Legami di Seta - Forum Italiano BDSM & Fetish

L'IKIGAI, femdom 24/7 uomini e donne, servitù, sottomissione, controllo, wc slave (pissing, scat), segregazione, disciplina, punizioni

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view post Posted on 2/1/2024, 14:11     +1   +1   -1
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T.P.E.
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Racconto non autografo, trovato sul web, dal sito mistresselvira.com, autore Dasa
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Aveva ormai assoggettato molti uomini e molte donne, ma solo alcuni fra questi potevano considerarsi i fortunati, quelli che appartenevano alla cerchia ristretta dei suoi servi permanenti. Viveva unicamente la realtà del dominio nella sua pienezza. Ognuno dei suoi schiavi doveva provvedere ai suoi bisogni, versando la quasi totalità dei propri introiti alla Dea e trattenendo per sé lo stretto necessario per mantenere la propria casa, gli alimenti alla famiglia per chi ne aveva una, le tasse e le bollette.
Il cibo era preparato in comune da uno schiavo cuoco e gli abiti di tutti erano scelti dalla Mistress in base al suo gusto. Ciascuno di noi riceveva istruzioni su cosa acquistare, quando la Padrona lo desiderava. Nella schiavitù totale, il denaro non era necessario e quindi veniva tutto consegnato alla Dea, la quale, in questo modo, poteva permettersi una vita di agiatezza in un antico casolare fuori città in cui viveva, circondata dai suoi numerosi servi che dormivano in piccole camerette in una struttura adiacente, una vecchia stalla ristrutturata. L’aveva acquistata e sistemata con il contributo di ciascuno dei sei schiavi, tre uomini e tre donne, che vivevano permanentemente al suo servizio.
Permanentemente per modo di dire. Ciascuno di noi doveva infatti meritarsi quotidianamente con un comportamento impeccabile l’onore di servire la Padrona e la circostanza che uno avesse contribuito agli agi della Padrona in maniera più sostanziosa di altri non era assolutamente garanzia di mantenimento dello status di servo domestico. Proprio la persona che aveva messo i maggiori mezzi a disposizione per l’acquisto e la ristrutturazione del casolare era stata allontanata per gravi violazioni del contratto - ognuno ne aveva infatti firmato uno - e sostituito rapidamente. Una foto pubblicata sui siti specializzati con un breve annuncio che la Mistress ricercava un nuovo schiavo a tempo pieno, per sostituire l’allontanato o aggiungerne uno, e venivamo investiti di richieste di schiavi da tutta Italia, pronti a immolarsi per lei! La selezione preliminare toccava a noi. Un po’ perché la Padrona voleva occuparsi solo della scelta finale, ed era molto esigente al punto da punirci severamente in caso di proposte che riteneva inadeguate. Un po’ invece era la minaccia sottintesa poiché al vedere la lista di persone pronte a prendere il nostro posto con tanto entusiasmo, ciascuno si rendeva conto di quanto facilmente sostituibili fossimo. Conseguenza ne era un maggiore impegno a soddisfarla in tutto, orgogliosi ed eccitati di far parte dell’elite di privilegiati, ma attenti a non perderne lo status. Era una logica psicologica molto sottile da parte della Padrona, una donna riservata tanto che nessuno di noi può dire di conoscerla se non nei limiti di quanto funzionale a fare sempre quello che la soddisfa. Riservata e discreta, ha i suoi momenti in cui preferisce restare sola e il suo stile di vita le aveva permesso di vivere in modo a lei congeniale: autonoma, con molti schiavi che pensano a lei.
Il rapporto femdom professionale comporterebbe degli impegni, agende, scadenze da rispettare, tutte cose che detesta e, più detestabile di tutto, sarebbe quella sgradevole sensazione di esercitare il ruolo di mistress a richiesta, in una logica commerciale, redditizia ma in fondo non vera, non pura. Trovare uno schiavo sufficientemente ricco da pensare a tutto quello che le serviva sarebbe stato facile e funzionale a certi aspetti della vita privata, ma avrebbe rappresentato un vincolo, per il semplice fatto che sarebbe stato difficile anche per lei ottenere sostentamento e agio da uno schiavo che fosse stato allontanato. Decise così di andare in fondo alle proprie volontà: essere una Regina nel vero senso della parola. Padrona di un ristretto numero di schiavi, pronti a tutto per lei e disponibili tutto il tempo.
Cominciò a pensare all’idea del casolare e cominciò a portarmi in giro per le campagne nel circondario della città. Era un po’ quello il mio compito, quello di consigliarla in scelte estetiche. Non mi è mai sembrato di avere gusto particolare per le cose ma, per qualche ragione, i miei suggerimenti facevano sempre scattare in lei una molla che la indirizzava nella scelta giusta. Da principio non capivo cosa avesse in mente e come intendesse procurarsi le risorse necessarie per il progetto che voleva realizzare e che non conoscevo, ma cominciai ad avere certi pensieri mano a mano che, parlando in occasione delle visite, si delineavano vagamente i contorni di un progetto diverso. Soprattutto mi accorsi che stava predisponendomi alla dedizione totale. Non ci incontravamo a pagamento, ma pretese un mensile, molto consistente, che di fatto mi impediva di avere altri svaghi. Inoltre richiese la mia disponibilità totale. Non avevo più una vita privata se non negli scampoli che mi concedeva e pretese l’applicazione rigorosa del contratto, comprese le password di tutti gli account, l’installazione di un app che mi teneva sempre sotto il suo controllo e tutto quello che possa servire a limitare la libertà. Fu una liberazione, non dovevo più preoccuparmi di organizzarmi per incontrarla e attendere che mi rispondesse. Ero semplicemente suo e vivevo in serena attesa degli incontri con la mia Regina, non necessariamente di carattere BDSM, anzi. Più spesso si trattava di commissioni. Avrei scoperto, iniziata l’esperienza nel casolare, che un percorso simile era stato riservato a tutti gli altri.
