Legami di Seta - Forum Italiano BDSM & Fetish

I CLASSICI: L'isola

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view post Posted on 12/1/2024, 13:09     +3   +1   -1
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T.P.E.
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Un vecchio e noto racconto reperito grazie alla segnalazione di un utente del forum su un vecchio blog in disarmo dove l'autore non era indicato (anonimo).
Si tratta, superfluo specificarlo, di un racconto di pura fantasia, dai contenuti piuttosto forti ed estremi che non tutti potrebbero gradire. Chi prosegue nella lettura è avvisato.
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isola
1

Il treno era arrivato con un po’ in ritardo, così F dovette affrettarsi per giungere in tempo. Uscì di corsa dalla piccola stazione ferroviaria tenendo in mano la valigia, leggera perché semivuota, e cercò rapidamente di orizzontarsi con la cartina stampata sul biglietto d’invito.
Non ebbe grandi difficoltà, il percorso era chiaro e breve; solo dovette allungare il passo fino a correre per rispettare quanto più poteva l’orario di ingresso.
Arrivato davanti al portone dell’edificio dov’era diretto, si fermò per tirare il fiato e controllare la targhetta del videocitofono, la cui unica indicazione era un simbolo identico a quello stampato sul suo invito.
Tirò un profondo respiro e suonò il campanello, mettendosi in posizione davanti alla telecamera con l’invito bene in vista.
Dopo un breve silenzio una voce femminile gli rispose seccamente, in un inglese molto scandito.
- Ben arrivato numero 45. Muoviti, sei già in ritardo!
La serratura del portone si aprì con uno scatto elettrico ed F varcò la soglia, accedendo in un salone freddo e spoglio, ai lati del quale si vedevano porte chiuse, mentre era aperta solo quella all’estremità opposta.
Entrò lasciando che il portone si richiudesse pesantemente alle sue spalle e s’incamminò verso la porta aperta, tirandosi dietro la valigia, senza riuscire a trattenere l’ansia per quanto lo attendeva.
Già la storia del "ritardo" suonava come un inganno: l’orario dell’appuntamento gli era stato evidentemente fissato a ridosso dell’arrivo del treno proprio nell’intento di complicargli le cose. Del resto aveva già deciso di non obiettare nulla ad eventuali rimproveri, immaginando che ogni possibile ragione difficilmente sarebbe stata considerata.
Arrivò così alla nuova porta che oltrepassò cautamente trovandosi in un secondo salone, più piccolo, nel quale c’era solo una piccola scrivania, dietro alla quale, su una poltroncina, stava una ragazza bionda vestita con un lungo cappotto nero di pelle. Sul risvolto del bavero si notava lo spillino con il solito simbolo, che attirò l’attenzione di F quasi più dei bellissimi lineamenti della giovane donna.
- Avvicinati e non oltrepassare la linea gialla per terra – gli disse in inglese senza alzare lo sguardo da un fascicolo che teneva aperto sulla scrivania.
Era sicuramente la stessa voce che lo aveva accolto al citofono, brusca e acida, poco intonata al bel viso della donna. Quando quella alzò gli occhi, però, mostrò uno sguardo gelido ancora più tagliente delle parole.
- Sto controllando i tuoi dati – gli disse passando ad un italiano un po’ stentato che tradiva più dell’inglese l’accento slavo – Risulta che sei stato inviato qui dalla tua Padrona per un periodo di addestramento e servizio di un mese. La tua Signora si raccomanda un trattamento severo ed ha posto come limite solo l’esclusione di danni permanenti al tuo corpo, nessun altro limite. Ha quindi escluso che tu possa invocare sospensioni o interruzioni del trattamento, che sarà indirizzato a piegare del tutto la tua mente e a spezzare ogni possibile resistenza sia fisica che psicologica. Sarai sottoposto ad ogni genere immaginabile di umiliazioni, patimenti, privazioni, punizioni e torture; sarai costretto a svolgere lavori e mansioni pesanti per il corpo e per le mente, in condizioni che li renderanno più difficili e dolorosi; imparerai ad obbedire prontamente e ti annullerai completamente ai comandi delle Signore che qui possono disporre di te senza limitazioni e secondo il loro gusto e capriccio. Un mese è un lungo periodo: sei sicuro di essere pronto a sopportarlo?
Le parole della donna erano state tanto crude e dirette che F si trovò quasi bloccato per rispondere alla domanda.
Il cuore gli batteva forte e l’ansia stava cedendo il passo alla paura. Così, con la gola secca, non riuscì ad articolare una parola e si limitò ad un cenno del capo. Il suo comportamento sembrò irritare la ragazza che si alzò di scatto dalla poltroncina.
- Ti è stata rivolta una domanda e devi rispondere in modo chiaro, preciso e sintetico! – urlò – A quelli come te non è concesso di parlare tranne quando viene espressamente comandato: cerca quindi di mostrarti degno dell’onore che ti ho concesso chiedendoti di esprimere l’accettazione delle regole a cui sei sottoposto!
Senza aspettare altro la donna passò davanti alla scrivania tenendo in mano la cartellina con la scheda relativa ad F ed una penna.
- Firma qui sotto oppure vattene! – gli intimò avvicinandosi e mettendogli il foglio davanti al volto.
Impressionato da tanta energia F prese in mano la scheda su cui erano riportate le regole e le condizioni che la sua Padrona aveva deciso e che lui già aveva sottoscritto prima della partenza. Non osò perdere tempo per rileggere tutto e si limitò a vedere che la sua nuova firma andava posta sotto una dicitura con cui ribadiva, in quella data, l’adesione assoluta al "programma" per la sua permanenza. Firmò e restituì scheda e penna alla donna che depose il tutto sulla scrivania appoggiandosi ad essa.
Il cappotto era sbottonato per cui F potè vedere che sotto di esso la bionda, alta e longilinea, portava un maglione nero di lana chiuso con una cerniera, pantaloni di pelle e stivali lunghi neri con il tacco alto. Particolare significativo era il cinturone alla vita al quale si notava agganciata una frusta grossa e nodosa.
- Spero che tu abbia già studiato le principali regole di comportamento – riprese a parlare la donna, a voce più bassa e distaccata – Avrai comunque molte occasioni per impararle al meglio durante le lezioni che ti saranno impartite e grazie alle crudeli punizioni che riceverai per ogni minima infrazione. Al proposito ti deve essere chiaro che con la tua firma hai accettato tutte le regole vigenti, anche prima che esse ti siano spiegate. Per questo motivo ti sei già reso responsabile di alcune mancanze: il ritardo all’arrivo, l’esitazione nella risposta e il fatto che mi hai innervosita con il tuo modo di fare. Annoterò queste infrazioni nella tua scheda, così come faranno tutte le Signore che ne rileveranno altre, in modo che se ne terrà conto nelle prossime occasioni di punizione.
Fu istintivo, a quel punto, per F accennare l’intenzione di replicare e difendersi. ma bastò che aprisse la bocca per suscitare una nuova reazione infastidita della donna.
- Taci! – gli intimò – Basta l’intenzione di replicare che hai mostrato per renderti colpevole di un’altra mancanza: annoterò anche questa! Se continui così ti troverai a passare più tempo sotto tortura che a lezione.
Zittito, F chinò il capo, rassegnato al peggio.
- Adesso è ora che tu ti prepari al trasferimento – riprese la Signora compiaciuta dell’effetto provocato dalle sue parole – Devi spogliarti completamente e riporre tutti i tuoi indumenti nella valigia che lascerai qui. Ti segnerò sul braccio con un numero, che sarà il tuo nome per la permanenza nel nostro Dominio, e ti darò gli indumenti di servizio di cui dovrai avere la massima cura e che sono segnati con il tuo stesso numero. Quindi ti sistemerò in una cella in questo edificio dove aspetterai che venga il momento di andare al Castello. Alcuni schiavi sono già arrivati e stanno aspettando da ore, altri ne arriveranno e partiremo quando il carico sarà completo. Dato che gli schiavi al Castello provengono da varie nazioni è stato scelto l’inglese come lingua ufficiale, è quindi difficile che in futuro ti si parli ancora in italiano. In ogni caso sono poche le occasioni in cui ti sarà ordinato di parlare e… - aggiunse con un ghigno – credo che avrai più spesso modo di piangere e urlare, piuttosto che di parlare!
Detto ciò le bastò fare un cenno con la mano per indurre F a togliersi i vestiti.
Intimidito dal modo di fare e dalle parole della donna, a capo chino, F aprì la valigia che aveva lasciato a terra e dentro alla quale c’erano solo una busta per la toeletta, un paio di ricambi di biancheria intima ed un pigiama. Si era già preparato a quel momento per cui non incontrò particolari difficoltà nel levarsi il giubbotto e riporlo nella valigia, procedendo poi con il maglione, la t-shirt e la maglietta fino a restare a torso nudo.
La donna lo osservava manifestando una certa impazienza, ma non lo interruppe né gli inveì contro.
Rabbrividendo per il freddo del salone F si tolse le scarpe e le calze riponendo anch’esse nella valigia. Quindi si sfilò la cintura e si calò i pantaloni restando in mutande.
Fu allora che la Signora colse l’occasione per rifilargli una cattiveria.
- Credi di fare uno strip-tease? – gli disse sogghignando parlando stavolta in inglese – C’è poco di interessante in uno schiavo come te!
Accompagnò le parole con un gesto della mano per fargli fretta e subito F si sbrigò nel levarsi le mutande e riporle nella valigia restando, in definitiva, completamente nudo davanti alla sconosciuta che allungò la mano sinistra, fasciata in un guanto di pelle nera, e lo afferrò per le palle, stringendogliele un poco.
- Te le faremo scoppiare – sibilò – ed in pochi giorni rimpiangerai di avere quel coso fra le gambe che ti ha reso maschio, condannandoti alla tua schiavitù.
Tirò, quindi, fuori dalla tasca del cappotto un grosso pennarello indelebile nero con il quale segnò il numero 45 sul braccio di F. Dalla stessa tasca prese anche un adesivo con lo stesso numero che gli consegnò, indicandogli senza bisogno di altre parole che era quello da applicare sulla valigia.
F si chinò per chiudere il suo bagaglio ed applicare la targhetta mentre la donna tornava alla scrivania per prendere uno scudiscio rigido appoggiato lì sopra che impugnò per fendere l’aria ed indicare una delle porte che si affacciavano nella sala.
Raccolta la valigia F, imbarazzato per la nudità che manifestava la sua condizione di sottomesso, si avviò verso la porta, seguito dalla Signora che gli teneva puntato il frustino in mezzo alla schiena. Da lì si trovò in un’altra stanza, più piccola e sempre priva di arredi, con tre porte più piccole davanti ad una delle quali era depositata una valigia numerata di dimensioni simili alla sua. Sulle porte c’erano targhette numerate, una delle quali era il 45. Non c’era bisogno di particolari spiegazioni per capire che doveva entrare lì dentro lasciando il suo bagaglio fuori.
La donna usò una grossa chiave per aprire la cella facendogli quindi cenno di entrarci.
Si trattava di uno stanzino lungo non più di tre metri e largo meno di due, assolutamente spoglio e privo di finestre, illuminato da una debole lampadina sistemata in mezzo al soffitto. Alle pareti e per terra c’erano anelli e ganci il cui scopo evidente era di consentire varie modalità di incatenamento dei reclusi.
Per terra, dalla parte opposta alla porta, era appoggiato un sacco di tela sul quale era disposta una pila di indumenti di fattura povera e grossolana.
La donna prese i polsi di F e glieli unì dietro la schiena chiudendoli subito con un paio di manette metalliche. Infilò la frusta fra le cosce dell’uomo muovendola lateralmente per fargli capire di aprire le gambe, quindi si chinò e gli passò intorno alla caviglia sinistra una catena che poi bloccò con un lucchetto ad uno dei ganci infissi per terra. Ripetè l’operazione con la caviglia destra facendo così in modo che F si ritrovasse con le gambe forzatamente aperte, anche se non spalancate.
- Resterai immobile qui fino a quando sarà l’ora di partire – gli disse – e tieni presente che sei inquadrato da due microcamere per cui sarà possibile verificare eventuali movimenti che saranno considerati come disobbedienza ad ordini espressi. Puoi immaginare la gravità della pena per un così grave reato!
Con quelle parole uscì chiudendo a chiave la porta e lasciando solo il prigioniero.

(continua)
 
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T.P.E.
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2

Rimasto solo, chiuso nella cella, F cominciò a rendersi pienamente conto di quanto era grave la situazione in cui si trovava. Nella mente gli risuonavano le minacciose parole della donna che l’aveva accolto, che in parte gli sembrava di confondere con i discorsi che la sua Padrona gli aveva fatto, per indurlo ad accettare quell’avventura.
Da tempo F viveva un rapporto sadomasochista con la donna che si faceva chiamare Lady Elena e che gli aveva fatto apprezzare il piacere perverso della sottomissione.
Era stata, in principio, una conoscenza occasionale, da cui era nato un rapporto erotico appagante che, settimana dopo settimana, aveva assunto caratteristiche tipiche del sadomasochismo, per poi finire col renderlo assolutamente succube di colei che era diventata la sua Padrona.
Da quando le si era consacrato come schiavo, Lady Elena non gli aveva risparmiato umiliazioni e sofferenze, per quanto limitate ai momenti dei loro incontri, la cui durata e scadenza, comunque, toccava a lei stabilire, restando a lui solo il dovere di adeguarsi.
Dopo molti incontri, limitati a loro due, Lady Elena si era inventata sessioni con altre Signore ed altri schiavi, con torture e giochi sempre più complicati e pesanti.
F, si era assoggettato al volere della sua Padrona e non era quindi nuovo a situazioni in cui si trovava esibito nudo ad altre persone, incatenato e minacciato di sevizie che, poi, venivano pure praticate a sue spese.
Il cambiamento nel rapporto con Lady Elena risaliva a pochi mesi prima, quando la Padrona lo aveva informato che intendeva acquisire un nuovo schiavo, e forse più di uno. Nell’arco di un paio di settimane, si erano intensificati gli incontri, sia con altre Padrone che con altri schiavi, tant’è che F non riusciva più a capire da dove saltasse fuori tanta gente, diversa dai soliti giri di amici, frequentati da Lady Elena. Non ebbe una spiegazione al riguardo, neanche quando la Padrona, gli disse che non avrebbe disdegnato l’idea di cederlo a qualche altra Dominatrice, lamentandosi però del fatto, che la sua scarsa educazione da schiavo gli faceva perdere di valore.
F aveva ascoltato quel discorso con estrema ansia, poiché in principio aveva tutto l’aspetto di un abbandono. Solo proseguendo, riuscì, pur a fatica, a seguire il ragionamento della Padrona. Lady Elena non intendeva "mollarlo", semplicemente aveva ritenuto che fosse naturalmente conseguente alla sua condizione di schiavo cederlo, ivenderlo, metterlo all’asta, insomma darlo ad un’altra Dominatrice, come del resto aveva già fatto "prestandolo" in occasione delle sessioni sadomasochiste delle ultime settimane. In quei termini, F non aveva nulla da ridire, né avrebbe potuto, essendo suo onere l’obbedienza assoluta alla sua Signora. Neppure trovò motivo di opporsi all’idea di Lady Elena, di mandarlo ad istruirsi presso quell’istituzione della Dominazione Femminile, che insieme avevano visto illustrata in internet.
In verità, sembrava che la sua Padrona avesse le idee molto più chiare di lui sulle modalità di iscrizione e di conduzione di quel genere di "corsi". Lady Elena, si muoveva con disinvoltura ed eccitazione in quel labirinto di regole, programmi, e metodi di istruzione. Lui, era soprattutto interessato a non dispiacerle, e per questo si sentiva pronto a qualunque genere di avventura, che, mal che fosse andata, se non gli avesse consentito di recuperare il suo posto con Lady Elena, gli avrebbe perlomeno aperto la strada ad una nuova Padrona, considerato che ormai non concepiva più di trovarsi senza una Signora a cui sottomettersi.
C’era, in tutta quella storia, il fatto particolare che nei discorsi di Lady Elena la dominazione perdeva sempre più i connotati erotici, per assumere un ruolo totalizzante, verso il quale lui stesso era attratto, ma che gli destava un profondo sentimento di angoscia.
Ora, quell’ansia era stata esasperata dalle parole e dal comportamento della donna che l’aveva appena accolto, nei cui modi non si intravedevano tanto interessi sessuali, ma soprattutto gusto di sottomettere, crudeltà e piacere per la sofferenza altrui.
In un certo senso, si era aspettato cose del genere, ma fra il pensarci, ed il trovarsi assolutamente in balia di personaggi del genere, il passo non era breve, né facilmente superabile.
Cominciò a maledire la sua stupidità, per non avere approfondito il programma che Lady Elena gli aveva predisposto, per avere sottovalutato elementi, quali la durata e la severità dei trattamenti, per non avere apprezzato adeguatamente la portata delle regole del Castello.
Poi si rincuorò, pensando che, in fin dei conti, già aveva subito torture ed umiliazioni anche pesanti, che aveva sopportato e che gli avevano pure apportato soddisfazione, se non sempre piacere. Nuovamente rabbrividì, temendo che lì le cose potessero mettersi in un modo tanto grave, che nemmeno riusciva a prevedere. Ancora si fece forza, riflettendo, che tutto sommato, se la soggezione al Dominio Femminile era il suo destino, meglio era che fosse impartita, anche pesantemente, ma in modo adeguato.
Al quel punto, perlomeno, perdevano significato le preoccupazioni sul suo futuro con Lady Elena: se aveva deciso di lasciarlo, non era per motivi che lo riguardavano direttamente, come sarebbe stato per una perdita di interesse sessuale, forse determinata da sue incapacità a soddisfarla: era la naturale evoluzione di lei come Padrona, e di lui come schiavo che, per il suo ruolo, era diventato un oggetto, privo di diritti e forzato all’obbedienza assoluta.

