Legami di Seta - Forum Italiano BDSM & Fetish

IO e C. (la nostra giornata), GDR (gichi di ruolo), dirty fetish, sesso, spitting, pissing, food fetish

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view post Posted on 19/2/2024, 12:20     +2   +1   -1
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T.P.E.
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Racconto trocvato sul web dal sito iraccontierotici, autore Rosa Bulgari
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Io e C. stavamo insieme da un po’. Abitavamo in un appartamento piccolo ma molto accogliente in periferia. Quel giorno tutto era tranquillo e per la strada si sentiva qualche ragazzino giocare a calcio nel cortile. Raramente passava qualche auto.
Mi piaceva allontanarmi da casa e fare lunghe passeggiate al tramonto, lì nella periferia, per assaporarne la quiete. Il sole tiepido scaldava l’aria e colorava di giallo le facciate scrostate dei palazzi che si ergevano, tutti in fila, come anziani seduti davanti al bar della piazza. Dietro di me un campo abbandonato e dell’erba incolta; proseguendo verso di esso incrociavo qualche TIR con lo sguardo.
“Dove sei?” mi aveva appena scritto C. tramite un SMS.
Le avevo detto di trovarmi in giro vicino casa e che probabilmente sarei andato a comprare qualcosa al supermercato del quartiere.
Mi rispose qualche minuto dopo:
“Non fare tardi. Ho una sorpresa per te! ;)”.
Oh, quanto adoravo quella ragazza! La mia vita era diventata perfetta da quando l’avevo conosciuta.
C. era solo un anno più giovane di me, lavorava da qualche mese come segretaria in un’azienda locale. Dal primo momento in cui c’eravamo conosciuti avevo sentito qualcosa per lei. Nell’istante stesso in cui il suo sguardo aveva incrociato il mio, qualcosa di magico doveva essere accaduto perché né io né lei eravamo esattamente due persone socievoli. Il caso però volle che lei mi facesse una domanda poco prima di salire sull’autobus; io le risposi e da lì iniziammo a parlare.
C’era qualcosa di magnetico in lei: la sua voce dolce, i suoi occhi grigi, i capelli biondi, l’abbigliamento da viaggiatrice incallita con lo zaino perennemente in spalla e le scarpe che pendevano da esso, appese coi lacci. Era come se vedessi me stesso riflesso nel corpo di un’altra persona.

L’odore di cartone che si sente fuori dai supermercati mi aveva riportato alla realtà. Mi era arrivato al naso sospinto dalla ventola che ronzava nel compressore a fianco alla saracinesca. Mi ero messo a leggere le offerte prima di entrare: non compravo mai i prodotti scontati, ma mi piaceva ugualmente sapere cosa costava meno.
Perlustrai le corsie come di consueto prima di decidermi ad acquistare qualcosa. Alla fine la mia scelta ricadde su una scatola di biscotti che io e C. amavano entrambi, della frutta, un cartone di latte di mandorle e una bottiglia di amaro.
“Sono quasi a casa, amore. :)” le scrissi.

Entrando nell’androne un odore di focaccia fatta in casa mi aveva avvolto. Ero estasiato e cominciavo ad avere anche una certa fame. Avevo fatto le scale di casa di corsa, infilato la chiave nella toppa e spinto quest’ultima quando mi accorsi di un bigliettino ben in vista sul tavolo. Era un post-it giallo accanto al quale si trovavano gli abiti di C.
Il biglietto diceva: “Vieni in bagno”.
Sentii il cuore aumentare il ritmo. Ero emozionato e divertito come un bambino a Natale.
Posai la busta della spesa per terra, mi sfilai le scarpe e mi diressi in bagno.
Appena aprii la porta, il mio angelo mi saltò addosso. Era completamente nuda, indossava solo un paio di mutandine di pizzo nero e i seni, piccoli e tondi, le saltellavano a destra e sinistra. Aveva sciolto i capelli, era sudata, sapeva di buono.
“Amore!” mi disse e mi cinse la braccia attorno.
Dopodiché, afferrò la mia testa fra le mani e mi baciò con decisione. Fu un bacio lungo e appassionato che ci scambiammo a occhi chiusi. Le nostre lingue si salutarono in quel momento.
“Oggi è un giorno speciale” disse allontanandosi dalle mie labbra ma continuando a sostenere lo sguardo “perché ho avuto la promozione al lavoro!”.
“Oh, amore, ma è fantastico!” risposi raggiante. Feci per abbracciarla a mia volta ma mi bloccò le braccia.
“E sai questo cosa comporta?” domandò sorridendo.
“Be’, prenderai uno stipendio più alto e…” non terminai la frase perché lei rise e si coprì la bocca con la mano subito dopo.
“Non ricordi la nostra promessa? Il giorno in cui mi avrebbero promossa sarebbe stata la nostra giornata!”