Quando ebbe finito i lavori, eseguiti da personale estraneo alla cerchia dei suoi schiavi, tanto che nessuno aveva mai visto il luogo in precedenza a parte me in una visita preliminare, ci convocò tutti insieme e ci spiegò il suo progetto.
Era un bel casolare, con un corpo centrale a due piani. Al piano superiore si era sistemata in un appartamento molto funzionale e semplice, la camera dove dormiva, una camera armadio adibita a scarpe e vestiti, un grande soggiorno con cucina di pietra a vista, zona salotto separata ma non in una stanza a parte e uno studio dove dipingeva e scriveva.
A piano terra aveva allestito uno studio, uno spazio molto ampio in cui trovava posto l’area punizioni, con catene, cavalletti, lettini, gogne, sedie da impalamento e tavole da tortura. In un’altra zona invece aveva allestito una classe vera e propria, con banchi di legno in stile scuola del dopoguerra, lavagna e cattedra.
Fummo tutti convocati per un sabato mattina, alle nove.
Presi una macchina a noleggio per raggiungere il luogo in tempo. Era un casolare isolato, poco distante dalla città, facilmente raggiungibile anche con i mezzi, circostanza che sul momento non destò in me molta attenzione ma che era evidentemente decisiva per l’attuazione del suo progetto. Quando fummo arrivati, ciascuno di noi, sebbene avesse ricevuto una convocazione individuale, comprese che gli altri erano lì per la stessa ragione. Fummo tutti imbarazzati dall’incrociare gli sguardi di altri schiavi, esponendo ciascuno la propria identità al pubblico, seppur ristretto e ragionevolmente fatto di persone nella stessa situazione. Fu sicuramente un elemento che creò solidarietà e facilitò la pubblica esposizione della propria condizione. Tuttavia ciascuno, almeno in quella fase, rappresentava un minaccia, un rivale nella conquista delle effimere attenzioni della Dea.
Lei ci accolse vestita in modo del tutto informale con i capelli sciolti. Era primavera e indossava una camicia bianca con una collana colorata, dei jeans e degli stivali di cuoio col tacco basso. Ci diede il benvenuto sorridente e ci invitò a entrare nell’aula.
"Aspettatemi qui in silenzio assoluto, vado a prepararmi e da sopra potrò sentire tutto e vedere tutto quindi vi conviene ubbidire".
Restammo tutti in silenzio per una mezzoretta circa, ciascuno pensando a cosa sarebbe accaduto. Tre uomini e tre donne di età diverse, uniti nell’attesa.
Discese completamente trasformata. Aveva raccolto i capelli in uno chignon, la frangetta le dava un aspetto sobrio e sopra la stessa camicia bianca di prima aveva una giacca grigia completata dalla gonna dello stesso colore, al ginocchio con spacco centrale e décollétées nere ai piedi. Le calze, inutile dirlo, erano di seta con la riga nera. Sedette in cattedra e accese il computer e lo schermo. Come una formatrice professionale, aprì una presentazione in powerpoint nella quale descriveva la casa, poi mostrò un profilo di ciascuno di noi. Imparai i nomi dei miei compagni e alcune caratteristiche come professione, età, provenienza, ruolo come schiavo. Poi passò all’illustrazione del progetto.
Eravamo stati scelti, fra tanti schiavi, come gli eletti, al servizio permanente della Dea, in una nuova vita totalmente diversa da quanto vissuto fino a quel momento.
Immaginai che la selezione fosse stata attenta e ponderata prima di arrivare a quel punto. Cominciai a dare un senso ai cambiamenti dell’ultimo anno e pensare che quell’evento di quella mattina di primavera fosse il compimento inevitabile di un percorso già iniziato, per me e gli altri.