Passavano così le ore, ed F, per il quale era sempre più difficile sostenere l’immobilità ed il freddo della sua prigione, continuava a tormentarsi con quei pensieri, alternando momenti di profonda ansia, ad altri in cui si sentiva un po’ meno angosciato.
A parte quelle riflessioni, F confuse l’unico aggancio materiale con la realtà che gli proveniva dai capi di abbigliamento che vedeva disposti davanti a sé, piegati in modo tale da rendergli difficile capire esattamente di cosa si trattasse.
Di evidente c’erano solo le scarpe, più precisamente un paio di zoccoli di legno, di tipo ortopedico, presumibilmente con la suola di gomma. Gli altri indumenti si caratterizzavano per il colore marrone chiaro e sembrava si trattasse di una specie di saio e di una sorta di tuta. Non si vedeva biancheria intima, fatto questo del resto assai prevedibile, e da sotto alla pila, faceva capolino qualcosa che poteva essere un paio di calze grosse di lana.
Molto poco per coprirsi e della cosa c’era da preoccuparsi, per il freddo che in quel periodo sferzava il paese a fondo valle, ed ancor di più, presumibilmente, la zona del Castello, che, se F rammentava bene, si trovava su uno dei colli circostanti, e che dal treno aveva visto parzialmente imbiancati dalla neve.
Il pensiero del treno lo riportò alla storia del ritardo, e dell’artificiosa macchinazione, in base alla quale la donna dell’accettazione minacciava di volerlo punire. Non c’era altra spiegazione, se non che in quel "regime" non si poteva discutere e si era completamente assoggettati al capriccio, all’arbitrio, e all’ingiustizia fatta sistema.
Tutto ciò lo inquietava, e nuovamente lo eccitava, così come lo eccitavano, i giochi perversi della sua Padrona, quando lo umiliava, e lo sottoponeva, per pura crudeltà, ad implacabili sevizie.
Passavano le ore, nel silenzio della cella, ed F era ormai confuso e stordito, ma motivato a mostrarsi capace di sopportare un’immobilità tanto lunga. C’era stato qualche momento, in cui aveva sentito provenire suoni dall’esterno, ed anche la voce attutita della signora che parlava in inglese, ma aveva già perso la cognizione del tempo e non riusciva a rendersi conto, di quante ore fossero passate, da quando era stato rinchiuso: immaginava comunque, che non si trattasse di poco, giacchè cominciava ad avvertire un po’ di fame e di sete.
A quel pensiero, gli tornò in mente che Lady Elena gli aveva spiegato di come al Castello avrebbe dovuto patire gravi limitazioni dell’alimentazione e che perfino i suoi bisogni fisiologici, sarebbero stati regolamentati dalle aguzzine.
In effetti, una certa limitazione di ciò era già iniziata fin dalla partenza: obbedendo alla Padrona, che aveva ricevuto precise indicazioni al riguardo dall’Organizzazione del Castello, era a digiuno dal giorno precedente al suo arrivo. Si trattava peraltro di una precauzione, che Lady Elena era solita raccomandare prima dei loro incontri, per tenerlo "in tensione" più di quanto sarebbe stato a pancia piena. Stavolta, però, era stato parecchio anticipato il periodo di restrizione alimentare, ed aveva avuto annuncio che durante il periodo di addestramento al Castello le limitazioni alle sue necessità sarebbero state utilizzate come modo per indurre prostrazione e sofferenza.
Decise fra sé, di mostrarsi risoluto a sopportare anche quel genere di patimento, respingendo intanto il riflesso mentale che, a fronte di quei pensieri, gli stava inducendo il desiderio di urinare. Resistette, almeno per quella prima volta, mentre tornava a ripercorrere tutti i pensieri che, sempre più confusamente, gli si affollavano in testa.

(continua)
 
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view post Posted on 14/1/2024, 12:42     +1   +1   -1
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T.P.E.
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3

Lo scatto improvviso della chiave nella toppa della porta alle sue spalle, pose fine all’attesa.
Qualcuno, forse la solita signora dell’accettazione, gli tolse le catene dai piedi e le manette.
- Prendi la tua roba – gli disse – indossa saio, calze e zoccoli e metti il resto nel sacco, poi esci e stai davanti alla porta della cella.
F obbedì in fretta.
Come aveva immaginato, il saio era semplicemente un camicione largo, con le maniche corte, fatto di un tessuto ruvido e rigido. Non era una gran copertura, ma dopo il tempo trascorso senza abiti sembrava dare almeno un po’ di protezione alla fredda temperatura, sempre più rigida. Più utili contro il freddo, si rivelarono essere le calze e gli zoccoli. Il resto del materiale, da riporre nel sacco, era rappresentato da un ricambio di calze, un paio di guanti da lavoro, una specie di gilet in lana senza maniche e dalla tuta che già aveva notato e che sembrava essere più pesante e coprente del saio.
Sistemate le cose, come da comandi ricevuti, uscì dalla cella e si mise davanti alla porta, trovandosi così dinanzi a due dei suoi compagni di schiavitù.
Osò appena sbirciare intorno, constatando che le valigie erano state portate via.
Uno dei due era più alto e robusto di lui, presumibilmente anche più anziano, ed era rasato.
L’altro era più o meno della sua stessa corporatura e aveva un’aria sconvolta, come se la reclusione nella cella gli fosse pesata esageratamente.
F non ebbe tempo di fare altre osservazioni e riflessioni al riguardo, perché la signora dell’accettazione dall’altra sala comandò, urlando, che gli schiavi si portassero immediatamente davanti a lei, con le spalle al muro.
F e gli altri due, uscirono dall’anticamera delle celle tornando nel salone dov’era la scrivania. A quel punto stimò che fossero in tutto, circa una decina di schiavi.
La donna, con il solito ghigno, restò un poco a guardarli, poi, con il frustino indicò alla truppa la direzione da prendere, intimando di andare spediti verso un portone, da cui si accedeva al cortile interno del palazzo. Si trattava di un piazzale asfaltato, in mezzo al quale c’erano due furgoni neri, con il simbolo del Castello sulle fiancate. Uno era già
chiuso ed aveva il motore acceso. L’altro, aveva le porte posteriori spalancate, e la donna comandò che gli schiavi si mettessero in fila per salirvi.
Uno alla volta entrarono nella parte posteriore, trovando posto per sedersi sulle panchette, collocate lungo le fiancate, sotto alle quali c’era posto per appoggiare i sacchi con gli indumenti. La donna salì dopo di loro, ed uno ad uno li ammanettò sul davanti, facendogli alzare le braccia sopra la testa, per bloccare i polsi ad appositi moschettoni, agganciati in alto alle fiancate del furgone. Quindi scese e chiuse le portiere, facendo cadere il buio all’interno del veicolo.
Dopo un istante fu acceso il motore e il furgone partì.
Il viaggio durò almeno un’ora, durante la quale gli schiavi, a parte qualche starnuto e colpo di tosse, restarono tutti in assoluto e prudente silenzio. La strada, dopo un breve tratto lineare, doveva essere tortuosa poiché si avvertivano molte curve, e l’ultimo tratto non era asfaltato, a giudicare dagli scossoni che facevano sobbalzare gli schiavi.
Pian piano, gli occhi di F, che stava seduto in fondo verso le porte, si abituarono alla semioscurità dell’interno, ma non abbastanza da poter vedere i suoi compagni di viaggio, a parte l’omone che gli stava accanto, e che alle curve più strette gli finiva addosso, schiacciandolo.
Finalmente il furgone si fermò, e, dopo qualche minuto, furono aperte le porte.
Un brezza gelida penetrò nel veicolo, facendo rabbrividire gli schiavi.
Nuovamente la signora dell’accettazione salì fra di loro e cominciò a sganciarli dai moschettoni, lasciando però loro addosso le manette.
F, raccolto il suo sacco, uscì, e si ritrovò in mezzo al piazzale del Castello, dove altre quattro dominatrici attendevano l’arrivo della "merce".
La scena che gli si presentò davanti, andava ben oltre i limiti della sua più perversa fantasia.

(continua)
 
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view post Posted on 15/1/2024, 12:39     +1   +1   -1
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4

Alla luce del tramonto il piazzale, discretamente ampio, era spazzato da un vento freddo raggelante, anche se la temperatura era in parte mitigata dalla presenza di alcune stufe catalitiche per esterni. Gli schiavi, in zoccoli e saio, venivano fatti schierare in fila, lungo una linea appositamente tracciata sulla pavimentazione, rivolti verso cinque Signore, tutte vestite allo stesso modo che brandivano fruste e scudisci di diversa forma. Oltre alla bionda incontrata all’accoglienza, ce n’erano altre due dai capelli platino, più una rossa ed una mora. Tutte erano alte e, per quanto si poteva intuire, di belle forme. Era difficile stimarne l’età, dato che se ne vedevano solo i volti, belli e curatissimi.
Il piazzale era antistante l’edificio centrale del Castello, a cui F e gli altri davano le spalle. Davanti a loro c’erano le mura, ed il grosso portone principale, che veniva in quel momento chiuso da due schiavi, vestiti con la tuta più pesante.
Altri schiavi in tuta, si trovavano agli angoli del piazzale: qualcuno trasportava le valigie dei nuovi arrivati, altri curavano le aiuole.
Il sibilo del vento, copriva e disperdeva le parole che le Dominatrici si stavano dicendo, chissà in quale lingua, finchè una di loro, la mora, si mise in mezzo e parlò agli schiavi.
- Siete arrivati al Castello, schiavi - disse con tono deciso, scandendo bene le parole per farsi intendere da tutti - Siete il secondo gruppo di questo periodo: dieci come voi sono arrivati ieri ed altrettanti ne arriveranno domani. E’ un periodo di abbondanza questo al Castello perché oltre a quelli come voi, è impegnata un’altra quindicina di schiavi di servizio, assegnati qui in pianta stabile. Vi saranno spiegate le regole di comportamento generali, oltre a quelle specifiche per le varie funzioni, e sarete pure impiegati per vari lavori, sia per istruirvi al riguardo, che per assicurare il funzionamento della struttura e il comfort delle Dominatrici.
Si interruppe brevemente, e cominciò a passeggiare lentamente davanti alla fila degli schiavi, come per passarli in rassegna.
- Per il momento - proseguì - saranno sufficienti alcune minime spiegazioni, poiché l’inserimento avverrà gradualmente. Come prima cosa sarete verificati sotto il profilo sanitario, verrete infatti sottoposti ad accurate visite, analisi e misurazioni, per accertare le ottimali condizioni per il vostro uso successivo. Di ciò, si occuperà lo staff medico del Castello, che vi prenderà in consegna fra poco. Poi resterete sotto il controllo delle Dominatrici Guardiane, il corpo di sicurezza di cui faccio parte io stessa, insieme alle Signore che vedete con me e a qualche altra. Ci potete facilmente distinguere per l’uniforme e lo stemmino che portiamo al bavero dei vestiti. Noi ci occuperemo di illustrarvi le regole generali e di addestrarvi alle corrette posizioni da assumere davanti alle Dominatrici. In particolare nei primi giorni, vi sottoporremo ad un trattamento molto severo per educarvi rapidamente e per conoscervi meglio. Vi raccomando di non cercare di opporre resistenza, nè mentale nè fisica, al nostro Dominio, poiché sarebbe solo inutile, e vi costerebbe ulteriori sofferenze, rispetto a quelle che sono già previste.
Fece una nuova pausa, stavolta un po’ più lunga, e dopo avere completato la rassegna della fila degli schiavi, arretrò di qualche passo, per tenerli sott’occhio tutti insieme.
- Vi è già stato spiegato - riprese - che la lingua ufficiale al Castello è l’inglese, ciò perché sono presenti Dominatrici e schiavi di varia nazionalità. Può capitare che vi sia rivolta la parola nella vostra lingua, e, se siete molto fortunati, che vi sia concesso di usarla per rispondere. Se ciò non vi viene espressamente consentito, però, dovete usare l’inglese, e ogni parola od anche lamento, che pronuncerete in altra lingua, sarà considerata infrazione al regolamento. Potrebbe anche succedere, che vi vengano dati ordini in altre lingue, cosa possibile, perchè nessun limite è posto al capriccio delle Dominatrici. In tal caso è vostro obbligo obbedire, dato che è questo che ci si aspetta da uno schiavo: la mancata obbedienza sarà considerata infrazione disciplinare, e non potrete opporre a vostra discolpa di non avere capito l’ordine.
- Le infrazioni - continuò - possono essere punite subito e direttamente punite o annotate sulla vostra scheda o entrambe le cose, a discrezione della Dominatrice che le rileva. Quando le infrazioni annotate sono numerose, o frequenti, o gravi, si apre un formale procedimento disciplinare per l’erogazione di una adeguata pena esemplare. L’espiazione della pena, comporta, di regola, l’emenda della violazione, ma può essere disposto altrimenti, ed in tal caso, è possibile che siate nuovamente processati per la stessa mancanza.
Di ogni punizione e di ogni annotazione verrà tenuto conto nel giudizio finale, qualora richiesto dalle vostre Padrone, alla fine della permanenza. Se tornerete altre volte, la vostra scheda sarà ripresa e nulla di quanto è successo sarà dimenticato. Deve essere chiaro, che il procedimento disciplinare ha importanza pubblica, e non va quindi confuso con le punizioni direttamente impartite dalle Dominatrici, prima o al posto del giudizio. E’ frequente che le Signore si limitino ad annotare solo le colpe di una certa gravità e che puniscano personalmente le mancanze dei loro schiavi o di quelli al loro servizio. Noi Dominatrici Guardiane preferiamo invece annotare tutto, anche le colpe per le quali somministriamo subito le punizioni. Ciò riguarda le punizioni vere e proprie. Altra cosa rispetto alle torture inflitte a scopo di istruzione o per puro divertimento. Quanto infatti alle torture inflitte a scopo di istruzione, non si tratta di punizioni, ma di lezioni che fanno parte del programma per spiegare e far capire a cosa si può andare incontro. Inoltre, come dicevo, le torture possono essere usate per provare la resistenza della vittima, per sperimentare tecniche o anche per puro e semplice divertimento della Dominatrice. In tali casi tutto dipende dalla volontà della Dominatrice che le dispone e non c’è attinenza con le regole disciplinari, fermo restando che lo schiavo è sempre sottoposto alle regole disciplinari, anche quando è sotto tortura di istruzione o per divertimento della Dominatrice.
- Spero che prima di arrivare qui, abbiate studiato attentamente le regole principali che riguardano la vostra condizione di sottomissione. Esse saranno oggetto di approfondimento nei prossimi giorni e si passerà poi a studiare le regole più specifiche per i vari modi d’impiego e i lavori a cui potrete essere adibiti. Come già vi è stato detto, comunque, già da subito siete soggetti al rispetto di ogni regola esistente al Castello e non potrete mai giustificarvi dicendo che non la conoscete o non l’avete bene capita. Mi piace sintetizzare la regola principale, dicendo che per uno schiavo, esistono solo comportamenti obbligati, ed altri vietati, per cui ciò che non è obbligatorio è proibito. Così, ad esempio, è vietato parlare in alcun modo, se ciò non viene comandato o concesso; è vietato guardare direttamente le Signore, è vietato l’uso di indumenti diversi da quelli previsti per le particolari situazioni, è vietato coprire le proprie nudità, è vietato opporre alcuna anche minima resistenza, fisica o psicologica, alle Padrone ed alla loro volontà. Se vi è comandato di parlare, dovrete usare il Voi verso le Signore e la terza persona per indicare voi stessi. Inoltre, ogni frase deve iniziare e finire con "Signora". Quindi non direte mai "ti obbedisco" ma "Signora, questo schiavo Vi obbedisce Signora".
Sempre ad esempio, non potrete chiedere pietà alle aguzzine che vi stanno torturando, se non dicendo:
"Signora, questo schiavo implora che abbiate pietà, Signora".
Resta inteso che anche i lamenti sono proibiti. Possono essere tollerati solo singhiozzi, lacrime e grida, durante l’inflizione delle torture, ma anche questi possono essere proibiti, o comunque considerati mancanza disciplinare, se troppo insistenti, secondo il giudizio delle Dominatrici che li odono.
Circa l’abbigliamento, va precisato che la tenuta ideale per uno schiavo, è l’assoluta nudità, a parte l’applicazione di attrezzi, quali collari, bracciali, cavigliere, cinture di castità ed altri capi restrittivi.
Questa sarà la vostra condizione abituale all’interno del Castello e nelle celle, a prescindere dalla differenza di temperatura esistente fra i vari locali. Dato che siamo nella stagione fredda, per i lavori esterni è consentito l’uso della tuta pesante, con guanti, calze e zoccoli. In certi casi, potrà essere autorizzato anche il maglioncino, ma se non c’è troppo gelo potrà bastare il saio. Ciò non toglie che in qualunque momento, anche durante un lavoro esterno, vi potrebbe essere ordinato di spogliarvi completamente.
A quel punto, la Guardiana si girò verso uno degli schiavi in tuta, che stavano lavorando alle aiuole e lo chiamò a sé, con un grido. Quello mollò ciò che stava facendo, e la raggiunse di corsa, un po’ limitata dagli zoccoli, per fermarsi ad un paio di passi, e mettersi subito in ginocchio dinanzi a lei.
- Osservate - disse la donna rivolgendosi agli schiavi - questa è la posizione "in ginocchio" che dovrete assumere quando siete chiamati da una Dominatrice. Gambe aperte, appoggiate per terra con le sole ginocchia e punte dei piedi, busto in linea con le gambe e perfettamente perpendicolare al suolo, pancia in dentro, petto e culo in fuori, testa china e mani incrociate sulla testa. Imparerete bene questa posizione, che è una di quella delle fondamentali e che dovrete abituarvi a conservare, nell’immobilità, anche per lunghi periodi.
Tornando a guardare lo schiavo inginocchiato, la Guardiana gli comandò seccamente di spogliarsi completamente.
Quello non mostrò alcuna esitazione: si alzò, si tolse zoccoli e calze e si sfilò rapidamente la tuta, restando completamente nudo, al freddo del crepuscolo che avanzava, per rimettersi in ginocchio come era prima.
Guardandolo, si notava che aveva una catena stretta intorno alla vita ed in mezzo alle natiche, e che tutto il suo corpo era striato dai lividi delle frustate, soprattutto sulla schiena e sul culo.
- Ora lo schiavo vi mostrerà come si sta in piedi - disse la Guardiana, che diede poi il comando, a cui la vittima, scattò istantaneamente.
- Come vedete, vanno tenute sempre le gambe divaricate, si sta dritti ed impettiti, anche in questo caso, con le mani incrociate sulla testa.
- Altra posizione fondamentale è quella piegata in due, utile per le ispezioni anali e le frustate - aggiunse, quindi dando il relativo comando.
- Lo schiavo, a gambe aperte, appoggia le punte delle dita per terra, vicino ai piedi e tiene in alto il culo, ben esposto alla penetrazione ed ai colpi di verga.
La Guardiana, poi, diede l’ordine di mettersi a quattro zampe, che lo schiavo nuovamente eseguì senza indugio.
- In questa posizione - spiegò - lo schiavo tiene testa e busto paralleli al suolo, gambe aperte parallele alle braccia, appoggiando per terra le palme delle mani, le ginocchia, e le punte dei piedi. E’ utile in vari casi, sia per far muovere lo schiavo, che per usarlo come seggiola.
A dimostrazione di ciò, la donna si sedette sulla schiena della vittima, suscitando il compiacimento delle altre Dominatrici che assistevano alla scena.
- E’ una buona usanza del Castello - spiegò ai nuovi arrivati - usare gli schiavi come mobilio: sedili, poggiapiedi, tappeti o reggitori di tavoli e candele. E’ una delle attività a cui frequentemente vi capiterà di essere adibiti e dovrete imparare bene come comportarvi in tali casi, abituandovi alla fatica, ed allo sforzo dell’immobilità prolungata nel tempo. E’ chiaro, che le irregolarità nello svolgimento di questo tipo di servizio, vanno corrette a furia di torture e punizioni.
Sempre restando seduta sullo schiavo nudo, la Signora chiamò un altro di quelli che lavoravano nei paraggi e che si affrettò a raggiungerla, mettendosi in ginocchio davanti a Lei. Anche a quello fu comandato come prima cosa di denudarsi e quindi di stendersi per terra a pancia in giù. Lo schiavo obbedì, sdraiandosi sul selciato gelido, mostrando le terga completamente coperte da lividi e striature.
- In questa posizione -illustrò la Guardiana - dovete aderire perfettamente a terra, senza badare a come si trovano i vostri genitali, tenere sempre le gambe scostate e le braccia lungo il corpo. Vi potrà essere ordinato di strisciare, nel qual caso, dovrete muovervi sempre aderendo bene al suolo, ed imparerete come fare.
Con un altro comando, intimò di girarsi, e lo schiavo obbedì.
- A pancia in su - continuò così l’illustrazione - lo schiavo resta in una posizione simile alla precedente ed è ben disposto a fare da tappeto e venire calpestato.
Per chiarire il concetto, la donna si alzò dalla schiena dello schiavo che le faceva da seggiola e si mise in piedi su quello disteso. Non usò mezze misure, e piantò i tacchi alti dei suoi stivali sul petto e sulla pancia della vittima.
- Anche in questo caso - precisò - la posizione non è una scusante per tenere lo sguardo su una Signora, per cui gli occhi, che non vanno chiusi, devono comunque evitare occhiate indiscrete: cose del genere, sono mancanze da punire e reprimere drasticamente!
Sottolineò il concetto, piantando il tacco di uno stivale sul sesso dello schiavo, spingendo con forza ed a lungo, fino ad ottenere gemiti di sofferenza dalla vittima.
- Questo animale mi ha sbirciata - disse alle altre Guardiane - fate portare qui il palo, che lo punisco subito!
L’idea fu accolta con soddisfazione dalle sue colleghe, una delle quali si rivolse a due schiavi che lavoravano nei paraggi ordinando loro di trasportare l’attrezzo richiesto.
Quelli arrivarono dopo qualche minuto, durante i quali lo schiavo-tappeto continuò ad essere martoriato sui genitali, portando un grosso palo, piantato su un basamento di
legno. Appoggiato l’oggetto davanti alla fila di schiavi, raggelati sia per il freddo che per la scena, due Guardiane sollevarono di peso la vittima da terra, e lo misero contro il palo, con le terga rivolte all’esterno. I suoi polsi furono incatenati in alto, alla sommità del palo, e le caviglie vennero assicurate ad altre catene, poste sulla base, in modo che dovesse tenere le gambe spalancate.
La Guardiana che lo aveva incriminato, volle curare personalmente la punizione, decidendo di infliggergli dieci frustate con il lungo attrezzo che teneva al cinturone, identico a quello, che anche la Signora all’accesso teneva sotto il cappotto. Ad un paio di passi di distanza, la Dominatrice fece roteare la frusta, che poi schiantò con violenza inaudita sulla schiena dello schiavo. Dopo tre frustate, quello cominciò a mugolare, alla quinta gemeva, alla settima piangeva ed alle ultime due, gridò forte, tanto che la donna, ridendo, decise di somministrargli altri due colpi, per puro divertimento delle sue colleghe, che la incitavano a colpire senza pietà.
- Segnerò la colpa sulla scheda dello schiavo - concluse - ed ora, che tornino entrambi alle loro occupazioni!
Le colleghe sganciarono dal palo la vittima, che faticò a reggersi in piedi. Istigato da un colpetto di frustino e dalle ingiurie delle Guardiane, si fece forza, ed andò a raccogliere i suoi indumenti, rivestendosi. Così facendo, diede le spalle alla fila dei nuovi schiavi e proprio ad F, che si trovava più vicino, capitò di vedere bene i pesanti lividi lasciati dalla grossa frusta della torturatrice che in alcuni punti avevano veramente strappato la pelle.
Quando entrambi gli schiavi si furono rivestiti, si allontanarono, genuflettendosi, per riprendere il lavoro sospeso.
- Credo che questa esibizione, vi abbia fatto capire come funzionano le cose qui più di tante lunghe illustrazioni - disse allora la Guardiana al gruppo dei nuovi arrivati – Capita anche a schiavi di lunga esperienza, come erano i due che avete visto, commettere errori ed infrazioni. Avete visto che l’essere bravi nel lavoro e nel comportamento formale non può costituire motivo per alleviare le punizioni che sono egualmente pesanti, poiché non si devono confondere due cose, come la produttività ed il rispetto della disciplina.