Di colpò mi torno in mente ciò che eravamo promessi appena eravamo venuti ad abitare qui.
C. era piuttosto scoraggiata a quei tempi e riteneva la sua promozione una meta irraggiungibile. L’avevo consolata come meglio sapevo fare, baciata sulla fronte e stretta forte al petto per rasserenarla. Amavo accarezzarle i capelli quando appoggiava la testa vicino al mio cuore.
Risi poiché mi sembrava che mi stesse per capitare una cosa troppo bella per essere vera.
Il sesso con C. andava alla grande, su questo non c’era dubbio.
Sapeva anche che mi piacevano i giochi di ruolo in cui lei mi ordinava di servirla e riverirla con un pizzico di severità e d’autorità, benché a un animo così tenero tale parte venisse difficile e si concludeva spesso con risate gioiose e sorrisi complici da ambo le parti.
La “nostra giornata” era un accordo che facemmo un giorno mentre ci stuzzicavamo per alimentare l’uno il desiderio dell’altra. Sarebbe dovuta essere una giornata interamente dedicata al sesso come più piaceva a noi: sudato, sporco, bagnato, animalesco, forte, provocatorio. Senza nessun pudore.

“E quindi questo vuol dire che…” ancora una volta non riuscii a finire la frase perché mi portò il dito indice davanti alle labbra facendomi segno di tacere.
Mi guardò voluttuosamente e poi mi ordinò bisbigliando, tutt’a un tratto seria in viso, di inginocchiarmi.
Ovviamente obbedii senza pensarci. Il cuore mi pulsava forte ed ero ormai visibilmente in erezione.
“Bravo” sussurrò sospirando.
Poi si mise le mani sulle ginocchia e portò il busto in avanti verso di me. Dal mio punto di vista, i suoi seni tondi apparivano ancora più incantevoli. Pendevano liberi e parevano volermi raggiungere.
Si leccò lentamente le labbra e mi accarezzò. I suoi capelli mi sfioravano il volto. Quando la vidi raccoglierli e portarseli dietro l’orecchio, mi fu ben chiaro cosa intendesse fare.
Arrotondò le labbra e ne fece colare un filo di bava denso e odoroso che mi si appoggiò sulla fronte.
Continuò ad accarezzarmi e guardare la sua opera con una certa soddisfazione.
Il rigolo di bava che mi colava giù dalla la fronte era ormai quasi giunto al naso. Ne gustavo l’odore, ne percepivo la consistenza densa. La sua saliva era un nettare sublime, dolce e dissetante.
Avvicinò la sua faccia alla mia tenendomi la testa con le mani. Lentamente cominciò a leccare via la sua saliva dal mio viso.
Sembrava una gattina che puliva a linguate il suo pasto prelibato in previsione di una lauta mangiata. Quand’ebbe raccolto tutto, se lo rimpastò in bocca e, continuando ad accarezzarmi, se lo fece colare giù dalla lingua. Due gocce mi arrivarono sulle labbra. M’inclinò il viso a destra e fece scendere giù il resto della bava sulla mia guancia, leccando dopo diligentemente il tutto.
“Stasera non hai scampo” disse estasiata e assorta nel suo gioco.
“Fammi tuo, amore” le risposi, in preda al piacere intenso.
“Oh, ci puoi giurare. Questo è soltanto l’inizio, amore mio. Stasera mamma gatta ha tanta fame ed è in vena di sperimentare” replicò lei, intervallando la frase a baci e sospiri.

