Legami di Seta - Forum Italiano BDSM & Fetish

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view post Posted on 22/12/2022, 11:44     +4   +1   -1
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T.P.E.
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Racconto non autografo trovato sul web. Dal sito di Mitress Elvira Nazzarri, autore schiavo Amos
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1

Mistress Milano. Due parole possono cambiarti la vita?
Un torrido e indolente luglio, la testa quasi in vacanza e di colpo pensieri assopiti, quasi dimenticati, tornano con ineluttabile violenza in superficie; non si può fuggire alla propria natura.
Digito perciò le due parole in un misto di rassegnata noia e ostinata speranza. Quante volte ho cercato tra i siti di incontri nel desiderio di trovare una scintilla di quello che scoprii quando anni fa presi coscienza del mio alter ego.
Una fidanzata e la voglia di esplorare i lati oscuri della sessualità, le prime fantasie che prendono forma e la consapevolezza acquisita che la strada per il mio nirvana passa attraverso la mia sottomissione. Ma il mio carattere è ribelle e il mio desiderio di essere reso schiavo passa unicamente attraverso una sconfitta. Solo una donna in grado di accettare lealmente una sfida, e vincerla, può possedermi veramente.
Così negli anni una mistress si è succeduta all’altra, ma nessuna è mai stata in grado di lasciare un segno. In fin dei conti erano solo messe in scena e alla fine, una volta soddisfatto il senso di sete, tutto diventava senza senso.
Mistress Milano. Quante volte ho digitato queste due parole e quante ne ho viste da non avere voglia nemmeno di cliccare sull’annuncio, noiose, scontate, banali.
Mistress Milano, le guardi e sembrano fatte con lo stampino.
Mistress Milano, elenchi infiniti di pratiche senza un briciolo di passione.
Due o tre sopra la media le ho anche trovate ma probabilmente non erano fatte per me. Questione di pelle.
Così, anche in questa serata di un luglio appiccicoso davanti al tablet mi metto in cerca.
Nomi già visti o forse troppo simili tra loro si susseguono, descrizioni piatte senza un briciolo di energia vitale, e il desiderio che incomincia a raffreddarsi.
Poi l’occhio cade su qualcosa di inaspettato, una foto che mi colpisce e uno strano brivido, una sensazione di qualcosa di familiare una descrizione semplice ma diretta, Mistress Elvira.
Le scrivo di getto e attendo. Qualche ora dopo il suono di una notifica mi desta dal torpore che nel frattempo ha preso il sopravvento. E’ la sua risposta, la apro trepidante.
Poche parole: "Ti ho compreso perfettamente, chiamami".
Due giorni dopo sono sotto il suo studio, felice ed elettrico, so che sono a un punto di svolta, lo percepisco.
Apro il portone e sento della musica che proviene dall’alto e che esce dalla porta appena socchiusa in cima alle scale. Salgo con il cuore in gola, entro e per la prima volta la vedo. E’ una visione, la quintessenza di quello che per me è la femminilità, capelli lunghi, scuri, un fisico incredibilmente proporzionato, perfetta nel portamento, occhi dolci, vitali ma che allo stesso tempo non ti lasciano scampo. Quella sensazione che avevo avuto guardandola in foto e leggendo la sua breve descrizione mi ritorna addosso violenta e decuplicata. E’ lei. Mi sorride.
Tra me e lei una scacchiera, la sfida tanto attesa ora è li a portata di mano e tra poco si compirà il mio destino. Le regole sono semplici se vinco amici come prima, se perdo diventerò un suo schiavo. Gioco a scacchi da sempre e mi considero piuttosto dotato e lei mi ha detto di non essere molto portata, così per rendermi la vita un po’ più difficile ho proposto una variante. Ogni volta che riuscirà a mangiare uno dei miei pezzi potrà farmi togliere un indumento a sua scelta. Se prima della fine della sfida dovessi rimanere senza indumenti potrà impartirmi delle punizioni.
Si comincia.
Le prime mosse sono di studio, ma perdo due pedoni. Via scarpe e camicia. Ok, devo stare più attento, ci sa fare. Però ho l’impressione che non abbia una strategia ben precisa, si avventa sui miei pezzi apparentemente senza un filo logico. Ma si sa, a volte l’apparenza inganna…
Mi mangia un altro pedone e un alfiere, via calze e pantaloni. Mi guarda e sorride. Ora sono in mutande e in un attimo realizzo il suo arguto piano di attacco. Non sono mosse scriteriate, vuole confondermi. La sua successiva mossa è spietata, si avventa sul mio cavallo e mi guarda intensamente negli occhi.