(continua)
 
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view post Posted on 16/1/2024, 11:16     +1   +1   -1
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5

- Tornando alla spiegazione - continuò la Signora, rivolta al gruppo di schiavi appena arrivati - prima di indirizzarvi al posto dove resterete in attesa delle ispezioni mediche, voglio rammentarvi alcuni altri principi basilari riguardanti sia la disciplina a cui siete soggetti, sia gli usi che saranno fatti del vostro corpo. Innanzi tutto voglio rimarcare che la vostra presenza qui e tutta la vostra esistenza sono finalizzate solo al diletto delle Dominatrici e che non si terrà mai in alcun conto il vostro bisogno personale, anzi: le privazioni e le sofferenze, a cui sarete costantemente sottoposti mirano proprio a provocare un patimento insopportabile e l'assoluto annullamento della persona. Così, ad esempio, la vostra alimentazione non è destinata a darvi sollievo fisico, ma solo a tenervi attivi, motivo per cui essa sarà di regola dispensata in misura apppena suffciente al minimo di sostentamento, perchè la fame e la sete sono validi mezzi di tortura continua che vi tengono già da sole in uno stato di forte subalternità. Nessuno di voi, per quanto si vede, sembra patito, quindi una dieta stretta vi farà solo del bene. Riceverete, ad orari stabiliti ma non regolari, un po’ di pane secco ed acqua, oppure zuppe o qualche avanzo: ciò che vi verrà dato, sarà sempre molto poco gustoso e potrà essere addizionato a sostanze che, seppur commestibili, hanno odori o sapori nauseabondi. Inoltre, vi potrà essere fornito per terra, o in ciotole per animali o comunque in modo che mangiarlo non sia cosa agevole. Insieme a questa minima alimentazione, vi saranno dati composti medicinali per la prevenzione delle malattie: la salute del vostro corpo ci interessa perché su di esso stiamo facendo un importante investimento, di tempo ed istruzione, che non vogliamo sprecare. Le privazioni
alimentari, dunque, oltre a rientrare nel programmi formativi, per tenere voi schiavi più arrendevoli e soggiogati, sono pure usate come torture a fini punitivi e rieducativi; al contrario, nei rari casi in cui può capitare che uno schiavo si distingua al punto da meritare una ricompensa, essa può essere efficacemente costituita da una minima porzione aggiunta.
- Parlando di cibo e delle sostanze che vi possono essere aggiunte, è l’occasione per trattare dell’abitudine di talune Signore di "correggere" l’alimentazione degli schiavi con urina e feci. La pratica della coprofagia non è fra quelle incentivate dal Castello, ma quel tipo di "correzione" viene vista con simpatia nel nostro ambiente, purchè non eccessiva e non troppo frequente. Non sono previsti impieghi stabili di schiavi come "gabinetti-umani" né corsi di educazione per questa funzione, ma ciò non toglie che le singole Padrone possono disporre in tal modo dei propri schiavi, come cessi umani sia per se stesse che per loro amiche. Nel caso di espressa indicazione da parte della Padrona è anche possibile che uno schiavo sia utilizzato come gabinetto da tutte le Signore; è però una pratica non tanto diffusa e che può dare buoni risultati solo se usata con parsimonia, come nel caso si rendano necessarie gravi umiliazioni e punizioni.
- Per quanto riguarda i vostri bisogni fisiologici, sia per finalità educativa che per motivi organizzativi, vi rammento che essi possono essere fatti solo ed esclusivamente nei momenti appositamente previsti e che non rispettare tale regola è consiiderata mancanza disciplinare grave. Vi consiglio di tenere sempre presente questa regola per evitare pesanti punizioni ed avere ben chiaro che nella vostra condizione non vi compete alcuna facoltà umana e che dipendete in tutto e per tutto dalla volontà e dal capriccio di noi Dominatrici.
- Limitazioni analoghe a quelle per il cibo ed i bisogni, valgono anche per il sonno. Anche in tal caso è escluso che lo schiavo possa avere un qualche diritto al riposo, semplicemente, è accettato, perché una quantità minima di sonno serve alla sopravvivenza. Peraltro, è noto, pure la privazione del sonno, costituisce un’ottima tortura psicofisica, molto efficace per tenere la vittima in soggezione, quindi anche il sonno ed il riposo, come il cibo, saranno razionati strettamente e potranno pure essere a lungo interdetti, se ciò apparirà opportuno per motivi educativi o punitivi.
- Un altro importante capitolo della vostra educazione, riguarda l’uso sessuale che può essere fatto dei voi. Innanzi tutto, va tenuto in considerazione non siete qui per soddisfare vostre perversioni erotiche, ma per essere sottomessi al Dominio Femminile. Non ci interessano le pulsioni sessuali che vi hanno condotto alla sottomissione, e tanto meno ci interessa che trovarvi qui possa costituire per voi un’esperienza in qualche modo eccitante. State per sperimentare che vi trovate in una realtà da incubo, molto oltre le vostre fantasie più perverse. Noi Dominatrici, godremo della vostra sofferenza, trarremo piacere dai vostri patimenti e, se vorremo, potremo utilizzarvi come strumenti per il nostro svago sessuale, disponendo del vostro sesso come di una cosa che ci appartiene, e di cui possiamo fare ciò che vogliamo. Gli schiavi non saranno mai soggetti dell’azione sessuale, ma solo oggetti in balia della volontà di chi decide di usarvi: è vostro dovere essere pronti e scattanti all’eccitazione se, e quando, comandata, ed efficaci nel dare piacere nel modo che vi sarà ordinato. Nessun orgasmo, e nemmeno nessuna erezione vi sono consentiti, se non espressamente autorizzati: eccitazioni ed eiaculazioni abusive, sono considerate gravi violazioni disciplinari e anche il compiacimento nell’adempiere all’uso sessuale può essere interpretato come mancanza, poiché per uno schiavo la sola soddisfazione concessa è annullarsi nell’obbedienza assoluta. Gravissima mancanza è una polluzione, ed ancora di più una masturbazione. In tali casi scatta un immediato procedimento disciplinare per l’emanazione di una sentenza severissima. L’uso del sesso degli schiavi avviene in vari modi anche nelle torture e nelle umiliazioni, con modalità che avrete modo di scoprire ed apprezzare ben presto, a vostre spese.
- Un’ultima precisazione riguarda i limiti che sono posti alle vostre sofferenze, umiliazioni e torture. In linea di principio vige la regola che uno schiavo non può sottrarsi al Dominio, rifiutare un impiego o evitare una tortura. Qui si baderà alla vostra sussistenza e sopravvivenza, senza venire incontro ad alcuna vostra esigenza personale, e comunque senza intervenire in modo da danneggiarvi in modo permanente. Per questo motivo, non si praticano tatuaggi, operazioni chirurgiche, piercing, marchiature o torture a fuoco, anche se le Padrone, possono individualmente disporre in qualunque modo dei loro schiavi. Rispetto a tali principi, è logica conseguenza escludere che uno schiavo possa avere voce in capitolo, circa il trattamento che gli viene imposto. Malgrado ciò, è possibile che la Padrona abbia posto particolari limiti al tipo di torture ed utilizzi del suo schiavo e tale volontà sarà naturalmente rispettata a cura di noi Dominatrici, non è quindi vostra competenza sindacare i comandi e le sofferenze, poiché vi sarà inferto solo ciò che è all’interno di tali limiti. Alcune Padrone, eccezionalmente, hanno concesso ai loro schiavi la facoltà di richiedere la sospensione dei supplizi e dei maltrattamenti. Ciò non può avvenire in qualunque momento, ma solo nelle occasioni in cui è previsto che si interpellino gli schiavi in base alle indicazioni fornite dalle stesse Proprietarie.
Ovviamente esistono limiti speciali, com’è nel caso dei procedimenti disciplinari e delle conseguenti punizioni, poiché sarebbe inconcepibile consentire alla vittima di sottrarsi all’accertamento della mancanza o all’erogazione della sanzione. In tali particolari, casi esiste l’istituto della "grazia", che può essere disposta dalla Padrona se il fatto non lede i principi generali del Dominio. Di norma, poi, l’esercizio della facoltà di chiedere l’interruzione dei trattamenti comporta l’allontanamento dello schiavo dal Castello ed è possibile che in seguito sia interdetto un suo eventuale rientro.
- E’ altresì possibile, in determinati momenti, che lo schiavo venga interpellato e possa segnalare motivi di salute che ostacolano il suo normale utilizzo; è vietato, però, usare questi motivi come scusa per l’inesatto adempimento di un ordine o di un lavoro. Nel caso di una segnalazione correttamente effettuata, lo schiavo viene sottoposto ad ispezione sanitaria, e potete già immaginare, che qualora l’accertamento sia negativo, si procederà disciplinarmente con estrema severità.
- Ora vi raccomando – concluse infine - di tenere bene a mente il vostro numero, e di scattare se viene chiamato. Seguite la mia collega, che vi guiderà nell’edificio dove comincerete a sperimentare tutte le sofferenze, privazioni ed umiliazioni che vi ho descritto.

F e gli altri, non si fecero ripetere il comando, e si girarono restando in fila, per seguire la bionda guardiana, sempre la stessa dell’accettazione, che li fece entrare, attraverso una porta, al pianterreno del corpo centrale del Castello.
Finalmente al riparo dal freddo e dal vento, i dieci si trovarono nell’anticamera di quello che era il settore dei "Servizi Sanitari".

(continua)
 
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view post Posted on 17/1/2024, 13:17     +1   +1   -1
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6

Nella stanza c’erano due Dominatrici, entrambe vestite con il camice bianco da medico, sotto il quale spuntavano stivaloni neri con il tacco alto. Brandivano scudisci, mentre stavano sedute ciascuna sulla schiena di uno schiavo. I due schiavi-sedia erano completamente nudi e stavano a quattro zampe.
Scambiate poche parole con le due Guardiane che avevano scortato gli schiavi, una delle due Dominatrici sanitarie si rivolse al gruppo.
- Sono Lady Alexya – disse – e mi occupo della Sanità insieme alla collega Lady Sonya. Procederemo alla vostra visita, che sarà molto accurata e quindi durerà a lungo. Credo che potremo vederne solo tre di voi per stasera ed il resto domani, fino all’arrivo del prossimo gruppo. Durante l’attesa, resterete nudi ed incatenati ad appositi attrezzi, che chiamiamo appendi-schiavi, attrezzi che imparerete a conoscere bene poiché li usiamo spesso essendo molto comodi; comodi solo per noi, ovviamente. Non avrete né cibo né acqua, né potrete dormire, ma resterete costretti ad una scomoda immobilità. Verrete staccati dall’attrezzo per la visita, e poi ancora incatenati lì finché non avremo finito con tutti. Poi sarete messi a disposizione delle Guardiane per la prosecuzione delle operazioni di ingresso al Castello. Prima di essere incatenati, verrete portati in due gruppi nel locale dove dovete orinare e defecare per le analisi. Ora spogliatevi, mettete saio, calze e zoccoli nel sacco, e seguiteci senza farci perdere tempo.

F e gli altri si affrettarono ad eseguire il comando, e quando tutti furono completamente nudi, le due Sanitarie si alzarono dalle schiene degli schiavi e indicarono al gruppo la porta dove entrare. Ne fecero passare cinque, compreso F.
Si trovarono in un locale quadrato che sembrava un pisciatoio, con una griglia verso le pareti per coprire la canaletta di scolo. Per terra c’erano cinque pitali e cinque vasetti.
- Al Castello gli schiavi pisciano accovacciati, informò Lady Sonya - quindi procedete, ci sono i numeri sui contenitori.

F vide il suo numero, e, come gli altri, raggiunse il suo posto.
L’idea di potersi liberare era una consolazione, dato che dal mattino non aveva più potuto farlo ed erano già passate tante ore da allora.
Accovacciato come una donna, pisciò nel pitale e scaricò anche nel vaso, accanto agli altri che facevano come lui. Era una situazione del tutto anomala, ma non ebbe il tempo di pensarci troppo, dato che le due Dominatrici meytyevano una gran fretta. Agitando gli scudisci, li fecero rialzare, mentre i due schiavi che prima avevano servito da sedie correvano a prelevare i vasi, tappandoli e mettendoli su un carrello.
Dopo che tutti e cinque i nuovi arrivati ebbero espletato le loro funzioni, arrivò il momento di conoscere i famosi attrezzi "appendi-schiavi" il cui nome derivava evidentemente da quello degli appendiabiti trattandosi di una versione modificata, dei carrelli usati per questo scopo nei negozi.
Si trattava, infatti, di una base rettangolare con rotelle, nei cui lati corti, erano collocate delle sbarre, che, reggevano una specie di gogna in legno messa orizzontalmente, regolabile in altezza per adattarsi esattamente alle dimensioni dello schiavo da appendere.
I dieci attrezzi erano già stati portati nell’anticamera e le due Guardiane avevano attaccato a ciascuno di essi i sacchi degli schiavi, per cui, chiamandoli uno alla volta, era giunto il momento di incatenarli tutti ai loro posti.
F, ancora una volta fra i primi, venne fatto salire sulla pedana a gambe spalancate, poiché le caviglie gli furono bloccate con catene, alle parti opposte della base. Era una divaricazione non troppo spinta, ma sufficiente per essere scomoda.
Infilò la testa nell’apposito foro, ed altrettanto fece con i polsi. Quindi venne chiuso nella gogna, restando in tal modo forzatamente in piedi.
Dopo averli sistemati tutti negli attrezzi, le Guardiane misero a ciascuno un bavaglio, costituito da una palla metallica infilata in bocca e tenuta ferma da una fibbia allacciata dietro la nuca.
- Consideratelo un aiuto a stare zitti - disse infine la Guardiana bionda, così vi evitiamo di subire punizioni per aver parlato senza permesso.

Le Dominatrici Sanitarie si ritirarono nel loro ambulatorio con uno degli schiavi. L’altro restò in ginocchio davanti alla porta e le due Guardiane rimasero a vigilare sui prigionieri. Passarono alcune decine di minuti, prima che fosse fatto entrare il primo schiavo per la visita. Al segnale della Sanitaria, la Guardiana bionda prese il primo carrello appendi-schiavo, e lo spinse nell’ambulatorio, chiudendo poi la porta alle sue spalle.
A F, intanto, non restava che attendere il proprio turno e poi la fine di tutte le visite: non aveva idea di quanto tempo ci sarebbe voluto, ma sospettava che sarebbe stato molto.