“La vostra vita non sarà più vostra, questa sarà la vostra casa e la vostra prigione. Alcuni di voi si recheranno al lavoro quando necessario, secondo una pianificazione concordata, per il resto lavorerete da qui per garantire il sostentamento della comunità e svolgerete le funzioni domestiche e di servizio alla mia persona. Sarete i miei cuochi, i miei autisti, i miei valletti, le mie vittime, i miei giocattoli erotici. Avrete anche una vita sessuale fra di voi, secondo le combinazioni che via via vi dirò. Non sono permesse storie autonome, ogni volta che farete del sesso, quando, in quanti, come e con chi vi dirò, sarete sempre sotto il mio controllo anche se non assisterò. Adesso tutto questo potrà sembrarvi strano ma la vita di gruppo, il mio controllo totale sulle vostre vite e sulle vostre finanze vi renderanno tutto più chiaro col tempo. È un progetto ambizioso ma è quello che voglio e sono sicura di aver scelto le persone giuste. Siete tutti in grado di assicurare mezzi economici alla riuscita del progetto, tutti di gradevole aspetto, tutti completamente soggiogati alla vostra Signora. Ho studiato a lungo i vostri profili psicologici e il vostro modo di vivere la sottomissione. Non solo siete quelli che preferisco ma siete anche compatibili psicologicamente. Alcuni forse potevano sembrare migliori di voi, per caratteristiche o devozione, ma non li ho ritenuti adatti perché non avrebbero assicurato l’armonia necessaria fra di voi. Sarete una squadra coesa di schiavi, mai in competizione per le attenzioni della vostra Padrona, sempre pronti invece a dare tutto e nella totale devozione a me, vi sentirete uniti in un rapporto quasi religioso. Sarete miei oggetti. Amerete la vostra vita qui e non vorrete più averne una diversa. Per questo vi chiedo adesso, poi non potrete tornare indietro e scoprirete perché, se è quello che volete. Se direte di sì avete 48 ore per portare qui tutto quello che vi serve e, dopo aver ricevuto la mia approvazione della lista di cose che intendete portare con voi, stabilirvi qui per sempre nelle camerette che vi saranno assegnate e che saranno ruotate secondo quanto riterrò opportuno. Se non accetterete queste condizioni sarete irrimediabilmente fuori dalla mia vita perché non intendo più ricevere nessuno occasionalmente.”
Detto questo diede forma a un rituale di intensità erotica indescrivibile. Ci disse di tenere le mani sul banco e il capo reclinato verso il basso. Si avvicinò poi a turno a ciascuno di noi, con le sue splendide mani laccate di rosso alzava il mento di ognuno perché incrociassimo il Suo sguardo e ci rivolse una domanda che aveva qualcosa di battesimale:
"Lo vuoi?"
All’inevitabile "Sì Padrona", replicava:
“Allora inginocchiati, baciami i piedi e giura che sarai sempre devoto alla tua Dea, leale e rispettoso con i tuoi compagni e ubbidiente senza condizioni”.
Poi, con il tacco appoggiato sulla testa ci dava un nuovo nome e con quello ci saremmo riconosciuti e quello fu il nome che ciascuno di noi sentiva proprio.
Quando tutti ebbero giurato in un’emozione elettrizzante che si sentiva nell’aria, ricevemmo la seconda parte della lezione. Regole della comunità, programmi di formazione in aula, tipologie di punizione. Ciascuno di noi ebbe il compito di leggere il testo del contratto che tutti avevamo già firmato individualmente ma che adesso acquisiva una nuova veste e doveva essere adattato in alcuni dettagli e quindi firmato di nuovo. Ne demmo lettura collegiale su indicazioni della Mistress.
A me toccò leggere le sanzioni.
Per trasgressione leggera: ceffoni, sculacciate, frustate, castigo sui ceci, calpestamento, cbt, torture capezzoli, pesi sui testicoli, sospensioni, immobilizzazioni, umiliazioni.
Le sanzioni per trasgressione media: cinghiate, uso battipanni, caning, bastinado, cera su parti intime, zenzero nell’uretra o ano, plug anale tenuto per intera giornata lavorativa, bere l’urina della padrona, bere la propria sborra, sborrarsi in faccia da solo, scosse elettriche sul pene e testicoli, severa fustigazione, ortiche sui genitali.
Poi le sanzioni per trasgressione grave: umiliazioni pubbliche, impalamento, scosse elettriche con sonda uretrale, scosse elettriche mediante plug anale, 7 giorni di castity cage, asshole canning, canning dei testicoli, ball crushing.
Infine le sanzioni per trasgressione gravissima comprendevano il silence treatment, allontanamento dall’harem per tempo indeterminato o annullamento del contratto.
Fui percorso dai brividi nel leggere quelle cose in pubblico, a volto scoperto con persone che firmavano lo stesso documento.
Benché facessi fatica a pensare ad alcune pratiche come punizioni, e avremmo imparato tutti che quello che ci piaceva fare diventava in realtà un premio, alcune punizioni mi sembravano spaventose e avevo il fiato rotto nel leggerle, altre addirittura impensabili come l’annullamento del contratto.
Venne il momento di firmare e fu completata l’opera di impossessamento.
A ciascuno di noi, ci disse, era stato imposto nelle settimane precedenti un piercing ai capezzoli. Io avevo dei normali anellini ma, questo è il motivo per il quale ci aveva spiegato che non avremmo più potuto ribellarci, li sostituì con una coppia di piccole ganasce con chiusura magnetica collegata via smartwatch, che dovevamo sempre indossare, al suo computer dal quale poteva con un semplice clic attivare una piccola scarica elettrica di intensità variabile. Per togliere le ganasce bisognava attivare un codice che conosceva solo Lei.
Fece alcune prove con diversa intensità per farci comprendere quanto potere le stessimo consegnando.
