Legami di Seta - Forum Italiano BDSM & Fetish

Vittima, maledom, smothering, extreme

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view post Posted on 24/1/2024, 14:35     +2   +1   -1
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Immagine © idaniphotography (DeviantArt)

Quando Roberta emise un gemito così forte da farmi venire nelle mutande, capii che non sarei riuscito a fare a meno di lei.
Eravamo in cucina, il suo culetto sodo e nudo contro le mie mutande, le sue gambe lisce e profumate di umori si agitavano nel vuoto mentre, da dietro, la stavo strangolando con una calza di nylon. I suoi piedi erano tesi – li vedevo appena dal riflesso della finestra verticale: due piccoli pesci fuor d’acqua, lo smalto nero e le dita minuscole tese. L’aroma del caffè rendeva quel contesto così dannatamente familiare, intimo. Un’abitudine da tossici, come una colazione troppo dolce.
«O-ora… b-bas… ta…» mormorò con la voce strozzata dall’asfissia.
Io aveva appena avuto un orgasmo e, lentamente, la riaccompagnai con le piante dei piedi sul pavimento freddo.
La vidi inginocchiarsi mentre si portava una mano alla gola, tossendo e maledicendomi.
«T’ho fatto male?» le chiesi, come se contasse davvero qualcosa, come se non fosse stata lei a dirmi di strangolarla fino a quel punto, in quel modo da pazzi.
Un tentato omicidio o qualcosa del genere.
Scosse la testa in un gesto impercettibile, poi si alzò in piedi e senza dir nulla, il viso coperto dai capelli castani selvatici e scompigliati che le nascondevano appena le lentiggini di cui era cosparso il suo bellissimo viso sudato, prese una sigaretta dal pacchetto sul tavolo e si allontanò.
Ricomparve dopo due minuti con vestaglia e pantofole. Vidi la linea rossastra circondarle la trachea. Uscì in balcone, dove rimase da sola a lungo – prima che io trovassi il coraggio di raggiungerla.
«Una bella giornata…» mormorai.
Aspirò la sigaretta con quella delicatezza sublime che solo una donna di quarant’anni con un marito defunto e un figlio dato in adozione sa tirar fuori.
«Tra poco torna» disse.
Parlava del suo nuovo compagno, un tipo che non mi era mai piaciuto – come se io potessi anche solo pensare di avere voce in capitolo.
«Vado a vestirmi, dai» le risposi.
Lei non aggiunse altro.
Andai in camera da letto dove c’erano le mie cose. Su quel letto praticamente in ordine avevamo iniziato la serata. Senza cena. Solo baci, carezze, le sue calze di nylon che sapevano di buono, di casa. Avevamo scopato, poi eravamo andati in cucina a farci un caffè e lei aveva detto: «Fammi fuori.»
«Come?» le avevo chiesto tra il divertito e l’incredulo.
Senza parlare si era seduta per sfilarsi le calze. Me le aveva passate e aveva sussurrato: «Fallo, per favore. Un giro secco. Forte. Senza pensarci.»
Non c’era stato bisogno di aggiungere un altro. Tantomeno sul perché. Mi ero piantato dietro di lei, in mutande, il cazzo di nuovo turgido come quando l’avevo penetrata. Dopo aver arrotolato gli estremi tra le mani, le avevo passato la calza sopra la testa, poi ero risalito lungo la linea del collo, sotto al mento. I suoi occhi chiusi, gli incisivi che affondavano nel labbro inferiore e la pelle d’oca lungo le braccia nude mi avevano quasi procurato il secondo orgasmo della serata.
Poi avevo iniziato a stringere e lei s’era messa a godere: un misto di gemiti di piacere e di lacrime.
Allora avevo tirato. Forte.
Mentre pensavo che, se avesse potuto, si sarebbe sgolata per chiedere aiuto, non mi ero preoccupato di farle male e lei non aveva reagito. Come se quello fosse il suo destino, una punizione necessaria. L’avevo trascinata a me con violenza e avevo tirato verso l’alto, facendole perdere il contatto col pavimento.
Coi piedi nudi nel vuoto che sbattevano contro le mie gambe, aveva rantolato in quel modo osceno, da vittima che sta per andarsene. La sua faccia era diventata rossa e bollente. Un palloncino sul punto di scoppiare.
Allora ero venuto.
E mi ero innamorato di lei.
Tornai in cucina, vestito e pronto ad andarmene, le chiavi della macchina nella mano sinistra, una sigaretta spenta nella destra.
Lei rientrò e chiuse la finestra. Senza guardarmi, persa con lo sguardo sui fornelli, mi domandò: «Vuoi l’accendino?»
«S-sì, grazie.»
Allungò una mano in una piccola nicchia accanto al televisore e mi porse l’accendino.
Sentii le sue dita, i piccoli calli sui polpastrelli. Percepii più che mai il suo calore, il suo odore mi penetrò le narici.
Pensai che sarebbe stato facile prenderla per i capelli e trascinarla in camera da letto, cingerle il collo con le mani nude e farla fuori, godere lentamente del suo trapasso, delle sue gambe nude in estasi, delle sue caviglie in estasi. Andare fino in fondo, stavolta. Sentirla cedere per l’ultima volta, il calore della sua urina scivolarle tra le cosce. Per un istante riuscii a vedere la sua lingua spuntare dalle labbra umide, un filo di saliva colare sul suo delicato mento.
«Grazie» le dissi prendendo l’accendino.
E me ne andai.
Perché in quella storia la vittima ero io.
Vittima di una donna che non sapeva stare al mondo.
Qualcuno un giorno l’avrebbe fatto e a lei sarebbe piaciuto. Non se ne sarebbe andato intimidito.
Ma quel qualcuno non ero io.
Io ero solo l’ultima delle sue vittime.
 
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view post Posted on 26/1/2024, 12:01     +1   -1
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T.P.E.
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Grazie Apostolo. Ti chiederei, se il racconto non l'hai scritto tu, di citare la fonte e l'autore se noto.
 
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view post Posted on 28/1/2024, 10:42     +1   +1   -1
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CITAZIONE (-triskell- @ 26/1/2024, 12:01) 
Grazie Apostolo. Ti chiederei, se il racconto non l'hai scritto tu, di citare la fonte e l'autore se noto.

Certo. Sono io l'autore del racconto. Grazie a te.
 
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2 replies since 24/1/2024, 14:35   1646 views
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