(continua)
 
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view post Posted on 18/1/2024, 12:19     +2   +1   -1
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7

Già dopo una mezz’ora trascorsa senza che nulla accadesse, F cominciò ad avvertire il fastidio provocato dalla forzata immobilità.
Appena entrato nella sala appendi-schiavi, dopo avere subito il gelo dell’esterno, l’ambiente gli era sembrato tiepido; ma passando i minuti, e restando così fermo, cominciava ad avere i brividi. Presto però trascurò il freddo quando si trovò a combattere con fastidiosi pruriti, che incominciarono a prenderlo a tradimento in ogni parte del corpo e che non poteva in alcun modo sedare, immobilizzato com'era. Inoltre era tormentato da un certo senso di bruciore al culo, certamente causato dal fatto che non aveva potuto lavarsi dopo avere cagato. Facendosi forza per resistere alla scomodità, azzardò a sbirciare gli altri schiavi incatenati, che immaginava si trovassero più o meno nella sua situazione: non osava fissare lo sguardo su alcuno di loro, ma notava i loro piccoli tentativi di muoversi, i piccoli scatti della testa e delle mani, gli accenni di spostamento dei fianchi e delle gambe, per quel poco che era concesso dalla morsa degli attrezzi costrittivi.
Finì inevitabilmente col soffermarsi sui loro sessi, considerando che era una cosa completamente nuova il fatto di trovarsi così nudo ed incatenato, fra tanti altri schiavi nella stessa condizione.
La Guardiana rimasta nella sala, intanto, si era procurata una poltroncina, e vi si era accomodata, leggendo una rivista.
Nessuno osava girare lo sguardo nella sua direzione, anche se la sua presenza incombeva sugli schiavi, che, nel silenzio, sentivano il suo respiro ed il frusciare dei fogli quando li girava.
F, mentre il tempo passava lentamente, si rese conto che stava svuotando la mente, forse come istintiva autodifesa verso quella totale assenza di eventi. Non gli veniva da rimuginare su se stesso e sulla sua storia, come aveva fatto durante l’attesa nella cella dell’accettazione. Così tornò a ripassare mentalmente il discorso della Guardiana mora, sentito nel piazzale e rabbrividì, rievocando l’immagine della scena di tortura a cui aveva assistito.
Con il passare del tempo la sua testa si svuotò anche di quei pensieri, e di quanto aveva intorno. Si concentrò con lo sguardo su un punto del pavimento, cominciando a ripetersi mentalmente che era stato lasciato lì come un oggetto in deposito, una cosa qualunque, poiché così, era come le Dominatrici lo consideravano, uno schiavo fra tanti, senza diritti e facoltà da persona, e tenuto lì solo per essere usato. Se lo diceva, e man mano se ne convinceva, anche se ciò lo spaventava.
Avendo progressivamente perso la nozione del tempo, non potè stimare quanto ne era passato quando il primo schiavo fu portato fuori dall’ambulatorio, già appeso sull’attrezzo, ed il secondo prese il suo posto.
Nulla accadde per tutto il tempo della seconda visita, ed F, pur senza potere dormire, cadde definitivamente in una condizione, mai provata prima, di estraneità a quanto aveva intorno.
Vagamente si accorse dell’uscita del secondo schiavo e dell’entrata del terzo, e poi ancora si sentì spento, fin quando anche quella visita fu terminata. Solo allora le Sanitarie tornarono nella sala, e, dopo un breve conciliabolo con le Guardiane, informarono che le visite erano finite per quella notte e che sarebbero riprese la mattina successiva.
Agli schiavi non restava altro da fare che aspettare lì, immobili e incatenati com’erano.
Sarebbero stati lasciati soli, ma con la luce accesa e sotto sorveglianza di alcune telecamere, che li avrebbero sempre tenuti sotto tiro. Detto ciò, le Dominatrici se ne andarono, portandosi via pure i loro schiavi assistenti. Così il gruppo di nuovi arrivati restò solo.
Ridestato dalle parole delle Signore, F riacquistò un po’ di lucidità, che non gli fu d’aiuto, perché così riprese ad avvertire il freddo, il fastidio per la posizione, l’umiliazione e l’ansia per ciò che stava vivendo.
Sempre tenendo la testa china, alzò gli occhi quel poco che gli bastò, per guardare nella direzione dello schiavo uscito per ultimo dall'ambulatorio, che era l’uomo robusto vicino al quale si era ritrovato all’accettazione e che ora gli stava davanti, dall’altro lato della sala. Aveva un aspetto malconcio, un po’ stravolto, come se avesse penato particolarmente durante l’ispezione e si notavano lungo le cosce e vicino al pene, alcuni lividi di frustate.
Sembrava, dunque, che quello avesse già cominciato a sperimentare direttamente, le violenze di cui le Dominatrici erano capaci.
F, cercò di immaginarsi cosa lo aspettava durante l’ispezione sanitaria, a parte il fatto che già era penosa quell'interminabile attesa che lo stava mettendo a dura prova. Che fosse necessaria una visita medica era un’asserzione che non teneva conto del fatto, che insieme all’iscrizione, alla sua Padrona era stato richiesto di documentare accuratamente il suo stato di salute: visite, analisi, radiografie, erano state allegate in abbondanza e per l’occasione, aveva proprio dovuto farsi fare un completo check-up. Non aveva molto senso, salvo che per controllare l’autenticità dei documenti, una nuova visita approfondita. Probabilmente sarebbe stato sufficiente un rapido controllo, più che altro per poi verificare lo stato di conservazione, durante ed alla fine della permanenza. La durata della visita, a meno che non fosse anche quella contrassegnata da lunghi tempi morti, faceva immaginare qualcosa di più approfondito, ma più che altro era facile intuire che era solo l’occasione per infliggere patimenti e umiliazioni.
Ciò pareva confermato dall’aspetto abbattuto dello schiavo appena visitato e metteva in moto nella mente di F fantasie su possibili maltrattamenti da parte delle due Dominatrici Sanitarie e della Guardiana che le assisteva. Pur non sapendo bene cosa aspettarsi, era sicuro che non sarebbe stato piacevole, tanto più se l’esperienza delle torturatrici si sommava a cognizioni mediche. Cominciò, così, a vedersi dinanzi alle sue aguzzine, nudo ed in catene, sottoposto a frustate, preso a calci e bastonato.
Immaginava vagamente che gli avrebbero potuto somministrare dolori atroci, a cui non avrebbe potuto sottrarsi, prendendosi gioco di lui, con la scusa di provare la sua capacità di resistenza.
Nuovamente, si ritrovò a pensare che non aveva scampo, poiché essendo stato sottoposto al loro dominio, non poteva aspettarsi altro che questo; se loro lo consideravano una cosa con cui giocare, non gli restava altro da fare che assecondarle e rassegnarsi al patimento, tanto ormai la sua via era tracciata.
Così, per quanto confusi fossero quei pensieri, scivolò, lentamente, ma inesorabilmente, in quella condizione di parziale incoscienza, che, in assenza di un vero riposo, era la sola a consentirgli di resistere per ore ed ore, all’incatenamento ed alla scomodità.

(continua)
 
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8

Ritornato ad avere un po’ di lucidità, F non poté trattenersi dal cercare di capire quanto tempo poteva avere trascorso nell’assoluto rimbecillimento in cui era caduto. Cercando di rifletterci sopra, realizzò che essendo arrivato alla stazione a metà mattinata, la sua permanenza all’accettazione era durata fino alla seconda metà del pomeriggio. Tra il viaggio, e la spiegazione ricevuta sul piazzale del Castello, potevano essere passate più o meno altre due ore. Quindi, le visite erano iniziate grosso modo all'ora di cena, e dovevano essere continuate fino a circa mezzanotte, forse oltre. Ipotizzando, infine, di avere passato la notte intera immobilizzato e sveglio, per quanto inebetito, poteva concludere che i rumori che avvertiva, erano i segnali del risveglio del Castello e che fosse quindi più o meno l’alba.
Trovava incredibile l’idea di essere stato tenuto lì, ad aspettare, tutte quelle ore, ma pensò anche che era una condizione a cui avrebbe dovuto abituarsi perché chiaramente con tutti quegli schiavi a disposizione le Signore non potevano avere tempo per tutti.
F era assillato dai morsi della fame e soprattutto della sete, dato che non prendeva niente dalla serata precedente il suo arrivo.
Era indebolito dall’immobilità, dal freddo e dal sonno non soddisfatto; inoltre, aveva bisogno di urinare, e sapeva di non poterlo fare.
Come lui, tutti gli altri schiavi erano ridotti a stracci, pallidi e sofferenti, ma tutti cercarono di raddrizzarsi quando nella sala fecero rientro le Sanitarie e le Guardiane, accompagnate dai soliti due schiavi assistenti.
Le donne passarono loro davanti senza neanche degnarli di uno sguardo. La solita guardiana si sedette sulla poltroncina, riprendendo la rivista, e le altre tre entrarono nell’ambulatorio portando con loro uno degli schiavi appesi in attesa.
F, pur restando rimbambito, attese pazientemente e resistette a tutti i fastidi che lo tormentavano, finché, portato fuori il primo, la Guardiana bionda passò al suo carrello e lo spinse dentro all’altro locale.
Qui c’era molto più caldo e, ridestatosi, F osservò che si trattava a tutti gli effetti di un ambulatorio medico, con la tipica attrezzatura di quel tipo di strutture, un po’ particolare forse, perché alle pareti si notavano appese catene e fruste di varia foggia.
La Guardiana aprì i lucchetti che tenevano chiusa la gogna in cui F era stato a lungo rinchiuso e sganciò le sue caviglie dalle catene. Quindi, accompagnandolo con qualche colpetto di scudiscio appena accennato, gli ordinò di mettersi a terra e di stare in ginocchio davanti alle Sanitarie.
F obbedì goffamente, sia per sua incapacità, sia per l’indolenzimento generale provocato dalla lunga immobilità. Attese che qualcuna si occupasse di lui, restando in ginocchio e a capo chino in mezzo alla stanza.
Fu Lady Sonya a parlargli, appoggiando il fascicolo che lo riguardava sulla scrivania e restando in piedi davanti a lui, ad un paio di passi di distanza. L’altra Sanitaria, e la Guardiana bionda gli si misero ai lati, alle sue spalle, brandendo le loro fruste.
- La tua Padrona - disse - ha accuratamente compilato le schede richieste ed ha allegato una completa documentazione sul tuo stato di salute. Dall’esame che ne ho fatto risulti perfettamente in grado di sopportare tutto ciò che è in programma. Faremo comunque un ulteriore controllo e ti sottoporremo a qualche prova ed ispezione, per avere il quadro definitivo. Innanzi tutto, però, voglio verificare un po’ di dati: ti farò delle domande, e tu risponderai senza esitazioni e con le modalità che ti sono state spiegate … se sbaglierai o esiterai, sarai subito sanzionato con la frusta che le mie colleghe hanno già pronta.
Seguendo lo schema della scheda che aveva sott’occhio, Lady Sonya cominciò chiedendogli quanti anni avesse ed F, frastornato, non ebbe la prontezza di rispondere in velocità. Bastarono un paio di secondi di silenzio, perché gli arrivasse sulla schiena la prima sonora scudisciata, che accolse con un gemito quasi stupito.
Lady Sonya ripetè la domanda, e F aprì subito la bocca per parlare, ma sbagliò, perché non iniziò la frase con "Signora" e questo gli costò una seconda violenta nerbata.
Alla terza volta, nuovamente sbagliò, perché non concluse la frase con "Signora" e la conseguente frustata, tanto forte da mozzargli il respiro, lo corresse.
Bastarono quei tre errori e le conseguenti dure punizioni perché F si mettesse d’impegno a non commetterne altri.
Proseguì affrontando le successive domande, e rispondendo a tono, nel modo corretto e senza incertezze.
Le domande riguardavano tutte le possibili malattie che avrebbe potuto avere, ripercorrendo lo schema della scheda.
Pur avendo già sentito quegli interrogativi, in taluni casi ebbe qualche istante di esitazione e ciò gli costò qualche nerbata, ma tutto sommato furono poche.
Conclusa la serie di domande a conferma della scheda, Lady Sonya gli ordinò di alzarsi poiché intendevano misurarlo in ogni parte del corpo. Controllarono lo stato dei denti, il peso, l’altezza, la circonferenza del torace, dei fianchi e dei glutei, la lunghezza delle gambe, delle caviglie, delle braccia, dei posi, del collo, le dimensioni dei piedi e, naturalmente, quelle dello scroto e del pene. Annotarono ogni dato e Lady Alexya scattò foto di ogni particolare. Alla prima misura del suo sesso aveva il pene ritratto, sia per il freddo, che per la condizione psicologica in cui si trovava, per cui dopo averne preso la lunghezza, Lady Sonya, comandò allo schiavo assistente di scrollarglielo un po’, per vederlo moscio ma esteso. La successiva misura, invece, riguardava l’erezione, per cui la Dominatrice gli comandò di iniziare una masturbazione.
- Questa non è una pratica sessuale - aggiunse - quindi, non solo ti è vietato eiaculare, ma anche eccitarti: toccati solo quanto basta per farlo diventare duro, e sviluppato in lunghezza.
Il comando era alquanto bizzarro, ma F non osò contraddire la Dominatrice, né mostrarsi incerto. Cominciò quindi a massaggiarsi con le mani, sperando di superare l’ansia e di dare una buona prestazione. Trovandosi completamente nudo, in piedi davanti a tre Dominatrici che lo osservavano, era certamente molto imbarazzato, e ciò all’inizio non lo aiutò certamente, ma bastò che Lady Sonya facesse schioccare la frusta in aria, perché la sua inclinazione alla sottomissione, gli desse la spinta per eccitarsi.
Quando il suo membro fu eretto, Lady Sonya lo fece fermare, e con il metro gli misurò lunghezza e circonferenza, tastandone la durezza.
- Puoi farlo diventare più duro, spero - gli disse poi sorridendo, e facendogli cenno di riprendere a toccarsi.
F obbedì, muovendo velocemente la mano lungo il pene, che si inturgidì di maggiormente. Fu nuovamente fermato e misurato, e questa volta Lady Sonya sembrò soddisfatta.
Non appena l’ultima misura fu annotata intervenne la Guardiana che nel frattempo aveva impugnato un manganello con il quale, sogghignando, lo colpì violentemente sul sesso.
F, per il dolore fortissimo, si piegò in due e subito sulla sua schiena piovvero altre frustate e bastonate.
- Mi pare chiaro che lo schiavo si era eccitato ben oltre il limite concesso! - sentenziò la Guardiana, mentre F cadeva sulle ginocchia.
- Questa è un’infrazione che verrà annotata ... e il numero 45, in poche ore ha già accumulato molti appunti di questo tipo, tutti imputabili ad un suo eccessivo compiacimento sessuale!
- Ho notato che questo schiavo ha un po’ il gusto dell’esibizione - aggiunse Lady Alexya, saranno necessari severi rimedi per farlo stare al suo posto!
- Ce ne occuperemo quando inizierà l’educazione - concluse Lady Sonya, lo segnaleremo come soggetto da istruire adeguatamente … certamente - aggiunse rivolta alla Guardiana, con un’occhiata maliziosa - Lady Susan avrà modo di mostrare l’efficacia dei nostri metodi correttivi!
- Imparerai il tuo ruolo di schiavo - gli sibilò infine la Guardiana chiamata in causa, puntandogli il manganello in mezzo al petto - e ti farà molto male: non dimenticare queste mie parole, ti sto osservando con grande attenzione e ti seguirò fino a quando non sarai completamente soggiogato!
Ancora ansimante per il dolore, F, la cui erezione si era ormai spenta, fu fatto alzare, e spinto fino ad un cavalletto, su cui fu fatto appoggiare con il bacino. Lo fecero piegare in avanti, finché le mani non toccarono il pavimento, e dovette aprire le gambe, offrendo, in sostanza, il suo culo ben esposto verso l’alto.
Come sospettava, gli aprirono le natiche e una delle Dominatrici si curò di ispezionarlo nell’ano.
Non fu un’operazione delicata. La donna gli infilò bruscamente un dito e poi due, cominciando a frugarlo in modo umiliante e doloroso. Spinse le dita a fondo, fino alle nocche, ruotandole per dilatare il foro, ed aggiungendo poi anche il pollice, per forzare maggiormente l’introduzione.
Dopo avere rovistato per un po’, gongolando dei lamenti della vittima, tirò fuori di scatto le dita, per infilare immediatamente un penetratore di legno a forma di cuneo che spinse a fondo, per una lunghezza di oltre quindici centimetri. Mentre con una mano manovrava l’attrezzo, continuando a ruotarlo, avvicinò l’altra alla bocca di F. Aveva in guanto di lattice, sporco dei residui delle feci, sulle dita che gli aveva infilato. Ordinò allo schiavo di leccare via quello sporco, rimasto a seguito dell’evacuazione senza pulizia ed intanto continuava a tormentarlo. Dopo un po’, tirò fuori l’attrezzo, che nuovamente toccò ad F pulire con la bocca, mentre un secondo fallo gli veniva infilato, stavolta di metallo, assai più lungo e grosso del precedente. Le Dominatrici, sghignazzando, manovrarono il penetratore, sconquassandogli le viscere. Continuarono a lungo, ridendo dei suoi gemiti. Finalmente conclusero l’operazione, facendogli nuovamente ripulire l’attrezzo con la lingua.
F rimase prostrato da quell’ispezione, sia per il dolore che gli aveva provocato, sia per l’umiliante modalità con cui era stata condotta. La sua Padrona, usava, talvolta, imporgli quel tipo di supplizio, ma non era mai stata tanto brutale.
Fra l’altro, lo schiavo non poteva evitare di pensare che gli strumenti erano sicuramente stati utilizzati anche per le vittime che lo avevano preceduto, cosa questa che, a parte le preoccupazioni igieniche, gli faceva pensare di essere considerato soltanto come un oggetto, sul quale le Dominatrici sfogavano, per puro divertimento, la loro estrema crudeltà.
Quelle, d’altra parte, non gli lasciarono tregua.
Lo fecero alzare dal cavalletto e lo trascinarono verso una specie di tavolo ginecologico, sul quale fu incatenato, con braccia e gambe divaricate, in modo che il suo sesso e il culo, fossero esposti e facilmente accessibili. Stretti i polsi e le caviglie alle catene, le Dominatrici ripresero a tormentargli il culo, stavolta con uno strumento apposito per la dilatazione, cioè un cilindro metallico vuoto all’interno, le cui pareti venivano distanziate con una vite.
Con quell’attrezzo si divertirono a straziarlo, e nel frattempo gli misero un anello alla base del glande, che agganciarono ad una catena per tirarlo verso l’alto, in modo esagerato.
In quelle condizioni, ritennero di misurargli la pressione, per cui cominciarono ad armeggiare intorno al suo braccio.
Una di loro si curò di ripetere più volte l’operazione, mentre le altre si occupavano del suo culo e del suo pene, uno dilatato, e l’altro strattonato verso l’alto.
Dopo l’esame della pressione gli fecero un prelievo di sangue, operazione facile, dato che aveva le braccia immobilizzate, ed una serie piuttosto lunga di prove allergiche.
Durante queste operazioni, la Guardiana, implacabile, continuò a tormentarlo, manovrando il penetratore nel culo, strattonandogli il sesso, stringendogli le palle e rifilandogli anche qualche nerbata sullo scroto, sull’interno delle cosce, e sul ventre.
F, in breve, era ridotto allo stremo, e non capiva più il susseguirsi degli eventi e la loro durata.
Quando lo liberarono dal tavolo, lo lasciarono cadere a terra, e, fattolo stendere a pancia in giù, lo costrinsero a calci a strisciare fino al capo opposto dell’ambulatorio, per incatenarlo nuovamente, stavolta appeso per i polsi, in modo che dovesse stare in punta di piedi. Nuovamente lo misurarono, e quindi gli fecero l’esame della vista, proponendogli il cartello dall’altra parte della stanza. Anche per leggere le lettere della tabella, F, doveva premettere e concludere con "Signora", regola questa, che non rispettò inizialmente, e che quindi gli costò alcune violente frustate sulle natiche.
La "visita" fu conclusa da un controllo di orecchie, naso, gola e torace.
F fu quindi nuovamente collocato sul carrello "appendischiavo", bloccato dalla gogna e dalle catene, e riportato nel salone insieme agli altri.