La scossa di intensità più alta era davvero tremendamente dolorosa e causava singulti inopportuni in pubblico. Il pensiero di disubbidire a un ordine, sempre impartito tramite l’orologio, era semplicemente una non possibilità. Quelle più lievi erano quasi un gesto di generosità, un piccolo dolore in una zona erogena per pensare alla Padrona e godere dell’onore di essere stati degni della sua attenzione.
Mi inchinai, baciai di nuovo i suoi piedi e tornai a casa per organizzarmi.
Avrei dovuto preparare la lista delle cose che desideravo con me per la sua approvazione nel pomeriggio. Avrei avuto a disposizione poco più di un giorno per raccogliere l’essenziale e presentarmi di nuovo nella "Residenza", come ormai avevamo imparato a chiamarla.
Col tempo ci avrebbe permesso di sistemare anche il resto ma, per la vita monacale che ci attendeva, non c’era bisogno di molto.
Una volta a casa una breve scossa di media intensità mi fece piegare le gambe, le lettere delle sue iniziali lampeggiarono sull’orologio, risposi e dissi che ero arrivato e che stavo lavorando alla lista. Una nuova scossa molto forte mi fece gemere di dolore. "Ricorda di avvisare sempre la Padrona quando arrivi, non sempre ho tempo da perdere per cercarti sull’app". Era una regola nuova, non scritta, ma fece in modo di farmela imparare velocemente.

Vivevo nella Residenza da alcuni mesi, il lavoro mi richiedeva di allontanarmi da essa un paio di volte a settimana regolarmente e, certe rare settimane dell’anno, anche tutti i giorni. Per il resto svolgevo dei compiti per la Mistress, insomma ero Suo.
Svolgevo anche funzioni di gabinetto e imparai a distinguere odori e sapori della sua urina e delle sue feci, associandoli anche a stati di alterazione emotiva.
Non un solo momento della mia vita era svincolato dalla mia condizione di servo addomesticato. La circostanza che non esistesse più la sessione, l’incontro, il dono, la tortura la liberazione finale rendevano tutto immensamente più piacevole e interessante. Tutto accadeva in un continuo di emozioni che mi tenevano sempre fisicamente eccitato. Ero tornato a una frequenza di erezioni adolescenziali e, come ci aveva anticipato, l’erotismo non la coinvolgeva necessariamente in maniera diretta ma era sempre sotto il suo controllo.
Ebbi un turno in camera con un altro schiavo e imparai a provare piacere nell’esecuzione di compiti, che avrei altrimenti detto ripugnanti, per il fatto stesso che quel pene fra le mani o in bocca o dentro di me era come se fosse quello della padrona se me l'aveva ordinato lei.
Poteva controllarci con le telecamere e darci istruzioni mentre eseguivamo i suoi ordini.
Ovviamente preferivo quando mi imponeva di giocare con le donne, particolarmente con Luna; avevamo tutti abbandonato i nostri nomi al momento del battesimo, ma non era tanto per la bellezza, pur notevole, di Luna. Era una donna sui quarant’anni, molto bella, dal seno prosperoso ma incredibilmente tonico. In origine era lesbica e non aveva figli ma, nella residenza, le nostre preferenze sessuali non erano rilevanti. Era rilevante solo l’amore incondizionato per la Dea e il senso di fratellanza fra noi seguaci, come ci chiamava.
Luna era la donna che più sembrava stimolare il desiderio della Mistress, con il suo corpo tonico e potente. Aveva i peli delle ascelle non rasati, cosa che la rendeva per me irresistibile.
Nella gerarchia della Padrona i maschi sono più schiavi delle femmine e quando mi imponeva di giocare con maschi c’era uno scambio di ruoli e funzioni di vario tipo in una logica paritaria. Se invece c’era da giocare con una donna avevo sempre il ruolo di sottomesso della sottomessa.
Con Luna, gli ordini della padrona, il seno e l’afrore afrodisiaco delle sue ascelle mi tramortivano implacabilmente. Luna se ne accorse ed ebbe una qualche tendenza a dominarmi di sua iniziativa. Benché lesbica, non sempre poteva godere dei piaceri della Mistress o delle altre due schiave e quindi era ben felice che la mia lingua si applicasse per il suo piacere. La Padrona colse una violazione del senso di comunità in quella specie di rapporto privilegiato e ci punì entrambi con l’isolamento. Per oltre un mese non avemmo contatti intimi né con la Mistress né con alcuno degli altri schiavi.
Ogni giorno ricevevamo punizioni fisiche molto severe, di quelle previste per le mancanze lievi, bendati senza sapere chi le comminava. Chiusi nelle stanze delle punizioni in isolamento, appena sentivamo il catenaccio dovevamo coprirci il volto e docilmente lasciarci condurre nella stanza delle torture dove chissà chi, la Padrona, gli altri schiavi, altre mistress o master amici della Padrona, ci comminava dolorose ed estenuanti punizioni.
Uscii da quell’esperienza dolorante e malconcio, dimagrito e indebolito nel corpo e nello spirito.
Tuttavia, e non poteva essere altrimenti, rinvigorito nel desiderio di essere di proprietà della Padrona a quelle condizioni, terrorizzato al solo pensiero di potere essere allontanato dalla Residenza e grato alla Padrona di avermi facilitato la comprensione di cosa voglia dire essere membri della comunità dei suoi devoti.