«Ora ti togli le mutande caro».
Tentenno.
«Le regole sono chiare, se non lo fai la partita si chiude qui. Toglile immediatamente!»
La situazione è tremendamente imbarazzante ma non ho scelta e con fare impacciato le tolgo.
Ora sono completamente nudo in mezzo alla stanza, contemporaneamente umiliato e eccitato, lei vestita e assolutamente a suo agio mi gira intorno lentamente.
Sento i suoi occhi addosso e ovunque, sono senza difese. Mi guarda e sorride e in quel momento comprendo di essere la sua preda. Poi mi dice sorniona:
«Dai non è ancora finita, fai la tua prossima mossa».
Ora però è veramente difficile concentrarmi e infatti commetto un errore che mi costa il secondo alfiere. E la prima punizione.
«Peccato, non hai più indumenti da togliere …» mi dice divertita.
«Vai alla scrivania e appoggiati, sedere in fuori».
Sulla scrivania sono distribuiti diversi strumenti. Sceglie il cane.
«Dieci colpi, e voglio che li conti”.
Uno, fa male ma è sopportabile.
Due, tre, il dolore incomincia a diventare lancinante ma non voglio cedere e faccio finta di niente.
Il quattro, mi rimane in gola.
Cinque, non c’è tregua.
Sei, le gambe incominciano a cedere.
Il sette mi strappa il primo gemito e mi piego sulle ginocchia.
«Alzati! e stai fermo, altrimenti ricomincio».
Mi rimetto in posizione sapendo che gli ultimi tre colpi saranno infiniti.
Otto, mi viene quasi da piangere.
Nove, urlo: «La prego basta!».
Manca l’ultimo. La sento strofinare il cane sul sedere martoriato e giocare sadicamente con l’attesa. Poi prende la rincorsa e l’ultimo colpo è il più violento. Mi accascio a terra e urlo per il dolore. Lei si gode la scena per alcuni secondi e poi mi ordina:
«Torna immediatamente sulla tua sedia, la partita non è finita».
Faccio fatica a stare seduto per il bruciore e in quel momento capisco di essere già sconfitto, non sono più in grado di concentrarmi sulla partita e lei lo sa benissimo.
Mi ha in pugno e potrà decidere anche la durata del mio calvario.
Cerco di ritrovare la concentrazione ma perdo un altro pezzo. Prende due clamps con pesi e me le applica ai capezzoli. Ride. Ormai è una disfatta. Perdo una torre.
Mi fa posizionare nuovamente alla scrivania e sceglie una frusta di pelle con la sagoma di una mano in cima. Altri dieci colpi e brucia da morire. Inoltre ogni colpo fa oscillare i pesi attaccati ai capezzoli il che rende la terza punizione ancora più dura. Il sedere dopo questi ulteriori dieci colpi è viola. Ma sono costretto a rimettermi seduto al tavolo da gioco. Ovviamente mi fa fuori un altro pezzo, si sta divertendo.
«Ora ti metti a quattro zampe caro il mio campione di scacchi».
Si infila un guanto di lattice e poi prende un tubetto di lubrificante e se lo versa sulla mano. Poi sceglie un grosso plug da un armadio, lo lubrifica e me lo infila fino in fondo senza nessuna pietà.
«Torna a sederti ora» mi dice sempre più divertita.
Ormai sono senza più nessun controllo; nudo, il sedere dolorante martoriato dai colpi subiti, i capezzoli tormentati dalle pinze, seduto su di un plug che viola le parti più intime e di fronte a me una donna bellissima e sadica che gode della mia condizione degradante.
Mi guarda intensamente per attimi che mi paiono un eternità.
Poi afferra la regina e attraversa la scacchiera. Nessun epilogo avrebbe potuto essere simbolicamente più carico di significato.
«Scacco matto! Ora sei il mio schiavo».
Mi sento liberato, tutto quello che ho sempre desiderato è li davanti a me tremendamente reale. Finalmente appartengo a una donna dallo sguardo dolce e fiero che ha saputo piegarmi in modo naturale come nessuna mai. Si avvicina, mi afferra per testicoli e mi trascina in un altra stanza.
«Vieni schiavo, abbiamo appena iniziato».

(continua)
 
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view post Posted on 24/12/2022, 10:53     +2   +1   -1
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T.P.E.