(continua)
 
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view post Posted on 24/1/2024, 13:15     +1   +1   -1
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9

Nel salone, oltre agli schiavi in attesa e alla Dominatrice rimasta di guardia, c’erano un paio di schiavi addetti alle pulizie e una nuova Signora che li stava controllando.
Il portone era stato spalancato, così entrava il freddo dell’esterno, che raggelava l’aria. Gli schiavi al lavoro erano nudi, e portavano solo un collare, oltre a bracciali e
cavigliere, per incatenare fra loro braccia e gambe, ma le catene erano abbastanza lunghe da consentire una possibilità di movimento quasi normale. Lavoravano stando a quattro zampe, e lavavano il pavimento con stracci bagnati, sotto il controllo della loro sorvegliante, che brandiva uno scudiscio e somministrava di tanto di in tanto qualche colpo sulle natiche, incitandoli a fare bene ed in fretta.
F, malconcio e dolorante, sbirciò un po’ intorno, badando a non farsi vedere dalle Dominatrici; poi, sopraffatto dalla stanchezza e dal patimento, cadde in una sorta di dormiveglia. Non era una situazione riposante, giacché il fatto di essere appeso com’era, non gli consentiva assolutamente di assumere una posizione minimamente comoda.
Riuscì, comunque, ad estraniarsi un po’ e lo stato di rimbambimento in cui era caduto gli consentì di sopportare in qualche modo quella lunga e penosa attesa.
Quasi non si accorse di quando gli schiavi lavoratori se ne andarono, seguiti dalla loro sorvegliante, e fu chiuso il portone. La Dominatrice di guardia fu sostituita da un’altra, mentre, col passare del tempo, F risentiva sempre più dell’intorpidimento delle membra, del sonno insoddisfatto, della fame e della sete.
Lentamente proseguivano le visite. Uno alla volta gli schiavi venivano portati nell’ambulatorio, dove subivano il trattamento simile a quello sperimentato da F e quindi uscivano, sempre più provati e malconci. Vi fu una pausa piuttosto lunga ed F, in un labile momento di lucidità, immaginò che fosse per il pranzo delle Signore. Poi le visite ripresero, sempre con la stessa cadenza, fintanto che tutti gli schiavi furono stati controllati.
Finalmente arrivarono delle nuove Guardiane, vestite in modo identico alle altre, che annunciarono sbrigativamente che era stato concluso il controllo sanitario.
Uno alla volta gli schiavi furono liberati dai carrelli e tenendo ognuno il proprio sacchetto con gli indumenti non utilizzati, furono fatti uscire dalla sala d’attesa e condotti in un lungo corridoio. Mentre ciò avveniva, F ebbe l’impressione di sentire dall’esterno il rumore dei camion che, immaginò, portavano i nuovi arrivati sul piazzale del Castello.
Alla fine del corridoio F e gli altri vennero così spinti in una nuova stanza, assai più piccola del salone in cui avevano atteso i controlli sanitari, dove fu loro ordinato di restare in fila, immobili, in piedi, con le mani sopra la testa, allineati lungo una parete. Davanti a loro c’era una scrivania, su cui erano sistemati scatoloni e fascicoli.
Tre Dominatrici, quindi, si occuparono delle successive operazioni, che consistevano in un nuovo esame delle loro schede e nella scelta di bracciali e collari, in base alle misure individuali.
Uno alla volta, gli schiavi furono chiamati con il loro numero, mentre le Guardiane erano pronte a dare tremende sferzate a chi non rispondeva adeguatamente, o non era pronto a scattare per mettersi davanti al tavolo.
F, chiamato fra i primi ed ancora stordito dall’intorpidimento fisico e mentale provocato dalla lunga immobilizzazione sul carrello, si meritò alcune sonore frustate sulla schiena e sulle natiche, impartite da una Guardiana con una lunga verga di legno flessibile.
Ricontrollata la sua scheda e le sue misure, le Dominatrici gli misero una specie di collare, costituito da due parti di metallo, chiuse davanti con un lucchetto, e dall’altra da un perno inamovibile. Il collare aveva anelli passanti ai lati, evidentemente destinati a consentire facili agganci, ed era molto alto e stretto a tal punto da lasciare solamente pochi millimetri appena di gioco attorno al collo, in modo da costituire un fastidioso peso per lo schiavo. Al lucchetto, poi, fu infilato un pendaglio con il suo numero identificativo. Inoltre gli misero due grossi bracciali metallici, ed altri anelli, ai polsi e alle caviglie, sostanzialmente simili al collare tranne che per le dimensioni.
Gli scattarono alcune foto, per documentare ciò che gli avevano applicato, e fu poi preso in consegna da una nuova Guardiana, insieme ad altri due schiavi che erano già stati preparati prima di lui.
La Dominatrice li spinse bruscamente innanzi a sé, indirizzandoli in una stanza attigua dove un’altra aguzzina stava mettendo catene ad altri due schiavi.
Senza particolari presentazioni, dando solo brevi ordini secchi, la Guardiana usò una catena e dei lucchetti per unire i collari degli schiavi. F, si trovò, così, in mezzo fra gli altri due, entrambi più o meno della sua stessa stazza. Poi fece passare un’altra catena, collegando la caviglia destra del primo schiavo alla sinistra di F, e questa alla destra del terzo. Infine, con altri lucchetti, unì i bracciali di ciascuno dietro alla schiena, e quindi usò una catena con ganci per ciascuno, in modo da attaccare i polsi al collare, costringendo le sue vittime ad una scomoda posizione, con le braccia ripiegate all’insù.
F, ebbe appena il modo di dare un’occhiata all’altro gruppetto, di soli due schiavi, constatando che anche loro erano stati incatenati in modo simile. La Guardiana, usando lo scudiscio per fendere l’aria, comandò che la squadra si muovesse, indicando di procedere lungo una scalinata che portava ai piani sottostanti.
Camminare in quel modo si rivelò assai complicato, col rischio di rovinare giù per le scale per poi ruzzolare l’uno sull’altro.
Alla fine del tortuoso percorso i tre arrivarono in quello che sembrava essere un luogo di prigionia: un corridoio tetro, su cui si affacciavano le porte di alcune celle.
Ciò che la Dominatrice fece confermò l’impressione di F. Infatti, la donna aprì una delle porte, rivelando che dietro di essa c’era una cella di anguste dimensioni. Ritirò dai tre schiavi le sacche con gli indumenti, e subito dopo averle lasciate a terra, si preoccupò di mettere ad ognuno di loro un bavaglio, costituito da una palla che andava infilata in bocca, e che era stretta con un fibbia di pelle chiusa dietro la nuca. Poi, sempre lasciando le caviglie dei tre schiavi incatenate insieme, li spinse dentro alla cella, chiudendo subito la porta alle loro spalle.
Così F si ritrovò incarcerato, imbavagliato e incatenato insieme ai due compagni di sventura, con i quali doveva condividere quello spazio angusto, tanto che si trovavano appiccicati l’uno all’altro, letteralmente compressi, come in una scatola di sardine. F, sentiva premere sul suo corpo quello degli altri due, tanto stretti che era perfino difficoltoso respirare. Le braccia ripiegate all’insù, urtavano contro la schiena di uno, ed il petto dell’altro, era attaccato al suo, quasi come fosse incollato. Sentiva il pene di quello che gli stava dietro, schiacciato contro le sue natiche ed il suo era compresso contro quello davanti, in un abbraccio forzato ed osceno. Non avevano alcuno spazio di movimento, e neppure potevano cadere, stipati in quel modo. Nel buio totale, al freddo umido della cella, udirono per un po’ il rumore di catene strascicate, il ché significava che altri schiavi venivano portati in quel sotterraneo e rinchiusi in altre celle.
Poi i rumori cessarono, ed F comprese che stava iniziando un’altra lunga attesa.
Non capiva più che ora potesse essere, se fosse notte o giorno. Di certo, sentiva le sue viscere vuote: era affamato ed assetato. In più era spossato per la privazione del sonno, che si preannunciava durare anche per il tempo di quella prigionia, poiché era assolutamente impossibile dormire in piedi in quelle condizioni. Inoltre, la cella puzzava di feci ed urina, segno che veniva usata per rinchiudervi a lungo gli schiavi, ed il pavimento grezzo, sembrava non essere stato pulito da molto tempo.
Cercò di farsi forza, per affrontare quella nuova lunga attesa e, di tanto in tanto, qualche maldestro tentativo di movimento dei suoi compagni, creava motivo di diversivo, comunque tutt’altro che piacevole, poiché finivano per colpirsi l’un l’altro o impedirsi la respirazione.
Alternando momenti di assoluta confusione mentale ad altri di minima lucidità, durante i quali era in preda al panic, pensando a quanto gli sarebbe capitato successivamente, F trascorse il tempo di quella incredibile reclusione, finchè si udirono nuovamente suoni all’esterno della cella.

(continua)
 
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view post Posted on 26/1/2024, 12:20     +1   +1   -1
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10

Finalmente la porta fu aperta, ed una Guardiana li tirò fuori a forza, ordinando che si riprendessero la loro sacca.
Faticando per restare in piedi, con gli arti anchilosati, i tre vennero spinti a risalire lungo la ripida scala che portava al pianterreno, e qui, riuniti ad altre squadre, vennero guidati verso i locali per i servizi igienici, sempre sotto scorta di alcune Guardiane assistite da altri schiavi.
Come già in precedenza gli schiavi, liberati delle catene, furono guidati in una stanza dove c’erano vasi e pitali, nei quali poterono, tutti insieme, pisciare e defecare, stando accovacciati uno vicino all’altro.
Poi, in un vano attiguo, le Guardiane si curarono della loro pulizia, facendoli innaffiare dagli schiavi aiutanti con un getto d’acqua fredda, misto a detergente. Diedero loro dei teli ruvidi per asciugarsi, e fecero loro lavare i denti con una specie di collutorio, dal gusto troppo intenso di disinfettante.
Fatto ciò, le Dominatrici li suddivisero in nuovi gruppi, ognuno dei quali ebbe una diversa destinazione.
Molto preoccupato, F si vide condurre ancora verso un piano più basso, ma stavolta non si trattava del sotterraneo delle prigioni, bensì di un seminterrato dove c’erano corridoi e stanze. In una di queste fu fatto entrare il suo gruppo, composto da una mezza dozzina di schiavi e qui capirono che si trattava dei loro “posti letto”.
Il termine era esagerato, poiché, in effetti, era una camerata con sei brande, di legno, senza rete né materassi.
A lato di ciascuna di esse, c’era una stuoia buttata sul pavimento.
- Questi sono i vostri posti - spiegò bruscamente la Guardiana che li accompagnava. Forse un giorno vi potrete meritare rete, materasso e coperte, ma per ora avete solo la stuoia, su cui vi stenderete in catene. Sotto alla branda col vostro numero lasciate la vostra sacca, dato che per questi primi giorni non dovrete indossare abiti, e fate in fretta che dobbiamo risalire subito.

Non erano dunque previste soste per il momento ed in pochi istanti gli schiavi fecero quanto loro ordinato.
La Guardiana, allora, li guidò nuovamente al piano superiore, e da qui li portò fino a un grande salone, dove affluivano anche altri gruppi. Qui c’era nuovamente la Guardiana che li aveva accolti appena scesi dai camion la quale, con poche parole, li informò che sarebbero stati incatenati lì, per essere a disposizione delle Dominatrici. Quel salone, aggiunse, era il luogo dove venivano tenute le riunioni e le feste nelle occasioni speciali, mentre, quotidianamente era usato come punto di ritrovo delle Signore. C’erano, infatti, sedie, poltrone e tavolini oltre a mobili bar, ma gran parte dell’arredo era costituito da strumenti di incatenamento, rastrelliere, fruste, scaffali con attrezzi di tortura. C’era inoltre, un numero adeguato di “appendi schiavi” sui quali vennero subito collocati F e gli altri.
Non c’erano tutti quelli arrivati con lui, e nemmeno tutti quelli che avevano passato la visita medica, segno che gli assenti erano già stati indirizzati ad altri servizi, trattandosi probabilmente di quelli già educati e preparati a svolgere specifiche mansioni. Per quelli lì riuniti, invece, si prospettava una nuova lunga attesa, dato che le Signore, dopo averli incatenati ai loro posti ed averli imbavagliati, se ne andarono, lasciandoli da soli.
Perlomeno, pensò F, il luogo non era freddo ed era pulito, diversamente dalla cella in cui era stato segregato con gli altri due. In ogni caso, l’attesa era sempre causa d’angoscia, sia per la forzata immobilità ed il senso di impotenza così indotto, sia per l’ansia, determinata dal pensiero di cosa sarebbe potuto accadere all’arrivo delle Dominatrici.
Tormentato dalla fame e dalla sete che si facevano sempre più pressanti, F ripensava con ossessiva insistenza ai momenti trascorsi, rendendosi pienamente conto di come in poco tempo le Dominatrici avessero già preso completo possesso della sua mente e del suo corpo, usandolo come una cosa priva di autonomia.
Rifletteva, in modo confuso su ciò, quando nella sala entrarono un paio di Guardiane, che tenevano al guinzaglio quattro schiavi nudi, facendoli muovere a quattro zampe, come animali. Le Signore indossavano dei cappotti, e gli schiavi erano visibilmente intirizziti dal freddo, segno che provenivano dall’esterno.
Le due si accomodarono su un divano, chiacchierando fra loro, e gli schiavi si misero in ginocchio ai loro piedi.
F le sbirciò, mentre bevevano qualcosa di caldo e fumavano, attendendo con ansia il momento in cui si sarebbero interessate a lui o ai suoi compagni incatenati. Invece non accadde nulla di tutto ciò. Le Guardiane degnarono gli schiavi appesi solo di un’occhiata, e rapidamente com’erano venute, se ne andarono, portandosi via le loro vittime al guinzaglio.
Passò altro tempo prima che altre Dominatrici entrassero nel salone. Stavolta di trattava di tre Signore, che fecero ingresso ridendo fra di loro. Indossavano corpetti attillati, collant, stivali alti neri; e brandivano lunghe fruste, dando l’impressione di essere già eccitate e decise ad infliggere pesanti torture.
Evidentemente avevano le idee precise perché si indirizzarono con determinazione verso uno degli schiavi, scelto fra i più giovani e prestanti, tirandolo giù a forza dallo strumento a cui era appeso e cominciando immediatamente a percuoterlo, senza che lui potesse minimamente opporsi o cercare di attutire i colpi. Lo presero a calci e frustate in tutto il corpo, senza concederli un attimo di tregua, e quando lo videro stremato lo incatenarono ad un paranco, per appenderlo con le braccia dietro alla schiena e le gambe spalancate. Passandoselo da una all’altra, gli inflissero un’altra infinita serie di nerbate, ridendo dei suoi inutili lamenti, e gli tormentarono il sesso a bastonate, senza pietà. Solo quando fu quasi svenuto lo lasciarono lì, per dedicare le loro crudeli attenzioni ad un altro, che maltrattarono in modo analogo.
F assisteva rabbrividendo, terrorizzato da tanta furia, scatenata così a sangue freddo, senza altra ragione che il capriccio delle aguzzine.
Dopo avere straziato anche la seconda vittima, le tre se ne andarono, lasciando i due schiavi appesi in mezzo al salone, coperti di lividi e in lacrime.
Passò altro tempo, difficile calcolare quanto, durante il quale F non aveva altro da fare che stare alle prese con la sua scomoda posizione, guardando avanti a sé, il triste spettacolo delle due vittime penzolanti dalle catene.
Poi, fece improvvisa comparsa nel salone un gruppo di quattro schiavi, nudi, ma con bizzarri corpetti, che stringevano fianchi e torace, senza catene a polsi e caviglie, ma con delle specie di maschere di cuoio e ferro che servivano evidentemente sia come bavaglio che come costrizione per il viso. I quattro si muovevano rapidamente, ignorando gli schiavi sugli “appendini”, evidentemente avevano ordini precisi sui compiti loro assegnati. L’unica attenzione agli altri schiavi riguardò i due appesi nel mezzo del salone, che furono abbassati, in modo che potessero appoggiare i piedi a terra: non era molto, ma era sicuramente meglio che pendere dal soffitto, con tutto il peso scaricato sulle braccia e sui polsi, uniti dietro alla schiena.
Il lavoro principale di questi schiavi, comunque, era di preparare la sala con sedie ed un lungo tavolo, da apparecchiare per il pranzo. Ognuno aveva mansioni precise, che svolgeva senza bisogno di guardare gli altri. Così il tavolo, che prima era sistemato in un angolo, fu rapidamente apparecchiato in mezzo alla sala, con biancheria e
stoviglie prima riposte in scansie chiuse.

Quando ebbero finito, i quattro uscirono in silenzio dal salone, per rientrarvi dopo circa un quarto d’ora, secondo l’impressione approssimativa di F.
Tornarono, infatti, portando i carrelli con gli scaldavivande, in cui era preparato il cibo per le Padrone.
A quel punto, risultò ancora più evidente la funzione delle maschere-bavaglio, che servivano, oltre che impedire la parola, ad escludere la possibilità che gli schiavi potessero prendere furtivamente qualcosa da mangiare o da bere.
Chiaramente anche quelli, e non solo i novizi, erano tenuti ad uno stretto digiuno, e fu un penoso supplizio di Tantalo, per tutti gli schiavi, quello di intuire la presenza del cibo, senza potere lenire la fame che li tormentava.
Passò un altro po’ di tempo, durante il quale gli inservienti restarono immobili alla scorta del cibo, prima che arrivassero le Dominatrici. Un paio, erano quelle che avevano già visitato il salone, una sembrava la Guardiana che li aveva portati lì, altre due erano nuove, o perlomeno F non le rammentava.
Entrarono fragorosamente, ridendo fra loro, scortate da due enormi alani neri che si misero a scorrazzare dappertutto e intorno agli schiavi incatenati.
Era tutt’altro che rassicurante per F, trovarsi davanti ad un bestione che gli annusava il corpo nudo e sembrava particolarmente incuriosito dal suo pene, così apertamente esposto. Per quanto si dicesse che sicuramente erano animali perfettamente addestrati, sudò freddo il respiro gli si bloccò. Analogo stato d’animo prese gli altri schiavi e forse fu per avere avvertito la loro paura che i due cani ringhiarono ed abbaiarono alle vittime, comportandosi in modo assai simile alle Padrone.
Gli stessi inservienti, per quanto apparentemente già avvezzi a quel genere di situazione, avevano un’aria incerta ed insicura, attirando così altre ringhiate dei due animali. Poi, improvvisamente, i cani si disinteressarono degli schiavi, e corsero a scodinzolare dalle Dominatrici, che nel frattempo si erano sedute a tavola.
Senza bisogno di comandi, i quattro servitori, presero dai carrelli i piatti da portata, preparando il pranzo delle Signore.
Gli aromi del cibo si dispersero nell’aria, aggravando il patimento per il tormento della fame, che stringeva lo stomaco degli schiavi.
F azzardò a guardare un poco, con l’acquolina alla bocca, i piatti fumanti delle Dominatrici che, servite dai quattro camerieri nudi, mangiavano chiacchierando fra loro. Avevano abbassato il tono della voce, così non si capiva nemmeno in che lingua stavano parlando, ma era del tutto particolare il fatto che le cinque Signore sembravano volere palesemente ignorare la presenza di tutti gli schiavi. Dispensavano, invece, carezze e cibo ai due cani, ai quali furono portate le scodelle con carne, pasta ed acqua. Verso la fine del pranzo, poi, alcune Signore elargirono agli animali un po’ dei loro avanzi, badando bene di fare notare ciò agli schiavi, che invece rimanevano a bocca asciutta. Una di loro, in particolare, si divertì, alzandosi, per passare un residuo di braciola sotto al naso di uno dei due appesi in mezzo alla stanza. Quando quello accennò solo ad aprire la bocca, la Dominatrice, ridendo, fece cadere il boccone, per lasciarlo ad uno dei cani, che lo addentò proprio ai piedi dello sventurato.
Avendo ormai concluso il pranzo, quella stessa Signora dedicò un po' della sua attenzione agli altri schiavi.
Dava l’impressione che si stesse scegliendo la merce che poteva interessarla: infatti passava dall’uno all’altro, palpando braccia, gambe e sesso. Fu, infine, lo stesso F a guadagnare la sua attenzione.
- Questo me lo prendo io per i miei giochetti - disse la Signora, rivolta alle colleghe.
- Fa’ pure, Phoria … - le rispose una delle altre, che, nel frattempo, si era alzata, e puntava ai due schiavi ancora appesi per i polsi - io mi lavoro ancora un poco questi due animali: voglio vedere quanto possono resistere alla frusta!
Il commento della seconda Dominatrice fu accolto dagli applausi delle rimanenti tre amiche ancora sedute a tavola.
Miss Phoria fece un cenno d’assenso e si occupò di staccare F dall’appendino, aprendo la gogna che gli bloccava polsi e collo. Con uno spintone lo mandò lungo disteso a terra, e, tenendolo a pancia in giù con un ginocchio piantato nella schiena, gli attaccò un guinzaglio al collare, e gli unì i polsi dietro la schiena, con un lucchetto.
- Striscia bestia - gli ordinò. Vai verso la porta, strisciando a terra come un verme!