La segregazione finì un giorno così come era iniziata.
Fui condotto dalla Mistress nudo e bendato. in ginocchio davanti a lei, sentii le dita sul mio petto, l’erezione fu immediata.
Risentii dopo tanto tempo la sua voce così suadente e così autoritaria.
Sentii le ganasce allentarsi e le tolse dai miei capezzoli. Ne prese il controllo diretto dopo oltre un mese mentre una mano mi tolse il cappuccio e vidi il suo ventre morbido e sensuale come mai davanti ai miei occhi. Guardai immediatamente verso il basso per ammirare le mutande di pizzo, il reggicalze e le scarpe col tacco altissimo. Lei strinse più forte e mi ordinò di guardarLa. Con un sorriso trionfante mi chiese:
"Sei felice?"
Risposi di sì piangendo e appoggiandomi al suo ventre mentre Luna, dietro di me, con la mano destra cominciò a masturbarmi e con la sinistra muoveva ritmicamente dentro di me un grosso fallo.
La Dea mi volle ai Suoi piedi e sedette sulla poltrona dietro di lei, appoggiandomi i piedi sopra.
"Adesso fammi sentire le tue unghie come sai fare tu".
Mi girai cominciai ad accarezzarLe le gambe come lei mi aveva insegnato.
Luna intanto si era alzata e, messasi alle sue spalle, le accarezzava i capelli e il seno, poi di fianco ad occuparsi solo del seno mentre, a un cenno della Padrona, il suo piede scivolò sul mio pene lubrificato da oltre mezzora di erezione. Muoveva il piede ritmicamente mentre un piede della Mistress era ormai stabilmente piantato sul mio viso e l’altro muoveva sempre più energicamente sul mio petto.
Luna, su ordine della Padrona, si mise in ginocchio di fronte a lei e, con la perizia atletica che tanto apprezzavo, leccò avidamente il sesso della Padrona, accarezzandole i seni in maniera sempre più intensa da farla gemere mentre le sue ginocchia con lo stesso incedere si muovevano sul mio pene e sul mio petto. Riuscì a farci venire entrambi nello stesso momento. Fu come aver fatto l’amore con la mia Dea, da oggetto tramite un altro oggetto.
"Adesso mentre io mi godo l’orgasmo, siedi sul volto dello schiavo che ti darà a sua volta un orgasmo"
Leccai Luna con amore per la mia Dea e desiderio irrefrenabile per il suo aroma. Mi inondò di liquido in una serie di singulti, agevolati dalla Padrona che, ripresasi dall’estasi dell’orgasmo, le stringeva forte il seno.
Crollò ai piedi della Dea mentre io ero segnato dal suo odore.
La voce della Mistress fu implacabile.
"Ubbiditemi sempre, rispettate le regole e vi renderò felici. La vostra vita mia appartiene ormai e l’unica opzione per voi è l’obbedienza".
"Sì Padrona" rispondemmo all’unisono.
Avevamo capito la lezione ed eravamo totalmente Sua proprietà.
Felici di esserlo.
 
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Il racconto a seguire, tratto dallo stesso sito, titolo (La Schiava) e autore (Luana) diversix, ma sembra un'appendice di Ikigai, quindi lo pubblico qui.
Buona lettura.
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In apparenza era un sabato mattina come tanti mentre guidavo per recarmi all’appuntamento e ancora non sapevo che da lì a poche ora per me sarebbe cambiato tutto.
Pochi giorni prima la Padrona mi aveva convocato per un incontro nella sua nuova casa appena fuori città. “La Residenza” la chiamò, ed io ero molto curioso e onorato di questa convocazione.
Nei mesi precedenti mi aveva parlato vagamente di un progetto che aveva in mente e di una grande casa che aveva deciso di acquistare ma non era mai entrata nei particolari.
Quando arrivai all’indirizzo mi resi conto di perché l’aveva chiamata “La Residenza”. Era una casolare all’interno di un parco circondato da un alto muro di mattoni. La grande cancellata era aperta e quando entrai vidi altre macchine parcheggiate nel grande cortile.
La Padrona mi venne incontro e mi fece cenno di seguirla nell’atrio della casa dove attendevano altre cinque persone, due uomini e tre donne.
Percepii subito un’atmosfera di imbarazzo e tensione, erano tutti in silenzio e abbassarono tutti lo sguardo quando entrai insieme alla Padrona. Intuii fossero altri schiavi convocati per il medesimo motivo. Venimmo tutti fatti accomodare in una stanza e ci venne ordinato di aspettare in silenzio.
Dopo una buona mezz’ora, in cui l’inquietudine e l’imbarazzo si condensarono quasi in forma solida, la Padrona fece ritorno e spiegò a tutti il suo grande progetto.
Ci veniva offerta la possibilità di vivere la schiavitù nel suo senso più profondo. Non più quindi una sottomissione che conviveva e veniva a patti con la vita, il lavoro, gli affetti e gli impegni di ognuno di noi, ma una vera e propria vita dedicata volontariamente alla Padrona. Questo voleva dire rinunciare a tutto tranne al nostro lavoro che avremmo continuato a fare per guadagnare e sostenerla nei suoi agi. Ognuno di noi avrebbe avuto dei compiti da svolgere.