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2

Quella parola, schiavo, pronunciato da una donna mi ha sempre eccitato. Crea distanza ed è in grado di farti sentire poco più di un oggetto. A volte le parole hanno un enorme potere emotivo.
Ma detto da lei, che ne conosce il profondo significato, la distanza contemporaneamente si amplifica e si annulla. Nel nostro territorio di incontro, dove tutto ciò che per il mondo è in apparenza assurdo, per noi è il senso naturale delle cose.
Le sue mani mi serrano i testicoli in una morsa senza via di fuga, mi da le spalle mentre mi trascina senza complimenti attraverso l’appartamento. L’unico rumore il suono deciso dei suoi tacchi. Entriamo in una grande stanza in penombra piena di attrezzi di ogni genere. Poi mi ordina di prendere una valigetta di legno posizionata in un angolo, di metterla per terra di fronte a me e di aprirla. Dentro è piena di biglie di legno. Mi fa inginocchiare sulle biglie, poi prende un bicchiere, mi dice di distendere le braccia in avanti e me lo mette in mano. Lo riempe fino all’orlo, poi prende una sedia, si posiziona di fronte a me e guarda l’orologio che ha al polso.
«Da questo momento hai dieci minuti e se vuoi un consiglio non ne verserei neanche una goccia. Te ne pentiresti molto, ma molto amaramente».
Tra me penso che non sarà una cosa impossibile, ma dopo i primi minuti le ginocchia incominciano a fare male e le spalle iniziano a dare i primi segni di cedimento. Lei si gode la scena divertita.
«Sembra una cosa da nulla invece è faticoso, vero schiavo?».
Sto iniziando a sudare per lo sforzo, vorrei spostare le ginocchia per alleviare il dolore che ogni minuto diventa sempre più insopportabile, ma anche il minimo movimento farebbe uscire l’acqua dal bicchiere. Le braccia sono al limite della sopportazione e iniziano a tremare. Alla fine accade l’inevitabile e alcune gocce cadono sul pavimento.
Lei mi guarda comprensiva e mi dice: «Mi dispiace ma ora comprenderai cosa significa disobbedire a un mio ordine».
Mi strappa il bicchiere dalle mani e mi sbatte il contenuto in faccia.
«Dopo asciugherai!»
Poi mi prende per i capelli e mi trascina davanti a un grosso palo di ferro.
«In piedi!» e mi lega i polsi a delle corde posizionate in cima al palo.
Sento il freddo del metallo sul corpo nudo. Mi lascia li legato ed esce dalla stanza.
Mi guardo intorno, il locale è pieno di specchi e una delle pareti è occupata da una serie di piccole celle di detenzione.
Ci sono corde che pendono dal soffitto, un grosso tavolo di legno in stile liberty, sedie di diversa fattura, tendaggi su finestre e pareti. Poi c’è una specie di sgabello alto, di quelli che si regolano a vite, al quale però, al posto della seduta, è posizionata la sezione di una bottiglia di plastica messa come a celare qualcosa. Mi vedo riflesso in uno specchio che mi restituisce con crudo realismo l’entità della mia condizione. Nudo, inerme e consapevole di appartenere ad una donna che ora può disporre di me senza limiti. Ho paura ma sono anche tremendamente eccitato.
Dopo alcuni minuti sento il rumore dei suoi passi che si avvicinano, poi appare dalla porta con passo deciso e tre fruste in mano.
La prima è una specie di cinghia, la seconda un battipanni, la terza un nerbo di bue.
Me le mostra e con una certa crudeltà mi illustra le caratteristiche dei tre strumenti. Mi dice che il nerbo di bue è tremendo.
«Con quale vuoi iniziare?» mi chiede sorridendo. Come se poi avessi scelta …
Scelgo la cinghia.
Incomincia a frustarmi e ogni volta che mi colpisce fa un rumore secco e violento.
Dopo i primi colpi il dolore mi fa compiere movimenti istintivi come a cercare di proteggermi ma sono legato e riesco solo ad abbassarmi di qualche centimetro o spostarmi alla destra e alla sinistra del palo. Ma non serve a nulla, anzi, peggiora la situazione perché vengono colpite anche zone ancora intatte ed è ancora più doloroso.
Dopo una cinquantina di colpi sono al limite della sopportazione e inizio a implorarla.
«Ti prego Elvira basta! Non ce la faccio più».