(continua)
 
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view post Posted on 27/1/2024, 13:18     +1   +1   -1
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11

F, incalzato da qualche nerbata sulle natiche, obbedì come poteva. Dimostrandosi maldestro, secondo il giudizio della Signora. Pertanto si attirò subito minacce di pesanti punizioni. Comunque, faticando per la difficoltà di muoversi in quel modo, strisciò fino a superare la porta del salone e poi ancora avanti, lungo un corridoio che gli sembrò infinito, attraverso altre sale, finchè arrivò alla porta dell’appartamento della Dominatrice.
F si rese conto che quello poteva essere l’alloggio di Miss Phoria poiché appariva composto da alcune stanze e proprio vicino alla porta, c’erano tre piccole gabbie metalliche, in due delle quali, erano rinchiusi, segregati nel poco spazio, altrettanti schiavi, nudi ed incatenati.
Miss Phoria non badò a loro e fece proseguire F nella stanza successiva, dov’erano sistemati attrezzi di incatenamento e tortura. Alzatolo di peso, lo prese per i polsi che, sempre uniti dietro alla schiena, attaccò ad un gancio collegato ad un verricello mediante il quale lo tirò su, fino a costringerlo in punta di piedi.
Con la schiena curva, le braccia issate ed il capo sbilanciato in avanti, F sperimentò la gravità di quella posizione, immediatamente peggiorata dal fatto che la Signora gli fece spalancare le gambe a dismisura usando come divaricatore un bastone con anelli alle estremità che agganciò alle cavigliere.
Lasciato in quel modo F faticava ancora di più a tenersi puntellato sulle punte dei piedi e la difficoltà di reggersi aggravava maggiormente il suo patimento. Si rese subito conto che Miss Phoria non aveva particolare fretta, poiché rimase un per un po' a guardarlo, girandogli intorno piano piano, e poi si allontanò, sparendo dalla sua vista.
Pur essendo riuscito a sbirciarla solo un attimo, timoroso di contravvenire alle regole, ma anche curioso dell’aspetto della Dominatrice, F aveva notato la bellezza di Miss Phoria. Di aspetto, mostrava di essere sulla trentina, aveva capelli ricci, fra il castano ed il rosso, portava gli occhiali e si facevano notare le sue labbra carnose, dipinte con un rossetto scuro, molto marcato. Di altezza media, sul corpo snello risaltavano le rotondità del seno, non molto pronunciato, e delle natiche. I pantaloni aderenti e gli stivaloni, facevano risaltare le gambe, dritte e tornite. Il suo atteggiamento gelido induceva rispetto, poiché c’era da aspettarsi che, da tanta calma, saltasse improvvisamente fuori una crudele violenza. L’impressione fu confermata quando Miss Phoria tornò nella stanza, preceduta dai due schiavi tirati fuori dalle gabbie che strisciavano per terra e sospinti a suon di scudisciate. Entrambi, già a prima vista, apparivano malconci e con le carni segnate da evidenti lividi.
La Signora, che manteneva il suo apparente distacco, si era in parte spogliata. Senza i pantaloni, esibiva le gambe fasciate da calze autoreggenti, infilate negli stivali, ed un perizoma che le copriva appena il sesso e le lasciava in vista le natiche. Si era tolta anche la maglia, per cui restava in reggiseno, ed ai fianchi portava il classico cinturone, a cui erano attaccate manette, manganello e un lunga frusta arrotolata su se stessa.
Sospinti dalla Dominatrice, i due arrivarono ai piedi di F. A quel punto, Miss Phoria si occupò del primo, mettendogli un ampio divaricatore fra le gambe che poi attaccò a un secondo verricello, per mezzo del quale, tirò su la vittima, fino a lasciarla sollevata da terra, a testa in giù.
Al secondo, toccò, invece, di venire incatenato ad un cavalletto di legno, sistemato con la pancia in giù, schiacciata lungo l'asse trasversale, con braccia e gambe ammanettate ai piedi dello stesso.
Durante quei preparativi, F constatò che i corpi degli schiavi erano segnati pressoché ovunque dai lividi. Inoltre, entrambi avevano anelli conficcati come piercing, sia ai capezzoli che al prepuzio, con una catenella che univa i tre punti, forzando il pene a stare in alto. Avevano pure un anello che stringeva lo scroto, verso l’attaccatura, mettendo così in uno strano risalto i testicoli. Ciò che maggiormente colpiva, comunque, era che i due apparivano magri, emaciati e vistosamente sofferenti, a visibile dimostrazione, degli innumerevoli patimenti a cui la Signora li aveva sicuramente sottoposti.
Quando li ebbe sistemati, Miss Phoria tornò ad occuparsi di F. Innanzi tutto, azionò ancora il verricello elettrico per tirargli ancora più in alto le braccia, costringendolo quindi a drizzare il busto, in modo che fosse maggiore il dolore provocato dall’incatenamento con le braccia dietro la schiena. Poi, con gran calma, prese un cesto di mollette, che cominciò ad applicargli sul corpo. Cominciò dai capezzoli, mettendogliene sia in cima, che intorno. Proseguì lungo le braccia, e poi intorno al sesso, e ne applicò anche sul pene, sul glande e sui testicoli, gongolando ai gemiti della vittima. Altre ancora ne mise all’interno delle cosce, sul naso e sulle labbra, ordinando infine allo schiavo, di tirare fuori la lingua, per applicarne un paio anche lì. Il fastidio era notevole e la Dominatrice si dilettò, muovendo ora una ora l’altra molletta, levandone qualcuna con uno strappo, per poi rimetterla immediatamente.
F sopportava quel gioco crudele mugolando di dolore, nell’impossibilità fisica di muoversi per il modo in cui era incatenato.
Dopo essersi a lungo trastullata, Miss Phoria gli strappò le mollette, una ad una, finchè, quando ebbe finito, si fece vedere bene mentre sfilava il lungo manganello dalla cintura, e prendeva le misure, roteando infine su se stessa, per infliggere una violentissima randellata proprio in mezzo ai testicoli di F, che, a quel punto, mandò un urlo straziante, completamente stordito dall’atroce dolore.
La Signora, non ancora appagata, gli spinse il manganello con forza, dritto in pancia, e poi lo colpì ripetutamente ai fianchi con una furia incontenibile.
Solo quando lo schiavo perse l’equilibrio, lasciandosi penzolare dalla catena, Miss Phoria si fermò, restando ad osservarlo mentre mugolava col fiato mozzato.
La tregua, comunque, non durò a lungo, poiché la Dominatrice lo incalzò affinchè si raddrizzasse e, quando ottenne ciò, si mise ad armeggiare con una seconda cesta che conteneva pinzette e morsetti metallici. L’uso di questi nuovi attrezzi, era simile a quello delle mollette, ma la loro morsa era ancora più forte.
Innanzi tutto applicò ai capezzoli di F due pinzette, che stringevano esageratamente, e che avevano una specie di vite per essere bloccate e non perdere la presa, oltre ad un anellino dalla parte opposta a quella con cui mordevano la carne. Un’altra pinzetta identica, fu applicata sul prepuzio dello schiavo, che così, si trovava ad essere messo in modo simile agli altri due marchiati col piercing. Il gioco della Dominatrice, a quel punto, fu di passare una catenella fra i tre anelli, per divertirsi a tirare e strattonare contemporaneamente le pinzette. Ora tirava in avanti, ora di lato, ora sopra, ora in basso, ottenendo così di far muovere insieme pene e capezzoli, quasi strappandoli. A quelle sollecitazioni, F rispondeva urlando e piangendo di dolore, e ciò sembrava dare molto piacere alla ua torturatrice che, nel frattempo, si toccava voluttuosamente fra le gambe.
Anche mentre si masturbava, eccitata dalla sofferenza della sua vittima, Miss Phoria non perdeva quell’aria fredda e distaccata, da aguzzina, che già stava elaborando una nuova tortura a cui sottoporre lo schiavo.
Dopo un po’ di quel gioco, infatti, la Signora unì le estremità della catenella ad un moschettone, e quindi ad un’altra catena, più grossa e pesante che srotolò fino a farla passare sulla schiena dello schiavo incatenato al cavalletto, messo di traverso rispetto ad F.
All’estremità della catena, quindi, applicò un grosso peso, che stava alzato da terra. In quel modo la catena era in tensione e le tre pinzette erano tirate in avanti. Inoltre, ad ogni anche minimo movimento dello schiavo sul cavalletto, F subiva strattoni, lievi ma molto dolorosi.
La sua posizione fu ben presto aggravata: Miss Phoria gli cinse i fianchi con un’altra catena, che strinse esageratamente, e che poi attaccò ad un tirante infisso nel muro, alle spalle dello schiavo, costringendolo ad arretrare col busto ed esponendo così ancora di più i capezzoli ed il pene alla morsa che lo tirava dall’altra parte. La Signora, restò un po’ a contemplare la sua creazione, quindi decise di attaccare un’altra catena al divaricatore per le gambe, che collegò ad un altro appiglio sul davanti, costringendo F a subire un’ennesima sollecitazione in senso opposto a quella che lo tirava indietro.
In definitiva lo schiavo si ritrovava appeso per i polsi, uniti dietro la schiena e tirati in alto dal verricello, con le pinzette ai capezzoli ed al pene che lo tiravano in avanti, nella stessa direzione in cui erano tirati i suoi piedi e le sue gambe, spalancate per effetto del divaricatore, mentre la pancia era trattenuta all’indietro dalla catena che, fra l’altro, gli segava la carne dei fianchi.
Ogni respiro suo, o dello schiavo sopra il quale passava la catena con il peso, era sufficiente per scatenare dolore, ed a quel punto F non riusciva più nemmeno a gemere o piangere, poiché anche quei minimi scossoni risultavano insopportabili.
Miss Phoria sembrava soddisfatta della sua opera, tanto che si mise a masturbarsi in modo plateale, senza perdere l’occasione per afferrare con una mano il sesso del terzo schiavo, appeso a testa in giù, tormentandogli pesantemente i testicoli. Ansimò e mugolò, per fare capire ai tre schiavi che stava godendo, divertita dalla loro sofferenza. Quindi uscì velocemente dalla stanza, lasciandoli soli.

F, non vedendola tornare, dopo un po’ cadde preda del terrore di essere abbandonato lì. Accennò inutili e dolorosissimi movimenti, constatando che otteneva l’unico risultato di farsi del male. Fra l’altro, lo schiavo sul cavalletto, cominciava a non reggere più la forzata immobilità, per cui cercava di spostare un poco la schiena, muovendo la catena che tirava le pinzette sul corpo di F. Era, in sostanza, una situazione del tutto insostenibile per lo schiavo novizio, che non aveva scampo, nè poteva sottrarsi al patimento.
Al suo ritorno nella stanza, dopo una mezz'oretta, Miss Phoria, che nel frattempo si era rimessa la maglietta, restando ancora senza pantaloni, portò altri attrezzi. Erano altri pesi, che applicò alla catena che tirava le pinzette, sia alla fine, che in mezzo, fra lo schiavo sul cavalletto ed F per esasperarne ancora di più la morsa. Dopo avere controllato l’efficacia della sistemazione, prese un nuovo attrezzo, il cui scopo era di tenere spalancata la bocca della vittima a cui veniva applicato. Era composto da due parti di ferro, tenute aperte da molle, che avevano un blocco per impedirne in ogni modo la chiusura. Urtando le catene che tiravano F, gli si mise davanti, e gli ficcò in bocca l’attrezzo, regolandolo subito al massimo, affinchè lo schiavo si trovasse con le mandibole aperte al limite della loro possibilità. Un altro aggeggio che la Signora usò sulla sua vittima, era un gancio, fatto a forma di doppio amo, di cui infilò le punte nelle narici. Il gancio era unito ad una cordicella, che la Torturatrice gli passò sopra alla testa, tendendola quindi attraverso l’anello del collare, normalmente usato per mettere il guinzaglio. Da qui la tirò ancora, facendola passare attraverso uno degli anelli della catena che tirava F all’indietro, e poi ancora in mezzo alle natiche. A quel punto, legò la corda ad un tubo metallico di forma curva, che senza tanti complimenti, gli infilò nell’ano.
Ora, F si trovava con la testa tirata all’indietro, il culo penetrato, il naso tormentato dalle punte del gancio. Si rendeva pienamente conto di avere ormai assunto un aspetto del tutto assurdo e sembrava che la sua Aguzzina trovasse ciò molto spassoso, poiché nuovamente gli girò a lungo intorno, palesemente divertita.
Non aveva, però, ancora finito, perché dopo un po’ si mise armeggiare con una nuova catena. Stavolta ebbe bisogno di salire su una sedia, per farla passare attraverso un gancio sul soffitto. Ebbe cura di avere le due estremità al livello del pavimento, e quindi prese un moschettone per unire l’ultima catena con quella che tirava in avanti il divaricatore.
Diede alcuni piccoli strappi, giusto per far capire ciò che stava per fare.
F rabbrividì, rendendosi conto che la Signora aveva l’intenzione di tirare in alto la catena, trainando in quel modo anche le sue gambe, per fargli perdere la possibilità di appoggiare le punte dei piedi per terra. Perdendo anche quell’ultimo minimo appoggio, F sarebbe stato privo di ogni equilibrio, ed assolutamente in preda alle forze contrastanti che lo tiravano in direzioni opposte. Ad ogni strappo, scivolava con i piedi in avanti. Le spalle si drizzavano sempre di più, sul punto di slogarsi.
Portava sempre più indietro la testa, per bilanciare la forza che lo teneva per il naso, ma in quel modo spostava all’indietro anche il busto, offrendosi maggiormente alla sofferenza di capezzoli e pene, morsi dalle pinzette.
Miss Phoria, lentissima ma implacabile, non gli dava tregua. Inesorabilmente gli tirava in avanti i piedi, aggravando piano piano la sua instabilità, e quindi il suo dolore. Infine, con uno strappo finale, gli fece del tutto perdere l’equilibrio, facendogli sollevare i piedi dal pavimento.
F, impegnò nelle braccia quel poco di forza che gli restava, cercando disperatamente di pareggiare la tensione che gliele stava girando in modo innaturale. Si rendeva conto che non avrebbe potuto resistere a lungo, e si aspettava da un momento all’altro di sentire cedere le ossa. Mosso dalla paura, che in quel momento era più forte del dolore delle parti del corpo, stritolate e strattonate in ogni direzione, trovò l’energia per un ultima disperata reazione: slanciò le mani verso l'alto, riuscendo ad afferrare la catena e trovando così un modo più efficace per reggersi.
Miss Phoria lo osservava divertita, mentre cercava di resistere e sembrava in qualche modo molto soddisfatta di vederlo ancora reattivo.
Con una mossa improvvisa, la torturatrice lasciò la catena che tirava in avanti le gambe di F ed azionò il verricello elettrico a cui era appeso. In pochi istanti lo schiavo si trovò tirato verso il soffitto, con le gambe a penzoloni, capezzoli e sesso tirati in basso sul davanti, e fianchi stretti dalla catena attaccata alle sue spalle. Doveva continuare a tenere anche la testa piegata all’indietro, ma il fatto di non essere sbilanciato dalle gambe consentiva ai suoi sforzi di ottenere qualche risultato. Alzandolo fino a fargli toccare quasi il soffitto, la Dominatrice, ottenne l’effetto di muovere in su anche la catena, che prima passava sulla schiena dello schiavo sul cavalletto. Così tutti i pesi tiravano decisamente in basso le pinzette, che stringevano capezzoli e pene di F.
Rimase a guardare con calma la sua vittima, impegnata nel resistere a tutte le sollecitazioni, poi, lentamente, cominciò a rimuovere i pesi alla catena che tirava le pinzette. Molto piano, sganciò dal pavimento la catena che era ancora attaccata al divaricatore e finalmente allentò quella che faceva da cintura ad F, e che era attaccata al muro dietro di lui.
A quel punto, allo schiavo restava ancora applicata la catenella fra le pinzette, il gancio al naso, unito a quello infilato nel culo, l’apparecchio per tenergli la bocca spalancata, ed il divaricatore. Soprattutto gli restava da fare i conti con il suo stesso peso, che gravava tutto sulle braccia, per le quali era appeso al soffitto.
Miss Phoria decise finalmente di farlo scendere, azionando al contrario la carrucola, proprio quando stava per perdere tutte le forze e cedere.
F, dunque, fu calato fino ad essere steso per terra, incapace di rialzarsi. Rimase a boccheggiare, con le mandibole forzatamente spalancate, a pancia in giù, mentre la Dominatrice lo sganciava definitivamente dal verricello. Gli scostò, quindi, anche la catena intorno ai fianchi, che ormai non stringeva più, e gli rimosse i ganci dall’ano e dal naso.
Decise che per un po’ poteva lasciarlo in pace sul pavimento, ma dopo che gli ebbe fatto piegare le gambe indietro, per unire i bracciali, ancora inlucchettati dietro la schiena, al punto centrale del divaricatore. Così F si ritrovò in una posizione che, pur essendo tutt’altro che comoda, era assai meno penosa di quelle provate fino ad allora.
Miss Phoria, a quel punto, si dedicò nuovamente a tormentare lo scroto dello schiavo appeso a testa in giù.
Constatato che ormai anche quella vittima sembrava incapace di reagire, si decise ad abbassare anche quel verricello.
In breve, F si trovò lo schiavo al suo fianco, nella sua stessa identica posizione.
Sorte diversa toccò al terzo, che fu lasciato al cavalletto, e sul quale, Miss Phoria sfogò la voglia di usare la frusta e lo scudiscio.
Si mise a percuoterlo a lungo, sulla schiena, sulle natiche e sulle gambe, rinnovando i lividi che gli coloravano la carne.
Quando si fu stancata, lo staccò dall’attrezzo, lasciandolo ruzzolare per terra, e lo costrinse a strisciare fino alla gabbia, nella quale lo rinchiuse, prima di tornare da F e dall’altro schiavo.
I due avevano appena ripreso fiato, e già toccava loro di affrontare nuovamente la gelida crudeltà dell’aguzzina.
Dedicando la sua attenzione per primo ad F, Miss Phoria usò ancora il verricello, alzandolo da terra per i polsi, uniti al divaricatore.
Fu una nuova dolorosa sollecitazione per lo schiavo, che venne fermato a circa un metro dal pavimento, ad aspettare che nel frattempo la Dominatrice si occupasse dell’altra vittima, a cui toccò identica sorte.
F, dunque, dovette subire ancora l’inserimento del gancio nel naso, unito ad una corda che, come in precedenza, gli fu fatta passare sopra alla testa, dietro la nuca, attraverso l’anello del collare, ed infine attaccata al tubo a forma di "J", la cui estremità gli fu infilata nell’ano.
Nuovamente, la Signora applicò grossi pesi alla catenella che univa le pinzette, gravando, così, su capezzoli e pene.
Anche l’altro schiavo fu sistemato nello stesso modo, con il divaricatore per la bocca, i ganci nel naso e nel culo, i pesi alla catena.
Miss Phoria rimase un po’ a rimirare le sue vittime, soddisfatta dell’opera, fin quando uscì velocemente dalla stanza e dall’appartamento.