Avremmo avuto due giorni per chiudere con la nostra vita precedente e poi avremmo vissuto solo come suoi schiavi.
Mise in scena il rituale di passaggio prevedeva che ognuno di noi leggesse una parte del contratto che tutti avremmo dovuto accettare e firmare.
Quando venne il mio turno la Padrona mi disse di leggere solo il paragrafo .b4 che era presente solo sulla mia copia: spiegò che in quanto schiavo con la maggiore anzianità di servizio, mi era stata riservata la parte più dura.
"Accetto che il mio ruolo sarà quello di sguattera tutto fare della Residenza. Dovrò svolgere tutte le pulizie anche delle stalle degli animali e delle celle degli altri schiavi. A differenza degli altri schiavi non mi saranno mai concessi indumenti e sarò sempre nudo in ogni situazione o clima. Unica eccezione quando svolgerò servizi al di fuori della Residenza.
Accetto inoltre che mi verrà imposta sempre la cintura di castità e sarò costantemente pluggato analmente. Sono conscio e accetto inoltre di assumere il ruolo più basso della Residenza e quindi potrò essere sottomesso dagli altri schiavi, ai quali dovrò sempre rivolgermi usando la forma del pronome allocutivo del lei, secondo i dettami della Padrona
".
L’imbarazzo che provai nel leggere questa sezione del contratto in presenza di tutti fu qualcosa che non riesco a descrivere a parole.
Venne poi il momento della firma e ognuno di noi ricevette il nome scelto dalla Padrona.
Per me fu scelto “Schiava”, immagino per farmi capire che la mia sessualità di maschio sarebbe stata definitivamente repressa e per fare in modo che anche quando venivo chiamato dagli altri schiavi il mio status fosse continuamente ribadito.

I due giorni successivi furono i più difficili della mia vita. Avrei dovuto rinunciare a tutto, amicizie, affetti, passioni, oppure rinunciare alla donna che adoravo con tutto me stesso e a un lato così profondo del mio essere. Passai due notti praticamente insonne e poi presi la decisione che avrebbe segnato per sempre il resto della mia vita.
Comunicai alla Padrona che accettavo e ricevetti le istruzioni per tagliare i ponti con la mia vita precedente.
A mia moglie dissi che avevo una relazione che volevo separarmi e ai miei genitori che per lavoro mi sarei dovuto trasferire all’estero. Nei termini del contratto venivano concessi 5 giorni l’anno che avrei potuto utilizzare per non sparire completamente con i contatti più stretti più quattro telefonate al mese.
Il successivo martedì mattina mi presentai come pattuito all’ora stabilita, fummo messi tutti in fila, poi uno ad uno dovemmo consegnare alla Padrona i nostri cellulari e ne ricevemmo uno ad uso esclusivamente lavorativo. Venimmo fatti spogliare e poi gli altri schiavi ricevettero gli abiti scelti dalla Padrona e che dovettero indossare. A me vennero consegnata una cintura di castità, un plug e un collare elettrico da addestramento per cani. Come istruzione generale mi fu detto di utilizzare la gabbia di castità ogni notte, mentre il collare da addestramento lo avrei dovuto portare legato intorno ai genitali durante la giornata lavorativa.
Uno degli obiettivi della mia nudità costante era anche l’imbarazzo dell’eccitazione sessuale manifesta provocata dalla mia condizione di sottomesso e che la cintura di castità avrebbe parzialmente aiutato a nascondere. Per questo motivo era stata imposta, in via costante, solo di notte.
Il collare elettrico invece dava modo alla Padrona di potermi controllare schiacciando semplicemente un tasto del telecomando. Aveva tre funzioni: richiamo acustico, vibrazione o scarica elettrica e appena avvertivo il richiamo dovevo abbandonare qualsiasi cosa stessi facendo e precipitarmi alla Padrona.
La mia routine giornaliera prevedeva sveglia alle 5.00 per la pulizia delle stalle degli animali. Alle 6.30 venivo raggiunto da uno degli altri schiavi che a turno provvedevano a lavarmi all’aperto con canna da giardino.
Alle 7.00 dovevo servire al tavolo la colazione agli altri schiavi prima che prendessero servizio delle loro mansioni. Se avanzava qualcosa potevo fare anch’io colazione altrimenti avrei solo pranzato e cenato.
Alle 8.00 dovevo pulire e sistemare le camere degli altri schiavi anche quando erano presenti per lavorare. Le celle, tutte arredate in stile spartano, erano composte da una piccola camera con letto singolo, un bagno e una stanza/studio dove si poteva lavorare.
La mia cella invece, a differenza delle altre, era un open space, senza una porta di entrata ma delle sbarre che non permettevano di godere di nessuna privacy. Anche i servizi igienici erano a vista così da non permettermi nessun genere di intimità qualora passasse qualcuno nel corridoio. Inoltre solo nella mia cella c’era una catena fissata solidamente al muro accanto al letto. Ogni sera quando mi coricavo la catena veniva fissata con un lucchetto alla cintura di castità.
