un carattere talmente autonomo e articolato da svincolarsi dalle tradizionali categorie del feticismo, della dominazione, della sottomissione. Il bondage, ad esempio, diventa una specifica disciplina artistica, insegnata in scuole e corsi dedicati, con particolare accortezza alle precauzioni necessarie a preservare la sicurezza delle costrizioni che si andranno a realizzare. Allo stesso tempo, però, la diluizione del significato del sadomaso in rivoli di pratiche, gusti e opinioni personali rischia di ridurre il BDSM a mero contenitore dove inserire quelle perversioni più strambe e stravaganti che proliferano grazie alla rete: dalle più effimere e innocue alle più pericolose e violente. Ciò rappresenta un duplice ostacolo al difficoltoso processo di definizione di una specifica sottocultura sadomaso. Da un lato, il BDSM viene invaso da un esercito di novelli praticanti che, ignari del fatto che una sessione richiede pianificazione, abilità e sacrificio per acquisire le competenze necessarie, si limitano a dar sfogo alla propria voglia di trasgredire con qualche forma di sesso estremo, trattando spesso i partner coinvolti come meri strumenti delle proprie fantasie masturbatorie. Ciò spiega perché l’incremento di annunci e occasioni di incontro garantiti dal web non si converte automaticamente in rapporti soddisfacenti, dal momento che “si può dialogare solo se si conosce la lingua” (Brumatti 2011). Dall’altro lato, si divulgano sempre più teorie e pratiche che rendono il sadomaso simile ad “una sorta d’attività ginnica, una specie d’incontro di boxe dove quello che prevale è la fisicità d’un rapporto in cui uno picchia e l’altro gode nell’essere picchiato” (Blue Deep 2011). Tali fraintendimenti alimentano il recente dibattito attorno al tema della sicurezza nell’ambito del BDSM che vede contrapporsi i sostenitori della famosa triade del SSC (Safe, Sane and Consensual) rispetto a coloro che ritengono più adatta la formula del RACK ( Risk Aware Consensual Kink ). Nato all’interno della comunità omosessuale newyorkese negli anni Ottanta, il SSC ha avuto l’indiscutibile merito di aver accelerato la definizione di un immaginario erotico legato al sadomasochismo consensuale e non coercitivo. Tuttavia, sebbene tale slogan sia stato rivisto e corretto – con l’implementazione di altre regole come la maggiore età, la piena capacità di intendere e volere, l’assenza di lesioni guaribili in un tempo superiore ai venti giorni (Brumatti 2010) – molti ritengono che l’enfasi eccessiva posta sulla sicurezza e la consensualità conduca ad una vera e propria “vanillificazione del SM” (Stein 2002). Da qui emerge la recente proposta di sostituire all’idea del sano, sicuro e consensuale il meccanismo del consenso informato: nel RACK, qualsiasi attività non viene considerata contravvenente a presunti principi di sanità e sicurezza, purché entrambi i partecipanti siano bene informati dei rischi a cui vanno incontro (Switch 2001). Mentre alcuni sostengono che l’appello ideologico al sano, sicuro e consensuale finisce per ridurre il sadomaso ad una forma edulcorata di sessualità ricreativa e divertente (Warren 2002), altri denunciano che il sostegno a proposte come il RACK rischia di confondere i limiti tra il gioco sessuale e l’abuso di violenza, tollerando la possibilità di avere “fantasie non politicamente corrette” o, peggio ancora, non consensuali. Indebolendo ogni rappresentazione normativa del BDSM, il web offre legittimità ad una proliferazione di definizioni contraddittorie e conflittuali sostenute da comunità di praticanti, spesso in aperto contrasto l’una con l’altra, che rendono sempre più difficile stabilire i confini della sottocultura sadomaso.