F, sentendo il rumore della porta che veniva chiusa a chiave, fu preso dall’angosciosa paura di essere abbandonato lì a lungo. I polsi, già doloranti per il lungo incatenamento precedente, erano atrocemente morsi dai bracciali, e stavolta non aveva la possibilità di afferrare la catena a cui era appeso, per cercare di compensare il peso. La respirazione era affannosa, e sentiva tutti i muscoli della schiena anchilosati. I pesi e le pinze, gli tormentavano capezzoli e prepuzio. Anche le mandibole, erano doloranti, per essere tanto a lungo forzatamente spalancate, e dalla bocca, oltre che dal naso, tirati all'indietro dal gancio, perdeva saliva e liquidi che colavano per terra, sotto di lui.
L’altro schiavo non era in condizioni migliori, anche lui già duramente provato dal precedente incatenamento a testa in giù.
F, cercava di capire quanto tempo avesse fino ad allora passato alla mercè di Miss Phoria.
Essendo stato condotto da lei subito dopo pranzo, poteva essere ormai passato l’intero pomeriggio, per cui si avvicinava la sua terza notte al Castello. In sostanza, da tre giorni non dormiva, né beveva né mangiava, e solo ciò sarebbe bastato come tortura, mentre aveva dovuto subire numerosi e pesanti altri patimenti.
Restò così ancora a lungo, con la sofferenza aggravata dallo sconforto e dalla paura, finchè udì la porta dell’appartamento che si apriva. Nella stanza, fecero il loro ingresso Miss Phoria, che stavolta si era rimessa i pantaloni, e una nuova Dominatrice. Si trattava di una Signora bionda, più anziana, robusta, e vestita con camicia e pantaloni larghi. La nuova arrivata, si complimentò molto con l’ospite, per il modo in cui aveva sistemato le due vittime; ispezionò catene ed attrezzi, con grande attenzione, quindi, chiese di potersi divertire un po' anche lei.
- Sarà un piacere per me assisterla, Lady Mara - le rispose Miss Phoria - Utilizzi pure gli strumenti che preferisce.
- Mi basta assai poco - replicò l’altra. Quando si ha a disposizione uno schiavo così ben incatenato, la tortura è assai semplice.
Dicendo questo, Lady Mara cercò fra gli attrezzi a disposizione nella stanza, recuperando un bastoncino sottile ed appuntito che mostrò a Miss Phoria con grande soddisfazione. Azionò, quindi, il verricello per alzare F, finché ebbe la sua faccia a portata di mano, e, con un sorriso cattivo in volto, cominciò a stuzzicare il naso della vittima, col bastoncino appuntito. Sentendo l’oggetto nelle narici, F provò una fastidiosa sensazione, che si aggravava man mano che la Signora lo spingeva più a fondo, pungendolo dall’interno, prima da una parte e poi dall’altra. Lo schiavo cercava di tirarsi indietro, ma era inutile, poiché già aveva il collo piegato al massimo, tirato all’indietro per effetto del gancio al naso. Il solo prurito, a parte il dolore delle ripetute punture, provocato dal bastoncino, era sufficiente a causargli sofferenza. Infatti, bastò uno starnuto per scuoterlo tutto, e ciò, tenuto conto di com’era incatenato, ebbe effetti disastrosi per i suoi muscoli anchilosati e tesi.
Lady Mara, dopo aver a lungo tormentato F, stuzzicò anche l’altro schiavo nello stesso modo, ottenendo pure con quello, un risultato che giudicò piacevole.
Riprese nuovamente con il primo, infilandogli il bastoncino anche nella bocca spalancata, oltre che nel naso. Gli pizzicò il palato, fino in fondo, provocandogli un terribile senso di nausea, tosse secca e mancanza di respiro.
ornò al secondo, e poi continuò, alternando l’uno e l’altro, mentre commentava con l’amica più giovane, l’efficacia di quella semplice tortura.
Trascorse così altro tempo, finchè le due decisero che era l’ora di prepararsi per tornare dalle altre Dominatrici.
Rapidamente abbassarono i verricelli, lasciando F steso per terra, mentre il secondo, liberato dai vari strumenti costrittivi che lo cingevano, venne rimesso in gabbia.
F fu liberato, in primo luogo del lucchetto, che univa polsi e divaricatore per le gambe. Gli tolsero quindi il gancio infilato nel culo ei anche quello nel naso. Quando venne liberato dall’attrezzo che gli teneva spalancate le mandibole, quasi non riusciva più a chiudere la bocca. Infine, con la rimozione del divaricatore, poté finalmente stringere le gambe.
Lo fecero alzare in piedi, per allentare le pinzette: prima quella al prepuzio e poi quelle ai capezzoli, non mancando in quell’occasione, di strattonarlo ancora un poco.
In definitiva, gli lasciarono solo i polsi lucchettati insieme, e nuovamente lo fecero stendere a pancia in giù, perché strisciasse lungo la strada del ritorno.
Agganciato al guinzaglio, e sospinto dalle due Signore, con piccoli calci e scudisciate, strisciò faticosamente fino a tornare nella sala, in cui, ore prima, le Dominatrici avevano pranzato.

(continua)
 
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12

Nel salone, illuminato a giorno da potenti lampade alogene, un gruppo di Signore stava divertendosi ai danni di vari schiavi, sia novizi giunti insieme ad F sia altri.
Un paio erano appesi per i polsi, altrettanti erano sospesi a testa in giù, altri ancora erano stati incatenati a cavalletti, col sedere all’aria; altri erano bloccati alla parete con braccia e gambe divaricate.
Le Aguzzine passavano dall’uno all’altro, colpendoli con fruste, scudisci e lunghe verghe. Procedevano con calma, assestando violente frustate, così che nella sala echeggiavano i loro passi, il sibilo dei loro attrezzi ed i gemiti di dolore delle vittime.
Al loro arrivo, Miss Phoria e Lady Mara, furono salutate dalle altre Dominatrici, che fecero anche qualche commento sulle condizioni di F, al quale toccò di essere subito appeso, ancora una volta con le braccia girate dietro la schiena, per essere offerto ai colpi di frusta.
Le Signore, pur avendo constatato che F già aveva subito un pesante trattamento, non gli risparmiarono nuove violente nerbate. Una alla volta, e talvolta in coppia, si soffermarono intorno a lui, per colpirlo un po’ dappertutto. Esausto com’era, Fnon riusciva nemmeno a dibattersi nel tentativo, che sarebbe stato comunque inutile, di parare od attutire i colpi.
Mentre seviziavano le loro vittime, le torturatrici si soffermavano al tavolo, dove era stata apparecchiata una cena fredda. Fra di loro chiacchieravano, tenendo la voce bassa, che alzavano, parlando in inglese, solo per gridare qualche improperio agli schiavi.
Lentamente ma inesorabilmente, dunque, le Signore continuarono nella loro opera, che sembrava divertirle molto. Nessuna, però, accennò a masturbarsi guardando il supplizio, come aveva invece fatto Miss Phoria, quando era stata da sola, come se quello fosse per loro un vero e proprio lavoro, piacevole sì, ma da eseguire con scrupolosità e tecnica.
Circa la tecnica, F non ebbe nulla da eccepire. Le frustate, infatti, erano perfettamente calibrate, in modo da provocare dolori secchi e precisi nei punti colpiti. L’obiettivo, evidentemente, era di castigare le vittime senza far loro perdere la conoscenza, ma riducendole comunque in condizioni pietose.
Suo malgrado, dunque, F ebbe modo di imparare gli effetti e l’efficacia dei diversi tipi di fruste e simili.

Lo strumento più maneggevole era lo scudiscio, composto da una verga abbastanza flessibile, ricoperta in cuoio, lunga una settantina di centimetri. Una Dominatrice, ne aveva uno che terminava con un rigonfiamento sferico, un’altra ne usava un tipo che aveva in cima una piccola spatola. Entrambi gli attrezzi sibilavano nell’aria, prima di abbattersi sul corpo delle povere vittime; con essi, grazie alla loro precisione, le Aguzzine preferivano colpire torace, pancia e fondoschiena ma anche gli organi sessuali ed i loro dintorni. I colpi più lievi erano ben sopportabili, ma quelli violenti, soprattutto se inferti dal modello con la pallina, avevano un effetto molto doloroso. Entrambi gli scudisci, lasciavano lividi rossi sulla pelle colpita, con l’impronta della loro particolarità finale.
La frusta, di foggia più tradizionale, era grossa, lunga oltre un metro e le Signore d’abitudine la tenevano in mano arrotolata, dispiegandola immediatamente prima di infliggere la nerbata. Recava cuciture a spirale, e quando si abbatteva sulla carne della vittima, la strisciava, lasciando segni vistosi. Con quella, le Aguzzine colpivano di preferenza, schiena, fianchi, pancia e gambe, in modo che la strisciata fosse prolungata. In cima, quel tipo di frusta aveva una sfera più grossa e pesante di quella dello scudiscio, la cui funzione era di guidare meglio il colpo, oltre che di abbattersi con particolare violenza sullo schiavo.
Un altro tipo di frusta era simile alla precedente, ma assai più lunga, alquanto più rigida e soprattutto nodosa, poiché a tratti regolari, presentava rigonfiamenti consistenti. Per usarla, le Torturatrici si mettevano a maggiore distanza dal bersaglio, e la srotolavano a terra, per scagliarla poi con gran violenza. In genere, le frustate venivano indirizzate verso la schiena o il torace, dall’alto in basso, ma talvolta le Signore azzardavano, non sempre riuscendovi, la manovra di farla arrotolare intorno ai fianchi del malcapitato, per poi strattonarla violentemente. In ogni caso, l’effetto di questo attrezzo, era sempre molto doloroso, e lasciava pesanti lividi ed escoriazioni.
Più moderata, era l’efficacia di una specie di spatola, un paddle, con una lunga impugnatura, che la faceva assomigliare quasi ad una racchetta da tennis, salvo che per il fatto, che la parte piatta era coperta in cuoio, ed aveva infilate borchie metalliche. Veniva usata prevalentemente sulle natiche, e consentiva una sculacciata violenta, ma più sopportabile rispetto alle fruste. Peggio era quando le Aguzzine la usavano per colpire il sesso, poiché in quel modo provocavano alle vittime un dolore tremendo.
Molto traumatiche erano anche le verghe, di cui esistevano vari tipi. Un primo modello, d’uso più comune, era un bastone di legno flessibile, ma nodoso, che le Aguzzine manovravano agevolmente e con precisione per colpire ogni parte del corpo raggiungibile. Una variante dello stesso modello, era composta da tre canne più sottili, unite insieme da anelli metallici verso l’impugnatura e fino a metà lunghezza. Decisamente peggiore, poi, era il tipo metallico, che, pur essendo flessibile, era a sezione triangolare, per cui l’effetto variava, a seconda che fosse usato di piatto o di taglio.
Con le verghe, le Signore martoriavano a loro piacimento culo, pancia, sesso e gambe, senza tralasciare colpi violenti ai fianchi, somministrati tenendo lo strumento con entrambe le mani, per aumentarne esageratamente la potenza.
I lividi lasciati dalle verghe, erano profondi e spesso arrivavano a sanguinare.

F, senza speranza di ottenere un po’ di tregua, dovette sperimentare tutti questi modelli, finendo con l’essere coperto di segni ovunque.
Incapace di valutare lo scorrere del tempo durante la tortura, e tantomeno di contare il numero delle frustate ricevute, ad un tratto si rese conto di avere davanti Lady Alexia, la Signora del Settore Sanitario, che lo stava controllando.
- E’ da disinfettare - sentenziò quella, rivolta alle altre,- e bisogna sospendere un po’ le frustate … magari si può cambiare supplizio …. - aggiunse con un sorriso poco rassicurante.
Nessuna delle Dominatrici ebbe da obiettare, del resto Lady Alexia aveva già preso un flacone di disinfettante, che applicò abbondantemente sulle ferite di F. Il liquido bruciava più dell’alcool denaturato, e lo schiavo non trattenne un grido al contatto, grido che provocò la risata delle Aguzzine intorno a lui.
F, sentiva i lividi friggere sotto l’effetto della sostanza e, quando il bruciore diminuì, si vide finalmente slegare dalla catena e liberare i polsi dal lucchetto che li teneva uniti dietro la schiena. Fu spinto per terra, e fatto strisciare fino ad un angolo, dove venne messo in ginocchio con la faccia al muro. I polsi gli vennero incatenati al collare e quest'ultimo fu bloccato ad un gancio infisso nella parete, in modo che F non potesse spostarsi e dovesse restare praticamente immobile.
Era una posizione tutt’altro che comoda, ma ad F bastava non essere più appeso per i polsi dietro la schiena, e non dover subire nuove frustate, per sentirsi rinfrancato.

Alle sue spalle, gli altri disgraziati, continuavano a subire il supplizio, ed altri venivano esaminati dalla Dominatrice “Sanitaria”.
Ad un altro paio vennero sospese le tribolazioni, e portati vicino ad F, incatenati nello stesso modo.
Altri restarono alle prese con le frustate ancora per un po’, difficile dire quanto, finché Lady Alexia sentenziò per tutti la fine di quella tortura.
Sembrò che il tempo rimanesse sospeso, mentre le Dominatrici confabulavano fra di loro, su come proseguire quella nottata di calvario, per gli sventurati schiavi che si trovavano alla loro mercé.
Quando ebbero deciso sul da farsi, li presero uno ad uno, e li fecero schierare in piedi in mezzo al salone, liberati dalle catene ai polsi.

(continua)
 
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view post Posted on 30/1/2024, 12:50     +1   -1
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13

Per quanto ne poteva capire F il gruppo era costituito da novizi come lui, con l’aggiunta di un paio di altri che, forse, erano stati presi fra quelli che aveva visto servire a tavola.
Altri schiavi camerieri, nudi e con il bavaglio che bloccava loro la bocca, si stavano occupando di spostare i cavalletti, le gogne, ed il tavolo su cui erano rimasti solo avanzi di cibo e bottiglie a metà.
Quando ebbero fatto largo nel salone, portarono un paio di bauli, in cui le Signore si misero a rovistare, cercando gli attrezzi di loro interesse.
Avendo dunque deciso di occuparsi degli schiavi secondo l’ordine con cui erano stati graziati dalle frustate, toccò ad F, per primo, sperimentare il nuovo crudele gioco delle Aguzzine. Si occupò di lui personalmente Lady Mara, che sembrava essere tenuta in grande considerazione dalle altre Dominatrici, le quali, infatti, restarono ad osservare attentamente ciò che faceva.
In primo luogo, la Signora lo forzò ad indossare una specie di corpetto, per stringergli la pancia dai fianchi fino a sotto la cassa toracica. L’attrezzo era un indumento rigido, rinforzato da sbarre interne, le cui estremità si univano in mezzo alla schiena con un sistema di lacci e cinghie che Lady Mara strinse esageratamente, dopo aver obbligato la vittima a espirare completamente. Con il corpetto addosso, F non riusciva più a respirare di pancia, e la sua carne veniva fortemente stritolata. Il suo aspetto, poi, risultava alquanto bizzarro, poiché aveva i fianchi esageratamente stretti ed il culo messo in risalto.
Il passo successivo, fu l’applicazione di due cinture intorno al torace, una in alt ed una più in basso, il cui scopo era quello di ostacolare ulteriormente la respirazione. Per ottenere tale effetto, le cinghie, oltre ad essere strette, avevano all'interno delle borchie metalliche, che si conficcavano nella carne ad ogni respiro.
Sistemate quelle costrizioni, Lady Mara impose ad F un divaricatore mandibolare, simile come funzionamento a quello usato da Miss Phoria, ma costruito con tubi metallici più grossi, ingombranti e pesanti. L’attrezzo, era completato da una sbarra interna alla bocca, che spingeva sulla lingua, tenendola schiacciata alla parte inferiore del palato e, all'esterno, aveva due speroni, puntati verso l’alto, da infilare nelle narici, per ostruirle parzialmente, e spingere il naso all'insù.
Dopo aver regolato l’attrezzo, in modo da renderlo molto fastidioso, Lady Mara mise ai gomiti di F due strumenti metallici, simili a grossi bracciali. che impedivano allo schiavo di piegare le braccia. Furono chiusi con appositi fermi e fra loro venne applicato un bastone, lungo una trentina di centimetri, in modo da costringere la vittima a tenere le braccia a quella distanza fissa. I “bracciali per i gomiti” avevano alcuni fori, in cui l’Aguzzina infilò lunghe viti di metallo, la cui punta piatta era zigrinata per causare dolore, addentrandosi nella carne pur senza ferirla.
Un secondo bastone divaricatore, metallico e pesante, fu collocato fra i bracciali che cingevano i polsi. Trattandosi di una lunghezza superiore al primo, lo schiavo, che non poteva piegare i gomiti, si trovava con gli avambracci sforzati in modo innaturale.
Anche le gambe dello schiavo furono sistemate in modo analogo. Lady Mara, infatti, applicò ad F una coppia di ginocchiere metalliche, simili allo strumento che aveva messo ai gomiti.
Anche in questo caso, usò grosse viti per martoriare le carni sotto agli attrezzi e sistemò un divaricatore fra le gambe, che, in questo caso, era lungo oltre mezzo metro.
F, si aspettava, a quel punto, che gli fosse messo un secondo divaricatore, per tenergli aperti i piedi, ma la Dominatrice, prima di applicarglielo aveva in serbo un’ultima novità.
L’Aguzzina, infatti, aveva predisposto due tubi metallici, in cui andavano infilati i piedi della vittima. Per starci dentro, lo schiavo era costretto ad entrare di punta, e, una volta infilati fino alla caviglia, non poteva più piegare i piedi, pur non avendo un appoggio per i talloni. Quegli attrezzi, erano molto più efficaci come strumenti di tortura, delle scarpe con tacchi “punitivi” poiché, oltre a ad essere assai più pesanti, rendevano estremamente instabile e dolorosa la camminata.
I tubi furono agganciati alle cavigliere, per impedire che si potessero sfilare. Infine Lady Mara applicò l’ultimo bastone, alquanto lungo, per tenere divaricate le estremità delle gambe, in modo sproporzionato alla distanza fra le ginocchia.
A quel punto, come del resto già durante tutta la preparazione, F aveva estrema difficoltà a reggersi in piedi da solo. Venne tenuto in equilibrio da Miss Phoria e da un’altra Dominatrice, mentre Lady Mara completava la sua opera, facendogli girare intorno all'attaccatura dello scroto e del pene una corda tesa, unita al centro del divaricatore fra le ginocchia.
Quell'ultimo particolare, destinato a strizzargli il sesso, concludeva l’acconciatura che la Signora aveva escogitato per lui e che le meritò un applauso da parte di tutte le altre Dominatrici presenti.
Si era, però, solo all'inizio del supplizio.
F se ne rese conto quando Miss Phoria e l’altra lo abbassarono, fino a farlo stare a quattro zampe. In pratica lo schiavo era forzato a tenere braccia e gambe rigide e spalancate, faticando enormemente e penando ad ogni respiro, complicato dall'incredibile bardatura, che lo costringeva in tutto il corpo.
Con una scudisciata Lady Mara gli intimò di muoversi ed F, barcollando, cercò di obbedirle. Per procedere, doveva muovere gambe e braccia in sincronia, badando a non fare slittare i piedi, poiché ciò gli costava uno stritolamento del sesso.
Le Aguzzine lo fecero girare un po' e quindi lo fermarono, in modo che fosse piazzato lungo la parete opposta a quella dov'erano schierati gli altri schiavi.
Toccò a loro, dunque, essere sistemati in modo analogo, e di ciò si occuparono insieme le Signore, seguendo le indicazioni di Lady Mara, che dava crudeli suggerimenti su quanto stringere le cinghie, ed insinuare le viti nelle carni delle povere vittime.
In conclusione, tutti gli schiavi furono acconciati come F, tranne uno, per il quale alla fine non erano rimasti attrezzi costrittivi. In ogni caso, fu difficile chiamarlo fortunato, perché le Torturatrici, indispettite, decisero di appenderlo per le braccia, legate dietro la schiena, in punta di piedi su una tavola traballante che non gli dava equilibrato sostegno, con un grosso peso legato al pene. Era una posizione molto penosa, dalla quale, certamente la vittima aveva poca voglia di preoccuparsi di quanto accadeva ai suoi compagni di tortura.