(continua)
 
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view post Posted on 21/2/2024, 12:41     +1   -1
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T.P.E.
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(segue)

Mi diede ordine di seguirla fino in cucina. Frugò un po’ nella busta della spesa e tirò fuori l’amaro. Ne bevemmo un sorso: sapeva che adoravo il suo alito alcolico, in più il liquore la disinibiva.
Continuò a rovistare nella busta e ad un certo punto si fermò di colpò. Mi guardò complice e rise maliziosa.
“M’è venuta un’idea!” fece “guarda qua!”
Incominciò a riempirsi la bocca voracemente di acini d’uva: erano rossi, grandi e succulenti tanto che una goccia di succo rosso rubino le rigò il mento.
Masticava sgraziatamente, a bocca aperta, facendo tanto rumore. Si fermò e si sputò il bolo sul palmo della mano.
Mi guardò sorridendo e mi spinse la testa contro di esso: voleva che di quegli acini semimasticati io mi nutrissi.
Le leccai avidamente il palmo senza lasciare neppure un pezzettino d’uva masticata.
Lei nel frattempo si sedette, allargò le gambe e s’ingozzò nuovamente d’uva.
Io mi inginocchiai e portai il mio viso verso le sue mutandine. Ero così eccitato che gliele avrei strappate a morsi.
C. si sputò nuovamente il cibo masticato sulla mano ma stavolta si rialzò. se lo infilò nelle mutandine dalla parte del sedere e si sedette.
Gemette e chiuse gli occhi mentre il succo si spargeva sul piano della sedia.
“Ora puliscimi il culo” mi ordinò guardandomi con aria autoritaria.
Si rivolse di spalle rispetto a me, s’inarcò e s’abbassò le mutandine.
Davanti a me si presentava uno spettacolo godurioso: il suo fondoschiena rotondo.
C’erano acini spappolati un po’ dappertutto e decisi di cominciare ripulendolo per primo da quelli.
Premetti la faccia contro quella meraviglia della natura. Era morbido e caldo, un’opera d’arte.
Pian piano la mia lingua si fece strada verso il suo ano; tentai di spingere ancora di più il mio volto bagnato tra le sue natiche, volevo nascondermi tra quelle due semisfere così sensuali. Le leccai libidinosamente l’ano e c’infilai dentro la lingua.
I suoi gemiti mi spronavano ad andare più forte. Mi alzai, l’afferrai per i fianchi e le abbassai le mutandine fino alle ginocchia. La spinsi poi contro il tavolo: avevo voglia del suo frutto proibito. Da dietro, cominciai a palparla e mi accorsi subito che, succo d’uva a parte, era parecchio bagnata.
Mi sfilai i pantaloni in tutta fretta e la feci mia tenendola ben salda, quasi come se stesse tentando di scappare e io volessi immobilizzarla.
Ansimavamo e sudavamo. Il ritmo aumentava, le palpai i seni. Mentre la tenevo per le tette, davo colpi di bacino, sempre più veloci, sempre più profondi. Le infilai un dito in bocca e la baciai ripetutamente sulla guancia. Mi incitava a non fermarmi e sentirla parlare noncurante del mio dito nella sua cavità orale era parecchio stimolante.
Ad un certo punto mi fermò, all’improvviso, e disse:
“Non è ancora finita qui” per poi ridacchiare sorniona.
“Cosa?” le chiesi io incuriosito ed eccitato.
“Vedrai…” si allontanò da me e mi fece segno di seguirla in soggiorno.
Si fermò al centro del tappeto e si sfilò le mutandine intrise di succo, lanciandole al largo.
Dopodiché avvicino a sè il vasino che avevamo comprato per questi momenti e ci si sedette sopra.