«Primo, quando basterà lo decido io. Secondo, tu mi dai del Lei, e non provare più a chiamarmi Elvira. Da oggi in poi ti devi rivolgere a me chiamandomi Padrona. Ti è chiaro schiavo?».
Ora cambia strumento e inizia a colpirmi con il battipanni. Il rumore è diverso e anche il dolore inizialmente sembra più sopportabile, ma non mi da tregua tra un colpo e l’altro e così, in breve tempo, anche questa pena diventa difficile da sopportare.
Infine passa al nerbo di bue e qui il castigo diventa veramente severo.
I colpi sono intervallati con lentezza, appena vengo colpito il dolore aspetta qualche secondo per manifestarsi, poi lo sento crescere in maniera esponenziale e mi arriva fino in gola. Ma come inizia a placarsi arriva inesorabile il colpo successivo. Finalmente, quando sto per cedere, si ferma e mi dice:
«Credo possa bastare, spero ti sia servito di lezione».
Mi slega e mi accascio ai suoi piedi distrutto.
«Bene - mi dice - Questo e il tuo posto, leccami gli stivali schiavo e chiedimi perdono per il tuo comportamento gravissimo!».
Poi mi trascina davanti a uno specchio e mi mostra come mi ha conciato.
Il sedere è viola, ed è cosparso di segni orizzontali sovrapposti e gonfi.
L’immagine in contrasto di noi due riflessi, lei, stupenda e irraggiungibile e io, sconfitto e degradato, mi fa eccitare in maniera violenta.
Lei se ne accorge e sorride beffarda e soddisfatta.
«Ora asciughi il disastro che hai combinato prima».
Mi lega le mani dietro alla schiena, poi prende uno straccio e me lo infila in bocca.
In quel momento suona il citofono e lei:
«Ah è arrivata. Rimani li in ginocchio e aspetta. Anche se dopotutto non penso te ne possa andare chissà dove conciato così, hahaha».
Sento la porta che si apre e in lontananza due voci femminili. Poi passi che si avvicinano e lei che dice:
«Vieni ti presento il mio nuovo schiavo».
No, penso, no può farmi anche questo, è troppo. Mostrarmi in queste condizioni a una sconosciuta. Ma è proprio quello che vuole. E lo fa.
Le vedo sulla porta che mi guardano e mi sento sprofondare dalla vergogna. Ridono. Poi lei mi ordina:
«Forza, comincia ad asciugare il pavimento!».
Io mi butto con la faccia a terra e inizio a strisciare goffamente visto che ho le mani immobilizzate dietro alla schiena. Lentamente arrivo fino ai loro piedi, ho ancora il plug che mi ha inserito prima in bella mostra e non avrei potuto sentirmi più degradato. O almeno così pensavo…
Poi la mia Padrona dice alla sua amica:
«Se hai voglia prendilo pure a calci».
Lei non si fa pregare mi viene dietro e mi sferra un calcio sulle natiche che mi sbatte disteso per terra.
Ridono. Poi mi dice: «Rialzati schiavo!»
A fatica mi rimetto in ginocchio e ricomincio ad asciugare ma poco dopo mi arriva un altro calcio che mi manda nuovamente a terra. Si diverte la stronza, poi mi si piazza di fianco e mi schiaccia la faccia a terra sotto il suo piede.
«Ok - dice la mia Padrona alla sua amica - ora siediti lì che ti mostro qualcosa di molto divertente».
«In piedi schiavo!».
Mi slega le mani da dietro la schiena e me le lega in alto ad una corda che pende dal soffitto. Mi mette una ball-gag. Poi mi sfila il plug che avevo da prima e si avvicina allo strano sgabello che aveva attirato la mia attenzione. Toglie la bottiglia che celava un enorme fallo stilizzato di legno. Come lo vedo la mia espressione deve gratificarla molto.
«Ti sembra grande?»
Io annuisco preoccupato, non posso credere che mi voglia impalare con quell’arnese enorme.
«Beh non sembra, lo è. Ma ce lo facciamo entrare, te lo assicuro».
Mi lega i piedi alla base di legno così non ho scampo. Poi mette un preservativo sul fallo e lo cosparge di lubrificante, infine fa ruotare la vite in legno dell’ex sgabello e mi spinge indietro facendo in modo che il peso del mio corpo sia distribuito in tre punti; le mie gambe e l’impalatore appoggiato sul mio ano.
Lentamente ma inesorabilmente le gambe cedono e diventa molto difficile non aumentare la pressione sull’impalatore.