(continua)
 
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view post Posted on 31/1/2024, 11:39     +1   -1
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14

Per loro le Aguzzine avevano escogitato, innanzi tutto, una gara di velocità, minacciando che gli ultimi sarebbero stati puniti con un gran numero di nerbate.
Il percorso era costituito da quattro giri del salone. Alle vittime schierate fu dato il via.
L’impresa si rivelò subito assai difficile, non solo per F, che cominciò ad arrancare penosamente sforzandosi inutilmente di conservare andatura e direzione costanti., ma anche per tutti gli altri, col fiato corto per lo stringimento dato da corpetto e cinghie e con i gravi vincoli a braccia e gambe.
Muovendosi gli schiavi si urtavano fra di loro, rischiando di rovinare a terra, cosa che capitò ad uno che poi si rese conto di quanto fosse difficoltoso raddrizzarsi.
Fra tutti, solo uno schiavo riuscì a staccare il gruppo, assicurandosi dall’inizio un margine di garanzia.
Tutt’altro che agevole, fu il girarsi alla fine del primo tratto: ostacolandosi a vicenda, un paio rimasero incastrati l’uno nell’altro, ed il tempo che impiegarono a divincolarsi, bastò per farli rimanere indietro.
F resistette alle spalle del primo per un po’, ma dopo la seconda inversione di marcia, fu affiancato dal terzo, che per superarlo non esitò a sgomitarlo, s'intende nei limiti del possibile visto com'erano legati e costretti.
Rimasto terzo, dopo la terza inversione, F si profuse in uno sforzo disperato, ma traballò e perse l’equilibrio, finendo a terra. Nella rovinosa caduta subì un fortissimo strattone al sesso, provocato dallo stringimento della corda legata al divaricatore fra le ginocchia. Riuscendo a mettersi su un fianco attutì un poco quella sofferenza, ma era finito in una posizione da cui, per quanti sforzi facesse, non poteva più risollevarsi. Non lontano da lui vedeva il primo schiavo caduto, che si trovava messo più o meno come lui e si rese conto, che entrambi assomigliavano a quegli insetti finiti con le zampe all’aria, condannati a dibattersi inutilmente. Lo spettacolo divertiva indubbiamente le Dominatrici, che infatti, oltre a seguire la parte finale della gara, sghignazzavano all’indirizzo dei due schiavi bloccati.
Il tratto finale della gara, a cui F assisteva, non essendo ormai più in grado di rimettersi in corsa, fu reso avvincente dal tentativo del secondo di portarsi in testa ad ogni costo. Negli ultimi metri, mentre il primo arrancava senza più fiato, l’altro azzardò ogni movimento possibile, per riuscire a scattare in avanti. Recuperò parte del distacco, facendo dei balzi che lo portarono con la testa all’altezza del torace dell’avversario. Fu a quel punto che, senza tanti complimenti, si alzò, per quanto poteva, sulle gambe, per infilare le braccia fra gli arti del primo. A rischio di cadere lo spinse di lato, riuscendo a fare in modo che quello si provocasse uno strattone al sesso. Con un ultimo balzo, evitò di essere coinvolto in una caduta, e giunse per primo a toccare il muro. La sua vittoria fu applaudita dalle Aguzzine che sembrarono favorevolmente impressionate dalla scorrettezza compiuta.
Nessuna pietà vi fu per gli sconfitti, a cominciare dal secondo, che per primo dovette subire una serie di nerbate sulle natiche.
Fatti rialzare tutti i perdenti, e sistematili in fila, con l’autorizzazione di Lady Alexia, le Dominatrici inflissero le punizioni minacciate, consentendo al vincitore di assistere allo spettacolo.
Tra una frustata e l’altra, F rifletté su quanto era avvenuto, afferrando al volo che non aveva alcun senso immaginare che ci potesse essere solidarietà, e nemmeno sportività tra gli schiavi. Erano infatti tutti in concorrenza fra loro, per ingraziarsi le Signore e strappare una minima ricompensa, anche quando ciò equivaleva a causare aggravi di tortura agli altri.
Finita la punizione, le Dominatrici colsero lo spunto offerto dalla gara, per inventare una nuova competizione nella quale gli schiavi avrebbero potuto ancor meglio scagliarsi l’uno contro l’altro. Decisero, infatti, di fare combattere il primo arrivato contro il secondo, e contro F, per vedere se i due sconfitti avevano la grinta di vendicarsi.
L’obiettivo era di far cadere gli avversari, ed in palio, nuovamente, c’erano solo punizioni a suon di frustate, per chi avesse ceduto.
Muovendosi malamente, i tre si trovarono a fronteggiarsi in mezzo al salone. F, era molto incerto sulla possibilità di ricercare una qualche temporanea alleanza contro lo schiavo che aveva vinto la gara precedente e che rispondeva al numero 40. L’altro, il numero 42, ebbe meno esitazioni, ed accennò un attacco frontale all’avversario. I due cozzarono fra loro una prima volta, mostrando di essere entrambi ben piazzati malgrado le costrizioni. A quel punto, F stimò che gli sarebbe stato conveniente attaccare a sua volta il 40, auspicando di avere maggiori possibilità di cavarsela poi con il 42. Procedendo nel modo del tutto inconsueto e per quanto gli era possibile, cercò di piazzarsi di fianco a 40 mentre questi fronteggiava l’altro, per mirare a stargli addosso e spingerlo giù. I tre finirono con l’aggrovigliarsi nel combattimento: 42 cercava di portare avanti una mano, per afferrare qualche appiglio di 40; F invece, usava la tecnica di spingerlo di lato, riuscendo a spostarlo, ma non a farlo cadere. Fu un improvviso rovesciamento di alleanze a travolgere F, poiché, mentre 40 si spostava, 42 ebbe davanti il fianco dell’altro, nel momento in cui era un po’ sbilanciato. Non perse l’occasione per balzare in avanti e spingerlo di peso, facendolo ruzzolare per terra, in un modo che suscitò grande divertimento nel pubblico delle Dominatrici.
Ancora una volta, dunque, F si trovò sconfitto, oltretutto proprio ad opera di quello che pensava potesse essergli alleato almeno temporaneamente. La lotta fra 40 e 42 proseguì ancora un po’, fra botte e spintoni, finchè 42 capitolò e nuovamente la vittoria fu di 40, che ottenne commenti favorevoli delle Signore.
Senza attendere altro, le Aguzzine si scagliarono sugli sconfitti, per somministrare loro la razione di nerbate che avevano promesso.
F, alla fine, era ridotto assai male, coperto di nuovi lividi, che Lady Alexia curò usando ancora quel doloroso disinfettante urticante.
- Sei proprio un coglione - lo apostrofò infine Miss Phoria, meriteresti subito altre ore di tortura!
- Non resisterebbe a lungo - intervenne Lady Alexia - ed il divertimento sarebbe cosa da poco. Quando si sarà ripreso, reagirà meglio.
Lady Mara annuì a quelle ultime parole, proponendo quindi di concentrare l’attenzione sugli altri schiavi.
Fu così che F venne lasciato con la faccia al muro, steso su un fianco, con tutta la pesante bardatura addosso.
Inebetito dal patimento, non poteva certo riposare, ma trovò almeno una posizione minimamente sopportabile dalla quale, però, non riusciva a vedere quanto accadeva nella sala. Bastavano, comunque, le voci delle Padrone ed i gemiti degli schiavi, per far capire che ancora proseguivano giochi e sevizie, ai danni di questi ultimi.
Non aveva idea di quanto tempo fosse ancora passato, quando finalmente, le Signore tolsero a lui e agli altri, ma non a tutti, la bardatura per braccia e gambe. Gli lasciarono invece corpetto, cinghie e divaricatore mandibolare, liberandolo infine della corda che gli stringeva il membro.
Ritrovandosi a poter stare in piedi senza tutori, F tirò un po’ il fiato, più che altro metaforicamente, a causa dell’effetto dei costrittori che aveva sul busto. Fu Lady Alexia ad incatenarlo con la faccia al muro bloccandogli, le mani sopra alla testa, attaccate ad uno dei vari anelli infissi nella parete.
Dopo un po’ anche altri schiavi furono immobilizzati in modo identico, ed a quel punto alcune Dominatrici salutarono il resto del gruppo e se ne andarono, portandosi via gli schiavi che ancora erano rimasti con la bardatura completa.
Con F e gli altri, restarono Lady Alexia e Lady Mara, che ritennero opportuno procedere ad una nuova e sempre più abbondante disinfezione dei lividi. Piegato dal bruciore, F gemette e pianse, senza riuscire a dibattersi. Affrontò un ulteriore doloroso trattamento, finchè sopraggiunsero un paio di Guardiane, che si misero a disposizione di Lady Alexia, per riaccompagnare via gli schiavi.
Fu così che F e qualche altro con lui, vennero condotti alla cella dove erano stati messi i loro miseri giacigli.
Solo quando fu pronto per esser incatenato al pavimento, a pancia in su con braccia e gambe aperte, venne liberato delle cinghie e del corpetto, riprendendo una respirazione pressoché normale.
Gli fu invece lasciato il bavaglio-divaricatore, per evitargli la tentazione di parlare con gli altri schiavi, ed in quelle condizioni ebbe finalmente la possibilità di riposarsi.
Non appena le Guardiane ebbero finito con lui, F. cadde immediatamente in un sonno che fu brevissimo, ma assai profondo.

(continua)
 
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view post Posted on 3/2/2024, 11:30     +1   -1
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15

Il sole non era ancora sorto, quando alcune Guardiane si occuparono di radunare gli schiavi in uno dei saloni del pianterreno del Castello.
Si trattava del gruppo di quelli che, come F, erano alla loro prima visita, e che dovevano, quindi, affrontare il ciclo più lungo di istruzione.
Erano infreddoliti, stanchi per la penosa privazione del sonno a cui erano stati sottoposti nelle giornate precedenti, affamati ed assetati.
Tutti portavano i lividi delle frustate, e delle altre sevizie subite in abbondanza.
Completamente nudi, con i collari, avevano i polsi ammanettati dietro la schiena, ed una catena alle caviglie di circa una trentina di centimetri che ostacolava i loro passi.
Prima di essere radunati era stato loro concesso di pisciare e defecare, a gruppi, in una di quelle stanze che le Signore chiamavano “gabinetti per gli schiavi” e che in realtà erano androni senza finestre, sporchi e maleodoranti perché i bisogni fisiologici venivano espletati sul pavimento grezzo. In effetti, pochi avevano avuto la reale necessità di quel servizio, dato che sino ad allora erano stati tenuti tutti a digiuno.
Poi erano stati lavati con un getto d’acqua fredda, mista a detergente, ed asciugati sommariamente con teloni ruvidi.
Il gruppo fu schierato e passato in rassegna dalle Guardiane, che, come al solito, controllavano le loro condizioni e annotavano ogni cosa sulle loro schede. Vennero quindi formate delle squadre di quattro o cinque schiavi ciascuna e F si ritrovò, insieme a tre apparentemente più giovani di lui, affidato ad una Istruttrice che li prese da parte, e li condusse in una delle “aule”.
Si trattava di una stanza arredata con una cattedra, sulla quale poggiava un televisore con videoregistratore, una poltroncina per la Dominatrice, ed un vario assortimento di attrezzi di tortura. Alle pareti erano appese, come aveva notato in molti luoghi dell’edificio in cui era passato, fruste e bastoni, di vari tipi e dimensioni. Su uno scaffale, erano disposte catene, manette, morse, lucchetti, ed inquietanti falli in gomma, legno e metallo. In mezzo al soffitto c’era un argano con carrucole, ed altri agganci per catene, erano dislocati lungo le pareti. Inoltre erano collocati in un angolo, un paio di cavalletti e di “appendischiavi”, pronti per essere utilizzati.
I quattro sventurati, vennero fatti inginocchiare nel mezzo dell’aula, sotto la luce di un paio di riflettori posti alle spalle della cattedra sulla quale si sedette l’Istruttrice che si presentò col nome di Miss Manuela.
La Dominatrice, che parlava un inglese perfettamente comprensibile, era vestita con un top aderente, una minigonna nera, calze scure e scarpe col tacco alto. Aveva capelli ricci e biondi, portati abbastanza lunghi, ed era di carnagione molto chiara. Azzardando un’occhiata più attenta, F notò i suoi lineamenti graziosi ed il suo seno, di taglia media e sodo. Poteva avere poco più di vent’anni, e complessivamente era d’aspetto delicato, il ché, stonava con quanto diceva circa la sottomissione e l’istruzione degli schiavi.
Una prima parte della sua introduzione, concernette spiegazioni analoghe a quanto F aveva già sentito ormai più volte, circa l’uso della lingua, il modo di rispondere, l’obbligo assoluto di obbedienza, ecc... ecc... Ribadì poi, che l’obiettivo di quell’istruzione, era di mettere in qualche giorno gli schiavi, in condizione di comportarsi adeguatamente, e di conoscere il Castello, con le sue regole e la sua struttura materiale. In quel modo, gli schiavi non avrebbero avuto più alcuna scusante per le loro mancanze, sarebbero stati pienamente soggetti alla disciplina prevista, e sarebbero stati messi nelle condizioni di svolgere bene i lavori loro affidati.
Ciò posto, Miss Manuela fece alzare uno degli allievi, e, senza particolari spiegazioni, si mise all’opera con catene, morsetti ed altri attrezzi.
Uno dopo l’altro, i quattro schiavi furono liberati dalle manette e dalla catena alle caviglie, per venire subito bardati con un morsetto sotto il glande, un altro alla base di scroto e pene, una catena, stretta in modo esagerato intorno alla vita e fra le gambe. In quel modo, F e gli altri, erano costretti a subire una lunga e fastidiosa sofferenza.
- Come potete vedere - commentò allora l’Istruttrice, con qualche lucchetto e poco più, vi tengo tutti alla mia mercé. Prima di passare alle esercitazioni pratiche, voglio che vi rendiate bene conto che, con le chiavi in mio possesso, posso disporre del vostro corpo, alleviare o aumentare la vostra sofferenza, stringere le morse o allentarle. Voglio che cogliate l’essenza di questa banale osservazione, e cioè che noi Dominatrici abbiamo il possesso assoluto delle vostre esistenze, come delle Divinità. Useremo il nostro Potere, per tormentarvi ed umiliarvi, e capirete che, anche in quei pochi momenti in cui sarete un po' risparmiati, dipenderete totalmente dalla nostra volontà. Imparerete, non solo ad obbedirci e rispettarci, ma soprattutto a temerci. Vivrete nell’angoscia e nel terrore, avrete paura dei nostri capricci, della nostra crudeltà, e dello spirito con cui vi infliggeremo torture, punizioni, privazioni, e umiliazioni. L’unica vostra consolazione, sarà la consapevolezza del vostro ruolo subalterno, che dovrà essere profonda, e non solo un comportamento esteriore.
Detto ciò, l’Istruttrice, senza alcuna spiegazione, scelse uno dei suoi "allievi" e lo mise con le spalle al muro, intimandogli di restare immobile. Prese quindi una verga rigida dall’armamentario di attrezzi a sua disposizione e con quella cominciò a percuoterlo violentemente sul ventre e sul sesso. Dosava i colpi lentamente, ma inesorabilmente, dimostrando in tal modo che poteva fare quello che voleva della sua vittima, sulla quale si accanì fino a farlo cadere sotto le percosse. Prima di smettere, lo colpì ancora, mentre era steso ai suoi piedi, mirando alle natiche e alla schiena.
Poi smise, come se si fosse improvvisamente annoiata di quel gioco, e avesse deciso di trastullarsi in altro modo.
Infatti si avvicinò ad F, e lo afferrò bruscamente per il pene, stringendo ancora di più il morsetto al glande, già abbastanza penoso per lo schiavo.
- Questi attrezzi - commentò, lasciano il vostro sesso nelle mie mani. Potrei allentarli, ma adesso mi va di stringerli, per il solo gusto di infliggere un tormento.
La morsa era tanto stretta, che F non poté trattenere un gemito di dolore, e ciò fece ridere soddisfatta l’Aguzzina.
Lasciatolo alle prese con la morsa, Miss Manuela passò ad occuparsi di un terzo schiavo, al quale strinse maggiormente la catena che gli cingeva i fianchi, e che passava intorno al pene ed in mezzo alle natiche. Per fare ciò, usò un tubo di ferro, che infilò sotto la catena stessa e che girò su se stesso, per accorciarne il gioco. Bastò un solo giro, per rendere la morsa più dolorosa di quanto già fosse. F, già sufficientemente tormentato dalla stretta "normale", rabbrividì, pensando all’effetto che poteva avere quel banale ritrovato della Signora.
Miss Manuela ignorò il quarto schiavo, curandosi invece di far rialzare quello che aveva frustato, affinché tornasse al suo posto con gli altri.
- Più tardi vi torturerò ancora - disse. E vi farò molto male, adesso invece, cominciamo a fare qualche esercizio sulle posizioni formali.

(continua)
 
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