“Oggi torno bambina, amore. Vieni qui, avanti…” mi disse eccitatissima.
Io ovviamente obbedii senza pensarci.
Un fiotto di urina calda sgorgò dalla sua vagina.
Sentivo il liquido infrangersi contro il fondo basso del vasino.
C. pisciava e mi guardava sorridente, pregustando già cos’avrebbe seguito quel momento.
Quand’ebbe finito, si alzò dal vaso e ci si sedette a fianco. C’infilò le mani dentro e se le riempì di pipì: se la sparse dapprima sulla pancia, poi sul seno, in faccia e infine sui capelli.
“Non mi aiuti?” disse in tono di sfida mentre continuava a detergersi con la sua urina.
Misi le mani a coppa e la aiutai a bagnarsi i capelli. Non potei fare a mano di leccarle le guance, sapide e inviscidite.
“Oh, ti piace, eh?”.
Mugolai un sì e la strinsi a me. La sua urina mi aveva praticamente inzuppato.
“Non finisce qui, sai? Mi sono solo lavata” riuscì a dire lei mentre io non le davo tregua con la lingua “ma ora voglio uno shampoo. Uno shampoo speciale.”
Era così che avevamo soprannominato la pratica dell’eiacularle sui capelli.
Mi fece segno d’alzarmi, si voltò verso di me e avvolse il mio pene tra i suoi lunghi capelli biondo scuri, fradici di piscio.
Portò il mio pene alla sua bocca e cominciò a passarselo sulle labbra.
Si fermò un attimo a guardarmi, poi mi sputò sul cazzo e prese a ciucciarlo devotamente. Nel giro di pochi minuti, una colata di sperma biancastro le ricoprì la chioma.
Mi sorrise come una ragazzina che aveva ricevuto ciò che desiderava per Natale e poi si insaponò rimestandosi il mio sperma con le mani.
“Devo andare in bagno, accompagnami” disse serenamente dopo un po’.
Amavo la naturalezza con la quale faceva i suoi bisogni davanti a me. Quando conversavamo, non c’era neanche bisogno d’interromperci se le scappava: ci spostavamo semplicemente nel bagno continuando a chiacchierare, lei seduta sulla tazza, io sul bordo della vasca da bagno.
Quel giorno però era diverso: sarebbe dovuta essere la nostra scopata più pazza e tale fu.
Percorse tutto il corridoio gattonando e si sedette sulla tazza del WC. Divaricò le gambe e spinse la mia testa contro la sua vagina madida: esigeva che la facessi venire leccandogliela.
Ci diedi dentro di lingua e lei mi ricompensava sputandosi sulla mano e lavandomi la faccia, già bagnata dai suoi umori.
Dopo qualche minuto si alzo in preda all’orgasmo e, costringendomi a tenere la faccia attaccata alla sua fica, pisciò in piedi infradiciandosi tutta.
Ci gettammo a terra a rotolare nella pozzanghera gialla sotto di noi tenendoci stretti in un forte abbraccio. Poi ci guardammo negli occhi e finimmo a sorridere entrambi. Ci baciammo, ci rialzammo, ci prendemmo per mano e facemmo una lunga doccia calda, pomiciando sotto l’acqua.
Riportandola a letto, lasciai che si sdraiò nuda e profumato per aprirle le gambe e accarezzarle ancora un po’ la vagina.
Chiuse gli occhi mentre lo facevo, dandomi implicitamente il consenso a continuare e a infilare un dito.
Aumentai il ritmo e fu inevitabile penetrarla di nuovo. Le tenevo le gambe alzate e le baciavo le gambe, mordicchiando qua e là.
Si portò un piede alla bocca e cominciò a leccarsi la pianta mentre io ne gustavo il dorso. Le afferrai l’altro piede e ci venni sopra copiosamente.
Era la nostra buonanotte. Ci addormentammo l’uno con la testa rivolta verso i genitali dell’altra.
Amavo quella ragazza.

FINE
 
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