Mi sento sempre più aperto, dilatato ma capisco che è inutile lottare, aumenta solo il dolore.
Così quando mi arrendo e i muscoli si rilassano lo sento penetrare completamente. Ora è dentro.
Le mie aguzzine sono sedute di fronte a me e si godono lo spettacolo. Mi sento privato di ogni dignità, umiliato.
Cerco di oppormi ma ormai il palo non trova più resistenza e vengo penetrato sempre più in profondità.
L’amica si alza e viene a guardare dietro quanto è entrato e mi dice:
«Scommetto che ti piace».
Poi prende la borsetta che aveva in mano e me l’appende sul pene eretto.
«Ecco a cosa serve questo».
Torna a sedersi e incominciano a chiacchierare tra loro come se non ci fossi mentre io sono li di fronte a loro a soffrire.
Escono dalla stanza e dopo un po’ tornano con un drink in mano e mentre lo sorseggiano continuano i loro discorsi lanciandomi fugaci occhiate ma cariche di significato.
Sempre più penetrato dal palo di legno inizio a implorare pietà ma la ball-gag che ho in bocca mi fa emettere un gemito scomposto.
Lei mi guarda e mi reguardisce:
«Non sai che è estremamente maleducato interrompere due persone che stanno parlando? Stai zitto!»
Ma non ce la faccio più, le gambe mi tremano, il culo mi sembra esplodere e inizio a singhiozzare e a urlare:
«La prego pietà Padrona».
Allora mi toglie la ball-gag e mi chiede: «Sei disposto a fare tutto ciò che ti chiederò se ti libero?»
«Si, Padrona farò qualsiasi cosa! Qualsiasi».
«Bene, lo hai voluto tu, poi non provare a lamentarti».
Mi libera i piedi e poi mi aiuta a sollevarmi e a sfilarmi dal palo del supplizio. Poi mi scioglie anche le corde intorno ai polsi e cado a terra sfinito dalla terribile prova. Mi lascia li sul pavimento ed esce dalla stanza.
Dopo qualche minuto la sento tornare. Ha un grosso bicchiere in mano colmo di un liquido paglierino. Non c’è bisogno di essere un genio per capire di cosa si tratta.
Lo poggia per terra, poi si toglie una scarpa ci immerge il piede e seccamente mi intima:
«Vieni qui e lecca!»
Striscio fino ai suoi piedi e memore del supplizio appena subito lecco senza esitazione. Ma è solo l’inizio dell’ordalia perchè subito dopo mi dice:
«Ora te la bevi tutta! E non provare ad esitare, se no ritorni sull’impalatore per mezza giornata» .
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Afferro il bicchiere. E’ caldo. Lo guardo e vedo loro che mi osservano in silenzio. Mi faccio forza e sento il liquido che mi sfiora le labbra. L’odore è pungente. Poi il primo sorso e mi viene quasi da piangere. Il senso di degradazione è assoluto. Cerco di non fermarmi tra un sorso e l’altro e di non pensare. Però devo fare due pause per prendere fiato, il che rende ancora più penoso riprendere a bere. Lo finisco. Ora l’annullamento è completo e sento di appartenerle in modo totale.
Allora mi dice «Vieni qui ora».
Mi sposto in ginocchio di fronte a lei e alla sua amica.
«Ora segati! E guardami negli occhi quando vieni».
L’orgasmo è violentissimo e infinito. Per un attimo eterno mi sento proiettato in un’altra dimensione senza tempo. Forse un fugace assaggio del Nirvana. Poi ritorno nella stanza ma tutto è cambiato, la tensione si è dissolta e dentro me c’è un profondo senso di pace. Le sorrido e lei mi sorride.
Esco dalla doccia e la ritrovo sola, seduta sulla sua scrivania.
Accanto a lei una scatoletta.
«Un regalino», mi dice.
Lo apro e dentro c’è un oggetto in acciaio. Ci guardiamo negli occhi senza dire nulla.
«Su dai, indossala».
Poi prende il lucchetto e lo fa passare dentro i due fori. Click…
«Beh, ora si può proprio dire una cosa».
«Che cosa?» Le chiedo.
«Beh, sei mio!»
Ma avrebbe potuto dire altre due parole molto più abusate.
Ora ho la risposta.
Due parole possono farti trovare la strada per la felicità.

FINE
 
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view post Posted on 20/3/2024, 06:58     +1   -1
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La gabbietta deve essere obbligatoria per tutti gli schiavi ogni energia dedicata al servizio della Padŕona
 
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