Finito con le pulizie delle camere dovevo attendere che la Padrona mi chiamasse tramite un segnale sonoro emesso dal collare di addestramento legato ai genitali. Quindi mi recavo nello stabile dove alloggiava la Padrona per ricevere le disposizioni di giornata.
Potevano essere altre pulizie delle stanze della Padrona, piccoli interventi di manutenzione domestica, accompagnare la Padrona come autista oppure venire usato quando la Padrona si intratteneva usando sessualmente a piacimento i suoi schiavi. Normalmente venivo usato come cagna passiva e sfondato con svariati oggetti o dai cazzi degli altri due schiavi. Diversamente dagli altri non mi era mai concesso di venire e a fine seduta dovevo ripulire con la lingua gli organi sessuali degli altri schiavi.
L’unico modo con cui mi era concesso di sborrare era tramite mungitura pubblica che avveniva una volta al mese. Venivo fatto mettere alla pecorina sulla scrivania dell’aula in presenza di tutti gli altri schiavi. Quindi la Padrona, dopo aver indossato i guanti, mi sfondava con una mano un dito dopo l’altro fino ad infilare l’intera mano. Poi mi afferrava l’asta del pene e mi masturbava fino a svuotarmi completamente in una ciotola di vetro. Normalmente poi dovevo bere il contenuto della ciotola e ripulirla alla perfezione, anche se talvolta capitava che toccasse a uno degli altri schiavi come forma di punizione per qualche mancanza.
La mia giornata proseguiva poi alle 12,30 quando dovevo servire il pranzo alla mensa degli schiavi. Quando finivano tutti gli avanzi venivano mischiati in una ciotola e io dovevo cibarmi a terra con quell’orrendo miscuglio che era a tutti gli effetti ciò che normalmente si può trovare nel sacco dell’umido.
Poi dovevo lavare i piatti. Il pomeriggio invece lo passavo svolgendo la mia normale attività lavorativa e per la quale tutti i compensi venivano trasferiti sul conto della Padrona.
Alle 19,30 si consumava la cena dove svolgevo gli stessi compiti del pranzo.
Un giorno mentre mi trovavo nella stanza di Luna, una delle schiave, per le pulizie quotidiane mi sentii afferrare per i capelli per venire trascinato in bagno mentre mi urlava:
«Schiava, ma come cazzo pulisci? Gli vedi quegli schizzi sul pavimento?» e intanto mi schiacciava la faccia contro il pavimento. «Ora pulisci tutto con la lingua!» e nel frattempo mi riempì il culo di ceffoni.
In quel momento entrò Dasa che da qualche tempo intratteneva una relazione con Luna. Lei gli disse che voleva punirmi e una volta trascinatomi nello studio mi ordinò di mettermi supino sulla scrivania e di allargare le gambe. Quindi mi sfilò il plug che dovevo tenere sempre è ordinò a Dasa:
«Ora voglio che ti scopi la schiava!».
Lui eseguì, mi allargò le gambe con le mani e poi iniziò a stantuffare.
Lei allora presa bene dalla scena si tolse pantaloni e mutandine e mi montò sulla faccia ordinandomi di leccarla e contemporaneamente si mise a limonare con Dasa. In quel momento sentii il guinzaglio di addestramento legato ai genitali che vibrava. Era il richiamo della Padrona.
Poi Luna mi prese in mano il cazzo e iniziò a masturbarmi mentre si strusciava con sempre più forza sulla mia lingua finché venne inondandomi la faccia dei suoi umori vaginali. Nello stesso momento Dasa eccitato dalla visione d’insieme mi sborrò dentro il culo. Luna continuò a masturbarmi e visto che erano passate già tre settimane dall’ultima mungitura venni quasi subito. Il guinzaglio vibrò una seconda volta e questa volta più forte di prima, era il segnale che la Padrona si stava innervosendo del fatto che non mi fossi già presentato.
Dissi ai miei superiori che la Padrona mi stava chiamando e chiesi il permesso di lasciare la stanza. Tutto trafelato attraversai il cortile che separava la dependance degli schiavi dalla tenuta della Padrona e poco prima che varcassi la soglia una scarica elettrica mi si strinse attorno ai genitali facendomi cadere per terra a contorcermi per il dolore.
Appena terminata la scarica elettrica mi rialzai e corsi sul per le scale fino ad arrivare davanti alla porta che portava agli alloggi della Padrona.
Bussai e mentre attendevo risposta mi resi conto che avevo la faccia ancora bagnata dagli umori della fica di Luna. Cercai di asciugarmi con il braccio. La porta si spalancò.
«Dov’eri schiava?»
«S-stavo pulendo gli alloggi degli schiavi Padrona» balbettai.
«E allora? Quando ti chiamo devi correre, perché ti ho dovuto chiamare tre volte? Mettiti in ginocchio che adesso di becchi un po’ di frustate!».
In quel momento si accorse che non avevo il plug che preso dalla fretta avevo completamente dimenticato. Allora con le mani mi allargò le natiche e il buco del culo e un rivolo di sperma colò sul pavimento.
«Ah, e questo?»
Insospettita mi infilò due dita nell’ano aprendomelo scoprendo che ero pieno di sborra.
«Ma sei proprio una cagna» disse stizzita.