Verso una nuova cittadinanza sessuale

Mentre le vecchie collettività sessuali parlavano l’idioma dei diritti politici o legali, da circa due decenni stiamo assistendo alla creazione di nuove comunità di discorso e dialogo che si battono per rendere visibile la propria scelta di essere sessuati, perseguire piaceri e dare vita a nuovi modelli di relazione collettiva: ottenere, insomma, la legittimità di una propria cittadinanza sessuale (Plummer 1995). Il BDSM costituisce, probabilmente, uno dei più recenti esempi di fenomeno sociale che non ha ancora raggiunto quella riconoscibilità pubblica capace di trasformarlo in vera e propria proposta politica: nonostante la crescente visibilità che gode nella cultura popolare di questi ultimi vent’anni, «il sadomasochismo organizzato è al punto in cui era, più o meno, l’omosessualità all’inizio degli anni Settanta» (Traimond 2005: 13). Se, tuttavia, altre comunità come quelle lesbiche o gay possono fondare la loro battaglia di diritti sociali sulle narrative rassicuranti dell’amore e dell’affetto o sulle politiche rivendicative del matrimonio o della famiglia, i soggetti che praticano BDSM appaiono troppo trasgressivi e troppo sessualizzati per poter aver riconosciuta una adeguata considerazione sociale. Il discorso del sadomaso viene solitamente rubricato come una categoria di manifestazioni sessuali estreme e minoritarie oppure considerato parte della natura sessuale più intima schermata al fondo di ognuno di noi: non a caso, la maggior parte dei suoi praticanti si limita a richiedere come diritto costitutivo alla propria cittadinanza sessuale la questione della privacy e della tutela legale delle pratiche di dominazione e sottomissione. Al contrario, sono ancora pochi coloro che mirano a imbracciare totalmente la propria identità sadomaso, che si propongono di trasformare il BDSM in una opportunità pubblica e politica di cui andar fieri, esaltando il valore innovativo che tale sessualità mostra rispetto alle tradizioni eteronormative su cui ancora si attardano gli spazi istituzionali della vita pubblica. Il BDSM può contribuire a promuovere un nuovo modello di cittadinanza sessuale che, anzitutto, mette in discussione l’ideale cameratesco di coppia tradizionalmente intesa, che poggia sul principio dell’innamoramento come “presupposto indispensabile di un legame che durerà tutta la vita e che si svilupperà in una condizione di convivenza, con la speranza di un reciproco appagamento sessuale” (Kipnis 2003: 25). La massificazione culturale dell’idea romantica dell’amore che caratterizza la nostra società ha prodotto quel capolavoro di ingegneria sociale che è la monogamia familiare, la quale attualmente impone una ingombrante ombra di omogeneità mitologica ai diversi modi attraverso cui le persone potrebbero organizzare le loro relazioni interiori e, di conseguenza, svaluta la ricca combinatoria di affinità sessuali che ne emergerebbero. Le pratiche BDSM possono dare sicuramente un contributo nel mettere in discussione, in qualche modo, le gerarchie tradizionali attraverso cui definire la nozione di famiglia e aprire all’opportunità di sviluppare nuovi esempi di intimità collettiva come il poliamore, lo scambismo, il cuckoldismo, il group-sex. In secondo luogo, il BDSM offre una modalità di comprensione della sessualità meno univoca e meno fondata sull’identità di genere: “il BDSM è un mondo anti patriarcale per natura. I suoi primi organizzatori sono stati gli omosessuali dei due sessi: travestiti, transessuali, feticismo dell’abbigliamento femminile o maschile, regressione infantile, ecc. sono persone o attività ordinarie” (Traimond 2005: 60). Il sadomaso è un universo caratterizzato dall’ambivalenza dei ruoli sessuali: i tradizionali marcatori della femminilità e della mascolinità appaiono sbiaditi da un velo di implicita androginia che sembra scorrere al fondo di numerose storytelling BDSM (Newmahr 2008). Nelle pratiche sadomaso, non solo non vi è nulla di anormale nell’idea di un uomo passivo e sottomesso a una donna, ma nessuno sente l’esigenza di etichettare tale comportamento come non maschile. Scardinando ogni connessione tra desiderio e identificazione, il BDSM costituisce una vera e propria esperienza queer, dove non tutte le dimensioni della scelta sessuale hanno connessioni esplicite e caratteristiche con il genere e l’orientamento omo/eterosessuale (Sedgwick 1990). Apparentemente il BDSM pare non disconoscere tali binarismi – per certi aspetti li esaspera: il gioco di umiliazione di uno schiavo penetrato con lo strap on o di una rape gang organizzata per la propria sottomessa riportano ad una categorizzazione eterosessista dei termini attivo e passivo, strettamente collegati alla definizione etero/omosessuale e al binarismo di genere. Tali attività, tuttavia, appaiono talmente ritualizzate e drammatizzate da diventare simili ad una performance stilizzata di atti che hanno perso ogni matrice di presunta naturalità. Mettendo in scena nient’altro che una parodia del maschile o del femminile, queste pratiche rivelano quanto il genere sia solo una fantasia, una finzione regolatrice che l’ideologia eterosessuale spaccia come fondamento naturalizzato (Butler 1990). Si racconta che, sin dal 1975, il filosofo Michel Foucault si era gettato con entusiasmo nello scenario sadomaso di Folsom Street a San Francisco in California, galvanizzato da quello spettacolo dell’eccesso che rappresentava per lui una specie di magica “eterotopia”, un felice limbo di non identità. Nei sotterranei pieni di fruste, catene e celle, nelle saune dove si praticava sesso occasionale di gruppo, il filosofo francese si confrontò, come mai prima, con la sua attrazione di sempre per l’indicibile, lo stupore, l’estasi che nasce dall’annullamento della volontà, dalla violenza pura, dal gesto senza parole (Miller 1993). Per Foucault, tuttavia, queste esperienze-limite non furono una semplice questione di divertimento, ma ebbero un’importanza significativa dal punto di vista filosofico. Lungi dal ridursi a mere rivelazioni del nostro inconscio, le pratiche sadomaso generavano una nuova verità erotica che, svincolata da quell’identificazione invalidante di noi stessi con il nostro sesso-desiderio (o sesso-genitale), si fondava su un ritorno al corpo e ai suoi piaceri (Foucault 1976). Tale opportunità emergeva grazie a forme di sperimentazione sessuale che andavano dalla trasmutazione del dolore in estasi – come nel caso della fustigazione – alla produzione di sensazioni asessuali e prive di orgasmo – come nel fist-fucking; dall’erotizzazione di un rapporto strategico basato su una stilizzazione delle strutture di potere padrone-schiavo, sino alla possibilità di creare un contesto sessuale dove essere, finalmente, nient’altro che corpi con i quali stabilire nuove combinazioni di godimento, liberandosi dal peso del proprio volto, del proprio passato, della propria identità. Per Foucault, il sadomaso offriva l’opportunità radicale di trattare l’identità alla stregua di un gioco, un procedimento per favorire rapporti basati sul piacere sessuale: non rapporti di identificazione, ma di differenziazione, creazione, innovazione (Foucault 1982). Questa idea sembra riaffiorare negli attuali spazi di discussione offerti dalla rete.
Tra la pluralità di storie personali, policentriche e polisemiche che popolano il web, si intravede la prima ossatura di una idea di cittadinanza sessuale in cui il sadomaso non sia più considerato alla stregua di un diritto da difendere, o una pratica di sperimentazione esoterica, ma una vera e propria proposta fondatrice di nuove forme di vita, di relazioni, di amicizia, di etica collettiva. Un’ulteriore riprova di quanto il sesso non sia una mera fatalità, ma l’occasione di accedere ad una autentica vita creativa.


Riferimenti bibliografici

Blue Deep, Scusi, lei è masochista?, www.gabbia.com/boudoir/22/11/2011/scusi-lei-e-masochista/, 2011.
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tiptoed
view post Posted on 8/6/2017, 04:06     +1   -1




c'e' scritto tutto e' esaudiente , penso che ognuno di noi scriverà ancora pagine
tratte dalla propria esperienza , quanti hanno letto questa pagina?
io adesso ci ritorno con piu' attenzione e con il rispetto di chi desidera erudirsi.
Credo fortemente nella liberta' che ogni Master possa dare alla sua interpretazione del BDSM
seguendo ovviamente i canoni del SSC e del rispetto e cura della propria slave.
chiedo scusa se questo mio intervento possa apparire presuntuoso, desideravo comunque esprimere il mio pensiero
 
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view post Posted on 7/4/2021, 12:54     +1   -1
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Molto interessante, è stato piacevole leggerlo
 
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view post Posted on 7/3/2024, 14:51     +1   -1

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