«Ora voglio sapere chi è stato, e perché il cazzo non è duro come ogni volta che mi vedi e puzzi di fica?» domandò sempre più alterata.
Terrorizzato cercai di spiegare a raccontai quanto appena accaduto.
Vennero convocati anche Dasa e Luna per ascoltare la loro versione dei fatti. Ovviamente cercarono di portare la ragione dalla loro parte dicendo che ero stato io a prendere l’iniziativa e che mi ero comportato come cagna in calore.
Venimmo congedati dalla Padrona che ci disse di presentarci entro un’ora nell’aula e di convocare anche gli altri schiavi.
Un’ora dopo eravamo tutti presenti nell’aula, la Padrona seduta alla cattedra e io di fianco a lei fatto mettere in posizione esponi con le gambe divaricate e le mani dietro la nuca in attesa della sentenza.
«Ho ponderato attentamente l’increscioso episodio di stamani e sono giunta alla conclusione che la gravità dell’accaduto dovrà essere redarguita con il massimo della severità perché sia da monito per tutti. Quindi condanno la schiava per aver infranto l’obbligo di castità a due mesi di gabbia di castità ininterrotta e senza alcuna mungitura. Alla schiava verrà applicata una gabbia di misura “small”. La schiava viene condannata anche per l’indecoroso comportamento da cagna e verrà impalata pubblicamente per 12 ore nel piazzale antistante la Residenza con un palo di diametro 6cm, vista la sua lussuria nel farsi sborrare in culo come una troia sottomessa».
Vidi Luna e Dasa scambiarsi un’occhiata complice e un sorrisetto compiaciuto nei miei confronti.
Da un cassetto della scrivania la Padrona prese una gabbia di castità in acciaio con la parte riservata al pene che aveva una profondità di massimo 5cm e me la applicò sui genitali premendo con forza e poi facendo scattare un solido lucchetto. Già con il pene completamente a riposo ci stava compresso. Non osavo immaginare cosa sarebbe successo alla minima erezione.
Poi a due schiave fu ordinato di portarmi fuori e infliggermi la pena dell’impalamento.
Mi vennero incatenati i polsi dietro la schiena, poi mi misero due rialzi sotto i talloni. Quindi posizionarono la pedana da impalamento infilandomi la prima parte del grosso fallo nel culo e poi tolsero i due sostegni per i talloni. Poco dopo cedendomi i talloni per lo sforzo ero completamente penetrato e impossibilitato a muovermi. A completamento dell’opera venne posizionata una trave di legno alla quale era montato un fallo di gomma all’altezza del mio viso. Il fallo mi venne messo in bocca e poi per fare in modo che non lo potessi sfilare mi fecero passare una cinghia dietro il collo e poi la fissarono ai del lati della trave in prossimità del fallo.
Finito di legarmi uscirono tutti nel piazzale poi la Padrona ordinò ai suoi servi di scrivermi un epiteto volgare sul corpo. Mi scrissero troia, cagna, puttana sottomessa, vacca, sgualdrina e culo sfondato.
Erano le 11 del mattino e sarei dovuto rimanere lì fino a notte.
Ero esattamente al centro del piazzale esposto agli sguardi e ai commenti di chiunque passasse di li.
Poco dopo passò di li Luna che si avvicinò con un sorrisino soddisfatto. Poi mi strizzò un capezzolo e avvicinandosi con le labbra al mio orecchio mi sussurrò:
«Vedi che succede a comportarsi da cagna, schiava?».
Dopo qualche ora di supplizio vidi movimento nel piazzale e tutti gli schiavi si affrettavano con passo veloce verso la residenza.
La Padrona aveva guardato le telecamere a circuito chiuso installate all’interno di ogni cella e così aveva potuto verificare come si erano svolti i fatti. Dopo qualche minuto Luna e Dasa furono trascinati all’esterno a forza. Erano stati fatti mettere nudi e sul corpo mostravano in segni di alcune scudisciate.
Di fronte a me gli altri schiavi posizionarono un grosso tavolo di legno, poi presero Dasa e lo fecero sdraiare supino. Gli misero dei ceppi ai polsi e alle caviglie che poi furono assicurati con delle catene al tavolo. Quindi venne il turno di Luna che venne fatta posizionare su Dasa a gattoni al contrario, così da creare una perfetta posizione 69. Dopo aver fissato anche le sue caviglie e i polsi al tavolone con mezzi ceppi di ferro che furono fissati con viti direttamente nel legno del tavolo, strinsero due cinghie alla fronte dei due fornicatori alle quali erano collegati due ganci anali di acciaio. I ganci vennero quindi inseriti nei due rispettivi ani e poi messi in tensione mediante un tensionatore, così che Luna avesse in bocca il cazzo di Dasa e Dasa la fica di Luna a contatto con la bocca.
Anche per loro la pena inflitta sarebbe stata di 12 ore.
Dovevamo essere un bello spettacolo, puniti per lussuria non autorizzata, per chiunque passasse di li.
Poi dopo altre ore di sofferenza vidi una scena che mi procurò non poca soddisfazione nonostante non me la passassi proprio bene. Luna con la vescica piena si liberò nella bocca di Dasa.
 
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